Ferdinando IV  di  Borbone , soprannominato dai lazzari  con cui egli amava da piccolo mischiarsi da piccolo come   “Re Lazzarone“, secondo molti storici governò nel suo periodo secondo una   precisa regola  : quella delle “tre F” (feste, farina e forca).

Egli è stato il primo re di Napoli veramente ” tutto napoletano .

Nacque infatti a Napoli  nel 1751,  da  Carlo Borbone e  Maria Amalia di Sassonia, visse prevalentemente aanapoli quasti tutta la sua vita ( tranne dieci anni di governo francesce in cui fu costretto a rifugiarsi in esilio a Palermo) ed infine morì nella stessa città nel 1825 dopo uno dei regni più longevi della storia, durato ben  66 anni.

Fu il terzo maschio nato in famiglia e quindi non aveva almeno inizialmente nessun dovere politico. Avendo infatti lui  due precedenti fratelli maschi,  nessuna immaginava mai all’epoca per lui un domani come re e non venne cresciuto quindi secondo i canoni che avrebbero dovuto formare un futuro regnante.
Non ebbe al suo servizio nobili dame, ma fu invece affidato a una popolana, una certa Agnese Rivelli, madre del piccolo Gennaro, un ragazzo con cui Ferdinando da piccolo  trascorse tutta la sua fanciullezza assimilando dal suo coetaneo non solo la partenopea allegrezza ma anche il dialetto napoletano e il modo popolano di vestirsi.
Da piccolo amava vivere per strada, libero da impegni di educazione a corte, nei vari quartieri della città, vestito come un popolano e circondato da compagni di gioco suoi  coetanei con i quali crebbe parlando il dialetto napoletano. Si sentiva uno del popolo ed il suo amore per le strade, gli usi ed i costumi della gente comune gli rimase dentro anche quando da adulto divenne sovrano al punto che  spesso, appena poteva, continuava a fare vita libera nei vari quartieri dove amava mischiarsi con la gente comune con cui  parlava benissimo il dialetto napoletano.

Egli amava molto Napoli e sopratutto ebbe modo di conoscere molto bene i napoletani e per tale motivo una volta divenuto improvvisamente re , capì subito che quel popolo che lui tanto amava aveva bisogno per essere comandato e gestito precise .

Fu dal popolo anche soprannominato “Re Nasone” per le evidenti grosse proporzioni del suo naso e per volere reale era inizialmente destinato alla carriera ecclesiastica , ma improvvisamente alla sola età di nove anni, inaspettatamente per lui però le cose cambiarono.
Era l’anno 1759, e in seguito alla morte del fratellastro Ferdinando VI, il padre Carlo fu chiamato alla sovranità del Regno di Spagna.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nell’andar via lasciò il trono di Napoli al suo terzo figlio Ferdinando.
La designazione di Ferdinando fu dovuta al fatto che il primogenito, Filippo, affetto da infermità mentale era inabile al trono in quanto soffriva di gravi convulsioni epilettiche.
Il secondogenito Carlo (con il titolo di erede di Spagna ), dovette invece seguire il padre per succedergli sul trono di Spagna.
Il diritto di ereditare quindi il Regno delle due Sicilie passò al terzo maschio Ferdinando.

