Ferdinando IV di Borbone, soprannominato “Re Lazzarone”  dai Lazzari con cui egli amava da piccolo mischiarsi è stato un re tutto napoletano nascendo , vivendo e morendo nella nostra  città.

Nato a Napoli nel 1751,  da  Carlo Borbone e  Maria Amalia di Sassonia, morì nella stessa città nel 1825 dopo uno dei regni più longevi della storia, durato ben  66 anni.
Fu dal popolo anche soprannominato “Re Nasone” per le evidenti grosse proporzioni del suo naso.
Fu il terzo maschio nato in famiglia e quindi non aveva almeno inizialmente nessun dovere politico. Nessuna immaginava per lui un domani come re e non venne cresciuto secondo i canoni che avrebbero dovuto formare un futuro regnante.
Non ebbe al suo servizio nobili dame, ma fu invece affidato a una popolana, una certa Agnese Rivelli, madre del piccolo Gennaro, un ragazzo con cui Ferdinando da piccolo  trascorse tutta la sua fanciullezza assimilando dal suo coetaneo non solo la partenopea allegrezza ma anche il dialetto napoletano e il modo popolano di vestirsi.
Da piccolo amava vivere per strada, libero da impegni di educazione a corte, nei vari quartieri della città, vestito come un popolano e circondato da compagni di gioco suoi  coetanei con i quali crebbe parlando il dialetto napoletano. Si sentiva uno del popolo ed il suo amore per le strade, gli usi ed i costumi della gente comune gli rimase dentro anche quando da adulto divenne sovrano al punto che  spesso, appena poteva, continuava a fare vita libera nei vari quartieri dove amava mischiarsi con la gente comune con cui  parlava benissimo il dialetto napoletano.
Egli era per volere reale destinato alla carriera ecclesiastica , ma improvvisamente alla sola età di nove anni, inaspettatamente per lui però le cose cambiarono.
Era l’anno 1759, e in seguito alla morte del fratellastro Ferdinando VI, il padre Carlo fu chiamato alla sovranità del Regno di Spagna.


Nell’andar via lasciò il trono di Napoli al suo terzo figlio Ferdinando.
La designazione di Ferdinando fu dovuta al fatto che il primogenito, Filippo, affetto da infermità mentale era inabile al trono in quanto soffriva di gravi convulsioni epilettiche.
Il secondogenito Carlo (con il titolo di erede di Spagna ), dovette invece seguire il padre per succedergli sul trono di Spagna.
Il diritto di ereditare quindi il Regno delle due Sicilie passò al terzo maschio Ferdinando.
Il 6 ottobre Carlo di Borbone, dopo aver sottoscritto l’atto di abdicazione in favore del figlio, s’imbarcò per raggiungere il nuovo regno, dove l 11 settembre 1759 fu incoronato a Madrid re di Spagna con il nome di Carlo III.
Prima di partire per la Spagna, Carlo nominò Ferdinando suo erede al trono di Napoli e di Sicilia  (Ferdinando IV come re di Napoli e III come re di Sicilia).
Successivamente con l’unione del Regno di Napoli ed il Regno della Sicilia, che si ebbe dopo il trattato di Vienna, divenne poi Ferdinando  I di Borbone, re delle due Sicilie.
Il piccolo Ferdinando aveva solo 9 anni e venne lasciato da solo a Napoli senza genitori con il grosso fardello di essere un sovrano di un’esteso territorio.


