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Nel cuore della Basilicata, a Rionero in Vulture, nasce nel 1830 Carmine Crocco, destinato a diventare il più noto tra i briganti italiani. Cresciuto in una famiglia poverissima ,il padre Francesco, un pastore, e la madre Maria Gera, che lavora la lana per pochi centesimi ( 40 centesimi al giorno). Carmine è il secondogenito, il primogenito si chiama Donato ed è soltanto un ragazzino quando con un gesto impulsivo provoca un tragico episodio . Si tratta di una disgraziaavvenuta nella primavera del 1863, che cambierà per sempre il destino della famiglia Crocco.

Un cane da caccia, entrato nella loro povera abitazione, prende in bocca un coniglio e Donato, cercando di strapparglielo di bocca, con un bastone lo colpisce sulla testa. Il proprietario del levriero, un certo don Vincenzo, reagisce con violenza inaudita contro i bambini picchiandoli e poi  tirare calci furiosi sulla pancia della loro madre incinta  accorsa a difenderli . La donna dolente viene trasportata in ospedale, dove abortisce e resta muta per due settimane. Non si riprenderà più e verrà rinchiusa in un manicomio.

Poco tempo dopo un colpo di archibugio ferisce don Vincenzo. Il tribunale ne ritiene responsabile Francesco Crocco che viene condannato ai lavori forzati.

CURIOSITA’. : Anni dopo Carmine Crocco  tl proposito scrisse: «Ed ora dopo tanti anni vi ripeto che quel figlio che ha a sorte di nascere da una virtuosa madre, dessa avendo ricevuto il minimo oltraggio da un uomo prepotente, se non prende vendetta, egli è un codardo, un uomo dappoco. Dunque io che nascendo, ho creduto che sulla terra ero qualche cosa, per un oltraggio fatto alla mia povera madre, mi sono accinto a far scorrere torrenti di sangue, e vi sono riuscito a meraviglia».

La famiglia con il padre condannato ai lavori forzati , passò dalla povertà alla miseria. I cinque fratellini vennero  affidati a una zia che li sfruttava e li affamava. Come per una beffa, tempo due anni e mezzo un vecchietto del luogo rivela, in punto di morte, di essere stato lui a ferire don Vincenzo, ma Francesco Crocco resta ancora in carcere, colpevole a quel punto di non essere davvero colpevole.
Carmine e Donato si trasferiscono in Puglia per fare i pastori, e qui Carmine,  generoso come gli riconosceranno anche i nemici,  si conquista la riconoscenza di un nobile che riesce a salvare dall’Ofanto in piena. La riconoscenza si concretizza nella somma di 50 ducati, che il quindicenne utilizza per tornare a Rionero e far scarcerare suo padre.

Passano due anni e arriva un’altra ricompensa, questa volta non dettata dalla riconoscenza ma dal bisogno di riparare a un torto: don Ferdinando, figlio del nobile che aveva preso a frustate lui e i fratelli e a calci la madre, manifesta a Carmine tutto il suo dispiacere per l’accaduto e gli offre il posto di fattore in una sua masseria. Il ragazzo cortesemente rifiuta il lavoro stabile offerto ma chiede invece  un pezzo di terra in affitto per poter mettere da parte i soldi necessari a evitare il servizio militare.

N.B: Nel Regno delle Due Sicilie si riscattava così il mancato servizio militare.

Don Fernando acconsente, e non solo, gli assicura che contribuirà al raggiungimento della somma, ma purtroppo non riuscì mai a mentenere la  promessa fatta perché di lì a poco si unì  ai rivoluzionari durante i moti del 1848 nei quali a Napoli perse la vita.

Da questo momento la vita di Carmine divenne per una serie di motivi  ancora più complicata.

Costretto ad arruolarsi nell’esercito borbonico, Crocco dovette poco tempo dopo disertare perché uccise  un uomo (forse in un duello per amore).

