Oggi ci addentriamo in uno dei luoghi piu’ antichi di Napoli dove un tempo sorgeva l’antica  Agropoli di Neapolis.
Su questa collina ( Caponapoli ) la tradizione popolare voleva che si trovasse la leggendaria Tomba di Partenope . La collocazione di questa tomba per la verita’ e’ stata a lungo oggetto di grande discussione . Secondo alcuni si trovava a Sant’Aniello a Caponapoli ,  secondo altri nella zona dove fu eretta la chiesa di San Giovanni Maggiore , e secondo altri ancora era vicino al porto e visibile dal mare nella zona dove sbarcarono i primi Rodi o Cumani , nella zona di Pizzofalcone o nell’area tra Castel Nuovo e il Teatro San Carlo dove nel corso dei lavori della Metropolitana di Piazza Municipio sono state rinvenute le imbarcazioni dei romani ed i resti del primo porto di Napoli .
Altre ipotesi hanno suggerito l’ipotesi che si trovasse nel tratto che attualmente incorpora la vecchia Universita’ , la zona del Sedile di Porto , e sotto  la Fontana di Spina Corona .
Secondi altre fonti storiche  invece le spoglie mortali della Sirena furono rinvenute sull’isolotto di Megaride ( attuale Castel dell’Ovo) e furono poi trasportate sull’altura di Caponapoli .

Attualmente l’intera zona prende il nome Anticaglia grazie alla presenza di numerosi resti di costruzioni romane che la caratterizzano .
Questa zona della citta’era chiamata collina di Sant’Aniello , ma anche capo Napoli , in quanto era il luogo piu’ alto dell’antica citta’e normalmente ci si andava per godere delle fresche auree e la deliziosa veduta dei colli circostanti ( Capodimonte , i Vergini , la Stella e gli Aminei ) . Era considerata la zona piu’ salubre della citta’ , tant’e ‘ che a Napoli vi era il detto ” coppole pe’ cappello e casa a Sant’ Aniello ” cioe’ : accontentarsi di una coppola invece del cappello , ma avere una casa a Sant’Aniello .
A conferma di questo quanto ritrovato in un vecchio manoscritto e’ stato ritrovato questa scrittura  : ……… In questo luogo cosi’ ameno ogni giorno in tempo di estate specialmente le persone civili e i letterati andavano il dopopranzo a trattenersi per le fresche auree che vi si respiravano e per la deliziosa veduta delle vicine colline di Capodimonte e di tutto il borgo dei Vergini, della sanita’e della Stella …….

Era la parte piu’ antica della città’ essendo stata scelta per la sua posizione sopraelevata che permetteva di poter meglio organizzare la difesa in caso di assedio da parte di nemici e come si era solito fare nelle citta’ greche , tutta l’area  era stata robustamente fortificata con contrafforti e maestose  murazioni che la delimitavano correndo lungo l’attuale via Santa Maria di Costantinopoli e piazza Cavour .

Dalla stessa zona proviene  la testa di donna detta “Marianna ‘a capa ‘e Napule” , da molti considerato un reperto archeologico proveniente da un tempio dedicato alla Sirena Partenope , che dopo lungo peregrinare è attualmente custodita all’interno di Palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli.

L’ intera zona fino al Medioevo era ricca di templi con funzione religiosa dove si veneravano varie  divinita’  ( Dio Sole, di Demetra, di Apollo e di Diana )e si svolgevano riti religiosi e vari sacrifici . Le processioni invece avvenivano principalmente lungo l’attuale Via del Sole .

Il nostro punto di partenza si trova all’inizio di Via Santa Maria di Costantinopoli in Piazza Bellini dove le antiche mura ci ricordano della vecchia Neapolis.
Possiamo in essa infatti  ammirare uno scavo da cui affiora un tratto della murazione della antica città greca (V o VI sec. a.c..  Questa ,  sono insieme ad altri pochi reperti , i soli visibili in città , dalla strada.

Piazza Bellini , si intitola al grande musicista che fu per moltissimi anni a Napoli a studiare nel conservatorio poco distante.
Il monumento a Bellini è un ‘ opera dell’ 800 di Alfonso Bazzico che volle rappresentare nelle nicchie del basamento ,le 4 eroine della lirica belliniana : Norma – Amina- Giulietta – Elvira .

Prima che la piazza assumesse l ‘ aspetto odierno, erano  tanti i conventi ed i giardini che circondavano la piazza in cui spiccano due storici palazzi napoletani : il palazzo Conca ed il palazzo Firrao di Sant’Agata .

L’ artista Antonio Joli ,in suo suo dipinto ci ha lasciato una perfetta testimonianza  di quanto era bella nel 1756 questa zona

Sulla destra del dipinto si vedono palazzo Conca ed il convento di Sant’Antoniello a Port’Alba , in fondo alla strada vediamo invece la vecchia Porta di Costantinopoli e sulla sinistra in primo piano dapprima palazzo Firrao e successivamente le chiese di San Giovanni Battista delle monache e poi di Santa Maria di Costantinopoli .

Porta di Costantinopoli

 

Ancora oggi all’ingresso di Via Costantinopoli troviamo l’ingresso dell’omonima chiesa stretta tra le due monumentali chiese di San Giovanni Battista delle Monache e Santa Maria della Sapienza .

 

 

La chiesa di Santa Maria di Costantinopoli , fu eretta per volere del popolo dopo una grave epidemia di peste dopo che la Vergine di Costantinopoli , venuta in sogno ad una donna del popolo promise protezione dalla peste in città’ in cambio pero’ della costruzione di una chiesa nel luogo dove fosse stata ritrovata una sua immagine .
Una volta trovata per puro caso il dipinto della Vergine , a protezione di futura epidemia di peste si decise su pressione popolare di costruire la chiesa nello  stesso posto del ritrovamento .
I lavori furono affidati all’architetto domenicano Fra’ Nuvolo e la chiesa venne consegnata completa alla città solo nel 1586. Essa con il tempo divenne luogo sacro per invocare la protezione dalla peste e pregare la madonna contro la sua diffusione .
Si racconta addirittura che molti pellegrini malati di peste accorsi a Santa Maria di Costantinopoli ne venissero guariti guariti e secondo molti nessun napoletano che si recava a  pregare in quella chiesa la Madonna  , fu poi appestato.
Nel suo interno possiamo ammirare uno stupendo altare maggiore di Cosimo Fanzago che racchiude l’affresco del 400  di Santa Maria di Costantinopoli.
Il soffitto in legno scolpito e finemente decorato con decorazioni in stucco bianco di Domenico Antonio Vaccaro ,mostra uno  stemma della Piazza del Popolo riprodotto anche sul pavimento . Ritroviamo in questa chiesa anche dei stupendi affreschi della  cupola e della volta dell’abside di Belisario Corenzio ( raffiguranti  la Vergine e San Giovanni che supplicano la Santissima Trinità di liberare Napoli dalla peste ) e  nella seconda cappella di sinistra  il dipinto di Fabrizio Santafede raffigurante l’Adorazione dei Magi.

Alla sinistra della chiesa , ritornati su via Santa Maria di Costantinopoli si erge la chiesa di San Giovanni  Battista delle Monache costruita verso la fine del 600 su disegno dell’architetto Francesco Antonio Picchiatti .
La grandiosa facciata settecentesca , suddivisa da due ordini di colonne , che racchiudono in basso le tre belle arcate del pronao e’ invece opera  di Giovan Battista Nauclerio e fu realizzata nel secolo successivo .
Nel suo interno vi sono opere  del Mattia Preti , di Andrea Vaccaro , di Bernardo Cavallino, di Massimo Stanzione , Giovanni Balducci ,di Giuseppe Simonelli  , di Luca Giordano , del Citarella e di Orazio Frezza.
Tutte queste opere dovrebbero essere ancora presenti sempre che la Sovraintendenza non le abbia ritirate per conservazione in altro luogo piu’ sicuro per la preoccupazione del crollo della chiesa.
Purtroppo infatti , in seguito al crollo della navata e della volta seguiti al terremoto del 1980 da allora la chiesa e’ chiusa al pubblica in un’eterna opera di restauro che sembra non avere mai fine , speriamo solo che le tante opere siano ben conservate in luoghi sicuri e non …. Privati .

Di fronte alla chiesa di San Giovanni delle Monache si trova la chiesa della Sapienza con annesso monastero , costruita nella prima meta’ del seicento ad opera del cardinale Oliviero Carafa .
I lavori per la costruzione della chiesa vennero affidati all’architetto Giovan Giacomo di Conforto, mentre l’imponente  facciata fu progettata da Cosimo Fanzago  e abbellite da Dionisio Lazzari  tramite decorazioni con marmi bianchi .
La chiesa venne poi dotata di un campanile e di una cupola opera di Giacomo Lazzari , il cui lanternino fu affrescata da Belisario Corenzio.
Il suo interno , e’a navata unica con cappelle laterali.
Il  pavimento in marmo bianco e’ opera di Dionisio Lazzari  così’ come le decorazioni dell’interno fatte con marmi policromi.
Gli affreschi della  volta e della cupola sono di Belisario Corenzio metre quelli nell’abside sono di Cesare Fracanzano. Ma troviamo anche opere di Domenico Gargiulo ( Micco Spadaro ) , Giovanni Ricca , Carlo de Rosa , Andrea Vaccaro e del Marullo.
In origine, alla chiesa era annesso un monastero di notevole estensione con preziosi affreschi , dipinti su tela , fregi e annessi chiostri ,  frequentato da suore che provenivano da famiglie ricche e nobili , le cui generose donazioni venivano utilizzate per acquistare terreni e abitazioni vicine con lo scopo di espandere la struttura.
Il monastero purtroppo fu  poi demolito alla fine dell’Ottocento per costruire il vicino Policlinico universitario.
La realizzazione delle cliniche universitarie, diede luogo ad un grande sventramento che deturpo’ l’ impianto millenario della città graco- romana e comportò la demolizione di tutto il monastero della Sapienza e di quello attiguo della Croce di Lucca , entrambi ricchi di opere d’ arte . Furono abbattuti anche i due palazzi nobiliari d ‘ Aponte e  De Curtis .
L’ abbattimento di queste strutture monastiche provocò la sdegnata opposizione di Benedetto Croce , il quale si scagliò con veemenza contro la distruzione del grande patrimonio costituito dalle due strutture . Solo grazie al suo prodigarsi rimase in piedi  la Chiesa di Lucca ( mutilata dell ‘abside ) e la stessa chiesa della Sapienza che doveva essere abbattuta secondo il progetto iniziale .
La chiesa della Sapienza è oggi purtroppo chiusa , e versa in un cattivo stato di manutenzione a causa di infiltrazioni d’acqua, furti e atti vandalici.

