Il moderno quartiere di Soccavo, che con le zone di Fuorigrotta, Bagnoli e Pianura, forma la parte occidentale della città, occupa un’area piuttosto ampia e fa parte dei Campi Flegrei, posizionato in una delle tante conche crateriche.
Il nome della località deriva dal fatto di essere sorta “suptum caba”, sotto una cava di piperno , (come si evince anche dallo stemma comunale) che per la sua consistenza lapidea e la resistenza all’usura degli agenti atmosferici è una roccia che è stata poi usata come rivestimento di costruzioni (per esempio al Maschio Angioino, all’ingresso Parco Virgiliano e nelle strutture della chiesa del Gesù Nuovo) o per la realizzazione di portali di palazzi del centro storico (come il chiostro di San Marcellino, il Cortile delle Statue dell’Università Federico II e la balaustra interna dell’ospedale della Pace.
N.B.Il piperno, possiamo dirlo con certezza ha svolto un ruolo di marcata egemonia come pietra da costruzione e ornamentale nell’architettura di Napoli.
Questo incredile materiale si trova ancora nella parte inferiore della montagna dei Camaldoli dove esiste una cava di piperno, la cui attività estrattiva iniziò gia in età romana, intensificata nel 400 e continuata in maniera saltuaria sino al ‘700-‘800) .
N.B. L’estrazione del poperno e l’agricoltura sono state le due tradizionali risorse economiche della comunità rurale di Soccavo.
Il Piperno era comunque un materiale non facile da estrarre in quanto si trovava in un masso unito (come appunto deve essere una corrente di lava) , alto 25 piedi e posto in profondità del blocco a tal punto che le persone addette allo scavo dovevano tagliare la pietra sino alla profondità di 20 piedi, passati i quali si trovava poi una pietra fragile, di poca coerenza e poco utile agli architetti .Da questo ne segue, che non era sempre possibile il vedere su quale materia posava il Piperno”. Il suo costo per questo motivo era elevato .
Questa roccia si presta a subire molte lavorazioni, escluso la levigatura, resiste bene agli agenti atmosferici e alla degradazione del tempo ed è stato questo il motivo per cui poi è stato ampiamente usato per la realizzazione di elementi architettonici di costruzioni anche più recenti: con esso infatti sono stati eseguiti cornici e soglie di balconi e finestre, paraste, colonne e capiteli, chiavi di volta di portali, decorazioni e gradini di scalinate di un gran numero di edifici della nostra città.
CURIOSITA’: Nella seconda metà dell’Ottocento per l’estrazione del piperno nelle cave di Soccavo e Pianura vi lavorano 26 operai per 200 giornate lavorative annue. Ma già nei primi decenni del Novecento nella zona risultava attiva una sola cava, da cui nel 1931 vengono estratte 180 tonnellate di piperno. Di quest’unica cava, nel 1935, è attestata una saltuaria attività estrattiva eseguita con tecniche ormai vetuste (“ancora tutta a mano”) e con alti costi, limitata alla fornitura di piperno.
La zona era all’epoca nota oltre che per l’economia prevalentemente agricola, soprattutto per aver dato vita alla figura dei mastri pipernieri che diedero un grande impulso all’attività estrattiva, a cominciare dalla fine del xv secolo, quando fu rifatta la nuova cinta muraria della città di Napoli. L’avvio di questa caratteristica attività si fa risalire al 1250, tempo in cui probabilmente si determinarono i presupposti di uno stabile insediamento urbano legato all’attività estrattiva della roccia.
CURIOSITA’: Si narra che i “Maestri pipernieri”, erano gli unici a saper lavorare e trattare questa pietra dura in quanto sfruttavano per questo le loro conoscenze iniziatico-esoteriche tramandate dagli antichi costruttori da migliaia di anni.
I primi a intuire le fertili potenzialità di questa zona furono addirittura i greci, nel v secolo. I romani arrivarono infatti nella zona soltanto nel 326 a.C., lasciando testimonianze architettoniche ritrovate all’interno di alcune masserie e della cinquecentesca chiesa dei Santi Pietro e Paolo.
In epoca romana, Soccavo si trovava su di una diramazione della via Napoli-Pozzuoli più antica (almeno V sec. a.C.), detta “per colles”perché sviluppata attraverso la collinaVomero-Arenella e nota in seguito come”Antiniana” (da cui anche il toponimo “Antignano”).
