Nella nostra città esiste un antico piccolo sacro scrigno che sitrova nel cuore del salotto di Napoli che purtroppo è quasi sempre chiuso al pubblico .
Si tratta della piccola chiesa di San Rocco a Chiaia, d’origini Cinquecentesche, presente nella mappa settecentesca del Duca di Noja, rimasta nascosta nel sovrapporsi delle architetture recenti, frontalmente all’asse meridiano della Villa Comunale.
La struttura di culto fondata nel 1530, nel quartiere Riviera di Chiaia dalle monache di San Sebastiano, dopo il periodo della peste, è di piccole dimensioni ed è incastonata in un fabbricato residenziale (molto probabilmente, già in origine faceva parte di un edificio). L’esterno è infatti caratterizzato da un portale a tutto sesto sormontato da un balcone; l’interno, invece, consiste in una sobria aula con volta a botte, due cappelle per lato ed altare maggiore.
Essa insiema al suo attiguo monastero di San Sebastiano, , oggi purtroppo scomparso, fu uno dei primi edifici ad essere costruiti in riva al mare e in quel periodo la piccola struttura cattolica ebbe una certa influenza in città , riuscendo addirittura ad acquisire anche il diritto di pesca ( cosa rara per l’epoca ).
CURIOSITA’: Un tempo nella zona oggi occupata da Piazza San Pasquale a Chiaia , vi era un maleodorante mercato del pesce che veniva chiamato “a Preta ” o ” pesce” .
La zona era maleodorante grazie anche all’aggiunta di altri cattivi odori che derivavano dalla consuetudine delle donne del borgo di Chiaia di buttare a mare gli esiti dei loro bisogni corporali . Questo odore che emanava la zona viene ricordato da Giovan Battista Basile , il quale nel suo ‘ cunto de li cunti ‘ ricorda che questo diffuso odore sgradevole veniva volgarmente detto < la malora di Chiaia >.
A causa di queste cattive “esazioni ” la chiesa fu affidata dalle suore ai frati Domenicani, i quali anticamente provvedevano alla riscossione del diritto di pesca dovuto alle suore per la parte del litorale prospiciente il monastero che sorgeva sulla spiaggia (all’ altezza della odierna piazza San Pasquale ).
Il vicere’ Medinacoeli nel 1692 incomincio’ a preoccuparsi di bonificare l’area , facendo lastricare la strada e arricchendo il lungomare di Chiaia di alberi e fontane destinandolo a passeggiata pubblica
A sistemare l’area definitivamente fu comunque , re Ferdinando IV , che nel 1839, dopo aver affidato l’edificio alla congrega del Rosario che la fece rimaneggiare nel 1858, provvide tra il 1778 ed il 1780 a creare un vasto giardino che ebbe il nome di Tuiliers affidando l’opera al grance architetto Luigi Vanvitelli
L’inaugurazione avvenne l’11 luglio del 1781 e per l’occasione fu allestita nella piazza una fiera che duro’ due mesi e successivamente , specie durante l’estate , la villa divenne , anche di notte , ritrovo della nobiltà’ che vi si recava ad assistere ai concerti dati dagli allievi dei conservatori musicali napoletani .
Il popolo non era ammesso alla villa , ad eccezione del giorno della festa di Piedigrotta , quando essa restava aperta per consentire a tutti di attraversarla onde raggiungere la chiesa di Santa Maria di Piedigrotta , e per assistere al passaggio del corteo reale .
Oggi , la piccola chiesa di San Rocco alla Riviera di Chiaia è una delle due sedi della fondazione Pietà de’Turchini, insieme alla chiesa di Santa Caterina da Siena. ed è l’unica struttura di culto cattolico in città dedicata al santo di origini francesi che viene spesso rappresentato nella sua iconografia con un cane che a quanto pare fu l’unico a curarlo dalla peste ( leggete nell’articolo il suo incontro con questo cane ).
San Rocco, il santo più invocato, dal Medioevo in poi (tanto da essere il più rappresentato in assoluto sui santini, sui capitelli, nelle sculture, nei quadri); è invocato come protettore dal terribile flagello della peste, delle epidemie, dei malati infettivi, invalidi , prigionieri ed infine dei cani. Ha come emblema il cane, la croce sul lato del cuore, e l’angelo, simboli del pellegrino.
