Originariamente, in epoca ducale, l’area situata al di fuori delle mura che andava dal Largo del Mercatello (attuale Piazza Dante) fino al casale di Antignano sulla collina del Vomero era conosciuta con il termine “Limpiano”.
Nel Seicento, come tutte le aree verdi vicine al centro della città, divenne meta ambita per la fondazione di monasteri, chiese e conventi. Queste istituzioni religiose hanno difatti avuto un ruolo fondamentale nel processo di trasformazione dell’ intera zona.
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Bisogna comunque ricordare che a partire dalla fine del Cinquecento, in ossequio alle direttive del Concilio di Trento per una presenza capillare degli Ordini ecclesiastici sul territorio, incominciarono le acquisizioni delle grandi proprietà fuori le mura, in possesso, tra l’altro, delle estensioni prescritte in merito all’architettura religiosa.
Nel Seicento, la mancanza di controllo governativo produrrà uno sfruttamento intensivo dei suoli che cancellerà ogni residuo spazio pubblico libero. Sui terreni non occupati dalle fabbriche religiose, si concentrò poi l’interesse della borghesia meno ‘possidente’, quella, per intenderci, che non poteva ambire alle proprietà in via Toledo, consentite solo ai patrimoni aristocratici in auge.

Successivamente il territorio quindi cominciò sempre più a popolarsi e venne suddiviso in quattro diverse masserie assumendo le caratteristiche di un borgo.
Gli edifici in origine presentavano un piano unico, ma, nel corso del tempo, vennero sopraelevati fino a cinque piani per far fronte alla carenza cronica di abitazioni per una popolazione in crescita costante; gli stessi spazi verdi di raccordo con la collina di San Martino e Sant’Elmo e gli orti che delimitano tutta l’area vennero a poco a poco fagocitati da nuove costruzioni. Unica eccezione per lungo tempo fu via Salute e la zona dell’Infrascata, risparmiate dal cemento e ricordate per orti e aria salubre (da cui i toponimi delle strade), con ville e giardini a terrazze aperti sul golfo e masserie circondate da campi coltivati dove tra giardini e vigneti, tra nobili e modeste casine, si ergevano chiese e conventi sparsi a macchia d’olio.

Furono eretti nel 1850 i conventi di Gesù e Maria (poi ospedale) delle Cappuccinelle, di San Giuseppe delle scalze e, al termine del limite meridionale della strada, la mole settecentesca, rimaneggiata nel secolo successivo, di palazzo Spinelli di Tarsia.
Il luogo divenne anche la sede delle cosiddette “Fosse del Grano” che altro non erano che l’antico stipo in cui veniva conservato il grano della città posto proprio al di sotto delle mura cittadine in modo da poterlo difendere in caso di attacco; la sua funzione rimase attiva sino al 1852, anno in cui fu abolito il monopolio del cereale.

In epoca vicereale giunse a Napoli a seguito del Vicerè Pedro de Toledo, Fabrizio Pontecorvo che acquistò dei suoli prima da alcuni monaci e poi anche dalla famiglia Coppola proprietaria di una delle masserie per costruirvi dei lussuosi palazzi.
Altre famiglie ottennero concessioni e cominciarono la costruzione di immobili come ad esempio i Tuboli e gli Spinelli. Il passaggio dalle antiche masserie, alle contrade poste fuori le mura ed infine ai quartieri avviene nel 1779, quando per opera di Ferdinando IV di Borbone la città viene divisa nei dodici quartieri tutt’ora esistenti e il Limpiano incluso in quello chiamato dell’ Avvocata.
La ricca e potente famiglia dei Pontecorvo ( famiglia cancellata dall’epidemia di peste del 1656 ) diede avvio alla costruzione del bel palazzo di famiglia Pontecorvo, che diede poi il nome a tutto il borgo ed alla strada.
La strada chiamata via di Pontecorvo ebbe di li’ a poco un’ importanza strategica grazie al fatto che al suo interno passava la principale via di collegamento tra Napoli e Pozzuoli, la cosiddetta via Antiniana che seguendo lo stesso percorso dell’ antica via Appia, scavalcando la collina del Vomero permetteva di raggiungere Soccavo-Fuorigrotta e da li Pozzuoli.