Dopo il convento della Sapienza , sulla via omonima ,lasciandoci sulla destra il complesso del I Policlinico , che occupa ( sigh ) il suolo dove una volta sorgeva il monastero della Croce di Lucca giungiamo al quadrivio costituito dall’incrocio con Via del Sole sulla destra e sulla sinistra da Via Luigi De  Crecchio ( nome di un vecchio rettore dell’Università ) .
La via  un tempo era chiamato ” Vico Settimo Cielo” ( dal nome del vescovo  africano Settimio Celio Gaudioso, che fondò l’omonimo convento di San Gaudioso) .
Secondo un’antica leggenda i Sette Cieli si riferivano a quelli di un abbagliante arcobaleno dotato di una forte luce che apparve nel cielo  il 13 dicembre del 596 mentre si stava celebrando il rito funebre di Sant’Agnello, presso la chiesa di Santa Maria Intercede che diede alla folla presente  la sensazione di vedere il paradiso .
L’espressione “andare al settimo cielo” pare derivi proprio da questo evento .

Subito a sinistra su per la strada troviamo prima il grandioso complesso di Sant’Andrea delle Dame nato come monastero ed oggi ridotto a clinica oculistica universitaria .

Il complesso di Sant’Andrea delle Dame e’ composto dalla chiesa , dal monastero e dal vicino chiostro .Le strutture  vennero fondate nel 1585 grazie a quattro nobildonne napoletane ,  tutte sorelle tra di loro e  figlie del ricco notaio Parascandolo  (Giulia, Laura, Lucrezia e Paola ) che si erano chiuse in clausura sotto l’assistenza spirituale dei padri Teatini nel magnifico palazzo di loro proprieta’ presente nell’attuale vico Cinquesanti.
Le sorelle dopo aver preso i voti nel 1950,  ottenuta  l’approvazione papale del loro piccolo convento nel 1580 , decisero poi  qualche anno dopo , di erigere un più comodo  monastero in questa  zona della città che fu dedicato  a Sant’Andrea .
Solo  successivamente il monastero verra’ poi chiamato chiamato  “delle Dame” perche’ le suore che in esso trovarono asilo erano ” dame ” della migliore aristocrazia napoletana .

Le  suore per edificare il loro nuovo monastero dovettero subire all’inizio noie e litigi con le consorelle di San Gaudioso che ritenevano la costruzione del nuovo edificio togliere loro la vista del panorama che godevano da una terrazza.
Le suore di San Gaudioso arrivarono addirittura ad ingaggiare alcuni delinquenti della zona che incominciarono a demolire parte del nuovo monastero di Sant’Andrea e dovette addirittura intervenire il papa per risolvere il contenzioso concedendo il permesso alle suore di continuare la costruzione del nuovo monastero ma al contempo risarcire con un indennizzo le vicine consorelle.
Il progetto venne affidato a don Marco Parascandolo, fratello delle fondatrici, e a Marco Pagano mentre per la sua realizzazione vennero chiamati i migliori artigiani del tempo .
Una volta finito divenne uno splendido complesso conventuale riservato alle fanciulle aristocratiche .
I contenziosi tra i due monasteri continuarono comunque per lungo tempo tra piccole ripicche e dispettucci vari che sfociarono di nuovo in una grossa lite quando le dame fecero costruire un gran Belvedere che per la sua bellezza e per avere ospitato un giorno sua maesta’ Borbonica fu chiamato la Torretta Reale .
Dovette in questo caso intervenire la regina in persona per evitare il peggio.
Terminato il convento , le suore provvidero alla costruzione sulla stessa collina della omonima  chiesa che fu eretta dai teatini Innocenzo e Paolo Parascandolo.
Alla chiesa che si trova in Piazza Sant’Andrea delle dame , si accede da un magnifico androne . Essa conserva nel suo interno affreschi seicenteschi di Bellisario Corenzio e Giacinto Diano, un altare maggiore intarsiato di madreperla di Dionisio Lazzari, statue in marmo di Pietro Ghetti e un bel pavimento maiolicato del Giustiniani . La tela raffigurante il Martirio di Sant’Andrea, che immediatamente spicca ai nostri occhi racchiusa  in una cornice marmorea cinquecentesca, è opera di Giovan Filippo Criscuolo.

Accanto alla chiesa in Vico Luigi De Cecco ( chiamato in passato ” Vico Settimo Cielo”si trova anche Il Chiostro di Sant’Andrea delle Dame .
Questo appare circondato da pilastri in piperno sormontate da arcate ed è caratterizzato da filari di altissime palme del genere Washingtonia, che hanno la caratteristica di essere le più alte della città. Inoltre vi è un albero di canfora che si dice sia stato piantato da Gioacchino Murat in persona.
L’annesso  refettorio è chiamato  “Sala degli affreschi” perche’ internamente e’ stato completamente dipinto da Belisario  Corenzio con storie bibliche che esaltano il tema del “cibo”.
Il convento fu  soppresso durante il decennio francese e, nel 1884, chiuso al culto per diventare, nel 1891, sede della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Seconda Università degli Studi di Napoli  . Oggi ospita uno dei musei di anatomia più importanti al mondo con un patrimonio di ineguagliabile valore storico, scientifico e didattico :Il Museo Anatomico, sezione del MUSA (Complesso Museale Universitario di Scienze Mediche) della Seconda Università degli Studi di Napoli.

Sempre sulla salita di Sant’Aniello a Caponapoli ( via De Grecchio) nell’omonimo largo , si trova la chiesa di Santa Maria delle grazie a Caponapoli del 1516 disegnata da Giovan Francesco di Palma e poi restaurata nel XVIII secolo. Il suo interno e’ a navata unica con cappella ai lati .

Nell’omonimo largo , troviamo la chiesa di Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli che venne edificata nel 1412, rinnovata  1515 -35 e poi ancora rifatta  nel Settecento. A seguito della prima  restaurazione nel 1570, fu costruito anche il  suo bel portale d’ingresso, opera di Francesco Di Palma detto il Mormando.
Nonostante i saccheggi, e le tante opere che sono state ribate , la chiesa conserva comunque ancora numerose opere scultoree e pittoriche che coprono un periodo che si estende dal Cinquecento al Settecento.
Accoglie al suo interno un ricco patrimonio scultoreo, frutto della committenza di ricche famiglie napoletane che nel corso del Cinquecento commissionarono la costruzione e la decorazione delle loro cappelle. Gli artisti che vi lavorarono, noti nel panorama partenopeo, furono Annibale Caccavello, Giovanni da Nola, Giovanni Malvito e Girolamo Santacroce , Domenico Antonio, Nicola e LorenzoVaccaro.
Nella seconda metà del Settecento, divenne una importante centro segreto della Massoneria.
La chiesa venne soppressa nel 1809 e, fino al 1933, fu affidata al Complesso degli Incurabili. In seguito, per i vent’anni successivi, ne curarono gli interessi i frati originari che riuscirono a mantenerla grazie alle donazioni dei fedeli. Dopo gli anni 70 del XX secolo, però, il luogo di culto fu teatro di furti a atti di vandalismo.

Accanto a questa chiesa si trova la cappella dei S.S. Michele ed Omobono dove aveva sede l’antica Congregazione dei Sarti ( Sartori ) . Questa fu fondata dai P.P. Pisani verso il 1477 e nel 1694 i sarti i tradussero l’uso di offrire al santo patrono delle elargizioni per ogni lavoro che avesse portato loro un ” pingue lucro”.

Nel largo vi e’ anche la chiesa del V secolo di Sant’Aniello Maggiore , detta anche di Sant’Aniello a Caponapoli o Santa Maria Intercede.
La chiesa fu dedicata a Sant’Agnello, o Sant’Aniello, ex vescovo di Napoli poi proclamato santo e patrono della citta’ .
Si narra che a costruire la chiesa furono proprio gli stessi  genitori di sant’Agnello .
Pare che essi venissero continuamenta in questo luogo a pregare la Vergine Maria affinche’ concedesse loro la grazia di avere un figlio .
Avvenuta la grazia , per ringraziarla decisero poi di costruire e dedicare la chiesa a Santa Maria Intercede.
Secondo molti il santo sarebbe poi  stato sepolto proprio in questa antica chiesa .
Nella chiesa , nel suo interno troviamo quello che resta dei numerosi furti vandalici e dello stato di abbandono e di degrado  in cui ha versato per anni .
Nonostante questo troviamo ancora oggi numerosi elementi di epoca medievale, decorazioni, bassorilievi e capolavori tra cui l’’altare maggiore scolpito nel Cinquecento da Girolamo Santacroce e numerose tele di grandi pittori che hanno lavorato a Napoli : Massimo Stanzione , Battistello Caracciolo , Francesco Solimena ( La Maddalena sull’altare maggiore), e  Francesco De Mura .
Belli anche  il bassorilievo di Annibale Caccavello e Giovan Domenico D’Auria raffigurante la Vergine con le anime Purganti.