Il tragico destino lo portò ad uccide nuovamente per  vendicare le offese di un tipo che aveva invece  diffamato l’onore della  sorella. Inseguito e  braccato , rifugiatosi nei boschi, si unì  quindi a una banda di fuorilegge, dando così  inizio alla sua carriera di brigante.

Nel tempo, presso questa banda, Crocco,  dimostrò di essere non solo  un leader carismatico ma anche un  grande stratega in battaglia .

N.B. Come brigante, Carmine arriva a guadagnarsi l’appellativo di “Generalissimo”, titolo onorifico più che un soprannome.

Durante il suo brigantaggio ebbe modo di conoscere quel famoso Garibaldi di cui tutti parlavano e sentito dire che ai soldati disertori che avessero combattuto contro i Borbone sarebbe stata concessa la grazia, decise di arruolarsi tra le sue file indossando  la giubba rossa garibaldina , Ma  di fatto, la promessa non venne mai  mantenuta. Carmine infatti, non solo non ricevette  alcuna grazia ma addirittura venne spiccato contro di lui un mandato d’arresto.

Deluso e amareggiato, riesce avventurosamente a scappare per passare di nuovo  al fianco dei legittimisti borbonici e di Francesco II, che in quel periodo andava raccogliendo attorno a sé una vera armata di ribelli, spinta dalla rabbia e dalla fame, per tentare di riconquistare dopo la morte del padre  il Regno delle Due Sicilie.

In quel periodo, il Cardinale Ruffo contava, armato del solo crocifisso e della sua mente di sollevare il popolo contro gli stessi rivoluzionari,  sopratutto sulla Calabria, terra di molti suoi feudi . Egli partito da Palermo con un gruppo di uomini, con scarse provvigioni e pochi denari,  una volta giunto nella terra natale, emano’ un proclama ai bravi e coraggiosi calabresi perche’ vendicassero le offese fatte alla religione, al re e alla Patria invitandoli a unirsi sotto il vessillo della Santa Croce, per scacciate i francesi dal regno di Napoli e ristabilire la monarchia.

Radunò i volontari, sopratutto contadini, a Pizzo Calabro e incomincio’ una lunga marcia verso Napoli, alla raccolta di soldati volontari . Ben presto comincio’ a formarsi un piccolo esercito che raccoglieva uomini di tutti i ceti sociali ed anche carcerati e briganti. Non aveva importanza chi fossero: nobili e plebei, villici e cittadini, briganti e galantuomini, sbandati, malfattori, disertori, reclusi, evasi e frati sfratati, erano tutti bene accetti per formare l’esercito della Santa Fede .
Il Cardinale infatti emise un editto che garantiva il perdono a tutti i galeotti o banditi che si fossero pentiti e uniti al suo esercito e fu instaurata a tal proposito una grazia sovrana che condonava colpe e delitti che riguardava sopratutto i capimassa.

Quindi per Carmine Crocco questa era una vera opportunità che gli offriva il destino per cancellare la sua fedina penale .

Al cardinale si erano già uniti  anche altri numerosi briganti tra cui anche Michele Pezza detto “ fra diavolo” e Gaetano Mammone . Ma anche Giovanni Proto che scorrazzava negli Abruzzi, Gerardo Curci, detto sciarpa che imperava nel Salernitano, Giovan Battista Rodio che andava su e giù per la Calabria e Boccheciampe che con alcuni conterranei, fuoriusciti per diserzione, molestava le Puglie .

Gaetano Mammone era considerato il più crudele e sanguinario dei banditi.. Di lui si diceva addirittura che mangiasse in teschi umani di persone da lui uccise. Il suo desiderio di sangue umano era tale che si beveva tutto quello che usciva dagli infelici che faceva scannare. Si diceva averlo visto  bere il sangue suo dopo essersi salassato, e cercar con avidità quello degli altri salassati che erano con lui. Pranzava avendo a tavola qualche testa ancora grondante sangue e beveva in un cranio.