All’apice della salita Pontecorvo, fu costruita la chiesa di Gesu’ e Maria in una piazza alla quale ha anche dato il nome.
Fu fondata su un suolo donato da Ascanio Coppola al padre Domenicano Paolino Bernardini che ne iniziò la costruzione. Inizialmente la chiesa non era cosi grande e solo pochi anni più tardi rispetto alla data di fondazione e per concessione di lasciti e rendite di Ferdinando Caracciolo, conte di Biccari e duca d’Airola, la chiesa fu ampliata.

La sua forma monumentale che vediamo oggi fu quindi tardamente raggiunta solo nel 1692. La facciata realizzata su disegno di Domenico Fontana mostra una pecularietà assai rara per le chiese di Napoli ma comune a Roma ( dove il Fontana ha lavorato per lungo tempo ) che consiste nell’essere fiancheggiata lateralmente da due classici campanili cosi’ come
la facciata della chiesa dei Girolamini nell’omonimo largo ai Tribunali .gesu-e-maria-2

Alla chiesa, devastata da furti e scempi, vi si accede per mezzo di una gradinata cinquecentesca ed una balaustra in marmo opera di Donato Vannelli del 1637 purtroppo sparita ) che precede il portale ugualmente in marmo di Francesco Vannelli, 1617 ( al momento murato ) concluso dal bassorilievo di Madonna con Bambino.

La chiesa al suo interno si presenta a navata unica, con cinque cappelle per lato, ampio spazio absidale tipico delle chiese della Controriforma.
In seguito alla cacciata dei predicatori Domenicani avvenuta nel 1812 , la chiesa ed il vicino convento furono affidati alle suore Canonichesse di Regina Coeli.
Nel 1863 il vicino convento fu trasformato in ospedale e la chiesa momentaneamente affidata ad una congrega e poi chiusa nel 900.

Tra le meraviglie interne, oltre a un paio di cappelle laterali rimaste intatte ai saccheggi, c’è il sepolcro della nobildonna Isabella Guevara, datato 1673 disegnato da Dionisio Lazzari con  la statua raffigurante la  defunta scolpita da  Aniello Falcone, scolpita nel 1673.
L’altare maggiore, o almeno quanto resta di questo è di Giuseppe Gallo mentre la balaustra è opera dei fratelli Bartolomeo e Pietro Ghetti. Ai suoi due lati due sepolcri : a sinistra quello di Emilia Carafa mentre a  destra quello già citato di Isabella Guevara.
Nella prima cappella di sinistra gli affreschi di Bernardo Azzolino ritraenti le Storie di San Raimondo di Peñafort, terzo generale dei Domenicani, vissuto 100 anni e canonizzato nel 1601 da Clemente VIII.
Sempre di Bernardo Azzolino sono gli affreschi che stanno nella seconda cappella di destra ( un’Adorazione dei Magi, la Strage degli Innocenti, il Battesimo di Gesù ed una Pietà ).
Giovan Bernardo Azzolino, detto il Siciliano, ( perche’ nativo di Cefalù ) è stato un attivo pittore a Napoli per oltre cinquanta anni dal 1594 al 1645.
Il suo piu’ celebre capolavoro a Napoli ,” San Paolino che libera lo schiavo ” e’ oggi esposto in maniera permanente al Pio Monte della Misericordia 1626-1630 insieme alla famosa tela del Caravaggio “Le sette opere di Misericordia”.
Gli affreschi nella cappella del transetto di sinistro sono di Belisario Corenzio, mentre a Gaetano D’Agostino si attribuiscono gli affreschi della quarta cappella a sinistra con le Storie del Nuovo Testamento; sull’altar della quarta cappella si destra una volta fu collocato poi andato perduto per sempre, una tavola, ritraente la Chiamata dei santi Pietro ed Andrea di Giovan Bernardo Lama. All’abside, la grande tela del santo Monacone che compie il miracolo, opera di Paolo De Majo del 1742

 

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