Accadde quindi che Il 6 ottobre Carlo di Borbone, dopo aver sottoscritto l’atto di abdicazione in favore del figlio, s’imbarcò per raggiungere il nuovo regno, dove l 11 settembre 1759 fu incoronato a Madrid re di Spagna con il nome di Carlo III.
Prima di partire per la Spagna, Carlo nominò Ferdinando suo erede al trono di Napoli e di Sicilia  (Ferdinando IV come re di Napoli e III come re di Sicilia).
Successivamente con l’unione del Regno di Napoli ed il Regno della Sicilia, che si ebbe dopo il trattato di Vienna, divenne poi Ferdinando  I di Borbone, re delle due Sicilie.
Il piccolo Ferdinando aveva solo 9 anni e venne lasciato da solo a Napoli senza genitori con il grosso fardello di essere un sovrano di un’esteso territorio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ferdinando ancora minorenne (non aveva ancora 9 anni) fu posto sotto la tutela di un consiglio di reggenza presieduto presieduto dal toscano Bernardo Tanucci che si trasformò in Consiglio di Stato quando il re divenne poi maggiorenne.
La sua educazione fu affidata al  principe di San Nicandro, definito dai contemporanei un uomo gretto, incapace e perfino vizioso.
Da uomo ignorante, bigotto ed ipocrita  si rilevò con il tempo anche un precettore mediocre capace di curare solo le apparenze  disinteressandosi totalmente di impartire a Ferdinando una cultura consona al suo rango.
Egli  si preoccupò di farne soprattutto un uomo robusto e fisicamente forte, ma non curò in egual misura la sua educazione intellettuale, culturale e spirituale (anche se il ragazzo possedeva una notevole intelligenza e vivacità)  riuscendo a fare del suo discepolo un uomo incolto e grossolano dai tratti rustici e volgari.
L’unico pensiero del  principe di San Nicandro era quello di informare il re di Spagna di quanta selvaggina avesse ucciso il figlio.
A corte Ferdinando si esprimeva solo in Napoletano e alla compagnia dei cortigiani preferiva certamente quella con la gente semplice, che considerava certamente  più sincera e leale.
Più che la mondanità di corte, lui amava stare all’aria aperta dove poteva cavalcare ( il suo divertimento preferito). Adorava la caccia, e  la pesca (come il padre) e andava a letto sempre con la spada perché aveva paura del buio e non voleva mai restar solo.
Ebbe certamente atteggiamenti poco consoni rispetto a quello che era considerato  il modello di monarca  dell’ epoca ma per certi versi era molto più vicino alla sua gente di tanti sovrani  europei ed il suo buon carattere gli valse quantomeno il ritratto di un uomo che amava la sua città ed il suo popolo, tanto da scegliere fin dalla giovane età di stare in mezzo alla gente e di voler parlare la Lingua Napoletana preferendo alla compagnia dei vari nobili e aristocratici di corte il contatto diretto con la gente semplice, come i pescatori del quartiere di Santa Lucia.
Ferdinando non era stupido ma solo totalmente refrattario a qualsiasi serio impegno a cominciare da quello dello studio. Non riuscì mai ad andare oltre le quattro operazioni aritmetiche e tantomeno  ad imparare una lingua ( neanche quella italiana).
Egli  credeva ciecamente in San Gennaro ma non conosceva i dieci comandamenti.
Parlava solo napoletano, frequentava gli scugnizzi di strada e passava intere giornate con loro a cacciare, pescare e a rivendere pesce e selvaggina al mercato.
Furono queste  abitudini che gli valsero l’affettuoso nome  di “Re Lazzarone“.

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche quando raggiunta la maggiore età di  16 anni poi salì al trono non cambiò le sue abitudini rifiutandosi di occuparsi degli affari di stato; egli  mal sopportava le  riunioni del Governo alle quali partecipava con poca voglia e anzi per risparmiarsi anche la fatica di sottoscrivere i documenti fece preparare un sigillo col suo nome che affidò al Tanucci che così poteva provvedere in caso di necessità al suo posto.
Non poteva fare a meno di assistere ai consigli di stato ma aveva proibito alla sua vista la presenza di qualsiasi calamaio che potesse indurlo a firmare noiosi documenti.

Curiosita’: In realtà il vero re era ancora Carlo che seguitava a governare attraverso  il fidatissimo Tanucci che lo teneva al corrente di tutto e possiamo senz’altro affermare che durante tutto il tempo in cui il Tanucci, tenne la reggenza del governo, egli esercitò effettivamente il potere sempre in nome di Ferdinando, curando sopratutto gli interessi del governo spagnolo.

Ma torniamo alla sua regola di governo per il popolo napoletano: FESTE, FARINA E FORCA.

Dobbiamo innanzitutto ricordare a tutti che questa celebre espressione ancora oggi spesso utilizzata   per descrivere il governo borbonico di Napoli: “Festa, farina e forca”. la dobbiamo ad Alexandre Dumas, un romanziere ostinatamente antiborbonico, che in un suo trattato ( “I Borboni di Napoli”)  scrisseattribui qusta frase a Ferdianando: …. è con la forca, la farina e le feste che io  governo Napoli”.

Certo governare un intero popolo come quello napoletano non è mai stata cosa facile specialmente in tempi in cui c’era un divario forte fra chi comandava, ad esempio un re, e chi obbediva. Una difficoltà resa sopratutto molto più evidente  quando Ferdinando insieme alla moglie Carolna fu costretto a rifugiarsi in Sicilia e lasciare il suo scettro inizialmente al fratello di Bonaparte( Giuseppe ) e successivamente al cognato Gioacchino Murat.

N.B. Nel 1808 Napoleone, dopo la famosa  Rivoluzione Francese, conclusesi con teste mozzate e spargimenti di sangue blu , egli aveva sottratto il trono ai Borbone e nominato re di Napoli il fratello Giuseppe Bonaparte .  Dopo il passaggio dello stesso a re di Spagna, nominò nuovo re di Napoli, Gioacchino Murat, generale e cognato di Napoleone Bonaparte avendo lo stesso sposato sua sorella minore Carolina Bonaparte.

