” Il 19 gennaio 1644 Nicola Giordano , per i molti e grati servigi resigli , donava al fratello Luca , pittore già affermato nella sua arte , un apprezzamento di terreno di cinque moggia nelle pertinenze di San Giorgio a Cremano , in un luogo solitario e isolato nelle campagne che i carrettieri ed i caprai percorrevano per raggiungere la montagna ” .
Con questa scrittura che ricorda a tutti il luogo di residenza del grande artista mi piace darvi il benvenuto nell’antico casale di San Giorgio a Cremano , un tempo San Jorio , situato alle falde del vesuvio .
Luca Giordano ebbe una grande importanza con la sua presenza per l’intera zona . Egli infatti fece costruire verso la fine del XVII , la cappella di S. Maria del Carmine al Pittore , che alla fine del secolo divenuta rettoria fu un notevole centro di aggregazione della popolazione contadina della zona circostante. La piccola cappella con tre altari in marmo ( oggi conserva solo quello centrale ) dedicata alla Madonna del Carmine fu edificata da Luca Giordano come segno di ringraziamento per la nomina del figlio prediletto Lorenzo , a giudice della Vicaria . Completamente modificata nel suo aspetto originario da un restauro avvenuto nel 1932 , conserva nel suo interno ancora oggi un organo a canne dei primi anni del settecento.
N.B. Per rettoria si intende una chiesa che, pur trovandosi in un territorio parrocchiale, non svolge funzioni di parrocchia e dipende dalla chiesa parrocchiale del luogo per quanto riguarda le questioni canoniche e le direttive pastorali.
Il luogo solitario e isolato per raggiungere la montagna era al contrario di quanto possiate inizialmente pensare un luogo bellissimo oggi nemmeno immaginabile . Il verde dei grandi campi e dei fitti boschi presenti faceva da contrasto al grigio della lava ed all’azzurro del cielo e del mare in un clima reso mito e dolce proprio dall’aria del vicino mare . Sparse in questo meraviglioso verde erano presenti a tratti piccole aziende agricole e poche ville rustiche gestite spesso da signori che esercitavano il mestiere di amministratori di fondi agricoli.
Questo meraviglioso scenario incominciò a cambiare quando venne costruita la Reggia di Portici . I nobili aristocratici , desiderosi di essere vicini al re nella sua residenza estiva acquistarono questi vecchi casali per ristrutturali e trasformarli in nobili dimore . Le masserie , una volta riedificate con l’acquisto di nuove decorazioni ,si trasformarono così in splendidi monumenti alla magnificenza dell’aristocrazia napoletana rinascendo nelle vesti di eleganti simboli di potere e ricchezza .
In conseguenza di tutto questo , gli spazi verdi purtroppo mutarono la loro destinazione e da zona agricola produttiva si trasformarono in magnifici ornamentali giardini diventando luogo di piacere e raffinato ozioso riposo.
Per avere oggi un’idea del passato splendore dell’intera zona , basta osservare la famosa mappa topografica della città di Napoli di Giovanni Carafa , duca di Noja che mostra la situazione della città e dei suoi “contorni ” nell’anno 1775 . Sulla mappa , conservata nella ricca biblioteca comunale ( sono conservati più di 11000 volumi ) presso la settecentesca Villa Bruno è analiticamente incisa , infatti . perfettamente tutta l’area di San Giorgio insieme ad una piccola strada conosciuta come la strada che porta alla montagna .
CURIOSITA’ :
La citata Villa Bruno , è solo una delle tante belle ville nel settecento presenti in questo luogo. San Giorgio a Cremano è infatti rinomata soprattutto per le sue ville, appartenenti al cosiddetto Miglio d’oro sorte in epoca borbonica .L’ampiezza degli spazi , i profumi , i silenzi ,la dolcezza e la lentezza del vivere fecero difatti divenire in quegli anni , il luogo , meta prediletta dei nobili napoletani che pur di stare vicino alla residenza estiva del re che si trovava nella vicina Portici scelsero sopratutto la cittadina di San Giorgio per costruire una propria dimora al fine di godere in qualche stagione dell’anno di un po’ di fresco e silenzio che questi luoghi incantati anticamente offrivano. Il suo ambiente piuttosto rustico, ameno e salubre, favorì l’edificazione di numerose ville nella zona, e rimase per lungo tempo tra le mete predilette dai nobili napoletani perchè situata lungo la strada tra la vicina residenza estiva del re, e quella reale di Napoli , la cosidetta Via Cavalli di bronzo o vecchia strada per le calabrie .