Lui e suo fratello Luigi, nativi di Sora, insieme alla loro banda facevano scorribande lungo tutto il territorio effettuando ogni sorta di violenza.
Fu lui ad entrare in Napoli da trionfatore con l’armata della Santa Fede. Finita la Repubblica Giacobina, una volta ritiratosi nei suoi domini, continuò nelle sue azioni di brigantaggio continuando a spargere sangue e terrore. Per il suo ostinato atteggiamento criminoso fu alla fine messo al bando e perseguitato. Gli fu dato una spietata caccia, anche perché era nel frattempo divenuto al pari degli altri briganti, un personaggio ingombrante.

Mammone infatti in  passato era stato definito da re Ferdinando “nostro buon amico e generale, il vero sostegno del Trono” ed anche  insignito di decorazioni borboniche.

Gli abitanti della zona scrissero al re supplicandolo di liberarli da quel sanguinario personaggio. Mammone e suo fratello quindi dopo essere serviti alla causa vennero esplicitamente esclusi dal condono per i loro pregressi reati e una volta arrestati condotti nelle carceri di Ischia da cui riuscirono poi, in un secondo momento, a fuggire con la complicità di alcune guardie. Nello stesso anno fu ritrovato ( vestito da prete) e arrestato a Gaeta e rinchiuso poi nelle carceri della Vicaria dove quattro mesi dopo mori’ avvelenato.

La sua immagine agli occhi della gente doveva apparire terrificante .

Ancora oggi per far stare buoni i bambini o intimorirli in caso di capricci si usa talvolta dire ‘ stai buono altrimenti arriva il mammone ‘.

Oppure ‘Fai il buono se no viene il  mammone e ti mangia

Pino Daniele nel suo bel brano “Ninnanàninnanoè“ ad un certo punto cita il brigante dicendo ….si vene ‘o mammone  chiudimmo ‘a porta “ …

Il fratello invece fu arrestato solo tredici anni dopo quando ritornato al suo paese si reco’ dal sindaco per chiedere le chiavi della sua abitazione. Fu processato e condannato a morte dopo aver anche chiesto in una lettera una supplica al re, rimasta senza risposta.

Il bandito Michele Pezza, detto “Fra Diavolo” dominava  invece le zone di Itri e di Sessa.
Precedentemente era stato un chierico spretato e in seguito ad alcuni assassini e vari reati si era rifugiato con una sua banda nelle montagne intorno a Itri per sfuggire alla cattura dei gendarmi. Una volta avuto il dispaccio del Cardinale Ruffo, subito si uni’ a combattere al fianco della Santa Fede ( sostenendo che lo faceva per espiare i suoi peccati ) ottenendone grandi vantaggi. Egli in un’aria mista tra brigante e uomo religioso, ostentava un’atteggiamento di brav’uomo disposto a sacrificarsi per gli altri in omaggio al suo Dio.

Carmine Crocco invece svolgeva la sua attività di brigante rivoluzionario sopratutto tra la popolazione lucana . La sua  reazione era dettata dalle troppe ingiustizie, e  la mancata ridistribuzione delle terre, che i savoia perpetuavano ai danni della povera gente e l’umiliazione che dovevano sopportare gli ex soldati borbonici, che ora venivano  trattati come delinquenti , senza alcun ruolo o lavoro . Carmine e i suoi erano  accolti  nei paesi con la gioia che si tributa ai liberatori. Anche il clero  faceva  la sua parte e al loro arrivo intonava  il Te Deum.

Crocco, ormai comandante di oltre 2.000 uomini, opera tra le Murge, il Tavoliere e i monti lucani . Il suo piccolo esercito aveva quadri completi, erano infatti presenti: «un capitano, un luogotenente, un medico, sergenti maggiori, caporali tutti appartenenti al disciolto esercito borbonico. Non erano quindi presenti nel suo piccolo esrcito solo contadini o pastori ma veri e propri soldati di tutti i corpi, cioè cacciatori, cavalleria, artiglieria e volteggiatori oltre che  zappatori .

Con lui ci sono luogotenenti come Giuseppe Caruso, Ninco Nanco, Coppa Fortunato e Caporal Teodoro. Le sue tattiche di guerriglia mettono in seria difficoltà le truppe italiane. La popolazione lo accoglie come un liberatore, e anche il clero locale inneggia al suo arrivo.

