Arturo Labriola nacque il 21 gennaio 1873; suo padre artigiano, lavorava pazienza coni gusci di tartaruga per rivavarne raffinati oggetti preziosi come fermagli per capelli, pettenesse,’ montature per occhiali, tabacchiere e scatole varie.
Il buon uomo rimaneva ore ed ore al suo banchetto di lavoro, privandosi del necessario, pur di garantire al figlio un’istruzione religiosa alla “scuola dei preti “. . Gli insegnanti in abito talare non dovettero però apparire molto simpatici al piccolo Arturo, che fin d’allora nutrì per loro uno spiccato senso di avversione, senza per questo disdegnarne gli insegnamenti.
Studiò con impegno e si appassionò alle lettere e alla filosofia, non trascurando le scienze e la matematica,strumento fondamentale, a suo dire, per comprendere davvero l’economia.
ll suo spirito inquieto, caratterizzato da un forte senso critico verso le autorità , specialmente quella ecclesiastica , lo portò presto a far parte del circolo repubblicano «Gioventù operosa», dove conobbe Gino Alfano che lo indirizzò verso il socialismo.
Animato da forti idee politiche nelle quali lui credeva ciecamente successivamente, nel 1890 con pochi operai e giovani studenti , nel pieno cuore dell’attivismo repubblicano e socialista, organizzòper la prima volta la festa del «Primo Maggio» a Napoli.
Divenne avvocato a soli 22 anni, ma non senza ostacoli:egli avrenne infatti potuto lauerasi ancor prima, ma essendosi distinto in una manifestazione di protesta, organizzata dalla gioventù universitaria napoletana, fu arrestato e il rettore dell’Università Filippo Masci lo sospese per un anno durante il quale continuò a studiare da autodidatta nella Biblioteca Nazionale arricchendo ancor più, e forse meglio di quanto avrebbe fatto nelle aule universitarie le sue conoscenze, destinate ad assumere livelli non comuni.
In quel periodo, parlava già tre lingue e discuteva di economia come un accademico navigatoe si larueò quindi discutendo una tesi sulle Dottrine economiche di Quesnay con il professor Maffeo Pantaleoni.
CURIOSITA’:Masci era professore di filosofia teoretica, per nulla stimato da Benedetto Croce: quest’ultimo lo defini «un indegno successore di Bertrando Spaventa» e, quando si trattò di dare al suo gatto un nome, non trovò di meglio che chiamarlo Filippo, scusandosi per il torto che gli faceva.
Il giovane Labriola era allora un giovane attivista socialista e quindi le autorità non lo perdevano di vista: era per quei tempi un uomo troppo acceso, troppo libero, troppo pericoloso. Dienne quindi per le autorità un osservato speciale e tutte le occasioni erano buone per metterlo dietro le sbarre.
All’epoca il popolo non assisteva come adesso in maniera apatica ai vari soprusi politici e ai vari ingiustificati aumenti dei beni primari senza alvun accenno di protesta .
Accedde infatti allora che a seguito dell’aumento del prezzo del grano, un’ondata di protesta si levò in tutto il Paese e sfociò a Milano in violenti tumulti con connotazione decisamente politica. I fatti ovviamente non potevano lasciare indifferente Arturo Labriola, che mobilitò gli studenti napoletani con un memorabile discorso che lo avrebbe portato di nuovo nelle patrie galere se, avvertito per tempo, non fosse fuggito di gran carriera.
Riparo così a Ginevra, dove allora presso la locale Università, insegnava il suo vecchio professore Maffeo Pantaleoni. A Losanna iniziò una collaborazione con il grande economista Vilfredo Pareto, e una volta trasferitosi a Parigi, collaborò con figure del calibro di Pareto, Nitti, Sorel. Il ritorno in patria nel 1899 fu segnato da processi politici e da un’attività editoriale incessante.
Fu lui infatti a portare avanti in Italia l’idea del sindacalismo rivoluzionario, convinto che il cambiamento dovesse venire dal basso, non dai partiti impantanati nei compromessi. Per un periodo la sua linea sembrò vincente (congresso di Bologna del 1904 ),ma già nel 1906 con il conresso di Roma il vento cambiò: la sua mozione rivoluzionaria non raccolse consensi, mentre prevalse il riformismo di Turati, che ebbe la meglio.
Battuto a Roma, Labriola raccoglieva comunque consensi all’Università di Napoli, dove insegnava economia e continuava ad inondare di pubblicazioni le librerie d’Italia. Erano opere che con metodo rigorosamente scientifico affrontavano i più importanti temi di economia, di politica, di storia. Ne produsse nove in poco più di sei anni.
Deluso quindi dalla politica dei partiti, si rifugiò nell’insegnamento e nella scrittura , ma non abbandonò l’arena: nel 1913 venne eletto alla Camera dei deputati, dove rimase, salvo il periodo fascista, fino al 1953.
Arturo Labriola comunque non fu mai un uomo allineato: nel 1914 sostenne l’intervento italiano nella Grande Guerra, rompendo con una parte del socialismo pacifista. Dopo il conflitto, in coincidenza con la fine della guerra decise di diventare sindaco di Napoli. Si presentò alle elezioni e ottenne la maggioranza. La carica di sindaco però non era compatibile con quella di parlamentare, ma poichè lui non intendeva alcuna intenzione di dimettersi, chiiese di essere nominato pro-sindaco .
Con questo titolo egli poteva governare la città ma pesto si rse conto di non poter governare i suoi secolari problemi: il deticit di bilancio, lo sfascio dei servizi pubblici, e sopratutto una amministrazione inefficciente.
