La storia inizia con la Congregazione della Santissima Annunziata
La congregazione nel 1318 chiedeva al re Roberto d’Angiò l’esproprio di un piccolo fondo per la costruzione di una chiesa e di un ospedale, sostenuta in parte dalle offerte del popolo .
Gli Angioini sostennero l’ iniziativa concedendo alla Congregazione privilegi e donazioni e fu proprio per volontà di Sancia di Majorca, seconda moglie di Roberto il Saggio, che nel 1343 sorse il nuovo complesso che comprendeva la chiesa, l’ospedale, l’ospizio dei trovatelli e il conservatorio delle esposte.
Il nuovo complesso dell’Annunziata si prodigo’ molto per evitare il fenomeno dell’infanticidio o dell’abbandono dei neonati, rappresentando ben presto uno dei più importanti ospedali ed enti assistenziali della città.
Durante il XVII secolo divenne uno dei più importanti ospedali della città accogliendo fino a cinquecento malati ma anche come importante ente avente la funzione di assistere e accogliere orfani e trovatelli .
Ben presto la Santa Casa dell’Annunziata divenne una delle più’ importanti istituzioni presenti nel Regno di Napoli .La Santa Casa accoglieva creature che venivano abbandonate in una ruota, posta in corrispondenza di una buca esterna all’edificio, da famiglie povere o da madri che li avevano concepiti di nascosto.
La ruota degli esposti era il luogo deputato per l’abbandono di figli indesiderati o nati in famiglie troppo povere, i cosiddetti “figli della Madonna“, così denominati in quanto i genitori li “esponevano” alla misericordia di Maria, da cui anche l’origine etimologica del cognome.
La Ruota nasce come istituzione assistenziale per la cura dell’infanzia abbandonata (fu ricostruita una prima volta nel XVI secolo in forme rinascimentali, e nel XVIII secolo, dopo un incendio, da Luigi e Carlo Vanvitelli ) che veniva utilizzata soprattutto dalle famiglie meno abbienti che potevano lasciarvi i bambini appena nati per affidarli alle cure delle suore.
I bambini abbandonati venivano introdotti in una specie di tamburo di legno di forma cilindrica e raccolti all’interno da balie pronte ad intervenire ad ogni chiamata.
Raccolti nella camera interna, i bambini venivano lavati in una vasca situata accanto alla ruota, che fungeva sia da lavatoio che da fonte battesimale. Prima di essere affidati alla nutrice, al collo dei piccoli veniva legato un laccetto con una placchetta di piombo sulla quale erano incisi, da un lato, il numero di matricola dall’altro l’immagine della Madonna (Madonna de Repentiti). Alcuni trovatelli recavano con sé un foglio di carta con il nome dei genitori o portavano con se’ qualche pezzo di oro o di argento ; altri non avevano nessun segno. Tutto quello che indossavano e qualsiasi segno particolare veniva annotato in un libro, in modo da rendere più facile un eventuale riconoscimento da parte dei genitori.
All’esterno, al di sopra della ruota, vi era un puttino di marmo con la scritta: “O padre e madre che qui ne gettate / Alle vostre limosine siamo raccomandati”.
Gli ospiti dell’istituzione venivano chiamati “figli della Madonna”, “figli d’a Nunziata” o “esposti” e godevano di particolari privilegi. Dalla Sacra Ruota degli Esposti ha origine il più noto cognome dei napoletani: Esposito ( da Esposti, Degli Esposti ).
La ruota divenne la più famosa in Italia e fu chiusa definitivamente nel 1875.
La prima chissà Angioina fu completamente ricostruita e ampliato a partire dal 1513 . L’edificio fu però quasi completamente distrutta da un grande incendio nel 1757. I lavori di ristrutturazione vennero affidati a Luigi Vanvitelli che riutilizzò gli ambienti cinquecenteschi incorporandoli nell’attuale struttura, ma non riuscì a portare a termine i lavori che vennero proseguiti sotto la direzione del figlio Carlo. Durante la seconda guerra mondiale l’edificio fu gravemente danneggiato e si dovette sottoporlo ad un complicato restauro che interessò sia l’interno che l’esterno. Dal punto di vista artistico, all’interno è da citare la Cappella Carafa , l’affresco della lunetta interna, raffigurante l’Annunciazione attribuito a Belisario Corenzio e la maestosa cupola di Domenico Fontana.
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