Eppure quando il padre Carlo andò via e lasciò la città in un addio commosso e commovente dove tutti piangevano, l’unico volto allegro era quello di Ferdinando. L’ambasciatore francese scrisse a tal proposito  “non ha versato una lacrima e anzi non nascondeva la sua contentezza di restarsene a Napoli”.
Ferdinando ancora minorenne (non aveva ancora 9 anni) fu posto sotto la tutela di un consiglio di reggenza presieduto presieduto dal toscano Bernardo Tanucci che si trasformò in Consiglio di Stato quando il re divenne poi maggiorenne.
La sua educazione fu affidata al  principe di San Nicandro, definito dai contemporanei un uomo gretto, incapace e perfino vizioso.
Da uomo ignorante, bigotto ed ipocrita  si rilevò con il tempo anche un precettore mediocre capace di curare solo le apparenze  disinteressandosi totalmente di impartire a Ferdinando una cultura consona al suo rango.
Egli  si preoccupò di farne soprattutto un uomo robusto e fisicamente forte, ma non curò in egual misura la sua educazione intellettuale, culturale e spirituale (anche se il ragazzo possedeva una notevole intelligenza e vivacità)  riuscendo a fare del suo discepolo un uomo incolto e grossolano dai tratti rustici e volgari.
L’unico pensiero del  principe di San Nicandro era quello di informare il re di Spagna di quanta selvaggina avesse ucciso il figlio.
A corte Ferdinando si esprimeva solo in Napoletano e alla compagnia dei cortigiani preferiva certamente quella con la gente semplice, che considerava certamente  più sincera e leale.
Più che la mondanità di corte, lui amava stare all’aria aperta dove poteva cavalcare ( il suo divertimento preferito). Adorava la caccia, e  la pesca (come il padre) e andava a letto sempre con la spada perché aveva paura del buio e non voleva mai restar solo.
Ebbe certamente atteggiamenti poco consoni rispetto a quello che era considerato  il modello di monarca  dell’ epoca ma per certi versi era molto più vicino alla sua gente di tanti sovrani  europei ed il suo buon carattere gli valse quantomeno il ritratto di un uomo che amava la sua città ed il suo popolo, tanto da scegliere fin dalla giovane età di stare in mezzo alla gente e di voler parlare la Lingua Napoletana preferendo alla compagnia dei vari nobili e aristocratici di corte il contatto diretto con la gente semplice, come i pescatori del quartiere di Santa Lucia.
Ferdinando non era stupido ma solo totalmente refrattario a qualsiasi serio impegno a cominciare da quello dello studio. Non riuscì mai ad andare oltre le quattro operazioni aritmetiche e tantomeno  ad imparare una lingua ( neanche quella italiana).
Egli  credeva ciecamente in San Gennaro ma non conosceva i dieci comandamenti.
Parlava solo napoletano, frequentava gli scugnizzi di strada e passava intere giornate con loro a cacciare, pescare e a rivendere pesce e selvaggina al mercato.
Queste abitudini gli valsero l’affettuoso nome  di “Re Lazzarone“.


Anche quando raggiunta la maggiore età di  16 anni poi salì al trono non cambiò le sue abitudini rifiutandosi di occuparsi degli affari di stato; egli  mal sopportava le  riunioni del Governo alle quali partecipava con poca voglia e anzi per risparmiarsi anche la fatica di sottoscrivere i documenti fece preparare un sigillo col suo nome che affidò al Tanucci che così poteva provvedere in caso di necessità al suo posto.
Non poteva fare a meno di assistere ai consigli di stato ma aveva proibito alla sua vista la presenza di qualsiasi calamaio che potesse indurlo a firmare noiosi documenti.
In realtà il vero re era ancora Carlo che seguitava a governare attraverso  il fidatissimo Tanucci che lo teneva al corrente di tutto e possiamo senz’altro affermare che durante tutto il tempo in cui il Tanucci, tenne la reggenza del governo, egli esercitò effettivamente il potere sempre in nome di Ferdinando, curando sopratutto gli interessi del governo spagnolo.
Quando giunge il momento di contrarre matrimonio, il padre Carlo rimise alla scelta di Maria Teresa d’Austria quale delle sue figlie dovesse andare in sposa a Ferdinando. L’Imperatrice optò per l’arciduchessa Maria Giovanna Gabriella d’Asburgo  quasi coetanea di Ferdinando, ma quando oramai tutto era pronto per il matrimonio , poco prima di partire, la giovane si ammalò gravemente di vaiolo e a soli 16  anni morì.
Il suo posto fu preso da Maria Carolina affettuosamente chiamata Carlotta in famiglia.


Riportiamo a tal proposito una lettera scritta da Maria Teresa d’Austria indirizzata al re Carlo di Borbone
«Poiché non ho certamente meno premura di imparentare la mia famiglia con quella della V.M. che Ella vuole ben testimoniarmi, Le concedo con grande piacere una delle figlie che mi rimangono per riparare alla perdita di colei che rimpiangiamo. Ora ne ho due che potrebbero essere adatte: una è l’arciduchessa Amalia, considerata bella e la cui salute sembra promettere una successione numerosa; l’altra è l’arciduchessa Carlotta, che ha pure una buonissima salute ed ha circa un anno e sette mesi in meno del re di Napoli. Lascio a Vostra Maestà la libertà di scegliere».


La scelta  cadde su l’arciduchessa Maria Carolina ( affettuosamente chiamata Carlotta in famiglia ) che aveva solo 16 anni.
Ferdinando e Maria Carolina erano due persone completamente diverse e cresciuti a corte in maniera completamente diversa. Erano difficilmente amalgamabili  ma  comunque entrambi consapevoli di sacrificare i propri sentimenti purchè siano rispettati gli interessi della sovranità sul Regno.
Entrambi  accettarono di sposare ciecamente, ubbidendo ai propri genitori e solo per rigido dovere di famiglia, due persone completamente diverse che   dovranno poi sopportare per il resto della vita, nell’unico esclusivo scopo di curare gli interessi della propria famiglia a beneficio del proprio paese.