Provenendo da Pozzuoli, la via raggiungeva la zona di via Terracina in località Marciano e poi, probabilmente, si divideva in due rami, uno passante per la Loggetta, via S. Domenico e via Belvedere e l’altro per Soccavo e via Pigna.
Gli antichi prediligevano quest’area come punto di ristoro dell’affannosa via per colles. Essa fungeva da stazione di servizio per chi voleva raggiungere Pozzuoli
Qui comunque non mancavano alloggi per i lavoratori delle cave e antiche ville rustiche romane ; testimonianza ne è un mausoleo a colombario che indifeso resiste lungo lo stradone di via Pigna. Ancora visibili sono dieci nicchie che contenevano le urne cinerarie, in compagnia di una più grande che doveva accogliere la statua del proprietario della vicina villa, oggi scomparsa, Tra le varie vestigie romane sono state inoltre ritrovate un cippo militare del l secolo d.C. murato nella casa colonica del fondo Frezza oggi conservato al Museo Archeologico, la cui iscrizione ricorda il restauro della via ” per colles”, completato da Traiano) e tutto il materiale di spoglio (rocchi di colonne, epigrafi, etc.) e le tracce di mura in opus reticulatum ancor’oggi presenti lungo via Contieri, nelle antiche masserie e nelle parti sottostanti la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo. È anche possibile che vi siano edifici antichi sepolti nelle franose pendici dei Camaldoli.
In quest’epoca Soccavo era più nell’orbita di Pozzuoli che in quella di Napoli, come del resto tutta la zona flegrea; il borgo faceva parte, come ancoroggi, della diocesi puteolana.
Intorno all’anno Mille, dopo un periodo di crisi dovuto a un impaludamento, della zona piana i nuclei abitativi, con la tipologia della masseria agricola, si raccolsero nella parte settentrionale, dando luogo ad una discreta ripresa agricola, tanto che Soccavo meritò di essere annoverato tra i casali di Napoli’.
Durante l’epoca aragonese si visse il periodo di maggior splendore con l’apice dell’attività di estrazione del piperno, grazie alla quale fu ampliata la cinta muraria di Napoli.
CURIOSITA’: Si racconta che nel Medioevo il villaggio ospitò una guarnigione franca, da cui derivò l’affascinante torre dei Franchi che con la sua base tronco-piramidale svettava a guardia delle cave. In realtà, la torre appartenne alla famiglia dei maestri pipernieri Di Franco, che un po’ ambiguamente le donarono quel nome.
La Torre dei franchi deve quindi il suo nome ai Di Franco una famiglia quattrocentesca che possedeva la più grande cava di Piperno, a Soccavo, nel XV secolo. Situata alle pendici dei Camaldoli fa parte di un complesso di case a cui si accede da una porta ad arco.
Torre di pianta quadrata con scale esterne che danno accesso a due livelli nella base strombata e due nella parte superiore ha aperture a bocca di lupo tipiche di una residenza fortificata.
La motivazione per cui fu costruita lo si deve molto probabilmente al fatto che in quel periodo Soccavo era noto per le cave di tufo e di piperno gestite sia da capimastri napoletani che da esponenti delle famiglie De Siano e Di Franco, per cui la torre potrebbe essere stata costruita proprio per controllare le vie di accesso alle cave.
La Famiglia Di Franco, in particolare, per tutto il ‘500, acquistò terre a Soccavo, ed eresse anche una cappella dedicata a San Nicola di Bari, simbolo della sua ascesa sociale.
Non ci è dato sapere in che periodo i Di Franco cedessero la proprietà della torre, è certo che però nel 1731 nella cappella di San Nicola non si celebrava più messa e nel 1896 gli eredi rinunciarono al diritto di patronato della cappella di San Nicola.
La Torre, usata come abitazione fino al terremoto del 11 novembre 1980, dienne poi purtroppo inagibile, anche per le innumerevoli modifiche apportate dai proprietari per l’uso diverso dalle abitazioni. Modifiche ai prospetti e alle strutture dei solai nonché agli ingressi dei vari piani che hanno inevitabilmente compromesso la staticità della torre.
Oggi ui prospetti ovest ed est si vedono chiaramente gli scempi che hanno mortificato la bellezza e l’integrità di una struttura solidissima, che ha resistito al tempo ma non alla azione vandalica degli occupanti. Dopo il parziale crollo del prospetto sud, la torre purtroppo oggi abbandonata a se stessa dalle istituzioni locali, è a forte rischio di crollo totale con grave pericolo per l’incolumità di chi abita i fabbricati limitrofi oltre che per la perdita di una evidenza storica del nostro territorio.