Sotto il pavimento della chiesa , protetto da una lastra di vetro si può vedere un tratto di mura a doppia cortina  delle mura greche sopravvissuto al tempo e alle successive costruzioni edilizie .

Riprendendo il nostro percorso ci immettiamo subito nel Largo Regina Coeli con alla nostra destra Via Atri ed alla nostra sinistra il vico San Gaudioso che prende il nome dal vescovo africano del V secolo ,  Settimio Celio Gaudioso , che la leggenda vuole sia stato abbandonato in mare su una nave durante la persecuzione dei Vandali insieme a San Quodvultdeo che era primate di Cartilagine.
Settimo Celio Gaudioso era nel V secolo, il vescovo di Abitine in Tunisia . Egli in seguito all’invasione dei barbari nella sua città’, rifiuto’ agli stessi di convertirsi all’arianesimo .
Il re Genserico per questo suo rifiuto decise di punirlo e imbarcarlo insieme ad altri vescovi africani senza vele e remi in balia dei venti .
L’imbarcazione per puro caso , trasportata dalla corrente giunse a Napoli , dove egli fondo’ un’ importante complesso monastico dove visse da eremita ed in cui si ritiro’ poi anche Sant’agnello fino alla sua morte.
Tre secoli dopo , il vescovo di  Napoli , Stefano II , attuo’ sul complesso monastico dei lavori di lavori di ristrutturazione e nell’occasione fece anche costruire la chiesa di San Gaudioso .
Nel convento furono sistemate le suore benedettine e successivamente quelle di Santa Maria d’Agnone che portarono nella struttura le reliquie della Madonna d’Agnone alle quali erano devote.
Nei vari restauri effettuati nel tempo vi parteciparono illustri architetti e artisti dell’epoca come Giovanni Francesco di Palma , Cosimo Fanzago , Domenico Antonio Vaccaro , Ferdinando Sanfelice ,e Mormille.
L’intera chiesa purtroppo fu distrutta da un incendio volutamente appiccato il 21 febbraio del 1799 durante i moti della repubblica partenopea . L’ incendio alla chiesa fu appiccato per stanare dei rivoltosi che in seguito ad alcuni scontri scoppiati si erano rifugiati e arroccati all’interno della chiesa dove pensavano di essere protetti in quanto luogo sacro .
L’ incendio stano’ i  ribelli ma distrusse completamente la chiesa che causo’ la perdita di numerose opere d’arte , tra cui dipinti di Battistello Caracciolo, Francesco Solimena , Francesco De Mura, e Luca Giordano .
Le suore riuscirono a salvare soltanto alcune reliquie di santi tra cui quella di San Gaudioso ed il sangue di Santo Stefano che furono portate nel vicino convento di Sant’Andrea delle Dame .
Il monastero ebbe invece la fortuna di salvarsi, ma non aveva fatto i conti ancora con lo scempio poi avvenuto della nostra classe politica che decise di costruirvi al suo posto una struttura Universitaria.
Il monastero infatti divenne inizialmente sede prima dell’Osservatorio Astronomico  poi dell’Osservatorio di Marina e infine sede clinica universitaria.
Ma ai nostri universitari non bastava e nel  1920 il monastero fu demolito per realizzare delle nuove strutture universitarie.
A testimonianza dello scempio operato rimangono oggi visibili dell’antica struttura l’arco e la scala d’ingresso di Cosimo Fanzago, il muro perimetrale, il portale della chiesa in piperno e poche tracce del chiostro.

Nella vicina Via Atri possiamo ammirare il magnifico palazzo Filangieri d’Arianello eretto nel XVI secolo, in chiave barocca che fu abitato nel Seicento dai D’Aponte, conti di Flumeri, e nel Settecento dai Filangieri, principi di Arianello, una delle più importanti famiglie del Regno di Napoli.
In questo palazzo  nacque Gaetano Filangieri e dimorarono Wolfgang Goethe, Benedetto Croce ed il matematico Nicola Trudi.

Il vicino  largo ” Arianiello ” era detto popolarmente ” dà menesta ” ( dal mercato di verdure che qui’ si teneva
Il nome ‘ Atri ‘ della  via , deriva dalla famiglia degli Acquaviva , duca di Atri , il cui palazzo del 500 al numero 37 , fu luogo di letterati ed artisti : il suo interno appare molto originale con una scalinata a gradini molto bassi per permettere ai cavalli di salire ad abbeverarsi fino al terzo piano .

Il Largo Regina Coeli  ( anticamente chiamato Capo de Trio ) prende il nome dal monastero e dalla chiesa di Regina Coeli oggi presente.
Il complesso fu costruito dalle canonichesse Lateranensi il cui ordine fu fondato da alcune nobili Dame che avevano fatto parte della corte di Isabelle D’Aragona .
Le monache dopo aver abbandonato nel 1560 il loro originario monastero di vico Carboni, decisero di trasferirsi nel palazzo, un tempo del duca di Montalto, che si trovava, con il suo vasto giardino, nella piazza che come abbiamo detto era anticamente chiamata Capo de Trio.
Le suore ebbero in dono il palazzo dalla marchesa Vasto Maria d’Aragona ed i giardini dal nipote marchese di Montalto.
Queste monache erano le predilette dal Vaticano e indossavano un abito bianco con rocchetta e zona nera . Erano suore particolari  perche’ pur mostrando di osservare le regole agostiniane , vivevano con i loro agi e le loro comodita’.
Le loro celle erano veri e propri appartamenti di lusso con mobili di pregio , oggetti preziosi e fine argenteria che poi alla morte delle suore venivano in parte venduti a favore della comunita’. Le converse a loro affidate erano delle vere e proprie serve al servizio di queste aristocratiche suore.
In questo convento furono a volte rinchiuse delle Dame per volere del Pontefice e del re per sottrarle a diffusi pettegolezzi , vita sregolata , rifiuti matrimoniali o solo per punirle di non aver ubbidito ad ordini supremi
Nel 1807 con la venuta dei francesi l’ordine delle Canonichesse venne soppresso e sostituito con quello francese delle suore della Carita’di San Vincenzo de’ Paoli fondato da
Giovanna Antida Thouret,  che chiamata dal re Gioacchino Murat in persona , occupo ‘ dal 1810 insieme alle sue suore il complesso monastico.
La fondatrice , si trasferi’ nella nostra città’ e decise di rimane per sempre nel convento dove poi mori e fu sepolta . I suoi resti mortali sono attualmente custoditi nella chiesa  dentro un’urna di marmo .

La Chiesa fu realizzata nel XVI secolo dall’architetto Giovan Francesco de Palma, detto il Mormando e rappresenta uno dei maggiori esempi dell’arte rinascimentale e barocca del nostro centro storico.
La bella facciata con ampia scalinata a doppia rampa , ha un elegante portico a tre arcate
L’interno della chiesa a navata unica con cappelle laterali custodisce al  suo interno  opere che rappresentano tutte le epoche della cultura artistica a Napoli, dagli artisti attivi alla fine del ‘500, fino ad incontrare importanti esempi dell’arte del Seicento napoletano, con un magnifico soffitto ligneo dipinto con oro zecchino che mostra tre importanti tele di Massimo Stanzione , vari dipinti di Luca Giordano e tele di Micco Spadaro .
Di particolare interesse un’importante tela di Antonio de Dominici raffigurante la Resurrezione di Lazzaro.
Il Complesso Monastico venne realizzato agli inizi del XVII secolo su disegno dell’architetto Antonio Picchiatti mentre il Chiostro, annesso alla Chiesa, è un vero giardino all’inglese, ben curato, con particolare attenzione alla vegetazione esistente: Palme antiche, siepi ben curate e varie piante della macchia mediterranea. Sembra di stare in altro mondo e non nella caotica città di Napoli. E’ proprio un’oasi di tranquillità dove puoi fuggire dalle preoccupazioni quotidiane della vita.

Di fronte alla chiesa di Regina Coeli vi e’ il Palazzo Bonifacio dove abito’ la Carmosina , cioe’ la bella amata donna di Jacopo Sannazzaro che al suo ritorno dalla Francia egli trovo’a morta e a cui dedico un famoso epitaffio.

 

 

Dal largo Regina Coeli inizia la strada Pisanelli , anticamente detta de’ Tori dal nome di un’a antica nobile famiglia poi rimpiazzata per potenza e magnificenza dalla famiglia Pisanelli. Si tratta di una stretta strada che oggi purtroppo versa in uno strato di triste abbandono nonostante la presenza di portali Durazzeschi o barocchi che di tanto in tanto si affacciano su di essa.
Passati sotto l’arco di Regina Coeli, troviamo sulla destra il bel palazzo Pisanelli dalla facciata barocca  con una edicola del 700 nel suo cortile ed una bella scala del 400 , nel cui ballatoio  si trova un affresco datato 1656 che pare sia un ex voto di un tale scampato all’epidemia di peste che in quegli anni affliggeva la città’.