Il matrimonio fu celebrato come al solito per  procura e nello stesso mese la sposa intraprese il suo viaggio verso Napoli.
Una clausola del contratto matrimoniale prevedeva che, la Regina entrava nel Consiglio di Stato appena partorito il primogenito principe ereditario.
L’imperatrice Maria Teresa infatti sapeva bene  il carattere e lo spessore della figlia e  volle inserire  assolutamente quella  clausola, che le avrebbe garantito gli interessi austriaci a discapito  di quelli spagnoli.
Quando Ferdinando vide per la prima volta Carolina rimase affascinato dalla  sua regalità e dalla giovane bellezza mentre lei fu colpita dai suoi modi rozzi ( scriverà alla sua ex governante “mio marito è ripugnante” ).

Carolina proveniva da una educazione raffinata ed elegante ed era cresciuta in una famiglia dove l’etichetta di corte era la regola principale. Raffinata, colta ed evoluta, la principessa proveniva dalla corte di Vienna dove in quel periodo aleggiava un forte razionalismo illuminista. Ferdinando invece proveniva dai vicoli e dalle strade di Napoli dove amava vivere mischiato tra  la gente comune e almeno inizialmente non rappresentava certamente il prototipo ideale di marito che lei aveva immaginato accanto a se per la sua vita, e a dire la verità, neanche la sua famiglia sopportava Ferdinando che spesso non mancarono di criticare per i suoi modi rozzi e l’oscenità del linguaggio.
Molte persone a corte vedendo Carolina e la sua classe erano almeno inizialmente convinti che la nuova sovrana potesse essere in grado di cambiare il Re ma altri erano invece convinti del contrario e cioè che  Ferdinando con il tempo fosse in grado addirittura di guastare la Regina.
Il fratello di Maria Carolina, Giuseppe II, quando venne a Napoli a trovare la sorella scrisse così di Ferdinando  “Alto un metro e ottantacinque, scarno e ossuto, con la schiena curva, dondola sulle gambe troppo deboli per il peso del corpo massiccio. Ha grosse braccia, grossi polsi e grosse mani sempre sudice. La testa è piccola con una selva di capelli color caffè, che non incipria mai. Il naso via via che si distacca dalla fronte, si gonfia in una palla, fino alla bocca larghissima e col labbro inferiore molto sporgente. Per quanto brutto, non è del tutto repulsivo. Sta quasi sempre vestito col  suo costume di caccia con un cappello tirato giù da ogni parte, un giaccone di pelo grigio con le tasche che scendono fino a mezza gamba, calzoni e panciotto di cuoio e un coltello lungo come una baionetta”.


Ferdinando ogni mattina faceva eseguire, con grande impegno ma sopratutto con profondo divertimento, nel cortile del suo palazzo, delle manovre ad un battaglione militare.
Egli si divertiva guidando e impartendo ordine a quegli uomini armati facendoli sistematicamente confondere al suo comando tra il fianco destra e fianco sinistra  sinistra . Divertito si racconta che inventò addirittura un nuovo comando : faccia a me e cul’ a San Francisc ! Isch!
Sempre il fratello di Maria Carolina scrive a proposito di questi strani esercizi mattutini “Non riuscii a capire a cosa servono questi esercizi. I tamburi e i pifferi fanno un baccano infernale, maggiorato dalle urla del re che impartisce ordini ridendo, dimenandosi e assestando piattonate con la sciabola sulla schiena di chi sbaglia. Poi arriva il vivandiere su cui tutti, buttate via le armi, si avventano, strappandosi di mano cibo e vino”.
Sempre Giuseppe II raccontò poi alla madre in una lettera che uno degli spassi preferiti del re a corte era quello di assestare tremendi pizzichi nel sedere alle dame di corte, d’introdurre topi  vivi nei loro scolli e di riempire di gelati e marmellata le tasche dei loro mariti ( figuratevi la Regina!!!).
Ma non basta … “ Una sera che la regina cantava al clavicembalo egli ci pregò di fargli compagnia mentre stava seduto sul vaso. Facemmo conversazione per più di mezz’ora e io pensavo ch’egli sarebbe rimasto seduto lì, coi pantaloni calati, Dio sa per quanto…non mancò di darci i dettagli dell’operazione, anzi voleva perfino mostrarcene i frutti, poi sempre coi pantaloni calati e col vaso in mano si mise a rincorrere due dei suoi ospiti che scappavano“.
Alle iniziali difficoltà e dubbi di Carolina a fare da guida sono i consigli materni, come si legge in una delle lettere inviatele da Vienna da Maria Teresa:
«Si tratta dunque di guadagnare il cuore e la fiducia di vostro marito, ma bisogna meritarla, e non la conquisterete se non rendendovi amabile con la vostra dolcezza e compiacenza, senza mai fargli sentire una qualche superiorità, punto essenziale e forse unica causa se vi è poca unione in molti matrimoni.  Voi sapete che le donne sono sottomesse ai mariti, alla loro volontà e perfino ai loro capricci, se sono innocenti; non ci sono affatto eccezioni a questa regola e non saprei perdonare su questo punto. Le donne dunque non potranno essere felici se non guadagnandosi con la dolcezza e la fiducia la stima dei loro mariti».

