Figlia del Capitano Fabrizio Colonna, marchese di Pescara e Agnese di Montefeltro, dei duchi di Urbino ittoria Colonna, venne promessa in sposa alla già in tenera età ( cinque anni ) a Ferdinando d’Avalos , figlio del marchese di Pescara ,che sposò a poco più di sedici anni sull’isola di Ischia nel Castello Aragonese.
N.B. Con il matrimonio si trasferì nel Castello Aragonese di Ischia ed entrò a far parte del vivace ambiente culturale napoletano.
Il matrimonio con D’Avalos, sebbene combinato per suggellare le alleanze politiche ed economiche di famiglia, riuscì, come raramente avveniva, anche dal punto di vista sentimentale . Pur senza essersi mai visti prima delle nozze , tra Vittoria e Francesco nacque infatti un amore fortissimo che li accompagnò per tutta la durata della seppur loro brevissima vita trascorsa insieme, cioè fino a quando il marito, in qualità di generale delle truppe imperiali di Carlo V, il cinque dicembre del 1525, con la prospettiva di una possibile successione al Regno di Napoli, morì in seguito alle ferite riportate nella battaglia di Pavia ,lasciandola in un grande sconforto .
N.B. Nel 1511 Fernando Francesco partì in guerra agli ordini del suocero per combattere per la Spagna contro la Francia , venendo però catturato durante la battaglia di Ravenna nel 1512 le deportato in Francia. Successivamente, divenne un ufficiale dell’esercito di Carlo V ma nel 1525, ferito durante la battaglia di Pavia contro Francesco I di Francia, rimase gravemente ferito. Vittoria partì subito per raggiungerlo ma la notizia della sua morte la colse mentre era in viaggio. Cadde in depressione e meditò il suicidio ma riuscì a riprendersi anche grazie alla vicinanza degli amici.
Dopo la morte del marito Vittoria Colonna, affranta dal dolore decise se di cambiare totalmente il proprio stile di vita e abbandonati i suoi palazzi di famiglia e gli abiti sontuosi, decise di trascorrere i suoi giorni in povertà in un convento romano dove chiese di farsi suora (il convento delle Clarisse allora annesso alla Chiesa di San Silvestro dove strinse amicizia con varie personalità ecclesiastiche che alimentavano una corrente di riforma all’interno della Chiesa cattolica, tra cui, soprattutto,Juan de Valdes e Bernardino Ochino che suscitarono su di lei un forte ascendente )
I suoi propositi di vita monacale furono però ostacolati da papa Clemente VII che le vietò di prendere i voti monastici. Vittoria infatti non rimase a lungo in pace in quel luogo conventuale perché il fratello, Ascanio I Colonna , entrato n conflitto con papa Clemente VII ), la costrinse a trasferìrsi a Marino e poi di nuovo a Ischia per cercare di mediare fra i contendenti. Questo le evitò di vivere in prima persona la traumatica esperienza del sacco di Roma del 1527 e le consentì di prestare aiuto alla popolazione e di riscattare prigionieri anche grazie ai propri beni.
Nell’isola ischitana visse circondata da illustri scrittori per circa 30 anni (dal 1509 al 1536 ) salvo poi partire alla volta di alcuni soggiorni presso Ferrara, Pisa , Ravenna, Lucca,Orvieto e sopratutto Roma dove ebbe occasione di conoscere Michelangelo Buonarroti.
Donna appassionata alla cultura e all’arte, si racconta, ma pare che sia solo una leggenda, che intrattenne una relazione fatta di sguardi con Michelangelo Buonarroti con il quale nel tempo intrattenne una grande amicizia platonica .
CURIOSITA’ : Sull’amicizia e sul forte legame che univa Vittoria e Michelangelo sono state ricamate nel tempo molte storie, non vere, ma che contribuiscono ad avvolgere i due famosi personaggi di una patina mitico- leggendaria. Il racconto più romanticheggiante è sicuramente quello che vuole Michelangelo dimorare nella Torre di Guevara che si trova a Cartaromana, dunque sul promontorio di fronte al Castello Aragonese. Questa Torre che per molti anni è stata popolarmente nota come torre di Michelangelo, secondo la leggenda aveva una tunnel sotterraneo che collegava con il Castello. Percorrendo questo passaggio sottomarino Michelangelo avrebbe raggiunto nottetempo Vittoria Colonna, per congiungersi con lei. Nella realtà Michelangelo non è mai venuto ad Ischia e soprattutto la sua omosessualità è cosa nota. Resta però il fascino di un racconto che unisce due grandi personaggi storici in un intreccio peccaminoso.