Quasi di fronte al Palazzo Pisanelli troviamo il monastero delle Trentatre’, cosi’ detto perché questo era il numero delle suore che insieme a Maria Longo , tutte dell’ordine delle Cappuccinelle  all’epoca fondarono l’intero complesso.
L’ordine di clausura così voluto poteva ospitare un limite massimo di 33 monache ( numero riferito agli anni  vissuti da Cristo).
Esso venne costruito nel XIV secolo grazie all’operato della nobildonna catalana Maria Laurenzia Longo , che, arrivata a Napoli nel 1506, fondò prima l’Ospedale degli Incurabili e poi il monastero di clausura delle Monache clarisse cappuccine .
Maria Laurenzia Longo era una gentildonna spagnola , originaria della Catalogna che per ragioni di stato venne a Napoli nel 1506 con il marito Giovanni Lonc ( italianizzato in Longo ) , un giurista al seguito di Ferdinando II d’Aragona .
Nonostante ella fosse affetta da una paralisi insortagli qualche anno prima , volle ugualmente seguire il marito a Napoli .
Quattro anni dopo , il re Ferdinando dopo aver insediato il viceré’ , rientro’ in Catalogna e con lui il suo dignitario Giovanni Long ma Maria rimase temporaneamente a Napoli con i figli. Poco tempo dopo giunse ad essa la notizia della morte del marito e lei sola e gravemente compromessa nella sua attivita’ motoria con tre figli disperata si reco’ in pellegrinaggio al santuario di Loreto (in provincia di Ancona) per chiedere la grazia al suo male. . Nel pregare fece voto che se fosse stata guarita si sarebbe dedicata per  il resto della sua vita ad assistere e curare gli infermi . Le preghiere della donna furono ascoltate : ritorno’ a Napoli camminando sulle sue gambe e inizio’ il suo apostolato in vari ospedali cittadini immediatamente seguita da alcune sue amiche ed in particolare la duchessa di Termoli , Maria Ayerba , moglie di Andrea di Capua.
Gli ospedali in quel tempo erano poche e l’unico degno di questo nome era quello di San Nicola. Qui Maria Longo conobbe il caritevole gentiluomo genovese Ettore Vernazza che avendo conosciuto personalmente a Roma San Gaetano da Thiene era stato da lui invogliato a fondare un ospedale nel quale si a esse cura degli ammalati del ” mal francese” come allora era chiamata la sifilide che la scienza di quel tempo riteneva” incurabile”.
Maria si entusiasmo’ dell’idea e incomincio’ con tutte le dame al seguito a raccogliere fondi chiedendo la carita” per le strade tra il popolo ma anche tra i nobili .
Acquisto’ , attingendo dal suo patrimonio , alcune case con giardino che si trovavano nella zona di Sant’ Aniello , considerata la piu’ salubre della citta’ , e una volta ottenuta la bolla pontificia  inizio la costruzione di un ospedale che assunse il nome di Santa Maria del popolo degli incurabili e della annessa chiesa di Santa Maria del Popolo , che fu poi sede della Confraternita dei Bianchi.
Il sorgere di questo ospedale provoco’ un risveglio generale delle coscienze e del senso religioso che porto’ ad un fiorire di opere pie intorno all’Ospedale .
Furono costruiti un ricovero di donne ‘ pentite ‘trasformato poi nel monastero delle Riformate ( oggi una autorimessa ) e l’oratorio di Santa Maria della Stalletta  cosi’ chiamato perché costruito ad imitazione della grotta di Betlemme.

Sempre infaticabile , fece poi costruire un secondo convento per le religiose dedite alla vita claustrale e infine fondo’ l’ ordine di suore che chiamo’ delle trentatre’ , perche’ il numero delle suore non poteva essere superiore a 33 ( a Napoli le chiamano le suore cappuccinelle ) dove passo’ anche gli ultimi anni della sua vita colpita nuovamente da paralisi.

Il monastero che fu chiamato di Santa Maria di Gerusalemme si caratterizza per un arredo semplice ed umile, il cui mobilio essenziale è nella povertà e nel calore del legno; affreschi e dipinti di notevole bellezza incorniciano la vita monastica da oltre cinquecento anni, e sono gli unici «inquilini» che tengono buona compagnia alle simpatiche suore che ogni anno nel periodo natalizio abitualmente espongono per consolidata tradizione dal 1700 , dei «bambinelli in cera» ,  frutto del loro puntiglioso lavoro artigianale .
L’ex refettorio monastico, trasferito in questo luogo  106 anni fa dagli Ospedali Riuniti , e’ molto bello e  di notevole pregio rappresentando uno dei capolavri dell’arte monastica di tutti i tempi.
La vicina chiesa seicentesca presenta delle semplici decorazioni in stucco risalenti al XVII secolo. Le opere pittoriche in essa conservate, invece, sono gli affreschi raffiguranti Santa Chiara che scaccia i Sareceni e Sant’Antonio con la Vergine, la Cena di Emmaus di Giuseppe Bonito, la Presentazione di Gesù al Tempio di Teodoro d’Errico e una copia seicentesca del dipinto raffigurante la Madonna della Purità.

Il monastero confina con il quadrivio formato da Via Pisanelli , Via San Paolo , Via Armanni e l’Anticaglia.
La via Luciano Armanni , dal nome di un famoso medico napoletano , conduce all’Ospedale degli incurabili e alla sua bellissima farmacia .

Via Armanni un tempo era chiamata via Santa Patrizia perchè dove oggi ha sede l’Istituto Universitario di Anatomia , vi era un tempo il Monastero di Santa Patrizia con annessa chiesa dei S.S. Nicandro e Marciano
In questo monastero secondo alcuni vi era il famoso pozzo di Santa Patrizia , costituito da una lunga cisterna nella quale passava l’acqua che dal Serino giungeva fino a Miseno e attraverso il quale prima Belisario e succesivamente Alfonso d’Aragona entrarono con le loro truppe a sorpresa oltre le alte e inespugnabili mura della città’ riuscendo nell’impresa di aprire la porta di Santa Sofia ai loro compagni e conquistare Napoli.
La profondita’ di questo vasca diede origine a quel famoso detto napoletano < me pare o puzzo e Santa Patrizia > per intendere un posto in cui se si perde qualcosa non si  riesce facilmente a ritrovarla.

Ritornati al quadrivio , notiamo sulla destra la piccola chiesetta di Santa Maria della Vittoria ( chiamata anche della S.S. Trinita’ ) che appartenne alla congregazione dei bottegai e dei venditori di grano e l’inizio della via Anticaglia , cosi’ chiamata grazie alla presenza di numerosi resti di costruzioni romane e resa caratteristica da due archi  poco distanti uno dall’altro che cavalcano la stretta via poco dopo il Vico Cinquesanti  rappresentanti  i resti delle mura delimitanti l’antico Teatro Romano che qui si trovava .
Nel Medioevo questa strada pare che fosse lastricata in marmo , tanto da essere chiamata la via” marmolata” e costituiva un’a delle piu’ illustri e meglio abitate via della città’. Era chiamata anche Somma Piazza o Pozzo bianco .

Via San Paolo , invece ,che come vediamo continua verso il basso con via Armani , pare fossa la strada del teatro .

Nel tratto di strada , dietro il Tempio dei Dioscuri vi erano ben due teatri , uno scoperto ed uno più piccolo vicino ai quali sorgeva un edificio termale dove pare il folle Nerone si reco’ per pranzare interrompendo una sua famosa recita.

Nel teatro scoperto potevano sedere molte migliaia di spettatori ( circa 6000) , essendo lungo oltre cento metri e si rappresentavano drammi satirici , tragedie e commedie.
Accanto ad esso era situato l’ Odeon , il teatro coperto , di dimensioni piu’ridotte dove si svolgevano la maggior parte dei spettacoli per evitare la dispersione di voci e suoni .

Tra i protagonisti dei teatri napoletani e’ rimasto nella storia l’ Imperatore Nerone : questi , appassionato di canto, era convinto di avere una bellissima voce e una tecnica di canto di fine bellezza da voler esibirsi pubblicamente .
L’ imperatore reputava il popolo romano inadeguato per poter apprezzare le sue doti.( in realta’ non voleva esporsi troppo in Roma ) e così volle partire per la Grecia ed esibirsi davanti a un pubblico più raffinato.
Passando per Napoli, (di dominazione greca ) ,tornando dalla Grecia come vincitore dei giochi olimpici , entro’ in citta’ accolto molto festosamente da tutta la popolazione e volle fermarsi ed esibirsi a teatro dove ebbe grande successo , inaugurando cosi’ la prima di una lunga serie di rappresentazioni.
Egli a Napoli porto’ in scena grandi spettacoli musicali con grande successo , mobilitando grandi folle da tutta la Campania e allestendo rappresentazioni particolarmente ricche , fastose e di grande effetto scenografico , con la partecipazioni di un pubblico di giovanetti finemente adornato ( giovinetti romani che portava sempre con se’ ) e di un folto gruppo di Alessandrini del Seggio del Nilo , che rispondevano con dei cori e degli applausi caratteristici , muniti di strumenti rudimentali . ( una vera e propria claque)
Nessun spettatore poteva lasciare il teatro prima della fine dello spettacoli per cui erano costretti ad assistere alla performance dell” imperatore che talvolta sul palcoscenico instancabile,nei momenti di pausa mangiava pubblicamente dinanzi alla folla costretta ad osservare.
Fu tale la vanita’ dell’ imperatore che volle addirittura esibirsi nel teatro scoperto , inadatto per la sua grandezza ; egli nonostante le difficolta’ riscosse comunque un grande successo grazie anche ad un pubblico accondiscendente ( quando si esibì Nerone quasi tutti erano schiavi portati da Roma a Napoli per applaudirgli…) che volle accoglierlo al suo ritorno a Napoli con gli onori dedicati soltanto agli eroi dei giochi sacri di antica grava memoria , cioe’ sopra un carro tirato da cavalli bianchi
Durante una sua manifestazione canora, la città fu attraversata da una scossa di terremoto. Nerone per calmare il pubblico affermò che gli dei, affascinati da cotale bravura, gli applaudivano estasiati ….

Per accedere all’antico teatro bisogna recarsi in un classico vascio  presente al piano terra in vico Cinquesanti  dove sotto al letto di casa si trova una botola che separa la piccola abitazione dai resti dell’antico teatro.

Subito dopo il secondo arco troviamo il Palazzo detto di Nerone , non perchè appartenuto  a Nerone ma perche’ dal suo giardino sono visibili murazioni in opus reticulumche che facevano parte del teatro . Il palazzo che oggi versa in condizioni deplorevoli , come tutta la strada , appartenne al duca Artiaco. La leggenda vuole che nelle fondamenta del palazzo spuntassero cuniculi infinti che conducevano fino a Pozzuoli e addirittura a Roma.