E così almeno inizialmente su sollecitazione della madre regina, Maria Carolina si rimboccò le maniche e nell’interesse comune della corona cercò  di convertire quel suo zotico marito ai propri interessi intellettuali costringendolo a subire la compagnia della poca gente colta che c’era a Napoli e imponendogli di frequentare l’opera seria al San Carlo.
Ferdinando la seguiva come un cane al guinzaglio ma per ingannare la noia durante gli spettacoli si faceva servire gli spaghetti e si metteva a mangiarli alla napoletana, cioè senza forchetta, fra i divertiti applausi della platea.

Una volta Maria Carolina, indignata, si alzò di scatto e uscì. Ferdinando seguitò a mangiare: ormai aveva superato quel senso di soggezione che aveva avuto all’inizio per quella moglie regale.
Anche la stessa Maria Carolina era comunque mal sopportata da Ferdinando che spesso scriveva al padre di quanto fosse insopportabile la moglie che egli aveva scelto per lui.
Lo riteneva responsabile dei suoi guai coniugali e come tale gli scriveva spesso lettere disperate come quella inviatogli in occasione della scoperta di Maria Carolina di essere rimasta incinta appena tre mesi dopo la nascita di Carlo.
Carolina sfogò la propria rabbia contro il marito perchè lo riteneva colpevole della sua nuova gravidanza.
In quella circostanza Ferdinando scrive al padre “ …….diventò una furia, mi saltò come un cane sopra e mi prese anche una mano in bocca, per cui ne porto ancora i segni…… a tavola fece anche di peggio, chiamando tutte le cameriste che sono zitelle, le quali altro non potevano vedere che lei gridava come un’aquila con termini anche niente decenti ed io col capo calato stavo sentendomi quei complimenti senza nemmeno aprir bocca…… E poi senza scompormi mi alzai dalla tavola e quietamente me ne andai senza dire una parola per non dare maggiore scandalo a quelle zitelle “.

L’umore di Carolina diveniva pessimo ogni volta che apprendeva di essere rimasta incinta poiché lo stato gravidico limitava la sua libertà di agire  e puntualmente inveiva contro il povero Ferdinando.

In un’altra lettera, scritta dopo la nascita del figlio Francesco ( futuro erede al trono ), Ferdinando scrive al padre: ” ...Per carità, non si faccia carico di tutto questo che io le scrivo nel rispondermi perché volendo lei vedere la lettera io avrei un guaio peggiore di quello che ho avuto dopo il parto , ed è che in tutti i parti, a tenore di quello che voleva fare V.M. , io le ho regalato 25.000 ducati  e nel parto del primo maschio 100.000. In questo credendo di farle una finezza le ho regalato il doppio del solito, cioè 50.000, credendo che me ne sarebbe stata obbligata; non solamente quando li ricevè non mi disse niente, nemmeno una parola, ma venerdì, gridando con malissime maniere, mi domandò perché io non li avevo dato 100.000 ducati. Io credendo di fare bene risposi che avevo creduto farli una finezza dandoli il doppio del solito perché era maschio. A queste parole diede in furia dicendo che simili finezze le teneva in quel servizio e che se li replicavo un’altra volta quello che avevo detto mi sbatteva in faccia i 50.000 ducati dateli, ed io per prudenza calai le spalle e me ne uscii perché nello stato in cui è non bisogna farla prendere collera. Perdoni V.M. , questo sfogo, ma con chi farlo se non lo fo con un padre tanto amoroso e che sono sicuro mi compatirà.
Tutta Napoli può farmi testimonianza come io la tratti e che per compiacenza non fo’ niente senza farcelo sapere, ma essendo maltrattato, questo poi non so come io possa soffrirlo“.
Questa,  se vogliamo, anche tenera lettera scritta nel suo sciatto stile, mostra anche la profonda solitudine e la mancanza di affetti familiari che Ferdinando dovette subire, rimasto senza genitori a soli 9 anni.