Nella sua  banda armata, di soldati sbandati, disertori e malcontenti , accolse anche donne brigantesse, tra cui la celebre Filomena Pennacchio, che in seguito diventerà compagna di Giuseppe Schiavone. Crocco organizza razzie, imboscate, rappresaglie: una delle più note è quella contro un distaccamento di 25 cavalleggeri piemontesi, massacrati per vendicare i compagni fucilati.

Lo Stato risponde con durezza. Viene creata la Guardia Nazionale e il brigantaggio viene represso con violenza. In Basilicata, si calcolano oltre 6.000 briganti uccisi in cinque anni. Sulla testa di Crocco pende una taglia da 20.000 lire.

Ma la storia purtroppo andò a  finire molto male.

Nel settembre del 1863, Crocco offrì  la resa in cambio di garanzie. Ma la trattativa venne  tradita. Il colpo fatale arrivò da Giuseppe Caruso, uno dei suoi uomini più fidati, che passato al servizio dei piemontesi rivelò i rifugi della banda. Crocco si trovò allora in quel momento  isolato e senza più via di fuga.

Nel 1864 tentò la fuga nello Stato Pontificio, dove sperava  di trovare rifugio presso il re Francesco . Egli era sicuro di essere accolto da re Francesco come un amico, vista la continua sua battaglia contro lìesercito piemontese.

Ma i suo fu forse il primo vero grande errore di strategia … venne arrestato, gettato in prigione  e poi alle nuove autorità del  Regno d’Italia. Processato a Potenza, e inizialmente condannato a morte, la sua pena venne poi  commutata in ergastolo per decisione del re Vittorio Emanuele II.

Gli furono addebitati 67 omicidi, più attentati all’ordine pubblico, ribellioni, estorsioni, furti.

A Portoferraio trascorse  il resto della sua vita come un carcerato modello, tranquillo, disciplinato, gentile. Morì nel 1905 povero come era nato. Lasciava  sei paia di calze di cotone, due maglie e due berretti da notte.

Inviato prima al carcere di Santo Stefano e poi a Portoferraio, Carmine Crocco trascorre il resto della sua vita come un carcerato modello , tranquillo , disciplinato e gentile diventando un detenuto modello. Morì nel 1905 povero come era nato. Lasciava  sei paia di calze di cotone, due maglie,  due berretti da notte  e sopratutto la sua autobiografia, le “Memorie”, in cui racconta la sua vita e la sua verità.

Esse più volte ripubblicate,  si chiudono in questo modo:

«Non ho mai capito bene come funziona la società: il disonesto viene evitato da tutti, la legge non lo riconosce, ma chi lo elimina viene chiamato criminale… e nessuno vuole ammettere che non tutti gli uomini meritano di vivere».

Parole amare, che sembrano scolpite nella pietra e fecero preoccupare non poco quei galantuomini che direttamente o indirettamente, erano stati coinvolti nei fatti svoltisi in Basilicata tra il 1860 ed il 1864.

Quando infatti nel 1903,  fu annunziata la pubblicazione della autobiografia, molti  superstiti di quei galantuomini  temevano fortemente che il “sepoltovivo”, potesse  cominciare a fare i nomi di quelli che lo avevano incoraggiato, favorito, sorretto, e talvolta sovvenzionato.

Che cosa avrebbe scritto il generale brigante «nei confronti della classe dirigente lucana i cui maggiori esponenti, pur schieratesi con il movimento liberale, ad eccezione di pochi, sostanzialmente contribuito a favorire e ad alimentare il brigantaggio ?

Il vecchio pastore semianalfabeta di Rionero in Volture, che aveva terrorizzato un’intera regione portando ovunque terrore e la desolazione dell’assassino crudele e vendicativo, ora «magnanimo e generoso, per loro fortuna, non rivelò i nomi di coloro che, sin dall’ottobre del 1860, avevano promosso in Basilicata la resistenza armata contro il nuovo regime

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