Michele Pezza, meglio conosciuto come Frà Diavolo, è stata una delle figure più controverse della storia dell’ Italia meridionale,tra la fine del 700 e gli inizi del XIX secolo.
Nato a Itri il 7aprile 1771 figlio di Francesco Pezza e di Arcangela Matrullo,fu il secondogenito di quattro fratelli maschi . Il soprannome di Fra’ Diavolo gli venne dato da un voto materno , che lo rivestì per anni con un saio francescano. Era quindo da tutti considerato un chierico spretato e quando in seguito ad alcuni assassini e vari reati si era rifugiato con una sua banda nelle montagne intorno a Itri per sfuggire alla cattura dei gendarmi, fu da tutti denominato il bandito “Fra Diavolo”.
Egli come bandito dominava le zone di Itri e di Sessa ,ma quando nel 1779 i giacobini napoletani con l’aiuto di Championnet, proclamarono la Repubblica napoletana, ed in Sicilia dopo una storica riunione fu conferito al Cardinale Ruffo , il titolo di Vicario generale del Regno e al contempo il gravoso compito, con pieni poteri della riconquista del Regno, non esitò a rispondere all’appello della chiamata alle armi per scacciare i francesi e resituire il regno al re Ferdinando.
Una volta avuto il dispaccio del Cardinale Ruffo, subito si uni’ quindi subito a combattere al fianco della Santa Fede ( sostenendo che lo faceva per espiare i suoi peccati ) ottenendone comunque grandi vantaggi.
Il Cardinale Ruffo quando partì da Palermo contava, armato del solo crocifisso e della sua mente , di sollevare il popolo contro gli stessi rivoluzionari, di soli pochi uomini dotati di scarse provvigioni e pochi denari e una volta giunto nella terra natale, in Calabria dove aveva molti suoi feudi , emano’ un proclama ai bravi e coraggiosi calabresi perche’ vendicassero le offese fatte alla religione, al re e alla Patria invitandoli a unirsi sotto il vessillo della Santa Croce, per scacciate i francesi dal regno di Napoli e ristabilire la monarchia.
Radunò i volontari, sopratutto contadini, a Pizzo Calabro e incomincio’ una lunga marcia verso Napoli, alla raccolta di soldati volontari .
Ben presto comincio’ a formarsi un piccolo esercito che raccoglieva uomini di tutti i ceti sociali ed anche carcerati e briganti. Non aveva importanza chi fossero: nobili e plebei, villici e cittadini, briganti e galantuomini, sbandati, malfattori, disertori, reclusi, evasi e frati sfratati, erano tutti bene accetti per formare l’esercito della Santa Fede .
Il Cardinale infatti emise un editto che garantiva il perdono a tutti i galeotti o banditi che si fossero pentiti e uniti al suo esercito e fu instaurata a tal proposito una grazia sovrana che condonava colpe e delitti che riguardava sopratutto i capimassa. Al cardinale si unirono quindi anche numerosi briganti tra cui anche Gaetano Mammone e Michele Pezza detto “ fra diavolo” .Ma anche Giovanni Proto che scorrazzava negli Abruzzi, Gerardo Curci, detto sciarpa che imperava nel Salernitano, Giovan Battista Rodio che andava su e giù per la Calabria e Boccheciampe che con alcuni conterranei, fuoriusciti per diserzione, molestava le Puglie .
Il cardinale Ruffo inseri’Michele Pezza , nel corpo dei fucilieri di montagna insieme a due fratelli e gli assegnò il territorio tra Cassino, Caserta, Capua,, Fondi, lungo le rive del Garigliano.In pochi giorni Frà Diavolo riuscì a radunare oltre 2000 uomini,disciplinati,armati, con cavalli e perfino un medico.
Ben presto con un’aria mista tra brigante e uomo religioso, egli divenne colui che maggiormente si distingueva nelle tante battaglie riportando una serie di innumervoli vittorie pur essendo dotato di poche armi e pochi uomini , Egli mostrandosi un grande guerrigliero con il suo gruppo di imprendibili uomini , riuscì spesso a tagliare la ritirata ai Francesi con fulminee e micidiali azioni.
Memorabili fu il suo contributo nella battaglia finale di Napoli dove Fra Diavolo resse la strategica posizione di Capodichino togliendo di fatto ogni ritirata ai Francesi e ai repubblicani.
Poiche’ ostentava nei suoi modi di fare e dire un’atteggiamento di brav’uomo disposto a sacrificarsi per gli altri in omaggio al suo Dio e al suo re , presto entrarono in grande simpatia con Ferdinando e Carolina . La sua banda infatti , nonostante i ripetuti successi fu quella che alla fine dello scontro , compì meno violenze e meno saccheggi,
I due ex regnanti ne furono talmente attratti che stabilirono con il brigante ottimi relazioni. Gli furono dati gradi di Colonnello e dopo la fine delle ostilità anche il titolo di Duca di Cassano con vitalizio che il figlio continuo’ a percepire anche dopo la sua morte ( 3000 Ducati ).
Visse con il suo nuovo titolo nobiliare per anni attestandosi al suo nuovo stato senza creare nessun problema.
Il il 14 agosto 1799 , nelle sue nuove vesti nobiliari , tornato a Napoli ,sposò nella parrocchia di Sant’ Arcangelo Fortunata Rachele di Franco,figlia di un onorato artigiano napoletano che gli darà due figli, Carlo e Clementina.
Nel 1800 a completamento della sua carriera ricevette la nomina di Comandante Generale del Dipartimento di Itri.
Tutto andava quindi per la meglio per l’ex brigante Fra Diavolo , ma le cose erano destinate a finire .
Quando infatti nel gennaio del 1806 , in seguito a una nuova invasione francese venne richiamato in servizio dal re , egli rispondendo prontamente all’appello , in breve tempo radunò subito circa 2000 volontari e ricomincia immeditamente la guerriglia conto i francesi.
Ma questa volta non avendo alle spalle l’armata del Cardinale Ruffo, le cose non andarono per il verso giusto . Michele Pezza con soli 600 uomini non riusci’infatti a tenere testa all’esercito francese:egli dopo avere assistito alla sconfitta della sua banda completamte sgominata , solo , stanco e affamato fu fatto prigioniero a Baronissi.
Inutilmente gli inglesi e il re chiesero di liberarlo anche in cambio di ostaggi francesi,ma il Bonaparte fu irremovibile. Chiuso nelle carceri della Vicaria a Napoli il 10 novembre 1806 fu giudicato e condannato a morte. Il giorno dopo portato in piazza Mercato vestito dell’ uniforme di brigadiere dell’ Esercito Borbonico e col brevetto di duca di Cassano appesa al collo ,affrontò coraggiosamente la morte per impiccagione.
Il corpo rimase esposto per 24 ore e guardato a vista da due soldati ,fu poi sepolto dai Frati della Congregazione dei Bianchi nella fossa comune della chiesa degli Incurabili.
A Palermo ,appresa l’ esecuzione,il re volle che fossero celebrate solenni esequie al fedele servitore della causa borbonica, le campane suonarono a morto per tre giorni e il rullo dei tamburi velati seguì un urna vuota”in memoria del sagace,strenuo, incorrotto Michele Pezza”.