Un altro edificio che oramai abbandonato versa in cattive condizioni in vico Cinquesanti è quello della chiesa della Scorziata così chiamata insieme all’annesso convento dal nome della sua fondatrice Giovanna Scorziata . La chiesa oggi è completamente nuda e privata di ogni suo arredo che sono andati in questi anni rubati .  Ladri, vandali, teppisti incendiari e delinquenti di varia natura hanno compiuto ai danni della chiesa negli ultimi 40 anni razzie di ogni tipo portando via oggetti di pregio e capolavori d’arte .

L’intero complesso nacque con l’ intento di prendersi cura  di giovani ragazze nobili da educare e predisporre al matrimonio o alla monacazione ma anche con lo scopo di avviare progetti di opere caritevoli per fanciulle abbandonate .

 

La chiesa, oramai chiusa a causa dei danni del terremoto dopo essere stata abbandonata per anni dalle nostre istituzioni è stata prima depredata dai ladri nel 1993, per portare via quanto più di prezioso vi era e poi ridotta nel suo interno  ad un cumulo di macerie da un incendio. Ultimamente sono crollate numerose travi del suo soffitto e alcuni mesi fa è stato addirittura rubato  persino il suo pavimento .

Se lasciamo alla nostra destra il vico Cinquesanti , incrociamo sulla sinistra il vico Limoncello ( per qualche albero di limone presente) anticamente chiamato ” degli spoglia morti “perche’ vi aveva sede una congrega di ebrei , poi trasferitasi nella Giudecca Vecchia , che vendeva le spoglie dei defunti . Nel secolo successivo fu chiamata ” vicus Iudeorum “.
Sulla sinistra troviamo un’altra piccola strada  , quella di San Giovanni  a Porta , nella quale pare si trovasse una chiesa dedicata al santo , poi spostata . Secondo altri pare invece che essa abbia questo nome solo per commemorare il martirio di San Giovanni che sarebbe stato calato nell’olio bollente presso la Porta Latina.
Ancora a destra troviamo il vico Giganti , dove una volta si trovava una chiesetta dedicata a Sant’Anna ( primo oratorio dei Gesuiti giunti a Napoli ) .
Il nome  del vico deriva dalla presenza  che un tempo vi era , nel cortile di un palazzo , di una gigantesca statua . Prima si chiamava invece vivo Squarciafico e Verticelli ( per la vicina cappella di Santa Maria Vertecoeli ).

Proseguiamo il nostro percorso e giungiamo nel largo Avellino , parte integrante del vicino palazzo Caracciolo dei Principi di Avellino , dove per 4 anni da piccolo vi abito’ Torquato Tasso con la madre Porzia de Rossi.
Il bel palazzo era stato allargato dal Principe di Avellino facendo  abbattere il vicino convento di San Potito e reso splendido dotandolo di magnifici saloni decorati dai migliori artisti del tempo .
Era presente in questo edificio una ricca Pinacoteca con opere di Tiziano, Ribera, Salvator Rosa e Andrea Vaccaro .

Superato il largo ed il palazzo ‘ la strada prende per un breve tratto il nome di San Giuseppe dei Ruffo , interersecato ad un certo punto dal vico San Petrillo , dove un tempo di trovava una piccola cappellino dedicata a San Pietro ( vezzeggiativo = Petrillo ) appartenente alla congregazione dei fabbricatori dei tagliamonti e dei pipernieri .
Sulla destra troviamo il vico dei Girolamini perche’inizia dalla chiesa omonima.

Proseguendo giungiamo in largo San Giuseppe dei Ruffo , dal nome della chiesa che troviamo sulla nostra destra . Questo largo in passato era anche chiamato ” Pozzobianco “per la presenza appunto di in Pozzo ricoperto con marmi bianchi con sopra scolpite delle sanguisughe , opera secondo molti del mago Virgilio . Egli fu pregato dal popolo di provvedere al fatto che le sanguisughe entrassero nelle condutture di acqua .

Il pozzo precedentemente era chiamato del Gurgite e solo successivamente grazie a Boccaccio venne soprannominato Pozzobianco . Il poeta raccontò della sua esistenza definendolo appunto ” pozzobianco “nel suo Decamerone ( nella novella di “Andreuccio da Perugia”) .

Secondo un’altra leggenda successivamente sempre grazie alle sanguisughe egli avrebbe interrotto  una terribile pestilenza che si era diffusa in città .Il poeta-mago sempre supplicato dal popolo pare che di conseguenza avesse creato una sanguisuga d’oro che, gettata nel pozzo, con il suo potere purificatore, avrebbe succhiato i liquidi infetti del pozzo salvando tutta la popolazione.

La chiesa fu costruita insieme al convento dalle sorelle Ruffo di Bagnara sulle mura del Palazzo Arcella , avendo ottenuto  dal papa il permesso di poter riunire donne devote  a San Giuseppe per vivere in clausura sotto la regola di Sant’Agostino .
Successivamente per il gran numero di persone accorse dovettero nel 1682 ingrandire la chiesa ed il convinto ma dopo meno due secoli , ridotte a meno di 10, abbandonarono il monastero  per unirsi alle consorelle della Croce di Lucca.
Il complesso passo’ allora all’ordine delle suore Sacramentine , fondato per adorare il Sacramento h24 , continuamente , senza mai smettere con veri e propri turni tra le suore .
Le suore anche chiamate ” adoratrici Perpetue” affidarono  i lavori di rifacimento della struttura al noto architetto dell’epoca Dionisio Lazzari che provvide a ricostruirla  quasi completamente , tranne la facciata a portico  ( il cui atrio coperto è raggiungibile attraverso una doppia rampa di scale  ) che fu invece realizzata in stile barocco da Arcangelo Guglielmelli  ( discepolo del  Lazzari ) che alla morte di Dionisio Lazzari , lo sostituì nei lavori.
Successivamente in seguito ai  danni  avvenuti per un terremoto fu chiamato a rinforzare la struttura  Nicola Tagliacozzi Canale che poi, provvide anche a decorare l’interno della chiesa con preziosi marmi .
L’interno della chiesa  è ricco di opere d’arte e sontuose decorazioni di stucchi e ori che contribuiscono a rendere unica questa chiesa con la sua suggestiva luce.
L’interno è a croce latina con un’ unica navata con volta a botte  e cappelle laterali .
L’altare maggiore venne realizzato da Matteo Bottiglieri, ed In esso possiamo ammirare il bellissimo dipinto della “Santissima trinità con Santi “di Luca Giordano .
L’altare del transetto destro mostra una bella “Sacra Famiglia ” di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio .
Quello sinistro invece mostra un altare dei fratelli Ghetti su disegno del Vinaccia con statue di Giuseppe Sammartino e dei fratelli Ghetti raffigurante i santi Pietro e Paolo ed una tela di Luca Giordano .
La cupola fu invece affrescata da Francesco De Mura con la bella rappresentazione del “Trionfo di San Giuseppe “.
In una delle cappelle di sinistra è conservata la Crocifissione di Giacinto Diano mentre merita di essere ammirata la cappella sacra a Sant’Agostino, iniziata dal Lazzari e terminata dal suo allievo Giandomenico Vinaccia .
Belli anche i due chiostri annessi alla chiesa  progettati e ideati da Dioniso Lazzari. Il chiostro maggiore è composto da pilastri e archi a sesto acuto, mentre quello minore ha pianta quadrata ed è circondato da cinque arcate. I chiostri pero’non sono visitabili, poiché l’ordine monastico (  “Suore Sacramentine”) che ancora vi risiede è di clausura.
Nella realizzazione dell’ultimo tratto di  via duomo, nell’ottocento , un lato del chiostro grande venne sacrificato e, quindi, distrutto.
Stessa analoga sorte tocco’  anche alla chiesa di San Giorgio Maggiore ai Mannesi poche centinaia di metri più a sud.
Questa chiesa è anche divenuta famosa per gli episodi legati ad una lite delle monache di Donnaregina Vecchia venute a contenzioso nel 1674 con le monache di San Giuseppe.

