Oggi vi raccontiamo la storia che riguarda il  nome dato alla  Piazza presente nella nostra città simbolo di Napoli, considerata da molti , una delle più belle piazze del mondo .

 

 

 

 

 

Parliamo ovviamente di quella che oggi sviene da tutti considerat il simbolo dalla nostra città e tristemente chiamata “PIAZZA DEL PLEBISCITO “.


Essa occupa uno spazio complessivamente di quasi 25 mila metri quadrati e rappresenta la   piazza più grande della nostra città ed è considerata da molti , una delle più belle del mondo,

 

 

 

 

Sapete perche OGGI si chiama PIAZZA DEL PLEBISCITO ?

Un tempo la grande piazza si chiamava ‘ Largo di Palazzo’ poiche era antistante prorio al palazzo reale,ed eraproprio come oggl ‘area pubblica più grande di tutta la città. nonchè il luogo privilegiato per lo svolgimento di feste , cavalcate, parate militari, e celebrazioni.

Nella piazza si organizzavano non solo  gare di destrezza e giostre d’armi ma anche delle famose feste popolari e molto desiderate dal popolo che terminavano con la famosa ” cuccagna “.
Riproduzioni in cartapesta e legno di una collina , una villa , un castello , un galeone ed altro a seconda delle fantasie del costruttore ripiene di ogni sorta di cibarie ( non di rado animali vivi anche di grossa mole come buoi e vitelli ) abiti da uomo e da donna , ornamenti vari …..
Questa costruzione era destinata ad essere demolita nell’assalto alle ore 22 dopo i due colpi di cannone che dal castello indicavano il segnale : il popolo dava assalto alla costruzione cercando di arraffare quanta piu’ roba possibile .

La Piazza fino al  21 ottobre del 1860 si chiamava quindi con un nome consone alla Piazza .

Ma quel particolare  giorno , quella piazza , fu scelta come il luogo dove si doveva svolgere il voto per l’annessione dell’ormai ex Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna.

Il voto doveva essere dato “tramite un bullettino stampato o scritto portante la scritta SI o No”. Una volta contrassegnato la scelta indicante il SI o il NO , LA  scheda, una volta piegata, doveva essere consegnata nelle mani del presidente del comitato elettorale che deponeva il tutto in una delle due urne che si trovavano ben distanti tra loro ma  chiuse per dare una parvenza di legalità  alla presenza dell’elettore.

Sul bollettino stampato si doveva  votare  sì o no alla seguente domanda: “Il popolo vuole l’Italia Una e indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale e i suoi legittimi discendenti?“.

Le due urne  ben distinte in  ogni seggio di votazione erano sorvegliate per evitare imbrogli da persone addette al controllo : peccato solo che quella dei  No era coperta dai nazionali e camorristi». (N. C. D’Amelio, Quel lontano 1860) e la distanza ben evidente delle due urne con il Si o il No rendeva manifesto il voto”

A peggiorare le cose  oltre a non accertare l’identità delle persone che votavano , venne anche permesso ai stessi soldati di andare al voto. 

Era chiaramente un voto come vedete non segreto che lasciava anche  poche possibilità a chi voleva votare per il No. Basti pensare che a Napoli in quei giorni  prima che si facesse il plebiscito furono affissi, alle mura delle città , dei grandi cartelli, in cui si dichiarava nemico della Patria chi si fosse astenuto o avesse dato il voto contrario all’annessione». (C. Alianiello, La conquista del Sud).

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Come se non bastasse , sempre nei gironi precedenti al ” referendum ” molti garibaldini , accompagnati con le armi dai scagnozzi  dei noti camorristi di allora noti col nome di Liborio Romano e “zii Tore”, giravano sparpagliati , continuamente per tutta la città cercando di convincere in tutte le maniere e con i modi più sbrigativi ,  in un clima intimidatorio come si doveva votare. Chiunque anche se lontanamente manifestava  il desiderio di votare per il mantenimento dei Borbone, veniva  arrestato  e rinviato  a giudizio per rispondere di attentato a distruggere la forma di Governo..

 Insomma bastava  un semplice sospetto, perché si procedava immediatamente  al fermo preventivo per impedire a questi   di partecipare alle operazioni di voto. 

Tra un’esibizione di bandiere tricolori con stemma sabaudo e l’occhiuta vigilanza di addetti, guardie, e curiosi accalcati in entrata, ogni segretezza del voto.

Il risultato del referendum come avrete capito fu  più una forzatura che un atto democratico.

Quel giorno infatti , tra un’esibizione di bandiere tricolori con stemma sabaudo e l’occhiuta vigilanza di addetti, guardie accalcate  in entrata, il 79% degli aventi diritto al voto ( ? )  si espressero per il Sì.

Quei pochi che ebbero il coraggio di votare contro subirono minacce fisiche e violenze, fatti che fecero persino dire all’inglese Mundy: «Un plebiscito a suffragio universale svolto in tali condizioni non può essere ritenuto veridica manifestazione dei sentimenti del paese». Sulla stessa linea furono le affermazioni di Lucien Murat: «Le urne stavano tra la corruzione e la violenza. Non più attendibili apparvero gli scrutini. Specialmente i garibaldini si erano diverti ad andare a votare più volte, e certamente nessuno pensò di impedirlo ai galantuomini delle città  che affermavano in tal modo la loro importanza». Insomma, «si fece ricorso a ogni trucco, nel voto e negli scrutini, per ottenere il risultato plebiscitario desiderato». (P. G. Jaeger, Francesco II di Borbone l’ultimo re di Napoli).

Il «plebiscito-burletta fu quindi la causa dell’ ‘attuale nome dal plebiscito popolare del 1860  dichiarato da molti come falso, con cui Napoli diceva sì all’annessione al Regno dei Savoia. 

Compiuta così l’Unità si fece cassa comune tra due regni , uno conquistato ed uno vincitore  ( uno con casse piene e l’altro con casse  vuote ) e con i soldi del sud si pagarono i debiti del nord .

Da allora una parte dell’Italia fu depredata e condannata a regredire nel tempo , mentre un’ altra parte dell’Italia , quella che era piena di debiti , sulla soglia della bancarotta , con la sua guerra ed il conseguente bottino finanzio’ la propria crescita e prese un vantaggio , poi difeso nel tempo , con ogni mezzo incluse le leggi .

 

 

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