Sulla relazione tenuta tra il grande artista e Vittoria Colonna, alcuni storici si sono scatenati in gossip piccanti, certamente molti dei quali non veritieri, ma una cosa però è certa .
Michelangelo aveva molta stima di Vittoria al punto da considerarla sua pari per grandezza spirituale . Su di lei il grande e famoso artista ha scritto una delle piu belle dediche.
“Un uomo, una donna, anzi un Dio” così la definì Michelangelo,.
La profonda amicizia tra Michelangelo Buonarroti e la marchesa di Pescara è indubbiamente uno dei fattori che contribuiscono alla fama di Vittoria. Ma la marchese per l’ epoca in cui visse incarnò per molti altri artsti e letterati una figura da lodare ed ammirare . La sua presenza in molte opere seppure tanto eterogenee tra loro dimostra come la sua figura abbia lasciato un segno profondo nell’immaginario letterario.
In ambito teatrale, la Colonna , nel corso della varie rappresentazioni messe in scena, compare quasi sempre proprio accanto a Michelangelo come nell’ultimo atto de La Renaissance di Joseph A. de Gobineau ) o nel dramma Michael Angelo di Henry Wadsworth Longfellow, ( l’opere cita quasi diversi brani del loro carteggio) .
Addirittura nel “Michelangelo” di Hans K. Abel, Vittoria, grazie al suo equilibrio e alla sua maturità, svolge il ruolo di guida spirituale dell’artista, mentre Eberlein, nell’introduzione al suo Michelangelo, in cui Vittoria è amata senza speranza dallo scultore, la definisce “la donna spiritualmente più ricca del suo tempo”.
Nella commedia Michelangelo di Pfordten, Vittoria è determinante per il lieto fine della vicenda; nel Michelangelo di Nedden, è un’immagine evocata dalla fantasia del protagonista, che però gli darà la forza di riprendere il lavoro a San Pietro; nel Michelangelo di Krleza, diviene simbolo della forza salvifica della donna, nonché ispiratrice dell’artista.
Noi al di la delle varie chiacchiere fatte dalle ” capere ” della storia, senza tener conto dei vari “inciuci ” ci facciamo sostenitori del solo fatto che Michelangelo fu legato a Vittoria Colonna da un profondo legame spirituale. Essi mantennero per molti anni una stretta corrispondenza epistolare di cui restano oggi due missive del grande artista e cinque della marchesa.
Il Buonarroti inoltre nel 1540 le inviò un piccolo quadro, una Crocifissione per la propria cappella privata; i bozzetti della Crocifissione sono oggi conservati al British Museum di Londra e al Louvre di Parigi : l’artista inizialmente aveva dipinto soltanto il Cristo, la Vergine e la Maddalena e, quando nel 1547 Vittoria morì, Michelangelo modificò il quadro raffigurando Vittoria come Maddalena. Una copia si trova nella concattedrale di Santa Maria de La Redonda a Logrono .
N.B Tra i vari letterati che ebbero di lei grande stima vanno anche citati Pietro Bembo con il quale Vittoria alla fine degli anni ’20 diede avvio ad una profonda ’amicizia (prima solo epistolare) che l’accompagnò fino alla morte, ed anche l’umanista fiorentino Pietro Carnesecchi, con il quale nel 1535 intrecciò un rapporto di profonda amicizia.
Dopo la morte di Ferrante, le rime delle poesie che Vittoria amava scrivere , acquistarono un tono più austero e alcune sue liriche ispirate dalla perdita del “Bel Sole” , dedicate al culto della memoria del suo amore suscitarono addirittura l’ammirazione di poeti come Ludovico Ariosto che paragonandola alle donne più celebri della mitologia , le dedica alcune stanze nell’Orlando Furioso (canto XXXVII ). Qui viene lodata sia per la bellezza dei versi dedicati alla memoria del marito, sia per la fedeltà coniugale.