Il primo problema che dovette affrontare fu quello del «calmiere annonario», un provvedimento governativo che prevedeva, dalla sera alla mattina, una drastica riduzione dei prezzi di ogni prodotto, con conseguenti danni per i piccoli dettaglianti. I più furbi riuscirono a far sparire le merci, gli altri si videro saccheggiati. In conclusione il decreto non giovò a nessuno ed ebbe come unico effetto quello di scatenare violenti tumulti, che culminarono con l’assedio del municipio. In quella circostanza Labriola passò un brutto momento e solo la sua presenza di spirito e l’accattivante eloquenza lo salvarono dalla furia dei rivoltosi.
I problemi si affacciarono uno dopo l’altro, e talora con-comitanti, con una furia travolgente: l’epidemia di vaiolo, le crisi interne all’amministrazione, la carenza dei servizi sanitari.
Labriola con fermezza e tenacia riuscì ad affrontarli e a risolverli alla meglio. In una delle sedute del Consiglio comunale sbottò in un’esclamazione che a distanza di circa un secolo è di una sconcertante attualità: «Persuadiamocene una buona volta. Il problema dei pubblici servizi non è di organizzazione e di finanza. È anche e soprattutto un problema di educazione civica».
Nel giugno del 1920 si costituì il quinto governo Giolitti,e Labriola venne da questo incaricato quale ministro del Lavoro.
Apriti cielo !
Il nostro Labriola erede del sindacalismo rivoluzionario non poteva certo andare d’accordo con Giolitti e i dissensi scoppiarono presto: l’occasione fu il suo lodo arbitrale per dirimere la vertenza tra i lavoratori delle aziende elettriche e i loro datori di lavoro, seguito da altri provvedimenti tendenti ad aumentare il potere del sindacato. L’intransigente caratteredel Labiola mal si sposava con i compromessi politici: di li a poco quindi si dimise dalla carica di governo, restando fedele alle sue idee.
CURIOSITA’: Tra i vari ministri di quel governo Giolitti , tra i quali figuravano personaggi come Benedetto Croce all’Istruzione, dopo qualche tempo tutti si dimisero .
Intanto il fascismo avanzava verso Roma ed il re convocava Mussolini per affidargli la guida del governo e al congresso socialista del 1° ottobre Labriola si schierò dalla parte dei riformisti, opponendosi apertamente al fascismo ma senza scendere a patti con l’antifascismo che, a suo dire, si nutriva di ipocrisie e vendette. Rifiutò ogni alleanza che potesse danneggiare l’Italia, anche se proveniente da antifascisti illustri. Pagò cara la sua coerenza: espulso dal partito socialista all’estero, isolato, bollato come trasformista. Ma mai rinnegò se stesso.
Continuò a combattere la sua battaglia contro il fascismo, con l’unica arma che aveva a disposizione, la scrittura: in breve tempo pubblicò cinque libri. M nel 1926 rimase anche senza lavoro, poiché l’incarico universitario non gli fu rinnovato per le sue ben note idee politiche.
CURIOSITA’: Nel 1926, durante una delle sue peregrinazioni esistenziali, Labriola si trovava a Napoli nell’abitazione di via Giandomenico d’Auria, 4, nel quartiere del Vomero. È lì che subì una drammatica “visita” notturna da parte delle autorità fasciste: la casa venne invasa verso mezzanotte, in un contesto di tensione altissima dopo l’attentato attribuito a Zamboni contro Mussolini a Bologna. Nonostante lo spavento (e qualche danno al mobilio), Labriola e suo figlio Lucio non vennero né feriti né insultati direttamente. L’evento lo spinse a prendere definitivamente la decisione di lasciare l’Italia.
Si trasferì quindi prima a Parigi e poi a Bruxelles, dove visse tra insegnamenti e scrittura, tornando a Napoli più volte, sempre attratto dalla sua terra. Negli anni bui del regime e poi della guerra, continuò a scrivere, a pensare e a oppors al fascismo . Fu vicino a Badoglio, sfuggì per poco ai nazisti e lungimirante vide nella furia cieca dell’antifascismo post-liberazione un nuovo pericolo per il Paese.
Nel dopoguerra fu parte della Costituente. Ancora una volta presente, ancora lucido. Non si candidò più con i socialisti, ma nemmeno abbracciò altre bandiere. Scrisse fino alla fine: saggi sull’economia, sulla crisi dello Stato, sull’ateismo.
Morì nel 1959, con accanto suo figlio Lucio. Politico, intellettuale, sindacalista, ma prima di tutto un uomo libero. Scomodo per tutti, perché sempre fuori dagli schemi.
Con lui la nostra città ma anche l’intera nazione ha perso una delle poche figure culturalie poltiche capace di alzare la voce quando il silenzio era comodo. Un grande esempio di uomo politico che oggi nel deserto della politica attuale, ci appare come un colosso dimenticato,
Un politico che difese le sue idee , anche se per conservare il suo ruolo era facile passare dall’altra parta . Un tremenso monito per chi oggi senza alcuna fede epassione pur di conservare i suoi privilegi politici non esita a cambiare bandiera e rinnegare le sue propagandate idee sostenute nella campagna elettorale,.
Labriola rappresenta oggi per i nostri uomini politici , un testimone raro di ciò che significa davvero vivere secondo coscienza il proprio mandato elettorale .
I nostri politici se ci fate caso, difficilmente lo nominano … nella loro mediocre statura ne soffrono il confronto .
Nel generale decadento culturale , le enciclopedie registrano sotto la sua voce «uomo politico napoletano», ma non chiariscono che egli fu tale in un periodo in cui non era titolo di merito essere ignoranti per fare politica e gli uomini che si dedicavano a reggere le sorti dello Stato, nelle istituzioni centrali o periferiche, non destavano ancora disprezzo e derisione.
