Conoscete la storia della Chiesa di San Lorenzo Maggiore dove  una “bellissima figliuola”,  fece perdere la testa addirittura ad uno dei padri della lingua italiana? 

P er conoscere questa storia bisogna innanzitutto fare un tuffo nel passato e riportarci con la mente ed il pensiero ad un sabato santo di tanti anni fa, ,ed ad un fatto avvenuto  tra il 1331 ed il 1336 in  una delle chiese medievali più importanti di Napoli , fatta erigere da Carlo d ‘ Angiò per assegnarla ai frati francescani.

I due protagonisti sono  lo scrittore Giovanni Boccaccio, autore tra le altre opere del famoso Decamerone e Maria d’Aquino,figlia naturale di re Roberto d ‘ Angiò , immortalata come Fiammetta , alla quale lo scrittore dedicò molte delle sue opere.

Non ci dilungheremo a scrivere del grande Boccaccio, quello che ci interessa dire è che il poeta si trasferì da Firenze a Napoli nel 1327  quando aveva 14 anni e vi rimase per ben 14 anni .

Egli giunse in città spinto dal padre all’apprendistato in materia bancaria ma ben presto frequentando la corte di Roberto d’Angiò, il giovane Boccaccio entrato  in contatto con l’elite culturale napoletana,  formata da scienziati, teologi, giuristi e poeti, capì che la sua vera vocazione erano le lettere .Queste amicizie mandarono su tutte le furie il padre, il quale voleva iniziarlo alla vita del mercante, ma il figlio deciso a non smettere , comunicò la decisione al padre di voler  dedicarsi alla letteratura e quindi continuare a frequentare la corte angioina.

CURIOSITA’: Boccaccio venne a Napoli , perché suo padre Boccaccino di Chellino che era un ricco  mercante molto importante si era trasferito presso la corte degli angioini come rappresentante della compagnia dei Bardi, potenti banchieri fiorentini. Egl porta con se il figlio perche sperava così che Boccaccio , attraverso la pratica, si appassionasse al mondo della finanza, degli affari e dei commerci e si avviasse al suo stesso lavoro.  L’interesse per la letteratura avrà però definitivamente il sopravvento . A tal proposito , Boccaccio scriverà anni dopo (nel De geneaologia deorum gentilium): «Mio padre fece ogni tentativo, sin dalla mia fanciullezza, perché diventassi mercante. Mi affidò come discepolo a un grande mercante, presso il quale per sei anni nul-l’altro feci che consumare invano tempo non recuperabile». Perché – topos ricorrente nelle biografie di tanti scrittori – la vera vocazione si profila presto essere quella della letteratura.

Comunicata la sua decisione al padre di rimanere a  Napoli . egli quindi si avvicinò alla letteratura e al mondo del romanticismo proprio ,nella nostra città che gli diede la giusta ispirazione per innamorarsi.

Innamorarsi della vita, della bella vita, della lingua, della città, ma soprattutto di una donna: Maria d’Aquino , figlia illegittima  di re Roberto d’Angiò divenuta poi la famosa  ” fiammetta ” letteraria.

Boccaccio la  incontrò per la prima volta il 30 marzo del 1336 , durante la messa del sabato santo che si teneva nel centro storico della città  nella chiesa di San Lorenzo Maggiore .

N.B.Le fonti sono discordi su quella data della messa del sabato , Essa a seconda dei vari autori è stata ipotizzata in una data che va da del 1331 al  1336,

Ora immaginate la scena : Appena entrati in quella  chiesa dal fascino gotico il Boccaccio dovette restare già di per se rapito  dall’enorme bellezza i quell’edificio  dal sapore provenzale . Intorno a lui  un silenzio mistico faceva  da contrasto con il vociare della vicina piazza San Gaetano .  L’eleganza e luminosità di quell’interno della chiesa che tanto ricordava  le cattedrali gotiche francesi mostrava chiare vetrate di sette bifore affiancate dalle quali  la luce che arrivavasi poggiva delicata su una giovane bella, bionda, aristocratica donna dagli occhi azzurri cielo.

Il giovane Boccaccio ammaliato da tanta bellezza non riusciva a distoglire lo sguardo da quella donna dando inizio con lei ad un gioco di furtivi sguardi,  Da questo primo incontro ne seguirono altri e altri ancora . Fin quando Boccaccio non si innamorò definitivamente,

Solo in un secondo momento egli venne a sapere che quella donna era nientepopodimeno chè la figlia illegittima del re Roberto d’Angiò e della sua amante provenzale Sibila Sabran, moglie del conte Tommaso  d’Aquino.

N.B. Si dice che i due amanti consumarono il loro rapporto proprio nel giorno della festa dell’incoronazione di re Roberto, nel 1310.