A San Rocco, uno dei santi più venerati del mondo cattolico, è comunque dedicato nella nostra città anche un grande vallone che la natura ha donato alla nostra città , ricevendo in cambio al momento solo rifiuti e abbandono.
Una sorta di giungla dimenticata nel cuore di Napoli che aspetta da secoli solo di essere riconosciuta e finalmente, rispettata.
Il Vallone di San Rocco, una valle antichissima e affascinante, uno di quei luoghi che sembrano esistere soltanto nei racconti o nelle cartoline degli anni passati, si trova nascosto tra i quartieri di Miano, Piscinola, Frullone, Ponti Rossi e Colli Aminei,
Esso è uno dei polmone verde della nostra città sopravvissuto alla cementificazione selvaggia, al degrado, e paradossalmente anche all’indifferenza.
Un patrimonio di biodiversità,un paradiso nascosto, fragile, bellissimo, e al tempo stesso martoriato e trascurato.A due passi dalla zona ospedaliera e dal traffico caotico di via Nicolardi, il Vallone di San Rocco si presenta come un rifugio silenzioso. Un luogo dove gli uccelli migratori trovano riparo durante i loro lunghi viaggi, approfittando della quiete e dell’assenza di disturbo dai quartieri circostanti. Un luogo strategico per la biodiversità partenopea, dove rapaci, volpi, serpenti e perfino ghiri convivono in un ecosistema unico, microclimatico, scolpito dal vento, dall’acqua e dal tempo.
Passeggiare in via Vecchia San Rocco è un’esperienza che disorienta: sembra di trovarsi in un angolo d’Abruzzo o Molise, e invece siamo a pochi minuti da Capodimonte. La strada è stata in parte rimessa a nuovo grazie ai fondi europei (oltre 3 milioni di euro), che hanno anche permesso la messa in sicurezza delle cavità sotto via Nicolardi, trasformate in un parco per bambini.
Ma quello che rende speciale il vallone non è solo la natura, ma la sua lunga, stratificata, sorprendente storia.
Il Vallone di San Rocco – conosciuto anche come Vallone Saliscendi – è figlio del fuoco: si è formato circa 12.000 anni fa, a seguito di un’eruzione dei Campi Flegrei. Il fiume Bellaria, oggi ridotto a ruscello sotterraneo, lo ha scolpito lentamente nel tufo, creando canyon, cavità, dune e anfratti. I basoli vesuviani lungo il tracciato testimoniano almeno un secolo e mezzo di utilizzo, e i residenti più anziani ricordano quando, fino agli anni ’80, si poteva passeggiare serenamente fino al Policlinico.
Il vallone ha vissuto tutte le epoche: quella dei Greci e dei Romani, degli Angioini e degli Aragonesi, dei Borbone, passando per guerre, rivoluzioni industriali, contrabbando… fino a diventare, nei primi del Novecento, scenario di scioperi degli operai delle cave di tufo destinate alla costruzione del Vomero e di Corso Umberto. Una piccola scritta su un muro lo racconta, come un sussurro dimenticato dalla città.
Le cave del Vallone di San Rocco sono il suo ventre segreto. Durante la guerra divennero rifugi per gli sfollati e ricoveri per le truppe alleate. A differenza degli ipogei del centro storico, umidi e claustrofobici, queste cavità offrivano spazio, aria e protezione invisibile dalle ricognizioni aeree.
Due di queste undici cave furono trasformate in depositi dalla compagnia di trasporti Aloschi Bros, ancora esistente. Dietro un cancello, ancora oggi, si intravedono vecchi autobus dagli interni sorprendentemente intatti, come giganti addormentati nella ruggine e nel silenzio, nostalgici simboli di una mobilità dimenticata.
Le altre cave, seppur accessibili, richiedono spirito di esplorazione: ortiche, salite con corde, sentieri franati. Eppure chi ci arriva viene ricompensato con panorami mozzafiato e silenzi antichi. In una di queste cavità, un senza tetto giamaicano di nome Lorens aveva creato la sua casa: oggi restano solo i suoi libri, una sedia di paglia, e la malinconia sospesa.
Ma il Vallone di San Rocco è anche una ferita aperta. Uno dei luoghi più inquinati della città, pieno di discariche abusive, eternit, rifiuti sepolti sotto le frane causate da anni di scarichi abusivi e incuria. Negli anni ’70 e ’80, molti materiali di risulta della speculazione edilizia furono “nascosti” qui. Oggi, a ogni pioggia torrenziale, emerge la vergogna sepolta sotto via Nicolardi: bottiglie degli anni ’80, lastre cancerogene, plastica ovunque.