Mostra anche il difficile rapporto avuto con Maria Carolina ma sappiamo anche che era un tipo che se forse al momento ne soffriva, girato l’angolo si scrollava tutto di dosso ed era pronto a ricominciare come se nulla fosse successo (come dicevano i suoi sudditi gli piaceva < fottere e piangere>).
Il loro matrimonio, nonostante tutto, tra luci ed ombre, durò comunque ben 46 anni, rappresentando uno dei  legami più longevi che la storia ricordi  con ben 17 figli ( secondo l’abitudine dell’epoca ) anche se solo quattro di loro riuscirono  a sopravvivere ai loro genitori.

Nonostante tanti figli il loro matrimonio fu comunque pieno di episodi di reciproca infedeltà.
Oltre a tante occasionali “avventure galanti”,  con alcune donne di rango e di particolare bellezza, Ferdinando, da buon cacciatore, si procurò tra le floride campagne di Persano e San Leucio, numerose  prosperose contadine con cui intrattenersi nei  tanti momenti di pausa. In tutto il regno correva voce che la zona fosse popolata di belle donne felici di soddisfare ogni desiderio di Ferdinando e non a caso i bambini del luogo erano chiamati ” e figli d’ o’ Rre “.

Belvedere di S. Leucio, Caserta

Carolina  non fu da meno e non stette certo a guardare il marito che la tradiva ed uno dei suoi primi amanti fu  l’affascinante ministro inglese principe John Acton, non bello ma carico con il suo stile compassato di grande sex-appeal.
Maria Carolina  nacque a Vienna, nel castello di Schönbrunn nell’agosto del 1752 da  Maria Teresa d’Austria e  Francesco d’Asburgo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fu educata secondo le rigide regole del cerimoniale e preparata, culturalmente, per diventare una sovrana. Leggeva e scriveva quattro lingue: tedesco, francese, italiano e spagnolo; leggeva e traduceva il latino. Studiava  letteratura, storia, filosofia, etica, diritto, pedagogia, economia, botanica, musica, canto e danza.

Aveva appreso presso la sua corte reale in Austria i cambiamenti di riforma politici ed economici messi in campo dalla madre e, quelli del fratello Pietro Leopoldo che aveva abolito nel suo stato (il  Granducato di Toscana)  la pena di morte e applicato  una Costituzione ( egli passò  alla storia quale esempio massimo di sovrano illuminato).
Alla nascita del figlio primogenito, principe ereditario,  Maria Carolina  entrò quindi a far parte in pieno diritto del Consiglio di Stato e subito incominciò ad interessarsi attivamente della vita politica del Regno ( pro Austria) finendo presto a giungere  in aperto contrasto con il Tanucci ( pro Spagna).

Tanucci rappresentava Carlo III vale a dire il vincolo che subordinava Napoli alla Spagna.
Mentre per Tanucci Carolina rappresentava invece la lunga mano degli Asburgo per attrarre il reame nell’orbita della sua famiglia austriaca.
Maria Carolina mirò a svincolare lo Stato dalla tutela spagnola, e criticava continuamente qualsiasi tipo di decisione presa dal Tanucci al solo scopo di denigrarlo agli occhi del re e del consiglio di stato.
La regina creò intorno a se una squadra di intellettuali dalle idee progressiste, massoniche, che erano invise al ministro Tanucci e il suo salotto fu presto frequentato non solo dai nobili più importanti e dai cortigiani, ma da tutte le più erudite, intellettuali e colte menti che si potevano trovare a Napoli, giovani e meno giovani, alle quali dava il benvenuto e protezione. Lo stesso Ferdinando come risulta dalla corrispondenza tra Ferdinando ed il padre, fu costretto a studiare “dalla mattina alla sera”.
Lo scontro tra  il Tanucci e Carolina fu  inevitabile e la lotta tra i due molto accesa ma alla fine ebbe la meglio la regina.
Tanucci non potè evitare la scalata di Maria Carolina alla “stanza dei bottoni” e quando ciò avvenne il suo destino fu segnato. Egli dovette dapprima acconsentire di vedersi molto ridotto il suo raggio di azione per poi rassegnarsi ad uscire completamente  di scena.