Maria d’Aquino, “colei che sola sarebbe stata donna della sua mente” ,era insomma una donna molto conosciuta in città ed era una donna purtroppo già sposata che  faceva parte dell’aristocrazia napoletana.

Nonostante ella fosse già sposata , egli comunque cominciò a frequentarla assiduamente  sfogando tutta la sua passione in un assiduo corteggiamento , fingendo addirittura una falsa amicizia col marito .Sospirava per lei in ogni posto : a corte, nei banchetti sulle spiagge , durante i tornei, nel corso delle danze o cullati sulle barche che conducevano ai lidi della deliziosa Baia. Sperava di conquistarla con la poesia e sotto i colpi dei versi  e dopo aver ricevuto almeno un iniziale allegro due di picche dalla sua amata, pian piano vi riuscì.

Infatti a partire dall’ottobre successivo a quel primo incontro primaverile, Fiammetta pare cominciasse a ricambiare il sentimento dello scrittore, così colmandolo di gioia.

l loro amore durò però una sola stagione , poichè il poeta fu costretto a tornare in Toscana per poi tornare a Napoli diverso tempo dopo quando però i sentimenti della bella donna erano oramai cambiati Dopo tre anni, Boccaccio dovette assagiare un ’amara delusione: Fiammetta srivelatasi una  persona volubile aveva  abbandonato  Boccaccio per un nuovo amore.

Allo scrittore toscano da quel momento non restò altro che ricordare ” FIAMMETTA nei suoi versi e sopratuttoin quell’opera fortemete introspettiva chiamata” l’elegia di  Madonna Fiammetta “che mette in primo piano l’animo ferito che deriva dal tradimento  dove però le parti vengono scambiate (è lei a essere tradita, mentre lui diventa freddo e distaccato), e questa inversione dei ruoli rappresenta per Boccaccio l’unico risarcimento possibile, per via letteraria, alla sua delusione.

 

N.B. Inizialmente lui non si arrende: continuava  a scrivere, aspettandola, nella speranza che essa si decidesse  a tornare da lui. Poi l’improvviso ritorno a Firenza nel 1340(  in seguito alla crisi della compagnia dei Bardi) , rese concreta e irrimediabile la frattura della loro relazione. .

Si interrompe così per lo scrittore, all’età di 27 anni, il periodo allegro e spensierato nella città partenopea. Lì continuerà a sperare, negli anni successivi, di poter tornare stabilmente, magari in virtù di un eventuale incarico presso la corte degli Angiò. Ma tale speranza andrà frustrata. E la Firenze borghese, dopo la Napoli cortese, diventerà la sua stabile dimora, fondale di molte delle pagine più riuscite di quello che sarà il suo capolavoro, il Decameron (Fiammetta  in quest’opera è uno dei dieci personaggi che si allontanano dalla città di Firenze per sfuggire alla peste nera ).

CURIOSITA ‘. Quelli napoletani furono per Boccaccio  anni di intense letture: i classici latini e greci (questi ultimi in traduzione perché, come Dante, Boccaccio non imparò mai il greco), all’epoca base culturale imprescindibile; la produzione cortese-cavalleresca, ampiamente diffusa e coltivata nella raffinata corte angioina; ma anche l’opera dantesca, scritta in quel volgare che andava allora affermandosi nella poesia. Egli nella nostra città strinse amicizie con personalità importanti  (scienziati, giuristi e teologi), ma condivide anche la vita spensierata ed elegante dei giovani aristocratici suoi coetanei, che, non badando alle differenze sociali, lo considerano uno di loro. Il soggiorno napoletano è dunque importante, perché consente allo scrittore un’osservazione attenta della varia umanità presente nella città campana, un’umanità che, sempre nel Decameron, Boccaccio saprà rappresentare nelle sue diverse componenti sociali: nobiltà, borghesia, popolo

N.B. Come nota allegata soffermandoci un pò sulla figura di Maria dAquino immortalata da Boccaccio come Fiammetta (per non farla riconoscere ),non possiamo certo trascurare la figura di quel suo padre di famiglia Tommaso II, conte di Belcastro.

Egli succeduto al padre Tommaso I nel 1304, divenne uno dei più validi collaboratori di Roberto d’Angiò con il quale, ancora giovane, aveva combattuto nella guerra del Vespro in Calabria, sotto il comando dello zio Adenolfo nel 1314.

Nel 1310 aveva fatto parte del corteo che andò ad incontrare Roberto d’Angiò, divenuto re e proveniente dalla Provenza; nel 1318 fu nominato vicario generale del principato d’Acaia[ e due anni dopo divenne familiare e ciambellano del re: quest’ultima carica gli consentiva di abitare nella regia con tutta la famiglia.