Eppure, c’è chi non ha mai smesso di crederci.
Tra sogni, progetti e disillusioni
Nel 2003 iniziò un progetto di riqualificazione che portò alla realizzazione dei primi 500 metri di strada sistemata. Poi, nel 2012, fu annunciata una proposta ambiziosa: un parco pubblico di 100 ettari, con percorsi ciclabili, aree picnic, piscine, ingressi dai Colli Aminei, Capodimonte, San Rocco. Una sorta di Central Park partenopeo, a misura di quartiere.
Ma tra espropri irrisolti, scarichi fognari a cielo aperto, e burocrazia paralizzante, tutto è rimasto sulla carta. Il parco di via Nicolardi, inaugurato nel 2008, doveva essere la “porta del Vallone”, e oggi è l’unico spiraglio realizzato di un sogno ben più grande.
Chi ama, resiste
Eppure c’è una Napoli che non si arrende, e che anzi crede nel potere del territorio. È la Napoli dei cittadini, delle associazioni come #SalviamoIlValloneSanRocco, che ogni giorno, con escursioni, pulizie, sensibilizzazione, tengono viva la memoria di un luogo che altrimenti verrebbe completamente abbandonato.
Con loro si riscopre il Vallone come gita, come trekking urbano, come occasione di contatto diretto con le radici profonde – geologiche, storiche e culturali – della città. Un modo nuovo di amare Napoli, non solo attraverso i monumenti, ma attraverso le sue ferite più belle.
Il Vallone di San Rocco è ancora una pagina aperta della storia di Napoli.
STORIA DI SAN ROCCO
San Rocco è tra i santi più venerati del mondo cattolico, seppur non si abbiano notizie certe riguardo la sua vita a causa della scarsità di biografi e notizie certe di gran parte della sua vita e del suo pensiero ancora oggi per gran parte avvolti nel Mistero.
Le fonti su di lui , nonostante la sua grande popolarità poi ottenuta , sono infatti poco precise e rese più oscure dalla leggenda che da sempre aleggia intorno a lui.
Di lui I testi concordano che nacque Montpellier in Francia fra il 1345 e il 1350 da una coppia di benestanti genitori estremamente cattolici e dediti ad opere di carità.
Essi rattristati dalla mancanza di un figlio rivolsero continue preghiere alla Vergine Maria dell’antica Chiesa di Notre-Dame des Tables fino ad ottenere la grazia richiesta.
La nascita di questo neonato al quale fu dato il nome di Rocco, vista la tarda età dei due genitori fu fu considerata a tutti come una grazia ricevuta sopratutto perché nacque con una croce vermiglia impressa sul petto.
Suo padre e sua madre, ricchi e nobili, cristiani e caritatevoli, insegnarono a Rocco la bontà d’animo. Egli quindi crebbe, spinto anche dalla famiglia, con una forte vocazione religiosa e quando intorno ai vent’ani perse entrambi i genitori, rimasto orfano decide di seguire il Vangelo fino in fondo.
Aderito al Terz’Ordine Francescano, dopo aver distribuito ai poveri tutto il suo patrimonio, vestito da pellegrino con una mantella, un cappello a falde larghe per ripararsi dal sole, un bastone con appesa una zucca vuota come borraccia, una conchiglia per bere alle fonti, gli stivali e il Rosario appeso alla cintura, decise di incamminarsi verso Roma in pellegrinaggio per andare a visitare la tomba degli apostoli Pietro e Paolo.
Era quello l’anno 1300 ed il papa Bonifacio VII! era in procinto di celebrare il giubileo al quale accorsero un gran numero di persone provenienti da tutta Europa.
Ma purtroppo, condizioni igieniche non ottimali, calura estiva e afflusso di diverse diversità numerose persone portarono in breve tempo ad una pestilenza , ma Rocco, memore degli insegnamenti ricevuti dai genitori, non si perse d’animo e iniziò subito il suo apostolato a favore degli ammalati.
Di certo non è possibile ricostruire il percorso prescelto da Rocco per arrivare dalla Francia nel nostro Paese, ma quello che sappiamo con certezza è che nel luglio 1367 era ad Acquapendente, una cittadina in provincia di Viterbo, dove ignorando i consigli della gente in fuga per la peste, il nostro Santo chiese di prestare servizio nel locale ospedale mettendosi al servizio di tutti.