Oltre che dall’antica via Antiniana, Soccavo era raggiunto dalla via Miano-Agnano (o via “dei Canapi”, voluta nel 1845-51 dai Borbone per evitare che i miasmi della canapa, macerata nel lago di Agnano – oggi scomparso – e trasportata da carretti, avvelenassero la città), che seguiva le vie (vecchia) Agnano,Terracina, Giustiniano (fino a qualche anno fa via Miano-Agnano), Pigna, Jannelli (o forse Camaldolilli) e Cangiani.
Vi era inoltre un antico percorso, l’attuale e impraticabile via Vicinale Verdolino, che serviva da raccordo con i centri abitati dei Camaldoli e con Marano, attraverso i Camaldolilli.
Nel 1538, seguì per la zona un altro periodo difficile a causa di una spaventosa eruzione dei
Campi Flegrei che portò alla creazione del Monte Nuovo, distruggendo il villaggio di Tripergola. I superstiti si trasferirono proprio a Soccavo, che un secolo dopo, nel 1656, non fu esentato dalla peste
Nel 1842-43 fu edificato il cimitero pubblico, nel 1806 nacque il comune autonomo e nel 1886 fu completato il palazzo municipale con lo stemma civico , in cui spicca la collina dei Camaldoli con la sottostante cava di piperno e la strada di collegamento al nucleo abitativo.
Nell’800 e nel primo ‘900 furono costruiti vari palazzi, alcuni di vago aspetto neorinascimentale, sulleconsecutive vie Risorgimento e IV Novembre (già via Napoli ).
Nel 1926 Soccavo, come vari altri comuni periferici, venne inglobato nel comune di Napoli perdendo la propría autonomia amministrativa. La zona rimase tuttavia a lungo isolata e solo dopo la costruzione della Circumflegrea (iniziata a Montesanto nel ’48, la Flegrea arrivò a Soccavo nel 62, a Marina di Licola nel ’68 e a Torregaveta nell”84) si ebbe una comunicazione diretta con il resto della città: ancor’oggi su molte indicazioni si legge “Soccavo, Napoli” quasi come se si trattasse di un’entità territoriale a parte.
Soccavo quindi da quel momento da semplice zona campestre ed estrattiva , entrò a far parte del tessuto metropolitano,fondendosi con i quartieri limitrofi. La nascita della Loggetta e del Complesso Soccavo-Canzanella (tra via Piave e via Giustiniano), prima, e poi del Rione Traiano, tra gli anni ’50 e ’60, ha reso il quartiere estremamente popoloso.
CURIOSITA’: Il Rione Traiano, cosi denominato dal cippomilitare in cui è nominato l’imperatore romano e costruito in gran parte su terreni a destinazione agricola, fu il primo grande quartiere satellite di Napoli ad essere edificato: in questo mare di cemento vennero trasferiti abitanti soprattutto dai QuartieriSpagnoli e dal centro antico, i quali tuttavia divennero presto preda di fenomeni di emarginazione ed estraniazione sociale.
Oggi la moderna via dell’Epomeo, animato polo commerciale, divide il quartiere in una parte più antica, estesa verso i piedi del versante sud dei Camaldoli (459 m) che la dominano , ed in una parte più moderna,che comprende il Rione Traiano e parte della Loggetta verso Fuorigrotta, . A sua volta, la parte antica , che si era per lungo tempo in ampia parte conservata, è stata poi tagliata longitudinalmente in due dall’asse perimetrale (bretella) Pianura-Soccavo-Vomero, che raccorda tali quartieri alla Tangenziale e che è costruita in gran parte su viadotti e gallerie. La costruzione di queste ed altre nuove strade hanno inevitabilmente portato alla costruzione di nuovi edifici, talora in sostituzione di case a corte abbattute dopo il terremoto del 1980, cne ha comunque modificato l’aspetto della antica zona.
CURIOSITA’: Nella zona di Soccavo e presisamente in quella strada che troviamo dopo aver superato il vicolo paradiso,nacque nel 1811, uno dei più apprezzati archeologi e latinisti napoletani, docente di letteratura e autore di particolari testi su san Gennaro, nonché maestro del Galante. Il suo nome è Giovanni Scherillo., un canonico a cui oggi è dedicata questa strada: al posto della sua casa natale oggi sorge un edificio dell’ASL.
A Soccavo esiste , rinchiusa in una gabbia di vetro e di ferro, un’alta croce di piperno, dalle fattezze medievali, sebbene sia stata scolpita nel 1613.