Via cavalli di bronzo ….. che strano nome per una via . Sapete da dove deriva ?
Per scoprire questo dobbiamo ancora una volta portarci ala settecentesca , oggi ristrutturata , Villa Bruno dove agli inizi del XIX secolo si trovava un corpo di fabbrica allestito a fonderia Reale il cui responsabile era Francesco Righetti . Questi era anche il fonditore di fiducia del Canova , al quale era stata commissionata ( nel decennio francese ) una scultura di Napoleone da inserire al centro di un grande emiciclo che si doveva chiamare Foro Murat ( odierna Piazza del Plebiscito ) .
Il progetto voluto fortemente dal re francese Gioacchino Murat , cognato di Napoleone , prevedeva un vero e proprio FORO da chiamarsi ” FORO MURAT ” e per realizzarlo con un decreto diede addirittura luogo alla demolizione delle due chiese di San Luigi e di Santo Spirito e dei loro rispettivi conventi . Il re francese purtroppo però non riuscì mai a vedere realizzato il suo progetto e quando la sera del 13 ottobre 1815 , fu a Pizzo Calabro fucilato , processato, condannato e giustiziato , era del suo foro nel frattempo solo finito il porticato .
Quando Ferdinando IV rientro’ a Napoli penso’ bene di sfruttare l’opera del suo predecessore e volle che nel centro del portico sorgesse la chiesa che aveva promesso in voto se avesse riavuto il trono. Nacque così la chiesa di San Francesco di Paola . Il re per la sua costruzione incaricò uno dei migliori artisti dell’epoca della scuola neoclassica , l’architetto Pietro Bianchi di Lugano che successivamente nel 1822-16 abbelli anche ulteriormente l’ emiciclo della chiesa realizzando otto statue di leoni egizi.
Ferdinando ovviamente tutto voleva tranne che al centro del Foro vi fosse una statua di Napoleone ma invece di distruggere l’opera pensò bene di utilizzare il cavallo e di sostituire il cavaliere . Accadde così che Carlo di Borbone si ritrovò sul cavallo di Napoleone . Pochi anni più tardi anche Ferdinando volle tenere compagnia al padre e incaricò il Canova di riprodurlo in una posizione analoga accanto al padre . Il Canova però mori dopo aver solo completato il cavallo ed il suo monumento venne poi completato da Antonio Calì
Oggi al centro dell’ emiciclo si possono quindi ammirare due bellissime statue equestri : una dedicata a Carlo di Borbone e l’ altra a Ferdinando IV ed entrambe , collocate a circa 50 metri una dall’altra che sono sempre opera di Antonio Canova, e per forza di cose anche dell’allievo Calì .
Entrambe le opere furono però realizzate nella fonderia reale di Villa Bruno in San Giorgio a Cremano dal bravo fonditore di fiducia del Canova , Francesco Righetti , che si dice riuscì a fondere la prima statua in soli cinque minuti grazie ad un ingegnoso sistema basato sul principio dei vasi comunicanti . Nel corpo centrale della sua fonderia sembra che egli avesse fatto realizzare un’enorme pozzo per realizzare le sue monumentali fusioni .
L’ episodio della realizzazione delle due statue avvenuta in questo luogo ha dato la denominazione ” cavalli di bronzo ” all’intera zona e alla via .
Come avrete potuto capire Villa Bruno , considerata una delle più importanti ville vesuviane è certamente uno dei principali punti di interesse della città. Essa è anche denominata “Palazzo della cultura Vesuviana”, in quanto oltre che ospitare un caffè letterario ed una ricca biblioteca con circa undicimila volumi , rappresenta il luogo di San Giorgio dove vengono organizzati numerosi eventi, manifestazioni , concerti, ed il famoso “premio Troisi “, dedicato ai giovani comici. L’edificio si sviluppa in un corpo unico separato dalla strada da un muro di recinzione e da un cancello realizzato in ferro battuto. Ai lati del cancello sono collocati due medaglioni, recanti le teste di due cavalli di bronzo, in memoria proprio delle due statue equestri realizzate da Antonio Canova di cui vi abbiamo parlato prima . In questo edificio fu anche fusa la statua di Pulcinella che oggi adorna l’atrio del palazzo. Essa, come tanti altri pulcinella ( vedi via Tribunali a Napoli ) è opera di Lello Esposito ( sangiovese di nascita ).