Superata via Duomo la strada porta nel Largo Donnaregina , cosi’ chiamato per le sue due chiese ed il convento . Questo posto un tempo era considerato un piccolo monte poiche’ era visibilmente molto piu’ alto dei terreni circostanti ed apparteneva ad una certa Donna Reina . L’intero luogo era pertanto chiamato  ” Monte di Donna Reina ” .
L’intero complesso in origine occupo’ interamente  questa intera grande insula della vecchia citta’ greco-romana che appariva piu’  elevato rispetto ai terreni circostanti .
Il monastero e la chiesa qui sorte di conseguenza furono subito chiamate  dal 1006 di Santa Maria Donna Reina ( regina ) . La chiesa pero’ inizialmente era  dedicata a San Pietro e le monache  di questo  monastero di San Pietro del Monte di Donna Regina appartenevano all’ordine delle suore basiliane e tali rimasero fino all’inizio del IX secolo quando divennero benedettine e mutarono il nome dell’intero complesso  in quello di Santa Maria.
Nel corso del secolo XIII passo poi dalle  regole benedettine a quella francescana che vivevano secondo la Regola delle Clarisse .
Sotto Carlo d’Angio il monastero fu adibito a prigione per i nobili avversi alla casa regnante
Anni dopo, a causa dei gravi danni subiti nel terremoto del 1293, la regina Maria d’Ungheria, moglie di Carlo II ( molto vicina alle clarisse ) , decise la  ricostruzione della chiesa in stile gotico, donando all’ordine gioielli e rendite provenienti dalla vendita di vino greco prodotto nei possedimenti reali di Somma .
La regina fu molto legata a questa chiesa e alle clarisse che vi dimoravano al punto che alla sua morte , il monastero venne ricordato nel testamento tra gli eredi principali della sovrana.
La regina decise pure che alla sua morte, che avvenne nel 1323, fosse sepolta nella chiesa e dispose che il suo sepolcro, realizzato dallo scultore senese Tino di Camaino e da Gagliardo Primario, fosse posto in questo luogo sacro . Oggi possiamo ancora ammirare il celebre monumento  , considerato una tra le opere più importanti di Tino di Camaino , collocato sulla parete sinistra della navata della chiesa.
Un magnifico monumento, con un baldacchino gotico in cui  la regina distesa su un sarcofago retto da virtù presenta i suoi figli sotto archetti .
La chiesa, così come la vediamo oggi, (su largo Donnaregina ,di fronte al palazzo Arcivecovile ) è il frutto del restauro operato tra il 1928 e il 1934, dagli imponenti lavori operati da Gino Chierici con l’ intento di ripristinare l’ antico aspetto della chiesa trecentesca; Un restauro che se ci ha restituito uno dei più affascinanti monumenti gotici della città, ha di fatto operato la separazione in due strutture, la chiesa “vecchia” e quella “nuova”, che storicamente non ha mai avuto motivo d’esistere. Infatti la chiesa nuova nasce inglobando le strutture della chiesa vecchia, come è accaduto spesso in molti complessi conventuali di grandi dimensioni.
Si tratta quindi , in realta’ di due chiese addossate e intitolate a Santa Maria Donnaregina: la vecchia (gotica) e la nuova (barocca), che appaiono unite per le absidi tra le quali un tempo si apriva un percorso oggi non piu’esistente .

La chiesa vecchia trecentesca e’ divisa in tre navate da colonne ottagonali  con profonde cappelle laterali ed e’ coperta dal soffitto ligneo cassettonato, ornato al centro con un rilievo raffigurante la Incoronazione della Vergine, opera di Pietro Belverte, databile ai primi del ‘500.
Nel suo interno  e’ conservato il più’ grande ed uno dei piu’importanti cicli di affreschi del XIV secolo a Napoli; Di fronte al monumento funebre si apre la cappella Loffredo con preziosi affreschi trecenteschi .
Il suo coro delle Clarisse è decorato con il più vasto ciclo di affreschi trecenteschi oggi superstite a Napoli,( attribuito alla scuola di Pietro Cavallini ) gravemente alterato nella cromia per i danni causati da un incendio nel 1390 causato da  un fulmine che colpì la chiesa provocando un grave incendio e distrusse il tetto.

Nel XVI secolo fu aggiunto un nuovo chiostro e nel XVII venne costruita una seconda chiesa chiamata Donnaregina Nuova , in origine accessibile direttamente da quella più’ antica tramite ambienti nei piani superiori degli spazi absidali , riservati alle monache e quindi alla zona di clausura . I due edifici che inizialmente comunicavano tra di loro , furono poi divisi in seguito ai lavori di restauro del 1928-34. L’ampliamento di Via Duomo nel 1860 richiese l’ abbattimento di una parte del complesso conventuale . Il convento venne poi soppresso nel 1861 e la chiesa passo’ al comune di Napoli  che nell’allora figura del sindaco Labriola penso ‘ bene di destinarla a deposito di spazzini .
La cosa suscito’ grande reazione nel mondo intellettuale napoletano e solo grazie alle sue dimostranze si riuscì a far fare marcia indietro ad un consiglio comunale tanto … colto.
Vi fu in seguito  aperto tra il 1892 ed il 1902 il Museo della Citta’ e dal 1899 ospito’ la sede dell’ Accademia Pontaniana .

La facciata seicentesca della chiesa di Santa Maria di Donnaregina che prospetta sulla piazza mostra una scenografica scalinata del XVIII secolo che conduce all’ingresso della
chiesa .
Nel suo interno , a navata unica , nella volta si possono ammirare affreschi di francesco De Benedectis , nella cupola gli affreschi raffiguranti il Paradiso di Agostono Beltrani e ai lati dell’altare maggiore ,due grandi dipinti di Luca Giordano ( le nozze di Cana e la moltiplicazione dei pani e dei pesci ) considerate le sue ultime opere.
L’altare maggiore e’ opera di Giovanni Ragozzino e Giovanni di Filippo . Il bel polittico del 500 e’ di autore ignoto.  Alla parete destra troviamo una Madonna di Paolo De Matteis  mentre verso l’abside si trova un affresco del Solimena .
Dispute legali accompagnarono i lavori di ampliamento e ristrutturazione funzionale del complesso, con l’arcivescovo per l’ampliamento della piazza e con le suore Agostiniane del vicino convento di San Giuseppe dei Ruffi per la costruzione di un nuovo campanile in sostituzione del vecchio.
La costruzione venne iniziata nel 1681, ma le suore di San Giuseppe dei Ruffi fecero ricorso ai tribunali competenti ottenendo ragione e costringendo le Clarisse a rinunciare al progetto.
Nel febbraio del 1861 il monastero venne soppresso e le Clarisse furono costrette a trasferirsi nei monasteri di Santa Chiara e di Santa Maria Donnalbina.
All’ interno della chiesa ha sede IL MUSEO DIOCESANO di Napoli che presenta una ricca collezione di arte sacra .

Di fronte a questa chiesa , sul lato destro della Piazza troviamo l’antico  Palazzo rinascimentale Arcivescovile con il suo bellissimo portale durazzesco del 400. Esso fu fatto costruire dal cardinale Enrico Minutolo e successivamente ingrandito e restaurato dai cardinali Carafa e Filomarino che oltre a far decorare i propri appartamenti provvidero a costruire degli ambienti destinati a carceri per ecclesiastici .

La piazza, tra le poche esistenti nel nucleo più antico del centro storico di Napoli, deve la sua origine proprio alla costruzione della chiesa; le Clarisse infatti, decisa la costruzione di un tempio più ampio e moderno, demolirono gli edifici acquisiti per l’occasione lasciando, tra l’antica strada e la facciata della chiesa, uno spazio libero che in seguito fu ampliato dal cardinale Ascanio Filomarino nell’ambito dei lavori di ammodernamento del Palazzo arcivescovile.

A sinistra incrociamo il Sedil Capuano ,così denominato in quanto sede dell’antico sedile noto perche essere il piu’ prepotente di tutti . Rifiuto’ infatti di collaborare con i francesi e con gli stessi Borboni reclamando con i suoi Lazzari ed i suoi capi camorra continuamente una propria indipendenza per gli affari politici e militari .
Al  suo ritorno sul trono Ferdinando IV punì severamente i vari facinorosi della zona ( camorristi ) effettuando una violenta rappresaglia in tutta la zona in cui ando’ completamente distrutto anche il bel palazzo dei Manocchi che inizialmente dava il nome al Vico .

A sinistra troviamo il Vico Grotte della Marra che fu cosi’ chiamato per la presenza sotto al palazzo di Giacomo della Marra di un’enorme grotta secondo molti collegata al pozzo di Santa Sofia .
A destra invece  incontriamo il vico di Santa Maria di Vertecoeli  ( dal nome della chiesetta )  e superato il vico Pietro Trinchera , giungiamo nel Largo S.S. Apostoli dei padri Teatini sul quale si erge l’omonima chiesa .
In questo luogo secondo alcuni storici sorgeva anticamente un Tempio dedicato a Giove , ( secondo altri a  Mercurio o  Nettuno )  e sulle sue rovine fu edificata dal vescovo Sotero nel V secolo , una  prima chiesa data poi  ai padri Teatini di San Gaetano che creo’ all’epoca  una risentita reazione da parte dei Gesuiti che avevano espresso desiderio di poterla avere.
I gesuiti non riuscirono ad ottenerla per la decisa opposizione del marchese Vico il quale addirittura si fece carico di ingenti spese per ingrandirla chiedendo aiuto corrisposto anche a altre note famiglie nobiliari .
I lavori della chiesa dei S.S, Apostoli ,furono affidati all’architetto teatino Grancesco Grimaldi considerato a ragione uno dei migliori architetti del tempo che fu ben lieto di lavorare per una chiesa del suo ordine .
Il suo bel campanile fu invece realizzato nel seicento da Bartolomeo Picchiatti
La cosa strana di questa chiesa rimasto mistero ancora oggi inspiegabile risulta essere la sua spoglia facciata che non fu mai adornata e di cui non abbiamo mai saputo il motivo.

