Ancora oggi, nella nostra città, fra qualche robivecchi o negozi per turisti, compaiono dei quadretti con un finto decreto della marina borbonica. Esso per anni è stato spacciato come “ritrovamento” di un antico regolamento borbonico del 1841 ,e addirittura da molti più creduloni è stato preso come una cosa vera.
Il famoso decreto, ovviamente falso, incominciò a circolare in tutta Europa nel 1841, e come potete immaginare, aveva come unico scopo quello di screditare le forze armate della marina militare del Regno delle due Sicilie.
Ma cosa diceva questo decreto e sopratutto chi lo aveva scritto ?
L’articolo 27 del decreto da usare in occasione di visite a bordo delle Alte Autorità del Regno, conteneva questo scritto:
All’ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa
e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora:
chilli che stann’ a dritta vann’ a sinistra
e chilli che stanno a sinistra vann’ a dritta:
tutti chilli che stanno abbascio vann’ ncoppa
e chilli che stanno ncoppa vann’ bascio
passann’ tutti p’o stesso pertuso:
chi nun tene nient’ a ffà, s’ aremeni a ‘cca e a ‘ll à”.
Come vedete esso appare scritto in lingua napoletana e giusto per ricordarvelo, tenete in debito conto che all’epoca tutti i testi di legge del Regno delle Due Sicilie venivano sempre scritti in Italiano. Basta una semplice minima ricerca storica quindi per vedere che non esistono testi di legge in napoletano,nemmeno sulle tante lapidi in giro per le strade.
N.B. Al netto delle licenze di qualche re, come Ferdinando IV che amava parlare in napoletano, la lingua parlata a Napoli era l’Italiano.
Giusto per farvi meglio capire lo riscriviamo in lingua italiana :
In occasione delle autorità del Regno delle Due Sicilie, quando si ordina “facite ammuina!”, chi sta avanti va indietro, chi è indietro va avanti, chi sta a destra va a sinistra e chi sta a sinistra va dall’altra parte. Chi è sotto va sopra e chi sta sopra va sotto, passando tutti per la stessa entrata. Chi non ha niente da fare, vada di qua e di là“.
Come potete notare si tratta dichiaramente di una cosa stupida e assolutamente esagerata, eppure c’è qualcuno che ancora oggi lo spaccia per vero o, peggio ancora, lo usa per associarlo al classico stereotipo di “folklore napoletano”, chiassoso e provinciale.
Il documento era falso innanzitutto perchè i firmatari del documento: “Brocchitto” e “Bigiarelli” non esistono e non sono nemmeno cognomi meridionali o rinvenibili in qualche cronaca dell’epoca. Inoltre, come sostiene lo storico Giuseppe Fioravanti, la Marina delle Due Sicilie era chiamata “Armata di Mare”.
Rimane da chiedersi chi lo aveva scritto e pubblicato questo finto regolamento.
La risposta è: nessuno lo sa. Cominciò a comparire sul finire dell’800, nell’ambito di una più vasta strategia mediatica antiborbonica: furono infatti diffuse presso le corti europee anche le foto della regina Maria Sofia nuda e, in generale, nel parlato comune cominciò a comparire l’aggettivo “borbonico” come simbolo di inefficienza e corruzione.
Il falso documento era quindi solo parte di quel piano creato ad hoc per “screditare” il regno Borbonico e il suo maggior punto fi forza militare , cioè la la Real Marina borbonica .
Nel 1818 il Regno delle Due Sicilie disponeva di 2.387 navi, nel 1833 il numero salì a 3.283, di cui ben 262 superiori alle 200 tonnellate e 42 che oltrepassavano le 300 tonnellate.
Nel 1834 i bastimenti arrivarono a 5.493 per salire a 6.803 nel 1838. Nel 1852 il numero di navi e bastimenti arrivò a 8.884.
Nel 1860 la flotta mercantile borbonica era la seconda d’Europa dopo quella inglese e contava 9.848 bastimenti per 259.910 tonnellate di stazza, dei quali 17 piroscafi a vapore per 3.748 tonnellate, 23 barks per 10.413 tonnellate 380 brigantini per 106.546 tonnellate, 211 brick schooners per 33.067 tonnellate, 6 navi per 2.432 tonnellate e moltissime imbarcazioni da pesca.