“Vittoria è il nome; e ben conviensi a nata fra le vittorie, ed a chi, o vada o stanzi, di trofei sempre e di trionfi ornata, la vittoria abbia seco, o dietro o innanzi. Questa è un’altra Artemisia, che lodata fu di pietà verso il suo Mausolo ; anzi tanto maggior, quanto è più assai bell’opra, che por sottoterra un uom, trarlo di sopra.
N.B. Il tema dei sonetti composti nell’arco della vita della Colonna , è prevalentemente l’amore e il lutto per aver perso il suo sposo Ferrante D’Avalos. Esse pur diventando famose a tutti non furono però mai stampate ma circolavano tra gli amanti del genere in codici manoscritti che donava ai suoi amici.
Rimasta sola e senza figli , la perdita di Ferrante fu resa ancora più amara dalla mancanza di un erede naturale, ma Vittoria in questo senso riuscì a rivendicare una maternità spirituale, “platonica” sul cugino Alfonso del Vasto, già designato erede, ragazzo ribelle ma intelligente alla cui educazione si dedica lei stessa, incoraggiandone la naturale predisposizione alla poesia.
Donna appassionata alla cultura e all’arte, Vittoria si legò molto agli ambienti intellettuali culturali napoletani . ma in preda a forti vocazioni spirituali finì per isolarsi e trascorrere il resto della sua vita in modo austero ,dedicandosi pricipalmente ad opere di bene e divenendo in tal modo per l’epoca un simbolo dello spiritualismo cinquecentesco capace di fondere in sè fede cattolica e filosofia platonica.
La sua fama di poetessa, all’epoca si diffuse rapidamente tra i vari letterati e scrittori dell’epoca come l’Ariosto che ne cantava le lodi nell’ultima edizione del Furioso, Pietro Bembo che includeva un suo sonetto nella seconda edizione delle sue Rime , ma purtroppo ad oggi ancora si conosce quasi nulla si conosce della produzione poetica di Vittoria Colonna.
N.B. L’unica raccolta allestita personalmente dalla poetessa è contenuta nel ms Vat. lat. 11539 e venne da lei donata a Michelangelo.
Come vi abbiamo accennato Vittoria Colonna visse molti anni ad Ischia e fino al 1536 quando presa da una profonda ede cattolica decise di voler compiere un viaggio in Terra Santa.
Si trasferì quindi nel 1537 a Ferrara dove si stabilì per 10 mesi in attesa di ottenere i permessi dal Papa, con l’intenzione di imbarcarsi da Venezia alla volta di Gerusalemme . Con il sopraggiungere di una malattia che aveva molto preoccupato gli amici, per problemi di salute malferma ella a quel punto fu costretta a rinunciare al viaggio .
Nella città estense ebbe comunque modo di ascoltare nuovamente le prediche di Ochino, strinse amicizia con Renata di Francia e conobbe i futuri gesuiti Rodriguez e Claudio Jajo. In questo periodo va collocato l’inizio dell’amicizia con Margherita di Navarra .
Vittoria dopo aver poi seguì poi Bernardino Ochino a Pisa, a Firenze e a Lucca, tornata di nuovo a Roma sul finire del 1538, prese alloggio nel monastero delle clarisse di S. Silvestro in Capite, di cui rimase ospite fino al 1541. Poiché le tensioni tra il fratello Ascanio e papa Paolo III stavano per esplodere nella Guerra del Sale, nel marzo 1541 la Colonna preferì trasferirsi ad Orvieto, presso le monache domenicane savonaroliane di S. Paolo.
N.B.Nel 1538 è da collocarsi probabilmente il suo primo incontro con Michelangelo Buonarroti .
Nel suo rientro a Roma crebbe tantissimo la sua amicizia con Michelangelo, che la amò (almeno platonicamente) enormemente e su cui ebbe una grande influenza, verosimilmente anche religiosa.
A testimonianza dell’affetto e della stima che il Buonarroti provò per Vittoria vanno ricordati i componimenti poetici che egli le dedicò, in particolare il madrigale 235, in cui afferma: “Un uomo in una donna, anzi uno dio / per la sua bocca parla, / ond’io per ascoltarla, / son fatto tal, che ma’ più sarò mio.”