Bernardo Tanucci

Dopo la nascita di Carlo Tito (morto a tre anni), la regina divenne sovrana a tutti gli effetti sedendo in Consiglio di Stato come da contratto materno e a quel punto il ministro Tanucci fu licenziato  e con malo modo allontanato dalla corte dopo 42 anni di fedeltà alla corona.
Egli disgustato a quel punto si ritirò in campagna dove qualche tempo dopo poi morì.
Fino ad allora il regno era stato praticamente nelle sue mani  eseguendo quanto dalla Spagna re Carlo gli impartiva.
Maria Carolina per prima cosa allora cercò di eliminare dal Regno questa influenza monarchica spagnola e per farlo doveva innanzitutto tagliare il cordone ombelicale che collegava Ferdinando con il padre. Non potendo far nulla nel confronti del potente suocero, decide di agire sul marito allontanando dal padre.
Ben presto Maria Carolina apparve come una nemica agli occhi di Re Carlo che ben aveva capito il gioco e cercò di mettere in guardia il figlio ma Ferdinando non era uno sciocco ( poco colto si ma non certamente sciocco ) e capì perfettamente che  il padre tanto ne parlava male perchè profondamente non voleva di fatto rendere indipendente il Regno dal suo controllo. Oramai cresciuto era stanco della tutela paterna e resosi conto delle buone capacità governative della moglie pensò bene di affidare alla stessa la messa in opera di tutte le sue idee rinnovatrici.

In tal modo, la politica del regno di Napoli passò per volere della Regina dalla dipendenza della Spagna a quella austriaca e, quando scoppiò la rivoluzione francese, si trovò vincolato alla politica austro-inglese.
Fu quindi inevitabile, in seguito a questi eventi, anche la progressiva rottura con Madrid, in cui la regina riuscì a coinvolgere anche Ferdinando che mostrò poco carattere di fronte alla stessa  che ad un certo punto lo dominava completamente.
La sua arrendevolezza fu ragione di profondo dolore per l’ormai anziano re di Spagna che si vedeva in un certo senso sfuggire non solo e non tanto il potere politico quanto in un certo senso anche la persona stessa del figlio Ferdinando.
Ferdinando si guardò bene dall’entrare nello scontro nato tra il Tanucci  e la regina e quando quest’ultima prese saldamente in mano le redini del governo egli fu ben contento di affidargli un compito da lui ritenuto noioso e impegnativo al punto da richiedere un notevole dispendio di forza e tempo. Poco incline all’etichetta di corte, preferì alla politica di corte certamente la sua passione per la caccia e alla regina Carolina le belle contadine della campagna di San Leucio.
Il re Carlo  fu indignato dall’uscita di scena del Tanucci e ingiunse il figlio di sostituire il Tanucci con una persona altrettanto fedele e leale individuata in La Sambuca che fu subito inviso e successivamente licenziato da Carolina che era ben decisa di fare di Napoli una potenza asburgica. La politica della Regina mirava infatti sopratutto a salvaguardare gli interessi austriaci  e mettere in atto un nuovo governo fatto di soli uomini di sua personale fiducia.
Per evitare rappresaglie da parte del Re Carlo inizialmente il suo posto fu affidato al marchese Caracciolo e solo dopo la morte di quest’ultimo al favorito della regina il ministro inglese principe John Acton che nel corso degli anni godette della completa fiducia dei Reali facendo così passare  il Regno di Napoli  dall’orbita spagnola a quella austriaca.

marchese Caracciolo

Questo portò a far gravitare sul regno anche l’influenza britannica e la presenza a corte di numerosi personaggi e amici inglesi che tanto influirono poi sulle future discutibili decisioni prese da Maria Carolina in occasione dei moti repubblicani quando in contrasto con quanto promesso dal Cardinale Ruffo rinnega  tutte le condizioni della resa concordate con i repubblicani  e condanna alla morte in un vero massacro centinaia di patrioti  tra cui la parte migliore dell’intellighenzia meridionale.

La regina prese quindi a governare senza che Ferdinando opponesse resistenza ben felice di essere lasciato ai suoi svaghi e fu lei da quel momento la vera sovrana del Regno dando una svolta alle scelte di governo, specie in politica estera dove oltre che aderire alla politica austriaca favorì certamente anche quella inglese ( influenzata da Acton ) che mirava a disporre di basi navali per la sua flotta ( affidata a Nelson ) nel regno per contrastare alla Francia il dominio del Mediterraneo.
Di carattere duro e insensibile, molto simile a quello dell’Imperatrice, la regina piacque molto alla corte ed al popolo per la sua intraprendenza e dinamismo abbinata alla sua giovane età.