Nel suo interno oltre a magnifici affreschi che adornano le sale possiamo ritrovare numerosi arredi degli inizi del XIX secolo come per esempio , armadietti, tavoli , secretaire e scrittoi . Al primo piano è gelosamente custodita anche la vecchia bicicletta che Massimo Troisi usò nel suo ultimo film , IL POSTINO.
La villa appartenne prima alla famiglia Monteleone per poi passare ai Lieto che ospitavano l’arcivescovo di Napoli , il cardinale Ruffo , che veniva a villeggiare a San Giorgio a Cremano . Un tempo infatti quello che vediamo oggi era un amabile luogo di villeggiatura , ricco di numerose ville vesuviane dotate di ampi giardini alcune delle quali ancora oggi perfettamente visibili come appunto questo di villa Bruno all’interno del quale vi era una serra in ferro e vetro ed un’esedra semicircolare con statue ( oggi sostituita da un’arena all’aperto in cui si tengono manifestazioni di varia natura promosse dal comune ).Il viale che si estendeva per oltre duecento metri , era arredato con sedili in pietra posti lungo tutti i due lati che si alternavano con statue e grossi vasi. Oggi alcune delle statue che una volta costellavano il parco sono ancora presenti sparse nel verde polmone della villa e ad accoglierci nel suo vestibolo , posto su un piedistallo è il solo busto di Giove .
La villa fu poi acquistata dalla famiglia Righetti che edificò la nota fonderia per poi venderla ai fratelli Bruno che ne sono stati proprietari fino a quando il comune di San Giorgio non l’ha rilevata e restaurata .
La magnifica villa Bruno come dicevamo è solo una delle tante belle ville che provocarono la grande trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio di San Giorgio nel XVIII secolo che si ebbe in seguito all’edificazione della residenza estiva presso Portici del re borbonico Carlo I.
In quel periodo, con la costruzione delle sue meravigliose residenze extraurbane l’aristocrazie napoletana trasformò completamente un territorio n prevalenza agricolo in un luogo di delizia e questi luoghi divennero in breve tempo il centro della vita mondana della corte borbonica e delle più aristocratiche famiglie del regno. Le preesistenti strutture furono adeguate al gusto di una classe nobiliare che alla ricerca di un nuovo stile di vita si trasferiva sulla costa vesuviana per godere del clima salubre e della tranquillità dei luoghi e sfuggire periodicamente dalla caotica e rumorosa città di Napoli affollata in quel periodo da ben 3000.000 abitanti .
Le condizioni del territorio su cui furono edificate le ville , che vedevano le ultime pendici collinare degradare verso il mare , portarono gli architetti del tempo ad usare la natura stessa come elemento portante su cui organizzare la costruzione delle ville e dei loro meravigliosi giardini. L’intera area vesuviana e non la sola San Giorgio , grazie al prestigio portato in zona dalla dimora reale , vide il sorgere frenetico in poco tempo di sontuose costruzioni con decorazioni architettoniche di pregio . La bellezza dei luoghi che tanto piaceva ai sovrani fece sì che l’intera corte napoletana e molti altri nobili, decidessero , per essere vicine ai sovrani, di trasferirsi nel luogo facendosi costruire lussuose ville cortigiane con a corredo meravigliosi giardini rococò e neoclassici da architetti del calibro di Luigi Vanvitelli, Ferdinando Fuga, Ferdinando Sanfelice, Domenico Antonio Vaccaro, Mario Gioffredo. I loro bellissimi giardini distesi sul pendio digradavano verso la spiaggia tra aiuole, piccoli boschetti, padiglioni, gazebo e gli esclusivi caffeaus, una sorta di piccoli capanni costruiti per viverci in quiete una o due ore al giorno, con mobilio di canapè, finestrino e cupolino, realizzati in maniera tale da essere grandi terrazzi panorami sul Golfo.