La flotta borbonica era quindi una delle più grandi in Europa, ed i nostri mari erano continuamente solcati da navi che trasportavano materie prime necessarie all’epoca alle tante industrie del Sud .
Queste navi molto rinomate in tutto il mondo trasportavano continuamente materie ai tanti cantieri navali che punteggiavano tutta la costa del regno borbonico, i quali come certamente ben sapete, davano lavoro a migliaia d’operai che lavoravano nelle industrie ad essi collegati.
N.B. Ovviamente le reti ferroviarie erano poco sviluppate e questo perchè l’Italia meridionale come sappiamo è attraversata da una dorsale appenninica formata di aspre montagne, e quindi da vie di comunicazione di difficile attraversamento. Era quindi naturale, sin dai tempi dell’Impero Romano, che uomini e merci viaggiassero dalle nostre parti per via mare.
N.B. All’epoca nonostante alla rassegna internazionale di Parigi del 1856 l’industria borbonica ottenne il premio per il terzo posto in europa come sviluppo industriale dopo Inghilterra e Francia, essa aveva comunque Il difetto di avere un lento sistema di trasporto delle sue materie prime di estrazione (zolfo) o di coltivazione (frumento ed agrumi), che favorito da un ampio sviluppo costiero e da un regime daziario protezionistico nei riguardi delle merci d’importazione, continuava ad avvenire, come nei secoli precedenti, per via marittima in quanto la rete ferroviaria rimase per lungo tempo circoscritta solo a quel primo tronco Napoli-Portici ,mentre nel frattempo, il Nord si era dotato di una rete di duemila chilometri. Questo ovviamente favoriva piu di ogni altra cosa il commercio e la distrbuzione delle merci.
A difesa dei Borbone va comunque sottolineato il fatto che quandi si parla delle tante ferrovie presenti al nord e poche al sud ,il confronto è incongruo perche il Piemonte se faceva cento chilometri di ferrovia si legava ai mercati del nord Europa, mentre il Regno delle due Sicilie per collegarsi ai stessi mercati avrebbe dovuto prima conquistare lo stato papalino,il granducato di Toscana, lo stato austriaco del lombardo-veneto ed infini il Piemonte ,
Per cui borbone svilupparono si, l’industria ferroviaria vendendo treni ovunque ( in sud Ameica e nello stesso Piemonte ) ma continuarono a preferire di investire per i loro traffici commerciali sopratutto nello sviluppo della flotta ed in pochissimi lustri mette su una delle più grandi flotte commerciali del mondo con cui commerciava con il nord Europa , gli Stati Uniti e persino Cina e Austrialia ,a tal punto che l’85% del commercio estero del Regno delle due Sicilie non era con gli atri paesi pre-unitari italiani ma stati nord europei e oltre oceanici .
N.B. Nonostante tutto questo fino alla seconda guerra mondiale i treni che percorrevano il sud america erano treni made nel Regno delle due Sicilie
I cantieri navali erano dunque sparsi per tutta la costa tirrenica, ionica e adriatica. Praticamente in ogni città costiera vi erano insediamenti accompagnati da scuole di formazione professionale e scuole marittime e nautiche.
Per fare un esempio della grande importanza della flotta nabale dorboni basti pensare a Gaeta Tutti oggi pensano che Gaeta, allora, fosse solo una roccaforte militare che dava ospitalità a circa 10.000 soldati. In realtà attorno alla fortezza ruotava un’ agricoltura ricchissima ed avanzata costellata da circa 300 trappeti che davano lavoro a centinaia di persone, come pure vi erano fabbriche di sapone e di reti.
Gaeta, come altre città del Regno, era ricchissima e la sua flotta mercantile vantava molte società di navigazione con al servizio duemila marinai sempre in viaggio. Essa era composta da 100 brigantini e martegane, da 60 a 220 tonnellate di stazza, 60 paranzelle da 30-40 tonnellate e circa 200 barche a vela da 2 a 20 tonnellate di stazza che ogni giorno si recavano a Napoli o a Roma attraverso il Tevere trasportando merci e passeggeri.
I suoi cantieri navali , da sempre attivi, costruivano brigantini, galeoni, saette e velieri che venivano anche esportati.
Tutto questo stava togliendo prestigio e competitività a una grane Marina, alla Marina Reale Inglese. Le navi napoletane toglievano fette sempre più ampie al mercato della cantieristica inglese, non solo erano ottime, ma più economiche.