Tracciando il segno di croce sui malati, invocando la Trinità di Dio per la guarigione degli appestati, San Rocco diventò in quei tre mesi in cui si fermo’ ad Acquapendente, lo strumento di Dio per operare miracolose guarigioni fino al diradarsi dell’epidemia, per poi dirigersi verso l’Emilia Romagna dove il morbo infuriava con maggiore violenza, al fine di poter prestare il proprio soccorso alle sventurate vittime della peste.
L’arrivo a Roma è databile fra il 1367 e l’inizio del 1368, quando Papa Urbano V è da poco ritornato da Avignone. E’ del tutto probabile che il nostro Santo si sia recato all’ospedale del Santo Spirito, ed è qui che sarebbe avvenuto il più famoso miracolo di San Rocco: la guarigione di un cardinale, liberato dalla peste dopo aver tracciato sulla sua fronte il segno di Croce.
Fu proprio questo cardinale a presentare San Rocco al pontefice: l’incontro con il Papa fu il momento culminante del soggiorno romano di San Rocco. La partenza da Roma avvenne tra il 1370 ed il 1371 e varie fonti segnalano la sua presenza a Rimini, Forlì, Cesena, Parma, Bologna. dove egli moltipllcava prodigi e guarigioni.
La sua fama di Santo miracoloso si propagava sempre più ma egli per sfuggire alle continue manifestazjoni di riconoscenza decise di tornare a Roma, per poi di nuovo ritornare a Novara e Pavia che furono ovviamente anche loro teatro delle sue mirabili gesta.
Accadde poi che nel luglio 1371 mentre si trovava a Piacenza presso l’ospedale di Nostra Signora di Betlemme, per proseguire la sua opera di conforto e di assistenza ai malati, scopri purtroppo di essere stato colpito anche lui dalla peste.
Egli a quel punto per evitare di contagiare altre persone decise di isolarsi nella periferia della città in una grotta di un vicino bosco per accettare il suo destino .
Attendendo che la peste avesse la meglio sul suo corpo, la divina provvidenza fece invece qualcosa per impedire al giovane pellegrino che egli morisse di peste .
Si narra infatti che un cane appartenente a una nobile famiglia del luogo lo trovò proprio in quel momento di difficoltà e ogni giorno con amorevolezza, andava a trovarlo leccandogli le piaghe, per alleviare la sua sofferenza. Ma il cane non si limitava a questi piccoli affettuosi gesti: lui ogni giorno gli portava un po’ di pane, rubato alla tavola del padrone.
Questo cane che proveniva da un castello appartenente ad un certo Goliardo,si prese quindi cura di lui, senonché un giorno un servo di Goliardo segui l’animale e, tornato al castello, tra stupore e incredulità, raccontò tutto al padrone il quale invitò Rocco nella sua dimora. Rocco rifiutò chiedendo solo di potersi costruire una capanna nel bosco così da ripararsi dalle intemperie. In tali condizioni rimase per alcuni mesi finché una notte un angelo, apparso in visione, lo guarì dalla peste e lo esortò a tornare in Francia.
Grazie al conforto e a quei pezzi di pane servito per sfamarsi , dopo qualche tempo san Rocco si riprese e la peste lo abbandonò, mentre il cane rimase con lui per sempre.
Da questo episodio nacque il legame tra san Rocco e i cani, di cui è ricordato come patrono.
Egli è infatti spesso rappresentato nella sua iconografia con un cane.
N.B. San Rocco e’ non solo il protettore dei cani ma anche il protettore di malati infettivi, invalidi e prigionieri. Ha come emblema il cane, la croce sul lato del cuore, e l’angelo, simboli del pellegrino.
Una volta ristabilitosi dalla malattia , dopo la guarigione il pellegrino Rocco, riprende il viaggio per tornare in patria, senza comunque mancare
di proseguìre la sua opera di assistenza ai malati.
In ogni dove dove Rocco passava , nel suo ritorno verso casa ed egli e aveva guarito col segno di croce, i vari ammalati , il suo nome diventava famoso. Tutti raccontano del giovane pellegrino che porta la carità di Cristo e la potenza miracolosa di Dio.
La leggenda a questo punto , ritiene che San Rocco sia morto a Montpellier, dove era ritornato o ad Angera sul Lago Maggiore.