Nel suo interno furono chiamati a lavorare i migliori artisti  dell’epoca quali  oltre a Francesco Grimaldi, gente come  Ferdinando Sanfelice, Bartolomeo Picchiatti, Francesco Borromini, Luca Giordano e Francesco Solimena. Si trovano all’interno affreschi di Giovanni Lanfranco,  di Francesco Solimena , di Viviano Codazzi  , di Giovanni Lanfranco di Luca Giordano ,  l’Altare Filomarino disegnato da Francesco Borromini , l’altare Pignatelli ,  la Tomba del letterato Giovan Battista Marino,  e non ultimo la tomba di Vincenzo Ippolito, opera di Giuseppe Sanmartino.
È una splendida Chiesa barocca a pianta a croce latina a navata unica con quattro cappelle per lato comunicanti tra loro che  racchiudono una vera e propria pinacoteca del XVII e XVIII secolo dove possiamo trovare dipinti di vari artisti come Nicola Malinconico, Paolo De Matteis, Francesco De Mura, e Agostino Beltrano .
Il bel pavimento del 600 costituito da  mattoni e strisce di marmo e’ opera di Francesco Viola.
Ai lati del transetto vi sono due altari, quello a sinistra, in marmo bianco fu progettato da Francesco Borromini.
La copertura della navata centrale è realizzata con una volta a botte affrescata da Giovanni Lanfranco.
La maestosa cupola presenta decorazioni in stucco di Dionisio Lazzari ,un affresco raffigurante il Paradiso di Giovan Battista Benaschi ed un ciclo di affreschi di Francesco Solimena.
Negli archi delle otto cappelle sono inserite sedici tele di Francesco Solimena. La controfacciata è mirabilmente affrescata con la scena della Piscina dei Probati, opera del pittore Giovanni Lanfranco.
Nel transetto destro troviamo il Cappellone dell’Immacolata, progettato da Ferdinando Sanfelice .Al suo interno è custodito l’altare Filomarino in marmo bianco , opera dell’architetto  Francesco Borromini, cominciato a Roma nel 1638 e terminato a Napoli nove anni dopo. L’altare fu commissionata dal Cardinale Ascanio Filomarino e ad essa lavorarono diversi artisti maestranze romane (sculture di Andrea Bolgi, Giuliano Finelli, François Duquesnoy) che operarono seguendo il disegno di Francesco Borromini.
Si tratta dell’unica opera del Filomarino a Napoli .
Nel presbiterio, sono sistemati seicenteschi candelabri bronzei del Bolgi e tele di Luca Giordano e del Lanfranco
Nella sagrestia restaurata da Ferdinando Sanfelice  al suo interno sono conservati affreschi di Nicola Malinconico , il coro  di Francesco Montella e un bel organo di Felice Cimmino, risalente al XVIII secolo. Inoltre, vi è anche un busto raffigurante Gennaro Filomarino . Nella  cripta troviamo affreschi  di Belisario Corenzio.

La chiesa  presenta un doppio chiostro , sempre realizzato su disegno del Grimaldi , intorno al quale si sviluppa, su due piani, la fabbrica conventuale.
Il Monastero  , che per  un periodo ospitò il grande poeta  Gianbattista Marino, una volta tolto ai teatini fu incamerato ai beni dello Stato nel XIX secolo e fu adibito prima ad archivio notarile, poi a Manifattura dei tabacchi ed ora a sede del Liceo Artistico Statale .
Durante il periodo francese l’Ordine dei Teatini fu soppresso e la chiesa fu affidata alla Congrega di Santa Maria Vertecoeli
Il convento divenne, invece per ordine di Gioacchino Murat, una caserma.
Nel 1821 , al suo ritorno Ferdinando volle affidare la chiesa ai Gesuiti ma questi offesi per non a era avuta a suo tempo , rifiutarono l’offerta del sovrano, chiedendo invece i locali di San Sebastiano che ottennero nel 1825 dopo che fu fatto sloggiare il convento di musica .
La chiesa rimase cosi’ abbandonata sono al 1872 quando dopo l’ennesimo terremoto l’arcivescovo Riario Sforza volle a sue spese restaurarla .
Nei bombardamenti del 1943 la chiesa subi’ ingenti danni che solo ultimamente sono stati riparati

Usciti dalla chiesa , una volta lasciato alla nostra destra il vico di Santa Maria ad Agnone , il nostro percorso dopo un poco giunge alla sua conclusione sfociando in Via San Giovanni a Carbonara che rappresenta il nucleo centrale dell’antichissima Campus Neapolis detto anche Campo Vecchio o Carbonara .

Nell’attuale largo di Oronzo Costa , precedentemente chiamato largo di Sant’Antonio alla Vicaria ed ancora prima largo di Santa Sofia,  esisteva un tempo una piccola abitazione  abitata da certo  sarto di nome Citiello con la sua famiglia , dove  si trovava un pozzo collegato ad un vecchio  acquedotto in disuso  . Si trattava di un antico acquedotto greco sotterraneo (detto della Bolla ) che dall’esterno passando sotto le mura, sboccava proprio nella  casa abitata dal sarto nei pressi della porta di Santa Sofia  e attraverso il cui condotto si dice entrò il bizantino Belisario nove secoli prima.

Erano i tempi in cui Alfonso d’Aragona  assediava da anni la città di Napoli nel tentativo di conquistarla  .Gli assedi  si facendosi ogni giorno più duri eppure il re aragonese non vi riusciva .Il suo esercito  rimaneva inchiodato fuori le mura di Porta Capuana e non riusciva ad andare oltre .

Renato d’Angiò lottava disperatamente contro il re aragonese a difesa del suo regno appoggiato dal popolo che si era schierato al suo fianco.Mai prima di allora la città fu così a lungo assediata e la cittadinanza decimata dalla fame. Si videro persone cibarsi di topi e senti di padri e di mariti che prostituivano le loro donne per procurarsi da mangiare e oltre alla fame c’erano rovine, per effetto dei bombardamenti in ogni parte della città.
Renato era molto amato dal popolo. Egli si recava a piedi in mezzo a loro e ne divideva i disagi ed i pericoli e sempre sorridendo anche avendo la morte nel cuore l’incoraggiava con parole di speranza ( Egli fu soprannominato ” il buono “).
Nonostante i duri assedi però la città e la popolazione resisteva; i napoletani erano fedeli al loro buon re e combattevano con orgoglio e dedizione.
La situazione dopo tanti anni ( 4 ) anche nel campo aragonese non era rosea ed i segni della stanchezza cominciavano a farsi sentire.
Solo il caso o se vogliamo un colpo di fortuna gli fece riuscire nell’impresa di conquistare la città.
Alfonso venne a conoscenza dell’esistenza di un vecchio acquedotto in disuso attraverso il cui condotto si dice entrò il bizantino Belisario nove secoli prima. Si trattava di un antico acquedotto greco sotterraneo (detto della Bolla ) che dall’esterno passando sotto le mura, sboccava in una casa nei pressi della porta di Santa Sofia.
Un giorno si presentarono al cospetto del re Alfonso due uomini ( Aniello e Roberto ) che avevano lavorato come muratori nell’acquedotto di Napoli . Questi pur di porre fine a questo lungo assedio e a tutte le conseguenze che comportavano riferirono al re della conoscenza di una parte dell’acquedotto abbandonato che sbucava dentro casa di Mastro Citiello ‘o cusetore ( il sarto ) che a sua volta si trova dentro le mura della città oltre Porta Capuana, presso Porta Santa Sofia.
Era lo stesso condotto usato da Belisario nel passato.
Il re promise una ricompensa in caso di verità e inviò subito due compagnie armate attraverso il passaggio segreto al seguito dei due muratori per sbucare poi nella casa del sarto.
Nei documenti dell’epoca risulta che ai due muratori e alla proprietaria della casa ( donna Ciccarella moglie di Mastro Citiello) fu concesso poi il pagamento di 36 ducati annui di pensione.

Accadde così che le truppe catalane  formate da 200 uomini e guidate dai due muratori entrarono  nell’acquedotto per una cisterna fuori le mura per sbucare  nel cortile di  casa Citiello , dentro le antiche mura (che oggi si trovano sepolte sotto la cortina di palazzi fra San Giovanni a Carbonara e Via Cesare Rosarrol ) riuscendo cosi’ nell’impresa di aprire la porta di Santa Sofia ai loro compagni;  nel cortile di  casa Citiello  in quel momento c’erano una vecchia con la figlia. La prima si allarmò, ma la giovane si mostrò amica. L’improvviso arrivo del figlio della vecchia però creò scompiglio, perché scappando segnalò la presenza del nemico in città.  Vedendosi scoperti i catalani fuggirono verso le mura e subito si attivarono a porre  le scale alle mura per far entrare il resto del plotone .

Renato d’Angiò informato dell’attacco raggiunse subito con un gruppo di armati la porta di Santa Sofia incalzando  gli invasori e uccidendone non pochi con la propria spada. Ma  mentre la battaglia sulle mura infuriava, accadde che i 300 genovesi abilitati alla guardia della Porta di San Gennaro, sentito dire che gli aragonesi erano entrati in città e temendoli per l’odio grande che v’era tra loro, abbandonarono la porta e si rifugiarono in Castel Nuovo.

Questa porta che oggi si trova in via Foria , non lontana da Largo delle Pigne ( mi rifiuto di chiamarla Piazza Cavour ) era un tempo situata dietro la chiesa del Gesù  ( fu spostata in questo posto nel 1573 da don Pedro de Toledo ) ed era  l’unico punto di accesso per coloro che provenivano dalla parte settentrionale della città .

Nei pressi di questa Porta di San Gennaro si trovava all’epoca un convento di monache, le quali, vista la fuga dei genovesi e avendo tra i soldati aragonesi  parenti e fratelli, segnalarono agli aragonesi che la porta era indifesa. A questo punto 400 catalani comandati da Pietro Cadorna raccolsero il segnale e attaccarono la porta  dove  un individuo dallo strano nome di Spiccicacaso gettò dalle mura loro una corda.

Aperte le porte di  di Santa Sofia e di Sa Gennaro ai loro compagni , incominciarono gli scontri con le forze angioine ed i combattimenti avvennero un po’ ovunque in città. Lo stesso Renato subito accorso, si battè alla testa dei suoi cavalieri ma soverchiato dal numero, ferito ed in procinto di essere accerchiato dovette ripiegare su Castelnuovo dove si rinchiuse con un pugno di uomini che gli erano rimasti fedeli dove potè resistere solo pochi giorni.
Egli, insieme alla guarnigione francese ed ai cavalieri napoletani che vollero seguirli appena fu possibile, s’imbarcò su due galee genovese che erano accorse sotto le mura del castello e lasciò per sempre la città.
Gli aragonesi saccheggiarono i resti di quello che rimaneva della città sotto gli occhi inerti della popolazione.

Alfonso fece edificare come voto  la chiesetta di Santa Maria Mercede , e  compenso’ sia la famiglia del cosetore , ma sopratutto le monache di Donnaregina  che lo avevano  favorito  con forti somme di danaro .