Si mostrò una donna di forte carattere e di grandi ambizioni.
La sua politica promosse numerose riforme mostrandosi  protettrice di spiriti “illuminati”.
La loro Corte offrì ospitalità agli intellettuali e Napoli era seconda solo a Parigi per il fiorire degli studi filosofici, giuridici e scientifici (Della Porta, Giannone, Vico, Genovesi, Filangieri) e in città nacquero molte dottrine illuministiche.

Maria Carolina

Appoggiò la Massoneria del tempo,  ricordando che far parte di essa all’epoca significava anche essere membro del top dell’elite culturale, e tutti i più grandi studiosi ne erano membri. La regina creò l’unica Loggia Massonica femminile al mondo mai esistita, e la creò a Napoli, ricevendone immense lodi dalla Francia. Ciò è una delle prove che dimostra la sua volontà di riforme per la parità uomo-donna.
Ricordiamo che aprì anche collegi femminili, cosa unica al tempo e sopratutto per suo volere nello statuto della nuova nascente colonia di San Leucio venne stabilita per legge la parità uomo-donna ed il diritto delle donne.
Il suo forte carattere, le sue grandi ambizioni e sopratutto la sua sfrenata smania di potenza la portò addirittura a scontrarsi con Napoleone.

Ferdinando fu comunque nonostante tutto un re molto amato dal popolo napoletano  che vedeva in lui un pò se stesso. Era un re tutto napoletano, nato e cresciuto nelle strade della città che parlava e si comportava come loro ( fu soprannominato Re Lazzarone).
Non aveva superbia e trattava tutti alla pari anche se a volte lo faceva in modo paternalistico. Non importava niente se, indolente per gli affari di Stato lasciava fare tutto alla Regina che poi in effetti governava bene il Regno ( paradossalmente la scarsa partecipazione alle faccende politiche del Re costituisce forse il suo maggior merito).
Durante il suo regno fu proseguita l’opera di rinnovamento e di abbellimento iniziata dal padre Carlo e la città prese nel complesso un aspetto più decoroso e confacente ad una capitale.

Furono abbattute le porte di Chiaia e quella Reale per rendere più agevole il traffico delle carrozze e riqualificata via Toledo. I banconi, le baracche, le chiance e le pennate che ingombravano la strada rendendola maleodorante e intransitabile vennero trasferite alla Pignasecca trasformando così la strada nel luogo preferito per le passeggiate dei napoletani.
Contemporaneamente fu allargata  e pavimentata via Foria e risistemata la riviera di Chiaia  che divenne una strada panoramica ed elegante dove erano solito soggiornare personaggi illustri che venivano a visitare la città .
Fece creare da Luigi Vanvitelli  nel 1778, davanti alla stessa Riviera di Chiaia  un giardino pubblico per il “Real Passeggio” che fu chiamato Villa Reale.

Il Real Passeggio era il luogo d’incontro dell’aristocrazia napoletana, vietato, tranne che nel giorno della festa di Piedigrotta, ai poveri, ai servitori ed alle persone malvestite.
Un luogo di ritrovo e di divertimento per la nobiltà napoletana che fu talmente entusiasta della Villa da chiamarla pomposamente la ” Tuglieria ”  in ricordo dei  celebri giardini francesi  Tuilieres a Parigi, fatti costruire da Luigi XIV.

