Re Ladislao fu un capo politico e militare di straordinaria tempra, di indole spregiudicata e di grandi ambizioni. Ebbe una vita breve, morendo a 37 anni e la maggior parte di questi anni furono impiegati in guerre, amori, banchetti e giostre.
Quando non indossava un’armatura trascorreva il tempo tra la tavola e l’alcova alternando ai piaceri della tavola quello del sesso. Ebbe per questo infinite amanti tra le quali primeggiava Maria Guindazzo.
Egli regnò giovanissimo e per 21 anni durante i quali si mostrò infaticabile nella ricerca di sempre maggiori glorie e conquiste. Le sue ambizioni espansionistiche del Regno, associate alle naturali doti di condottiero e alla ricerca di gloria e grandezza, lo portarono a compiere mirabili imprese accarezzando il sogno di unificare l’Italia (se il suo sogno avesse visto la luce l’Italia sarebbe stata unificata quattro secoli prima).
La sua impresa era quasi terminata mancando solo le regioni dell’Alta Italia che egli era già comunque pronto ad invadere quando lo stroncò un’improvvisa gravissima malattia.
Il suo sogno finì per una banale malattia venerea o forse per veneficio.
La storia, ancora oggi, non ci ha ancora detto a distanza di anni la verità sulla fine di uno dei piu’ grandi condottieri del tempo.
Appena prese possesso di Napoli si dedicò alla politica interna del regno cercando di rendersi bene accetto, con i dovuti provvedimenti in quei luoghi che avevano parteggiato per gli Angioini e abbondò in concessioni e indulti.
Fu assillato dalla mancanza di denaro e dal continuo bisogno di risorse per l’interminabile guerra contro il rivale pretendente al regno Luigi d’Angiò.
Questo problema dei fondi lo risolse sempre e comunque con dei ricchi matrimoni.
Inizialmente sposò non ancora adolescente Costanza Chiaramonte solo per motivi economici e non mancò di ripudiarla tre anni dopo quando una volta morto il padre di lei, vennero a mancare rifornimenti di uomini e di denaro.
Dietro consiglio del papa sposò poi come seconda moglie ( sempre per danaro ) la sorella del ricchissimo re di Cipro, Maria di Lusignano, Principessa di Cipro mentre la terza Maria d’Enghien fu la vedova del principe di Taranto ( sposata per motivi politi).
Pur avendo avuto tre mogli comunque non ebbe figli.
Addestrato fin da piccolo all’uso delle armi da un maestro d’eccezione ( Alberico da Barbiano ) divenne un abile guerriero ed un eccellente condottiero tanto da emulare i piu’ famosi capitani di quel tempo ( Muzio Attendolo Sforza e Braccio da Montone).
Era tanto appassionato alle armi che quando non guerreggiava, indiceva giostre e tornei ai quali partecipava e naturalmente eccelleva.
Nelle sue conquiste territoriali per trarre le popolazioni dalla sua parte fu prodigo di privilegi e concessioni dimostrando intelligenza e senso politico.
La riconquista del Regno e la sua espansione non fu dovuta solo quindi alla forza delle armi ed alla bravura dei suoi condottieri ma anche alla sua generosita’ che non manco’ di mostrare in piu’ occasioni. Egli era pronto a perdonare e largamente ricompensare chi gli si sottometteva, perfino i suoi più acerrimi nemici, come fece con i Sanseverino.
Non mancò comunque all’occorrenza di usare il pugno di ferro e usare la mano dura con chi mostrava perfida avversione nei suoi confronti, sopratutto alcuni nobili baroni e Principi.
Si mostrò comunque spesso anche freddo, determinato e crudele con i suoi più accaniti nemici ribelli annientando i Ruffo, i Marzano ( tutti imprigionati con un inganno ) ed infine gli stessi Sanseverino che dopo l’ennesimo tradimento furono tutti strangolati nelle segrete di Castelnuovo e per supremo oltraggio gettati in pasto ai cani.
Un altro grande suo oppositore era Raimondo del Balzo Orsini, principe di Taranto i cui possedimenti erano quasi uno stato nello stato.
Ladislao era in marcia con il suo esercito verso Taranto quando improvvisamente il principe ribelle morì.