Attualmente non resta piu’ nulla della casetta e dell’antico pozzo ma neanche della vecchia chiesa a Campo Vecchio scomparse sommerse dalla nuova edilizia .Benedetto Croce cercò a lungo quel luogo e scrisse su la rivista Napoli Nobilissima < … mi sono diretto a un cosetore che ha la bottega dalla banda della chiesetta, sperando che in lui rivivesse qualcosa dell’animo di Citiello. Ma il cosetore mi ha consigliato di rivolgermi al lattonaro ch’e viceversa un giovane, m’ha assicurato che proprio la sua bottega fu quella dalla quale sbucarono i soldati di Alfonso e che nelle stanze superiori c’e ancora il pozzo di Ciccarella ……>

Ad oggi la ricerca della famosa casa resta una delle più belle cacce al tesoro presenti nella nostra città.  Tutti gli amanti della città si sono prima o poi cimentati in quest’impresa .  A voi la caccia del famoso luogo……

Ci troviamo nel luogo dove un tempo esisteva la Porta Santa Sofia ( ancora prima Porta Pusteria ) o anche chiamata Porta Carbonara che rappresentava  un antico accesso alla città  posta alla fine del decumano superiore .Inizialmente essa  era situata molto più interna, e collocata  dove oggi c’è il palazzo Arcivescovile in largo Donnaregina; sotto l’imperatore Costantino la si portò presso la chiesa di Santa Sofia di fronte al carbonarius o carbonetum.

La porta fu abbattuta nel 1537, quando il vicere Don Perdo de Toledo  promosse l’allargamento delle mura ad occidente. Si costruì poi un ponte per superare il fossato. Questo ponte dà il nome alla zona: Pontenuovo.

Superata idealmente l’antica Porta di Santa Sofia ci troviamo in via San Giovanni a Carbonara dove sulla sinistra troviamo subito il grandioso Palazzo Santobuono che fu dato in dono nel 1309 da Roberto d’Angio a Landofo Caracciolo.
Questa zona nel Medioevo era chiamata Carbonara perché’ destinata allo scarico del carbone e dei rifiuti inceneriti della città’.
In questo luogo un tempo sorgeva un piccolo modesto convento di poveri eremiti agostiniani  in cui si aveva cura delle anime di quel popoloso quartiere .
Un nobile patrizio napoletano di nome Gualtiero Galeota che in questo posto aveva alcune case , un orto e due giardini , decise di donare queste sue proprieta’ all’abate del convento e ai suoi frati purché vi costruissero una chiesa ed un convento dedicata a San Giovanni Battista , patrono della nobile famiglia Galeota .
Nacque cosi’una delle piu’ belle chiese napoletane a cui si accede attraverso un’a caratteristica scalinata in piperno a doppia rampa ideata da Ferdinando Sanfelice .
Dirigendoci verso di essa  incontriamo prima la chiesa barocca della Consolazione a Carbonara , che si trova sottostante a quella di San Giovanni , nel cui interno si trova un bel altare del  ,  sculture di Giuseppe Sammartino e scene del Vecchio e Nuovo testamento risalenti al 500.
Salita la scala ci troviamo poi di fronte alla cappella di Santa Monica che contiene il magnifico sepolcro di Ruggiero Sanseverino di Andrea da Firenze.

Continuando a sinistra si giunge finalmente nel quattrocentesco tempio di San Giovanni a Carbonara .
La chiesa non ha una facciata ma un portale gotico con arco a due terzi acuto con due pilastri ornati ed una lunetta affrescata dal pittore lombardo Leonardo da Besozzo.
La zona dell’Arco e’ ornata da otto stemmi angioini e la figura del sole splendente, simbolo della famiglia nobiliare Caracciolo del Sole.
La chiesa e’ a croce latina ad unica navata rettangolare e suo interno presenta sculture e pitture di stile prevalentemente gotico e rinascimentale .
La storia di questa chiesa, è strettamente legata alla dinastia degli Angioini: l’ultimo erede del casato, il re di Napoli Ladislao, vi è infatti sepolto in uno splendido monumento funebre commissionato dalla sorella Giovanna II .
Secondo alcuni re Ladislao pare si fosse meritato in questo luogo l’eterna sepoltura partecipando nel suo regno ad ingrandire e arricchire la chiesa ed il convento .
Il suo monumentale monumento sepolcro funebre  alto circa 18 metri, è tradizionalmente attribuito ad Andrea da Firenze ma sarebbe in realtà opera di più artisti toscani e settentrionali . Le quattro virtù  che vediamo sorreggere  il monumento sono la Temperanza, Fortezza, Prudenza e Magnanimità.
Il monumento, eretto dalla sorella Giovanna II, raffigura Ladislao e Giovanna in trono .Le due figure ricompaiono nel sarcofago, assieme a Carlo III e Margherita .
Al di sopra, la figura del re giacente, benedetto da un vescovo, redime l’anima del sovrano che fu in realtà scomunicato( muore scomunicato )
Sulla sommità, la statua di Ladislao a cavallo completa di armatura e con spada sguainata: una rappresentazione inusuale in un luogo di culto.
Alle spalle del monumento a re Ladislao , si entra nella cappella Caracciolo del Sole ( vi si accede passando sotto il monumento funebre ) che fu costruita nel 1427 da Sergianni Caracciolo, gran siniscalco e amante di Giovanna II, ucciso nel 1432 e qui sepolto in una tomba scolpita (dopo il 1441) da Andrea da Firenze .
Davanti al monumento si trova l’ altare maggiore con bellissima pavimentazione a marmi policromi , e tra due finestroni la bella statua di Michelangelo Naccherino (la Madonna delle grazie )
A sinistra del presbiterio, possiamo ammirare la bella cappella Caracciolo di Vico mentre addossata alla parete di fronte all’ingresso troviamo la cappella Miroballo arricchita da numerose statue, tra cui una Madonna col Bambino .  Il sepolcro di Antonio Miroballo e vari affreschi qui presenti, di epoca quattrocentesca, sono opera di Lorenzo Vaccaro.
Dal sagrato si accede alla cappella Seripando, dove si trova  un Crocifisso di Giorgio Vasari del 1545.

 

In  Via Carbonara , nel tratto prossimale all’odierna Porta Capuana , era  il luogo in cui in epoca angioina  si tenevano cruenti combattimenti tra uomini che si sfidavano  ad armi bianche fino all’ultimo sangue . I combattimenti  si svolgevano secondo il modello  degli antichi giuochi dei gladiatori , ed al cospetto spesso , si dice , della giovanissima regina Giovanna e di suo marito Andrea d’Ungheria.

Erano questi spettacoli sanguinosi e mortali che spesso finivano in modo macabro . I lottatori combattevano infatti con le loro armi bianche fino a quando uno dei due non moriva e non era raro vedere uno di loro soccombere perchè sgozzato da un pugnale o morire sanguinante con le budelle totalmente esposte .

Il Petrarca nel suo viaggio a Napoli dopo aver assistito ad alcuni di questi combattimenti ne restò completamente sconvolto e a tal proposito scrisse : “…io fui condotto un giorno a certo luogo vicino della città chiamato Carbonaria: nome veramente acconcio alla cosa: imperocchè quella scelerata officina deturpa e denigra gli spietati fabbri che ivi si affaticano sull’ incudine della morte. Era presente la Regina, presente Andrea re fanciullo, che di sè promette riuscir magnanimo, se pur riesca a porsi in capo la contrastata corona: v’eran le milizie di Napoli, delle quali invan cercheresti le più attillale e più eleganti: popolo v’era venuto in folla da tutte parti. A tanto concorso di gente, e a tanta attenzione d’illustri personaggi sospeso, fiso io guardava aspettando di vedere qualche gran cosa, quand’ecco come per lietissimo evento un indicibile universale applauso s’alza alle stelle. Mi guardo intorno e veggo un bellissimo garzone trapassato da freddo pugnale cadermi ai piedi. Rimasi attonito, inorridito; e dato di sproni al cavallo, rampognando l’inganno de’miei compagni, la crudeltà degli spettatori, la stoltezza de’combattenti, all’infernale spettacolo ebbi volte le spalle”.

I giochi dei gladiatori che si tenevano al cospetto degli angioini  non fu comunque l’unica cosa violenta a sconvolgere il poeta in quegli anni cupi che affligevano la città . Egli nella sua Epistola inviata  al Cardinale Giovanni Colonna denunciò infatti  la pericolosità e la violenza di Napoli  scrivendo …….“ il girare di notte tempo qui non si fa con minor paura e pericolo che in mezzo ai folti boschi: conciossiachè le strade sien piene di nobili giovani armati tutti, le immoderatezze de’quali né la paterna educazione, né l’autorità de’ magistrati, né la maestà e l’impero dei re valsero mai a raffrenare”. e a sottolineare i pericolosi giochi aggiunge …… “come meravigliare che fra le ombre della notte e senza alcun testimonio taluno ardisca commetter delitti, se a pieno giorno, alla vista del popolo, al cospetto dei re, in questa città d’Italia con ferocia da disgradarne i barbari si esercita l’infame giuoco de’ gladiatori…”

Per interrompere i feroci combattimenti dovette addirittura intervenire   con una bolla  Papa Giovanni XXII. Egli nel tentativo di fermare quell’orrendo spettacolo ,  aveva vietato con una bolla quei terribili  giochi, pena la scomunica per lottatori e spettatori, ma nonostante tutto i giochi erano continuati e così, per non far brutta figura ,  su proposta dell’Arcivescovo di Napoli, il successore  Papa Benedetto XII levò le scomuniche già nominate e sospese la proibizione dei giochi .Questi furono poi banditi con successo solo mezzo secolo più tardi col re Carlo di Durazzo.

 

 

ARTICOLO DI ANTONIO CIVETTA

 

 

 

 

 

 

 

 

  • 3887
  • 0