Nello stesso anno, il d’Aquino successe allo zio Adenolfo nel comando della compagnia di balestrieriche operava nel Marchesato durante la guerra del Vespro, manifestando spiccate doti di comandante fino al 1322; per il suo valore fu nominato, nel 1331, consigliere personale del re che gli confermò ufficialmente la contea di Belcastro.

Nel 1326 accompagnò Carlo, figlio del re, a Firenze e l’anno dopo seguì Giovanni, principe d’Acaia e fratello del re, a Roma, combattendo contro le truppe di Ludovico il Bavero.

Il 2 dicembre dello stesso anno fu inviato nel Principato citra e ultra con il compito di estirpare il banditismo con successo. Nel 1332 fu nominato giustiziere del Principato citra con pieni poteri, reprimendo aspramente il brigantaggio che aveva nuovamente preso piede.

Tommaso II ebbe due mogli, ambedue nate da famiglie oriunde francesi.

La prima fu Caterina, figlia di Lodovico del Mons (italianizzato in de Montibus), che fu uno dei più importanti ufficiali del Regno sotto Carlo I e Carlo II d’Angiò.

La seconda moglie di Tommaso II d’Aquino fu Ilaria, figlia di Americo de Sus, regio consigliere di Carlo I d’Angiò e signore di Trivento, Boiano e Montefusco.

Tommaso Il d’Aquino ebbe due maschi e due femmine: Adenolfo, premorto al padre e Cristoforo conte di Ascoli; Flora, monacatasi nel convento di santa Chiara di Napoli e Giovanna, andata in sposa a Ruggero Sanseverino conte di Mileto,appartente ad una delle più antiche, nobili e potenti famiglie del Regno.

CURIOSITA’: Da questo matrimonio nacquero: il primogenito Enrico che ereditò per via femminile, cioè dalla madre Giovanna-Fiammetta, la contea di Belcastro alla morte del cugino Tommasello III (1376); Ilaria andata in sposa, nel 1345, a Filippo di Sangineto, conte di Altomonte; Giovanni, morto prematuramente prima del 16 gennaio 1349, ed infine, Margherita sposatasi con Ludovico de Sabran, conte di Ariano.

N.B. Giovanna-Fiammetta, alla morte del fratello Cristoforo, subentrò nel tutorato del nipote Tomasello III il 5 dicembre 1342.

Quest’ultima  Giovanna e’ quella che  tutti  gli scarni riferimenti storici  conducono a FIAMMETTA . 

Il primo particolare riferito da Fiammetta è il vincolo di parentela molto stretto con la famiglia di san Tommaso: il bisnonno paterno (Adenolfo) e la bisnonna materna (Adelasia) di Giovanna, figlia di Tommaso II, furono fratello e sorella del Santo, del quale un’altra sorella (Teodora) era stata bisnonna di Ruggero Sanseverino.

Un altro particolare è rappresentato dal fatto che la madre di Fiammetta proveniva dalla “togata Gallia”: Caterina de Mons fu figlia  – come si è detto –  di uno dei più influenti cavalieri francesi venuti al seguito di Carlo I d’Angiò.

Tommaso II d’Aquino mori Il 16 maggio 1339 , mentre pare che la cosidetta Fiammetta , sia morta nel 1335, decapitata perchè condannata a morte per ordine del successore della regina Giovanna  re Carlo III.

Il motivo fu la sua complicità nell’assassinio del re Andrea, duca di Calabria nel castello angioino di Aversa avvenuto il 18 settembre del 1345. Egli era  il successore di Roberto D’Angiò, e marito della regina Giovanna I ( anche lei più volte accusata di essere la mandataria dell’omicidio )

In realta non si scoprì mai chi ci fosse davvero dietro questo assassinio terribile, perché la chiesa spinse per terminare le indagini in breve tempo e quindi furono decapitati gli aristocratici con cui la regina non aveva un buon rapporto. Per questo ci andò di mezzo anche Maria d’Aquino (ops, Fiammetta), invisa dalla regina Giovanna, forse per la sua bellezza, forse per la sua spregiudicatezza. Ma di  certo non perché Boccaccio ne fosse stato innamorato.

La celebre Fiammetta di Boccaccio mori quindi , ancora molto giovane, avendo da poco superata la trentina,.

Fu sepolta nella cappella di s. Tommaso nella chiesa di s. Domenico Maggiore di Napoli con i seguente epitaffio: “HIC IACET CORPUS GENEROSE ET DEO DEVOTE DOMINE DOMINE IOHANNE DE AQUINO COMITISSE MILETI ET TERRENOVE QUE OBIIT ANNO DOMINI MCCCXLV DIE APRILIS XIII INDICTIONIS CUIUS ANIMA REQUIESCAT IN PACE. AMEN”

 

 

 

 

 

 

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