La vedova di Orsini, Maria d’Engheien, rivelò un grosso coraggio e una grande tenace volontà, organizzando una difesa che permise di respingere gli assalti di Ladislao per ben due mesi fino a quando lo stesso re non decise di ritornare a Napoli per poi predisporre un nuovo attacco in un secondo momento con più forti mezzi.
Nel frattempo Maria d’Enghein invocava aiuto a Luigi d’Angiò promettendogli tutte le piazzaforti del principato da dove meglio avrebbe potuto procedere alla riconquista del regno.
Ladislao non poteva permettere l’attuazione di questo piano e riprese quindi l’assedio che si ripresentò lungo e faticoso in quanto oltre ad una valida difesa, la città poteva contare sulle risorse naturali e quindi era da escludere una resa per la fame.
Allora il re ricorse ad un metodo insolito per conquistare la città: propose alla principessa di sposarlo ponendo fine in tal modo a tutti i dissensi .
Contro il parere di tutti Maria accetto’ e a chi gli faceva presente il pericolo al quale andava incontro rispondeva ” non m’importa anche se muoio , muoio regina “.
Il matrimonio fu celebrato nella stessa Taranto e dopo aver provveduto al riordinamento del territorio con le solite distribuzioni di ricompense, concessioni, privilegi ed indulti, fece ritorno a Napoli.
Dovette fronteggiare ripetutamente i tentativi di conquista del suo regno da parte di Luigi d’Angio’ e dei vari papi che parteggiavano per lui.
All’epoca la chiesa era in pieno scisma e di conseguenza anche i vari stati erano divisi a seconda dell’alleanza con l’uno o l’altro papa.
L’antipapa Benedetto XII ed i suoi successivi sostituti sul trono papale parteggiavano tutti per il francese Luigi di’ Angio’ a cui volevano affidare il Regno di Napoli.
Pertanto furono numerosi gli scontri che Ladislao ebbe con il papato per la difesa del suo regno oltre che con lo stesso francese rivelatisi nel tempo suo peggior nemico.
Nel 1410 in piena guerra contro le forze armate di Luigi d’Angiò, alleato con il papa e Firenze, Ladislao avuto notizia che sette navi cariche di armi, danaro, abiti vettovaglie e rifornimenti veleggiava dalla Provenza verso Pisa, d’accordo con i suoi alleati genovesi progetto’ di catturarle e distruggerle.
Delle sette navi provenzali, una volta avvenuto lo scontro, solo una riusci’ a fuggire, un’altra fu affondata e cinque catturate.
Ladislao privò così il suo nemico di rifornimenti e danaro per assoldare forze mercenarie oltre che catturare i fratelli del papa che furono rinchiusi nelle segrete di Castelnuovo.
Ladislao dopo questo episodio tentò la pace con Firenze e con il papa per isolare l’angioino.
Le trattative con Firenze andarono a buon fine mentre il papa rifiuto’ sdegnatamente qualsiasi accordo e reclutato i migliori capitani del momento approntò un esercito in grado di tenere testa a quello napoletano.
I vari capitani di ventura all’epoca a seconda di chi meglio li pagava passavano con disinvoltura all’una o all’altra fazione.
I più valenti erano i Malatesta, Attendolo Sforza, Braccio di Montone, Paolo e Giacomo Orsini.
Alla fine di aprile Luigi d’Angio’ alla testa di un poderoso esercito marciò con le sue effigie e quelle papali su Napoli.
I due eserciti si incontrarono nella piana di Roccasecca ed i napoletani dopo oltre tre ore di battaglia furono costretti a ritirarsi nella fortificata San Germano, abbandonando il campo al nemico che fece numerosi prigionieri oltre che raccogliere un grosso bottino.
Inspiegabilmente Luigi non insegui subito al momento Ladislao e si contento’ di mandare a Roma le bandiere dei napoletani ed il bottino trovato.
Ladislao riprese forze e quando in un secondo momento Luigi si decise a riprendere la marcia verso Napoli trovo’ un esercito agguerrito e voglioso di riscattare la sconfitta.
Dopo un timido tentativo offensivo che venne subito respinto, luigi riprese la via del ritorno verso Roma dove non fu accolto come un vincitore ma come un vinto. Scoraggiato e avvilito si imbarcò a quel punto per la Provenza.