CURIOSITA’ : Ascanio Condivi riferisce il rammarico provato da Michelangelo quando, al cospetto del cadavere di Vittoria, si rammaricò di averle baciato la mano, ma non la fronte o la guancia.
Quando il cardinale Reginald Pole (dal 1540 guida spirituale della Marchesa) fu nominato legato del Patrimonio di San Pietro a Viterbo, Vittoria decise allora di raggiungerlo e prese dimora presso le suore domenicane savonaroliane del convento di S. Caterina (1541-1543).
A Viterbo partecipò, con costanza e discrezione, al cosiddetto Circolo dei Spirituali che come sappiamo vide fra i suoi protagonisti protagonisti uomini come Marvantonio Flaminio , Alvise Priuli , Vittore Soranzo e Giovanni Morone
L’agosto 1542 fu per la Colonna un mese di perdite importanti: a distanza di pochi giorni moriva sia il cardinal Gasparo Contarini , a cui Vittoria era molto legata, mentre Ochino, che si era rifiutato di presentarsi davanti all’Inquisizione, fuggiva in Svizzera abbandonando definitivamente la Chiesa di Roma.
La Marchesa tornò allora ancora a Roma e alloggiò nel convento delle benedettine di S. Anna per poi concludere i suoi ultimi anni di vita proteggendo e amministrando la Casa Santa Marta, fondata da Ignazio di Loyola per il recupero delle prostitute pentite. Oltre a questa, innumerevoli sono le testimonianze relative alle sue opere di carità, specie relative alla costruzione di chiese e conventi.
Morì nel Palazzo Cesarini il 25 febbraio 1547, con il Flaminio, il Priuli e don Tommaso Maggi (segretario del Pole) al suo capezzale, salvandosi molto probabilmente da una probabile inchiesta dell’inquisizione che perseguitò molti dei suoi amici.
Già nel 1540 vi erainfatti chi riteneva che nelle rime colonnesi «v’erano di molte cose contro la fede di Gesù Christo» (lettera di Alberto Sacrati a Ercole II d’Este, duca di Ferrara). Le accuse più precise vennero pronunciate durante i processi inquisitoriali contro Pietro Carnesecchi e Giovanni Morone, quando ormai Vittoria era morta da anni: riguardano da una parte la sua «intrinsichezza» con Ochino, Pole e tutti i maggiori esponenti dell’evangelismo; dall’altra la sua presunta adesione alla dottrina della giustificazione per la sola fede.
Dagli scritti della Colonna trapela poco di tutto ciò: le parole sono sfumate, talvolta contraddittorie, riluttanti ad assumere posizioni esplicitamente eterodosse. Eppure, le persone e gli ambienti che frequentò dicono di una sua attenzione per le idee ‘riformate’, nel senso più ampio del termine. La riforma della Chiesa, infatti, stava realmente a cuore della Marchesa, che incoraggiò qualsiasi esperienza religiosa le sembrasse proporre una fede autentica e coerente: oltre a Ochino e agli Spirituali, non va dimenticato il sostegno decennale fornito ai neonati Ordini dei Cappuccini e dei Gesuiti. Oltre all’incontro con tale molteplicità di carismi religiosi, occorre tener conto anche della dinamicità del pensiero della Colonna. Dopo la morte di Ferrante, la fede cominciò innanzitutto ad assumere un rilievo particolare nella sua pratica quotidiana, ma con significativi risvolti anche sul piano politico ed economico (1526-1534). Con il ritorno a Roma e l’incontro con Ochino, la devozione della Colonna acquistò uno spessore che i contemporanei non poterono fare a meno di notare. Infine, la svolta del 1540/1541 è dovuta all’approfondirsi del rapporto con Pole, che condusse la Marchesa verso una fede più intima e personale, forse meno legata ai riti della tradizione cristiana. È in questo ultimo periodo (1541-1547), il più povero di documenti storici, che la Colonna dovette assistere da vicino all’elaborazione e alla pubblicazione del Beneficio di Cristo, la cui eventuale influenza sulla sua opera è però difficile da accertare.