I giardini furono i veri protagonisti di queste nuove costruzioni . Esso non poteva mancare e la loro realizzazione non era mai casuale . Esso era il vero pezzo forte della villa, dove i vari nobili si scatenavano nel mostrare la propria magnificenza. Nell’alta aristocrazia si faceva a gara nell’avere il giardino più bello in quella zona. Tra i vari architetti Impazzò la moda quindi di disegnare per i loro committenti dei viali che conducevano a delle esedre a loro volta movimentate da vasche naturalistiche e giochi d’acqua in un gorgoglìo continuo. Essi con il tipico regolare tracciato all’italiana , erano la naturale continuazione ed il coronamento esterno delle deliziose ville ,ed un continuo invito alla sosta in giardino.
Lungo una stretta striscia di terra delimitata dal Vesuvio e del golfo le ville vesuviane in maniera compatta con le loro facciate costituirono una compatta cortina dalla quale i giardini , solitamente collocati sempre sul retro erano poco visibili ai curiosi spettatoti .Le magnifiche ville che fecero meritare alla strada il nome di Miglio d’oro , vennero costruite e disposti spesso in successione in modo da costituire una compatta cortina di fabbriche, tutte allineate tra loro secondo un rigido schema, su suggerimento del duca Carafa, e patrocinato direttamente dalla Casa reale, secondo un asse ideale che collegava il Vesuvio al mare. Le ville avevano per la maggior parte la facciata esposta sulla reggia strada del Miglio in maniera tale da poter essere facilmente ammirate ed erano solitamente affiancate da ampie zone di sosta per lo scorrimento veloce delle carrozze, molto intenso durante le villeggiature e le feste all’epoca del regno dei Borbone.
I giardini , solitamente non visibili, apparivano però subito visibili appena si aprivano i portoni della villa lasciando i visitatori spesso con il fiato sospeso colpiti da tale splendore . Erano giardini di delizia ma anche di quotidiana abitazione ad uso familiare che da uno stile ordinato e regolare tipico italiano modificò lentamente il suo aspetto in quello inglese fatto di irregolari forme dove le piante avevano libero modo di crescere e di esprimersi in sintonia con un nuovo modo dilagante di pensare europeo che costituì il preludio a quella famosa rivoluzione francese che costò la testa poi a molti nobili aristocratici.
I giardini , quindi inizialmente simmetrici persero lentamente la loro ordinata geometria ed ai vari viali contornati da piante di agrumi e viti tra secolari alberi di magnolia , spalliere di mirto, siepi di bosso e boschetti di lecci ornati da fontane , spesso create con pietra vulcanica si aggiunse un fiore fragile e sublime come la camelia che portata in Italia dal giardiniere e botanico inglese John Andrew Grafer su richiesta dell’ambasciatore Sir William Hamilton , divenne presto la regina assoluta di tutti i più bei giardini del regno .
Ad abbellire i giardini vi erano colonne , busti , panche , bellissime statue spesso di ispirazione mitologica ed un immancabile effige di San Gennaro in qualità di simbolo anti-vesuvio, visto i suoi benefici poteri mostrati nella famosa eruzione del 1767 . (si era conquistato il titolo sul campo di battaglia nell’eruzione del 1767, quando la lava si arrestò all’ingresso della città mentre tutto il popolo con padre Rocco in testa invocava pregando il suo aiuto). L’unico elemento contrario in questa bellissima suggestiva cornice alla costruzione delle ville in quel luogo era infatti proprio una temibile eruzione del Vulcano al quale provvedeva l’effigie demonizzatrice di San Gennaro incapsulato sotto coperture di legno o in calco di gesso in nicchie più stabili.
Al giardino, spesso separato dalla villa, vi si poteva accedere per terrazze o scale con un immancabile viale lungo e largo spesso anche più di uno e talvolta incrociati tra loro, dove con un sistema di tralci e di viti si poteva ottenere il pergolato per amene passeggiate.