La città fu ripartita in 12 quartieri e furono apposte targhe stradali e numeri civici.
Effettua il tentativo della colonia di San Leucio, un vecchio progetto dell’ ormai defunto Filangieri e che Ferdinando IV fa suo.
Egli  creò in questo luogo un vero e proprio borgo dove realizzò una vera e propria industria tessile ( con l’uso di macchinari ritenuti all’avanguardia per l’epoca ), per la produzione della seta dando lavoro a migliaia di persone.
Istituì a Serre un centro di selezione equina, finalizzata a rinsaldare le tradizioni cavallerizze napoletane, dando origine ad una stirpe di robusti cavalli famosi in tutta Europa.
Riorganizzò la flotta militare e sotto la sua direzione la Real Marina del Regno delle Due Sicilie arrivò a contare 39 navi armate, con 962 cannoni.
Fondò il Cantiere navale di Castellammare di Stabia, che fu subito messo in moto per nuove costruzioni e potenziò la formazione dei giovani ufficiali fondando la Reale Accademia Militare.
Furono portati a compimento gli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano, la fabbricazione delle Porcellane di Capodimonte e la Reggia di Caserta capolavoro di Luigi Vanvitelli.
Fece trasferire da Roma a Napoli la famosa Collezione archeologica Farnese, di sua personale proprietà e di incommensurabile valore, donata al Museo Borbonico, ancora oggi uno dei più importanti del mondo (dopo l’annessione, fu ribattezzato “Museo nazionale”).
Per rimarcare la propria indipendenza dal papato nel 1776 Ferdinando IV soppresse la secolare usanza dell’omaggio feudale alla Chiesa, la cosiddetta Chinea (una mula bianca con relativa somma di denaro che ogni anno il 28 giugno i re meridionali offrivano al papa in segno di vassallaggio), sopravvissuta al concordato del 1741.
Nel campo teatrale Ferdinando  fece di suo il teatro dell’opera buffa che prese il suo nome, come quello dell’opera seria prese il nome del padre, esempio esemplificativo della differenza caratteriale tra i due sovrani.
Era un orgoglioso napoletano e difendeva con passione il suo Regno da ogni attacco denigratorio  come accade in occasione della sua visita in Toscana  presso il cognato Leopoldo. Questi quasi in atteggiamento di scherno gli chiese dinanzi ad una folta schiera di cortigiani di quante riforme egli aveva fatto a Napoli. “Nessuna” rispose il re, che poi a sua volta chiese: “Ma quanti napoletani hai al tuo servizio?“Nessuno” rispose l’altro. “Io invece al mio servizio ho trentamila toscani, i quali si vede che, con tutte le tue riforme, nel Granducato non hanno da mangiare” ribattè Ferdinando.
Ferdinando invece  passò gli ultimi anni della sua vita in modo molto più sereno sposando morganaticamente, dopo la morte di Carolina, la sua amante Lucia Migliaccio principessa di Partanna più giovane di lui di vent’anni ma sopratutto dotata di un buon carattere che ebbe il merito di  non immischiarsi mai nelle cose dello stato.

Quando il figlio Francesco , principe ereditario al trono ,capi’ che la relazione del padre con la troppa chiacchierata Lucia Migliaccio stava per sfociare in un matrimonio , decise di mettere in guardia il padre riferendogli di tutte le varie dicerie che si raccontavano sul suo conto .

Ferdinando ci pensò un attimo , poi si alzò e battendo la mano sulla spalla del figlio gli disse : Pienza ‘ a mammeta ! Pienza ‘ a mammeta , figlio mio!

Lucia Migliaccio

Quando finito l’esilio siciliano ritornò a Napoli era raggiante. Aveva riconquistato il Regno,  aveva un nuovo bravo ministro (Luigi Medici ) molto efficiente e non aveva più una moglie invadente.

Rimase a questo proposito storica una sua affermazione : …” finalmente ho una moglie che non mi dice quello che devo fare e un ministro che non mi fa fare niente!“.

Trascorse gli  ultimi anni della sua vita quindi in maniera serena dedicandosi alla famiglia e sopratutto ai nipoti facendo prevalentemente  solo vita privata.
Non smise mai di abbandonare, nonostante i vari acciacchi dovuti all’età che avanzava la sua passione per la caccia ma questa volta limitata solo agli animali e non più alle belle giovani contadine e operaie della sua tenuta di San Leucio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Carolina invece nonostante avesse assaporato tutti i piaceri della vita non seppe goderseli  tormentata dalla rabbia e dal livore nei confronti dei giacobini che la portava a vedere nemici dappertutto ed era assetata dal suo desiderio di vendetta per la morte della sorella.

Alla fine mori’ sola e abbandonata in Austria nel castello di Hetzendorf.

Riguardo la morte di Ferdinando invece circola ancora oggi una strana storia .
Un aneddoto racconta che la sera  prima di morire, Ferdinando che era molto superstizioso ,incontrò nei corridoi del suo palazzo il canonico De Jorio, definito dal re un “potente jettatore” che lui per anni aveva evitato di ricevere per paura della sfortuna che gli potesse arrecare.
oh mamma mia! Chi l’ha fatto trasì a stu scarrafone jettatore... Esclamò il re mentre con le mani nelle brache stringeva quanti più cornetti d’Avorio teneva e grattava ..qualcos’altro.
Il canonico riferiva di consegnargli un plico urgente ma Ferdinando scappando rifiutò a tutti i costi di riceverlo e  andò a dormire pregando che quel brutto incontro non gli apportasse nulla di brutto.
La mattina seguente a dimostrazione delle due teorie, fu trovato morto. Era il 4 gennaio del 1825.

 

ARTICOLO SCRITTO DA ANTONIO CIVETTA

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