Ferdinando, nonostante  i suoi modi da popolano ed il suo disinteresse nella politica, egli conosceva bene i napoletanti ….  li conosceva tamente  bene e gli divennero ancor più chiar isopratutto  con la Repubblica Napoletana del 1799 da loro fondata.

E secondo  il romanziere e giornalista francese Alexandre Dumas, egli pare  avesse adottato per governare il popolo  napoletano  una regola ben  precisa c conosciuta come le “tre F di Ferdinando”: feste, farina e forca.

Il popolo , secondo Ferdinando per prima cosa andava distratto con continui festeggiamenti come feste , balli,   funzioni religiose e  spettacoli gratuiti come l’albero della cuccagna in grado di allontanare lo sguardo dai problemi reali, creare aggregazione e, soprattutto, far provare gratitudine per i governanti.

N.B. Una realtà che si potrebbe riscontrare anche nella nostra epoca considerando come, alla luce di un importante evento sportivo o televisivo, problemi politici o economici passino in secondo piano nei discorsi comuni.

Un popolo che non si ribellava  era  anche un popolo secondo Ferdinando che  riesce comunque  a mettere il pane sulla tavola tutti i giorni: nonostante i bei discorsi, le lotte di classe, le ideologie e la voglia di libertà le rivoluzioni scoppiavano  sempre e solo quando la gente era  disperata ed arrabbiata con i potenti. Se i napoletani continuavano a mangiare maccheroni, Ferdinando poteva esser convinto che nessuno avrebbe rischiato vita e benessere per un incerto ideale.

N.B.  Forse, il motivo per cui nel mondo “civilizzato” le rivolte si limitano a cortei ed eventi su Facebook è proprio che, nonostante la crisi, la nostra è un’epoca di benessere dove qualche moneta per il pane si trova sempre.

La forca rappresentava invece  la paura che, sempre e comunque, i sudditi devono provare nei confronti dell’autorità: divertenti le feste, bello mangiare, ma un monarca deve far rispettare i suoi ordini e le leggi. Per questo le esecuzioni venivano svolte in pubblica piazza, in presenza di tutta la cittadinanza: tutti dovevano assistere, tutti dovevano comprendere cosa succedeva a chi andasse contro l’ordine costituito. Da un certo punto di vista, però, la forca assumeva un compito simile alla festa divenendo un altro momento di aggregazione, un modo per far sentire tutti i cittadini onesti parte di una comunità stabile e sicura.

N.B. Non a caso, ancora oggi, i programmi più visti in TV sono quelli in cui si parla di processi e delitti particolarmente sentiti.

Insomma, l’illuminato Ferdinando aveva solo scoperto ed ammesso una verità assoluta. Non dimentichiamo, tuttavia, che le pubbliche esecuzioni sono state il deterrente ai crimini più in voga in tutta Europa, dunque quella napoletana non era un’eccezione, visto che nelle altre nazioni si faceva esattamente la stessa cosa “in ossequio” a un’usanza radicata da millenni.

I romani, ad esempio, già conoscevano simili mezzi di controllo: non a caso i giochi gladiatori venivano offerti da possidenti e magistrati della città per essere gratuiti anche per la plebe. A Giulio Cesare si attribuisce un detto molto simile a quello del nostro monarca borbonico: “panem et circenses” (pane e spettacoli). 

Guardando avanti, invece che al passato, ancora oggi possiamo  notare come il nostro mondo segua regole troppo simili. reality come il ” Grande fratello “, l’isola dei famosi, Temptation Island, o “Uomini e donne” inviate in onda in prima fascia sono un solo un uguale sistema ordito dai politici  per distrarre il popolo dai problemi  reali del paese. 

A tal proposito , forse molti  non sanno che nel  1874 , dopo l’unificazione dell’Italia sul giornale napoleatno “Il Trovatore “venne pubblicato su di un foglio oggi rarissimo da trovare e  sconosciuto a quasi tutti gli studiosi e appassionati di storia napoletana.

Tale  giornale che all’epoca lottava con caparbieta e  tenace  opposizione  al regime liberale, esprimendosi talvolta con furba  satira contro le ingiustizie della “nuova Italia”, volle contrapporre le tre P alle tre F.

Le tre P,  per i nostri anonimi amici , dovevano rappresentare in questo caso il frutto del cambianto : parlate, piangete e pagate. .
Come potete notare …. correva all’epoca l’anno 1874 ed oggi le tre P sono sempre più attuali.

 

 

 

 

 

 

  • 65
  • 0