Il varo della prima nave a vapore del mediterraneo, l’attuazione di rotte che giungevano in America del Nord, del Sud e nel Pacifico, stavano intaccando i mercati commerciali Imperiali.
Soprattutto, da lì a pochi anni si sarebbe aperto il canale di Suez, e tal cosa avrebbe rischiato di fare diventare il porto Napoli, uno dei porti più importanti dell’Europa ma innanzitutto la porta dell’Europa verso il cuore dell’impero inglese; le Indie.
Questo non poteva essere più essere tollerato. bisognava in qualche modo intervenire !
Molto probabilmente a scrivere questo documento denigratorio fu quindi qualcuno con un grosso odio verso i Borbone, ben consigliato da fonti napoletane (o probabilmente di origini meridionali!). Questo falso regolamento fu sicuramente spinto da questa volontà, dato che ancora oggi se ne parla.
Al netto delle offese, la tradizione navale napoletana fu invece molto stimata dai piemontesi e dagli altri regni italiani. In tempi non sospetti, quando Carlo di Borbone riorganizzò la marina Militare napoletana su consiglio di bernrdo Tanucci , il Regno di Napoli ebbe strettissimi contatti con il Regno di Sardegna, ospitando ufficiali piemontesi che studiarono la prima scuola italiana della marina militare. Gli stessi scambi giuridici e culturali si verificarono pochi decenni dopo, con la promozione del primo regolamento marittimo , scritto dal procidano De Jorio.
Lo stesso Garibaldi dopo aver unito l’Italia anni dopo dichiarò la flotta napoletana annessa al Regno d’Italia, ne mantenne le uniformi e lo stesso sistema di gradi borbonico. Anzi, una volta conclusa l’annessione e l’Unità , l’ammiraglio Carlo Persano, un fedelissimo di Casa Savoia, promosse lo studio e l’adozione dei regolamenti borbonici anche nella nuova Regia Marina, oltre all’adozione delle divise borboniche , chiaramente ridisegnate con gradi e stemmi sabaudi: erano infatti considerate prodotti di sartoria più snelli e comodi.
Figuratevi quindi come quindi appena mille uomini peraltro improvvisati e mal addestrati , potevano sconfiggere una delle flotte militari meglio addestratae preparata d’Europa come quella borbonica .
La verita è un’altra e incomincia da quella sere del del 5 maggio, quaado dal porto di Genova meticolosamente sorvegliata dalle autorità piemontesi, la spedizione salpò dallo scoglio di Quarto, simulando, come da accordi, il furto delle due navi. Oltre ai due legni piemontesi, imbarcazioni inglesi incrociavano nel Tirreno a scopo intimidatorio e di raccolta di informazioni, anche al fine di attenuare la capacità di reazione borbonica.
Lo sbarco a Marsala fu poi favorito da diverse circostanze, quali: la presenza nel porto di Marsala di due navi da guerra della Royal Navy, giunte ufficialmente per proteggere le imprese inglesi della zona come i magazzini vinicoli Woodhouse e Ingham; il ritardo con cui le navi da guerra borboniche giunsero nelle acque marsalesi; l’abbandono della zona da parte delle colonne dei generali Letizia e d’Ambrosio inviate a Palermo, ignorando le segnalazioni dei servizi di informazione napoletani. Dunque al momento dello sbarco a Marsala non vi erano né truppe di mare, né truppe di terra. E lo sbarco poté essere effettuato senza nessuna vittima!
Bisogna anche sottolineare che la scelta di sbarcare in Sicilia per l’invasione non fu casuale poiché insurrezioni di masse popolari reclamavano da sempre ed ultimamente sempre di più l’indipendenza dell’isola da Napoli.
Francesco informato delle reali intenzione del suo parente ( serpente) fece in maniera che ben 14 navi presiedessero le acque siciliane per impedire ogni tentativo di sbarco ad appena 1000 uomini . Il governo di Sicilia era infatti ben informato non solo dello sbarco ma anche che sarebbe avvenuto a Marsala, noto feudo britannico con la protezione di due navi da guerra di sua maestà che circolavano nel porto.
Quando Garibaldi sbarcò a Marsala stranamente non vi erano truppe di guerra o navi borboniche. Ad accoglierlo e solo a sbarco avvenuto arrivarono due navi che non avendo truppe da sbarco si limitarono a tirare alcune cannonate senza alcun danno per gli sbarcati oramai al sicuro.