Le sue Rime hanno una storia editoriale alquanto complessa: la poetessa non autorizzò nessuna stampa, le sue poesie circolavano solo attraverso uno scambio privato di codici manoscritti inviati in dono a importanti personaggi dell’epoca. Ciò ha reso difficoltosa anche una sistemazione cronologica delle rime, generalmente distinte in rime amorose e rime spirituali.
Tra i più importanti manoscritti ricordiamo quello donato a Margherita di Navarra nel 1540 (manoscritto Laurenziano Ashburnhamiano 1153), a Francesco della Torre tra il 1540 e il 1541 (manoscritto II IX 30 della Biblioteca Nazionale di Firenze) e l’elegante copia membranacea del 1540-1542 donata a Michelangelo (Vaticano latino 11539).
Le Rime ebbero moltissime ristampe negli anni del Concilio di Trento e, dopo scarsa fortuna nel Seicento, furono ristampate nel Settecento. Apre il corpus la dichiarazione del valore terapeutico della scrittura poetica, cercata, senza altre pretese, come sfogo e conforto al proprio dolore, tanto profondo da impedire la dolcezza del canto.
Protagonista assoluto come vedete è sempre il castello aragonese poggiato su quelo scoglio a volte malinconico e a volte capace di dare un conforto felice :
“Così, lo scoglio (il Castello Aragonese) ora è “caro”, ora “orrido e solo”, ora “alto”, il mare tranquillo o turbato, l’intera natura ora ostile, ora amica “.
” Quando io dal caro scoglio guardo intorno la terra e ‘l mar, ne la vermiglia aurora, quante nebbie nel ciel son nate alora scaccia la vaga vista, il chiaro giorno. […] Per l’exempio d’Elia non con l’ardente celeste carro ma col proprio aurato venir se ‘l finge l’amorosa mente a cambiarmi ‘l mio mal doglioso stato con l’altro eterno; in quel momento sente lo spirto un raggio de l’ardor beato.
“Vivo su questo scoglio orrido e solo quasi dolente augel che ‘l verde ramo e l’acqua pura aborre, e a quelli ch’amo nel mondo ed a me stessa ancor m’involo […]”
La fedeltà allo sposo significa fedeltà anche allo “scoglio” da lui amato (sonetto 29 delle Rime amorose disperse, Sperai che ’l tempo i caldi alti desiri, vv.9-14):
[…] D’arder sempre piangendo non mi doglio ; forse avrò di fedele il titol vero, caro a me sovr’ogn’altro eterno onore.
Non cangerò la fe’ né questo scoglio ch’al mio Sol piacque, ove fornire spero come le dolci già quest’amare ore.
Ancora oggi passeggiando sul Castello Aragonese, chiudendo gli occhi e lasciandosi accarezzare dal vento, se ben ascoltate, è ancora possibile sentire l’animo della nostra poetessa che visse felice i suoi primi anni in compagnia del marito e poi sola con il suo dolore di vedova,.
In questo luogo Vittoria scrisse alcune tra le sue poesie più famose lasciandosi ispirare dal volo dei gabbiani e dal rumore del mare che s’infrangeva sul suo Castello:”
“Oh che tranquillo mar, che placide onde solcavo un tempo in ben spalmata barca !
Di bei presidi e d’util merce carca l’aer sereno avea, l’aure seconde “
“Così, lo scoglio (il Castello Aragonese) ora è “caro”, ora “orrido e solo”, ora “alto”, il mare tranquillo o turbato, l’intera natura ora ostile, ora amica.
Un tempo la vita degli isolani si svolgeva tutta sul Castello Aragonese, alla corte di Vittoria Colonna, che si lasciava ispirare dalla incredibile natura che la circondava e dai suoi mutamenti nei quali racchiudeva ora la gioia di quella vita, ora la tristezza di aver perso il suo amato.
Oggi qualcuno è pronto a giurare di averla vista ancora di sera , pallida e sognante, sul Castello Aragonese . E’ una figura dai lunghi capelli raccolti, che cammina pensosa tra gli ulivi e le stradine di pietra. E’ giovane, è vedova, è triste:è Vittoria Colonna, la poetessa del Castello.