Essa stilizzata come un crocifisso è composta da un unico blocco di pietra grigia , e a ben guardarla da vicino ci ricorda molto quelli che nella Francia settentrionale erano posti ( come nel caso di Soccavo), agli incroci delle strade, lì dove era più facile perdersi e incontrare diavoli e streghe. Nella loro pietra di granito erano scolpite crocifissioni accompagnate dalla Madonna e da uno stuolo di santi. Oltre a essere oggetti di culto, i calvari erano utili per la navigazione terrestre, marcando al contempo il paesaggio da parte della comunità cristiana, un po come i monumenti megalitici erano il segno di una determinata cerchia religiosa nella preistoria.
Probabilmente la croce di Soccavo aveva una funzione del genere, anche se non era situata dove la vediamo ora.
Sui suoi bracci, accanto al Cristo, notiamo i due volti di Pietro e Paolo, i fedeli apostoli che connotano questa zona. In alto, si trova invece la raffigurazione dello Spirito Santo, mentre in basso, ci sono i segni del martirio: sono scolpiti un teschio, i chiodi, la corona di spine e una veste.
Ma soprattutto nel centro c’è inciso sulla pietra un misterioso vaso; una sorta di lucerna che emette raggi solari, un radiante contenitore rassomigliante alle anforette in cui era conservata la suffregna acqua delle mummare.
Secono alcuni profondi sostenitori della presenza a Napoli dei Templari , questo vaso inciso potrebbe essere ricondotto addirittura al famoso calice di Cristo, quel mitico Graal utilizzato da Giuseppe d’Arimatea per conservare il sangue del Redentore ed esso sia solo la rappresentazioni di qualcosa di segreto che qualcuno voleva tramandare nel tempo.
Loro ipotizzano che questo vaso non sia altro che la rappresentazione dell’oggetto dai magici poteri, venerato – e custodito a Napoli – dai cavalieri templari,
Fantasie o verità ?
Quella piccola l’anforeta che raccoglie il sangue di Gesù, posta proprio sotto e al centro di una scena di crocifissione, si troava in quel posto casualmenteo vuuole significare qualcosa ?
Di certo noi sappiamo solo che la croce fu scolpita da maestri pipernieri, una corporazione attiva dal xIv al XVII secolo e che la sapeva lunga di magie, alchimie e misteri nutrendo un forte interesse per le pratiche esoteriche.
Conosciamo intfatti la storia delle le bugne del Gesù Nuovo e le loro strane incisioni , che per alcuni sono solo “firme” dei maestri, ma per altri simboli esoterici volti a convogliare forze positive dall’esterno della piazza verso l’interno , una cosa che quasi sempre la corporazionedei pipernai faceva , Essa caricava la pietra di energia utilizzando simboli criptici e graffiti sconosciuti.
N.B. Secondo altri questa croce invece non sarebbe altro che il lapis exillis, cioè una pietra caduta dalla corona di Lucifero durante lo scontro con gli angeli.
C’è insomma un misterioso collegamento tra la reliquia e la ricca corporazione medievale dei maestri pipernieri, che potrebbe addirittura coinvolgere un antico casale, posto a poca distanza, dove forse si nasconde un misterioso segreto riconducibile all’ordine templari,
Stiamo esagerando ? Tutte suggestioni ?
Sta di fatto che in questa zona spesso e volentieri, oltre ai fiori, gli abitanti della zona celano proprio quel simbolo apponendovi davanti immaginette sacre varie. Forse lo fanno per un motivo preciso: essi stessi raccontano che di notte attorno alla croce si odono pianti e grida sinistre, accompagnati dal luccicare di strani bagliori. Trovandoci in una zona fortemente esoterica, posta al centro di un crocicchio, probabilmente non si tratta solo di dicerie.
A parte queste, le domande non sono finite. Su tutte ce n’è una: perché l’intagliatore barocco, quel lunius F. autore dell’opera, avrebbe dato a quel blocco d’incorruttibile pietra vulcanica le sembianze di un’opera medievale? In un’epoca caratterizzata da eccessive decorazioni e ostentazioni, perché la semplicità di quattro secoli prima? Che cosa voleva comunicare con questo?
Soccavo nasconde la famosa coppa dove bevendo da essa si può ottenere la vita eterna o meglio anora quel sapere nascosto, a cui tutti aspiriamo ?
Forse è questa la vera traccia che possiamo seguire, anche qui a Soccavo.