San Giorgio a Cremano era ricca di queste nobili ville . Tra queste vi ricordiamo : villa Tufarelli , Villa Bonocore, villa Borrell, villa Caracciolo di Forino, villa Carafa di Percuoco , villa Carsana , villa Cerbone, villa F. Galante , villa G.a, Galante , villa Giarusso e Maria , villa Giulia o De Marchi , villa Jesu, villa Leone , villa Lignola, villa Marulli ,villa Menale, villa Maruller, villa Ocsia, villa Olimpia, villa Pignatelli di Montecalvario , villa Pizzicato, villa Righi,villa Savetella, villa Sinicropi , villa Ummarino , villa Zampaglione , villa Amirante, villa Cosenza , villa Tanucci, villa Bruno e villa Vanucchi .
Come vedete sono tante ma certamente quella piu imponente , caratterizzata sopratutto per il suo enorme giardino è Villa Vanucchi che nell’ottocento era un importante punto di riferimento mondano per tutta la nobiltà napoletana Nelle sue sale e nel suo giardino, infatti era solita ritrovarsi la Napoli murattiana e l’intelligenthia napoletana del tempo . Essa si trova nel cuore del centro storico di San Giorgio a Cremano, lungo corso Roma , un tempo Via Teglie , in un luogo ,dove durante il medioevo si trovava un piccolo nucleo religioso legato al culto di San Giorgio , venerato quale santo protettore contro le calamità naturali ( quindi contro la forza devastatrice del Vesuvio ) .
La storica villa vesuviana che fu dimora della nipote di Gioacchino Murat è, assieme a Villa Campolieto (Ercolano) e alla Reggia di Portici, il più importante e prestigioso edificio di epoca settecentesca dell’area vesuviana ed è, per estensione, tra le più grandi ville del ‘700 italiane.
Progettata dall’architetto Antonio Donnamaria , la villa ha una facciata frontale talmente ampia che non si riesce a vederla tutta dalla piccola e stretta strada a cui si accede. Essa si sviluppa su tre piani e come sempre osserviamo nelle villa vesuviane ospita una cappella ( dedicata all’Immacolata ), una sagrestia , la sala della musica ed un teatro ( ex scuderia ) . La facciata posteriore invece con una caratteristica doppia terrazza da cui si può ammirare il meraviglioso paesaggio del verde dominato dal Vesuvio . , articolandosi in una serie di arcate , logge e porticati si apre su un bellissimo giardino all’italiana per vastità inferiore solo al bosco reale di Portici, Esso progettato nel 1783 dall’architetto Pompeo Schiattarelli . partendo da un viale centrale giunge ad una fontana in stile roccocò un tempo decorata da statue provenienti dai vicini scavi di Ercolano , opera dello scultore Antonio Parascandolo . A seguire , lungo il percorso del giardino si ritrovano quattro vasche laterali da cui si dipartono poi 14 viali a raggiera che giungono fino al limite della proprietà. In fondo al al parco una piccola dependance chiamata romanticamente ” eremitaggio ” rappresenta l’edificio che fungeva da serbatoio di raccolta e distribuzione dell’acqua a tutto il giardino e alla fontana .
La villa fu acquistata nel 1775 da Giacomo D’Aquino di Caramanico ( gentiluomo di camera del re ) dai discendenti di Giovanna Battista Imparato . Al momento in cui fu acquistata il complesso edilizio era costituito da una “casa palazzata ” ed un casino ” alla romana ” con una masseria di 14 moggia in parte bosco . Il principe di Ciaramanico inizio la riqualificazione del parco e della villa solo qualche anno dopo trasformando tutta l’area dapprima destinata ad una funzione agricola in un bellissimo “giardino delle delizie” dominato da un’imponente villa con decorati capitelli e lesene corinzie che si alternano con un doppio ordine di balconi . Nel suo imponente atrio eran presenti in quelle che oggi appaiono come nicchie vuote , delle belle statue in marmo ed il busto del Principe di Ciaramanico rappresentato nelle vesti di un uomo abbigliato come un romano in vesti classiche e con il capo cinto di alloro .
La ” Villa delle delizie dei D’Aquino , detti di Caramanico ” ebbe il suo periodo di maggior splendore nell’ottocento , durante il regno francese di Gioacchino Murat , per le grandi feste restate memorabili che il Principe Tommaso D’Aquino e sua moglie Teresa Lembo , nipote di Murat offrivano agli ospiti. Fu a lungo un famoso luogo d’incontro della nobiltà napoletana e si racconta che quando alle sontuose feste che vi si tennero arrivava re Gioacchino , il numero di coloro che lo accompagnavano era talmente alto da sembrare … un popolo.