La partenza definitiva del pretendente al trono di Napoli e la contemporanea occupazione di Civitavecchia che preludeva ad una nuova invasione di Roma da parte dei napoletani indussero finalmente il papa Giovanni XXIII ad intavolate trattative di pace.
Moriva nel frattempo tra le braccia del figlio la madre di Ladislao, Margherita di Durazzo che in passato fu costretta a difendere da sola la corona.
Ladislao pensò sempre e soltanto ad assicurarsi il possesso del regno di Napoli cercando sempre di portare le guerre oltre i confini del Regno e nonostante ne avesse i diritti non pensò mai di riprendere la Sicilia o ancor meglio l’Ungheria dove il padre una volta nominato re era stato assassinato, vittima di un agguato.
Quando però Sigismondo, re d’Ungheria, eletto anche re dei romani, venne in Italia per l’incoronazione egli si arrabbiò moltissimo. Non voleva e non poteva permettere che colui che aveva preso il suo posto sul trono ungherese si avvicinasse al Regno di Napoli .
Convinto delle intenzioni ostili di Sigismondo e del papa armo’ un esercito e occupo’ Roma costringendo lo stesso papa alla fuga.
Stavolta i napoletani però si comportarono da conquistatori e misero a sacco e fuoco la città: biblioteche e archivi vennero dati alle fiamme, le chiese profanate ( tra cui anche la Basilica di San Pietro ) e le reliquie asportate.
Tutto questo non per l’eccesso di milizie incontrollate ma per ordini precisi di Ladislao che in tal modo voleva dimostrare a coloro che pensavano di combatterlo e vincerlo quanto fosse grande la sua potenza.
Un vero e proprio monito per i suoi avversari presenti e futuri.
A questo punto Ladislao conquistò quasi tutta l’Italia vedendo aprirsi tutte le porte delle città che ancora tenevano per il papa ed egli da buon conquistatore diede disposizione ai suoi uomini di non commettere abusi di alcun genere in modo da convincere la gente che il re di Napoli occupava le loro terre solo per proteggerli da uno straniero e da un papa indegno.
Firenze si fece allora promotore di un nuovo accordo con Ladislao nella costituzione di una lega nel quale volendo poteva entrare anche il papa.
Quando oramai tutto sembrava fatto ed il regno d’Italia completamente unificato sotto le insigne di Re Ladislao ecco che improvvisamente accadde il fatto nuovo ed inatteso che nessuno si aspettava.
Colto da un malore che non si riusci’a diagnosticare, secondo alcuni si trattò di un veneficio mentre secondo altri di un male venereo all’epoca non ancora conosciuto.
A tal proposito un aneddoto narra che non potendo Ladislao essere ucciso ne’in campo di battaglia, ne’ per avvelenamento, non ingerendo niente che non fosse assaggiato preventivamente da qualcuno, si ricorse ad un crudele stratagemma che approfittava delle sue abitudini di grande amatore.
Un medico di Perugia cosparse le parti intime di una sua amante con un potente veleno.
L’effetto fu immediato. Dovette essere trasportato a Napoli, facendo il viaggio parte in lettiga e parte per mare perchè non riusciva a stare a cavallo.
In pochi giorni divenne l’ombra di se stesso e quando, disteso su di una lettiga entro’ in Castelnuovo già delirava. La sua agonia duro’ quattro giorni per poi morire il 6 agosto del 1414.
Fu trasportato a lumi spenti (perchè ancora scomunicato ) nella chiesa di San Giovanni a Carbonara e poi inumato.
La sorella Giovanna succeduta al trono, vi fece erigere nel 1428 un monumentale sepolcro alto fino al soffitto.
Costruito su disegni di Andrea di Firenze il monumento e’ ancora oggi visibile nella bella chiesa di San Giovanni a Carbonara fondata da Giovanna I d’Angio e rifatta dallo stesso Ladislao.
Il monumento e’ sostenuto da quattro enormi statue raffiguranti le virtù; nella prima sezione si vedono le statue del fratello e della sorella seduti uno accanto all’altro.
Piu’in alto troviamo il sepolcro del re con la figura del defunto sopra il coperchio .
Alla sommita’ si eleva infine la statua equestre del re che e’ raffigurato con la spada levata in alto .