È invece certo che si sia invece trovato, sulla via del ritorno a casa, implicato nelle complicate vicende politiche del tempo: San Rocco partito giovane , ritornava ora in Francia ora sfigurato ed invecchiato dalle cicatrice della terribile peste non era facilmente riconoscibile anche ai sguardi più attenti .
Fu pertanto al suo ritorno in Francia non riconosciuto da nessuno e scambiato per una pericolosa spia . Il suo aspetto (barba lunga e incolta, avvolto in poveri e polverosi abiti, con il viso trasfigurato dalla sofferenza della peste) allarmò le guardie locali che preoccupati dalla sua riluttanza a rivelare le sue generalità, lo arrestarono e lo portarono davanti al governatore (che in alcune tradizioni era un suo zio al quale al quale Rocco aveva lasciato alcuni suoi beni) il quale non riconoscendolo lo fece consegnare alla guardie perché lo rinchiudessero in carcere .
Venne quindi arrestato come persona sospetta e condotto a Voghera davanti al governatore. Interrogato, per adempiere il voto non volle rivelare il suo nome dicendo solo di essere“un umile servitore di Gesù Cristo”.
Gettato in prigione, vi trascorse cinque anni, durante i quali il santo fu ben presto dimenticato. Egli visse questa nuova dura prova come un “purgatorio” per l’espiazione dei peccati e non lamentandosi mai della sua prigionia si limitava solo a pregare attirarono la sola attenzione di un sacerdote che iniziò a sospettare di aver a che fare con un santo e cercò di salvarlo; inutilmente.
Solo quando la morte era ormai vicina, chiese al carceriere di condurgli un sacerdote, ma mentre parlava, il suo volto si circondò di luce viva.
Questo evento che i carcerieri considerarono come ‘ prodigioso’, indusse i presenti ad avvisare il Governatore.
L’accaduto fece subito il giro del paese e molti accorsero al carcere dove si potè constatare la trasformazione avvenuta ed un alone di luce che circondava il corpo di Rocco il quale, ricevuti i sacramenti, si ritirò nuovamente in preghiera.
Al mattino seguente le autorità e le guardie andarono per liberarlo ma lo trovarono steso a terra con gli occhi fissi al cielo. La morte del Santo avvenne il 16 agosto dell’anno 1327. Il corpo di Rocco fu sepolto nella chiesa di Montpelier.
L’annuncio della sua morte lasciò un intenso dolore, che invase l’intera popolazione unito allo sgomento per aver fatto morire un innocente in carcere (pare che molti cittadini vollero fare la festa al governatore). Tale commozione esplose quando a fianco della sua salma venne ritrovata una tavoletta, sulla quale erano incisi il nome di Rocco e le seguenti parole: «Chiunque mi invocherà contro la peste sarà liberato da questo flagello». Soprattutto suscitò scalpore il riconoscimento del corpo da parte della nonna di Rocco e madre del governatore, che grazie alla croce rossa impressa sul suo petto identificò in lui suo nipote. Il compianto di un’intera cittadinanza fu il premio di tanta virtù, e in sua memoria la salma, sulla quale si scolpirono le parole rinvenute sulla tavoletta, venne deposta in una grande chiesa.
Da allora divenne il santo più invocato, dal Medioevo in poi (tanto da essere il più rappresentato in assoluto sui santini, sui capitelli, nelle sculture, nei quadri); invocato come protettore dal terribile flagello della peste , divenne per estensione anche il patrono protettore dalle epidemie
Il processo di canonizzazione di san Rocco si farebbe risalire a papa Gregorio XI, ma non esistono documenti in merito. L’ipotesi più celebre, inserita nell’antica Vita sancti Rochi del Diedo, è che la canonizzazione sia avvenuta durante il concilio di Costanza del 1414 quando, secondo la tradizione, la cittadina fu colpita dalla pestilenza e mentre i padri conciliari stavano discutendo se convenisse lasciare la città, un giovane cardinale propose in assemblea come unica soluzione il ricorso a un uomo di Dio, san Rocco. La proposta fu accolta e dopo aver portato in processione per la città l’immagine del santo, la città fu in breve tempo liberata dal morbo. Fu quella, quindi, una canonizzazione avvenuta per acclamazione di popolo e ufficialmente riconosciuta dal concilio anche senza un processo canonico completo.