….. or quando Gioacchino veniva quà, è chiaro che non vi poteva venir da solo ma il numero di coloro che s’invitavano ad accompagnarlo era tanto strabbocchevole che lo avresti detto un popolo ….i gelati ed i rinfreschi , durante il tempo di quelle veglie si portavano attorno con tanto eccesso , che era un grande scialacquamento ….
Si dice a proposito di questa villa che essa era particolarmente amata dalla principessa Teresa , nella quale continuamente spendeva le sue fortune al gioco , al punto da consumare in una sola notte più della rendita di un anno ( più di duecento mila ducati ). In verità in tutta l’area vesuviana negli anni francesi ( 1808- 1815 ) si visse una felice stagione per gli amanti del gioco al punto che Torre Annunziata fu anche curiosamente soprannominata ” Gioacchinopoli “.
Nella seconda metà dell’Ottocento la villa fu venduta al conte Lorenzo Van den Henvel, Nel 1912 fu poi acquistata da Giuseppe Vannucchi dalla contessa Anna de Iorio ( vedova del conte Ruggero van den Heuvel ) . La famiglia Vannucchi l’ha poi ceduta al Comune di San Giorgio a Cremano, che dopo un accurato restauro, è riuscita finalmente a riaprirla al pubblico nel 2009.
Guardando oggi questa immensa e magnifica villa non si può fare a meno di immaginare nobili e borghesi con sontuosi vestiti , danze , musiche e risate … è come guardare un immaginario passato in un film in costume dell’ottocento
A proposito di film ..sapete che nella Villa Vannucchi furono effettuate le prime riprese del film “Ricomincio da tre” con Massimo Troisi e Lello Arena ?
San Giorgio a Cremano è oggi anche e forse sopratutto ricordata per essere stata la città in cui sono nati il grande imitatore e shoman Alighiero Noschese, ed il grande e ancora mai troppo compianto attore , comico e regista Massimo Troise , ma è anche il luogo dove hanno abitato come prima accennato il magnifico pittore Luca Giordano ed il ministro di casa borbonica Bernardo Tanucci che qui aveva un suo «casino con masseria» dove morì il 30 aprile 1783 .
Il nome della città, pare che derivi da un lato dal nome del Santo Patrono San Giorgio e dall’altro dalle continue eruzioni del Vesuvio che per la sua posizione geografica ha dovuto subire nel corso dei secoli . Cremano infatti secondo molti farebbe riferimento a “cremato” e deriverebbe da eruzioni vulcaniche , la cui lava avrebbero appunto cremato una striscia di terra del luogo. . Questa affascinante tesi però non trova tutti gli studiosi concordi e non esistendo attualmente sufficienti documentazioni a sostenere tale ipotesi , alcuni sostengono che secondo un recente studio il toponimo ” Cremano ” deriverebbe dal nome di un antico proprietario terriero di nome ‘Cambrianus’ attestato in quella zona.
Secondo la loro tesi il territorio di San Giorgio a Cremano, non è mai stato completamente distrutto dalla lava del Vesuvio ed esso è solo simbolicamente legato al fuoco del Vesuvio . A tal proposito appare interessante una scrittura lasciataci dall’abate Giuseppe Maria Mecatti datata 1734 che a proposito di eruzioni racconta : ……camminò questo fuoco quattro giorni , avendo recato qualche poco danno a quei di Resina , ma non di grande rilievo , fermandosi a San Giorgio a Cremano poco più di un miglio distante dal mare …
San Giorgio è il santo che secondo la tradizione salvò, alla fine del X secolo, gli abitanti del luogo da una terribile eruzione del Vesuvio avvenuta alla fine del X secolo . Da quel momento gli abitanti locali , riconoscendo in lui una grande fama di combattente , lo scelsero come sento protettore capace di aiutarli contro le insidie dei nemici ma sopratutto contro le future eruzioni . Teniamo anche conto che molte terre e possedimenti nella zona vesuviana appartenevano alla chiesa di Forcella San Severo che veniva anche chiamata di S. Giorgio e il culto del santo era gia pertanto molto diffuso e popolare tra i poveri ed i contadini della zona.