AD essere stati sicuramente grandi protagonisti della sconfitta della flotta navale borbonica sono stati non tanto come tutti sostengono l’incapacità, l’incompetenza, e la codardia dei generali , ma sopratutto l’infedeltà dei più stretti collaboratori di Francesco che favorirono la fine del Regno Borbonico.
A Calatafimi q quando vci fu la battaglia decisiva che ancora oggi resta per molti un inspiegabile enigma. Il generale borbonico Francesco Landi comandava ben 4000 soldati ed era dotato di una possente artiglieria mentre l’esercito garibaldino era formato da appena 1000 uomini male armati e poco formati alla guerra.
Dopo un’intera giornata di fuoco, quando oramai i garibaldini erano esausti e quasi senza più munizioni, inspiegabilmente il generale Landi, tra lo stupore dei suoi uomini ordinò la ritirata e lasciò la via libera per Palermo.
Nel campo avverso dei garibaldini Nino Bixio resosi conto che difficilmente avrebbero potuto resistere ad un ulteriore attacco aveva già dato ordine di apprestarsi alla ritirata. Sotto lo sguardo incredulo dei Garibaldini l’esercito borbonico incominciò invece a ritirarsi e questo fatto apparve talmente strano e illogico ai garibaldini che temendo una trappola per una buona ora non seppero cosa fare e si limitarono ad osservare le manovre di ripiego dei reparti nemici senza sferrare un contrattacco.
Si è tanto parlato nel tempo di questa ingiustificata ritirata dei Napoletani dal campo di battaglia ed è oramai chiaro attraverso vari documenti recuperati, che si trattò di una grossa opera di corruzione operata da emissari del Regno di Sardegna a vantaggio del generale Landi. Oggi sappiamo che egli tentò successivamente a questo episodio di scambiare una fede di credito del valore di 14.000 Ducati datagli da Garibaldi in cambio del tradimento.
La stessa famosa frase detta da Garibaldi nei confronti di Bixio avvenuta dopo il suo ordine di ritirarsi è oggi oggetto di rivalutazione ” Nino, qui si fa l’Italia o si muore!“.
Pare che egli già sapesse circa la corruzione dei nemici ed il suo gesto di lanciarsi all’attacco come ultimo tentativo di fermare l’attacco borbonico ad armi bianche fosse ben meditato e certamente meno eroico.
La capitolazione di Palermo, si dice, avvenne con l’oro dato al generale Lanza ed ancora oggi appare poco chiaro il fatto che 20000 soldati borbonici , padroni dei forti e protetti dal mare dai cannoni delle navi schierate in rada accettassero la capitolazione e si ritirassero lasciando Palermo in potere di Garibaldi.
Tutto quello che avvenne dopo fu la conseguenza di questo primo scontro perché alla notizia della ritirata di Landi, Palermo insorse e agevolò l’entrata di Garibaldi mentre schiere di volontari andarono ad ingrossare le file dei mille.
Venivano arruolati con il facile soldo centinaia di nuovi combattenti, molti dei quali passavano in cambio di raddoppiato stipendio dall’esercito borbonico a quello sabaudo, basti pensare che un’armata di appena 1.085 uomini sbarcata a Marsala, in Sicilia, in breve tempo ( un mese ) era divenuta di 43 mila uomini.
La cassa e l’amministrazione di questo tesoro con cui erano sbarcati i mille (si parlava di un finanziamento di 10 mila piastre turche paragonabili a circa 15 milioni di euro attuali) che era arrivato a Garibaldi dalla massoneria inglese, era tenuta dal preciso contabile garibaldino Ippolito Nievo che non mancava di annotare tutto quanto speso e per conto di chi.
Egli conservava tutto quanto in una cassa, da cui non si separava mai. Nel suo interno erano contenuti soldi, ricevute, fatture, lettere e tutto quello che riguardava la gestione dell’ingente patrimonio garibaldino e di quello poi “trovato” nelle casse delle banche siciliane.
La resa dell’isola fu firmata a Palermo su una nave di bandiera britannica ( ??) e una volta ottenuto l’armistizio con l’esercito Borbonico si passò alla requisizione del Banco di Sicilia e ai suoi soldi ( 5 milioni di Ducati cioe’ circa 200 milioni di euro di oggi ).
I corrotti generali borbonici si arresero in cambio di parte del danaro prelevato dalle casse del Banco di Sicilia ( il prezzo dell’armistizio pare sia costato circa 60.000 Ducati ).
Sentirete dire che l’evacuazione dell’esercito borbonico da Palermo finì il 19 giugno 1860, quando la Banca di Sicilia era ancora chiusa al pubblico. Al pubblico sì, ma non ai direttori, ai presidenti e ai tesorieri del Banco. Furono essi responsabili, insieme a Crispi, del pagamento ai generali borbonici, perché lasciassero Palermo senza più combattere. Il pagamento avvenne con soldi prelevati dai conti correnti dei palermitani. Il Banco fu poi successivamente rimborsato, per la Legge del 1867 sul ripianamento dei debiti contratti da Garibaldi sul Banco di Sicilia e di Napoli nel 1860. Ma alcune partite non furono rimborsate, perché non furono presentate pezze d’appoggio valide.
Quindi la liberazione di Palermo avvenne addirittura con i denari dei siciliani e non solo degli inglesi e se di alcune partite non si ebbe il rimborso fu perché non si poteva dire come i denari erano stati usati.
Dopo solo un anno dallo sbarco dei mille, la Sicilia era stata completamente annessa al territorio sabaudo, grazie sopratutto ai soldi usati per corrompere alte cariche ufficiali e civili ed un piccolo manipolo di appena 1000 uomini sbarcati a Marsala aveva messo in fuga paradossalmente 100mila uomini al prezzo di soli 78 caduti ( un vero miracolo !!).
Il danaro provenienti da fondi internazionali serviva per foraggiare e stipendiare tutti; corrotti appalti, false commesse militari, sprechi, promozioni facili, aumento di stipendi spesso raddoppiati e rendite elargite ai potenti del posto.
I Garibaldini facevano una carriera molto rapida e su 24.000 combattenti vi erano 6 mila ufficiali ben pagati ( in un normale esercito dell’epoca vi era un solo ufficiale ogni 30.000 soldati).
Il Vice Intendente idealista Ippolito Nievo era rimasto nauseato da ciò che aveva visto, da come veniva trattato il popolo siciliano e di come le cose erano andate contro le sue aspirazioni.
Egli aveva minuziosamente annotato nei suoi registri tutte le entrate e le uscite dei soldi finanziati per la spedizione dei mille ivi compresi le ingenti somme usate per corrompere l’esercito borbonico ( aveva annotato nomi , cifre , somme e tanti segreti ) e trascrisse tutte le irregolarità in maniera rigorosa nei suoi libri contabili.
Nel suo rendiconto, Ippolito Nevio, dimostrava, con meticolosa precisione, l’operato di tutta l’Intendenza delle finanze garibaldine. Nel fascicolo erano contenute notizie riservate, che non sarebbe stato opportuno rivelare perché avrebbero acclarato il coinvolgimento dell’Inghilterra nel finanziare la spedizione dei mille.
La cosa interessante fu che successivamente alla conquista del Regno da parte piemontese ed esattamente tredici giorni prima della proclamazione dell’Unità d’Italia, sparì nel nulla, in mare aperto, tra Palermo e Napoli, un piroscafo di nome “Ercole” tra i cui passeggeri era presente proprio Ippolito Nievo con il compito di portare a Torino la documentazione economica relativa alla spedizione militare dei Mille custodita gelosamente in una cassa.
La storia come vedete nonostante la daamnatio memoria oerata dopo l’annessione del regno borbonico a quello sabaudo , ci insegna che carta canta: oltre alle tante lapidi scorrette , anche molti testi furono realizzati con la precisa intenzione di tramandare ai posteri delle informazioni errate.
Tra questi anche il falso decreto della Real Marina delle Due Sicilie che sarebbe all’origine dell’espressione “facite ammuina”.
Esso tra errori ortografici e ufficiali inesistenti,è stato dimostrato che si tratta di un decreto mai esistito e di un falso storico,
Insomma: quando ci capita di sentire ancora oggi qualcuno che, con leggerezza, dice “facite ammuina!” per indicare ironicamente qualche situazione caotica, diciamogli che, inconsapevolmente, porta avanti ancora oggi una campagna denigratoria contro un’eccellenza meridionale cominciata più di 150 anni fa.
N..B. Questo falso decreto della Real Marina genera ancora oggi molto interesse, soprattutto tra i turisti, che se lo ritrovano tra i souvenir in vendita per tutta Napoli.