Iniziamo il nostro percorso entrando in citta’ come nel tempo hanno fatto tutti gli eserciti dei vari reali che hanno conquistato la citta’ .
Entriamo quindi in citta’ attraversando la Porta Capuana .
Attraversandola non possiamo non pensare ai veri re che trionfalmente e pomposamente vestiti nella loro brillante e sfarzosa armatura a cavallo dei loro magnifici cavalli entravano da conquistatori in città’ , seguiti dai loro imponenti eserciti tra la folla che li applaudiva e sotto lo sguardo di migliaia di persone incuriosite .
La imponente porta che si erge maestosa tra le due grandi torri cilindriche era infatti anticamente la porta d’accesso ufficiale della città, dove confluivano importanti strade ed e’ così denominata perchè orientata nella direzione della città di Capua .
Porta Capuana costruita su disegno di Giuliano da Maiano e’ ancora oggi giudicata una delle più’ belle porte del rinascimento italiano .
Essa e’ costituita da un elegante arco di marmo bianco con decorazioni e altorilievi, racchiuso tra due poderose torri aragonesi denominate Onore e Virtù .
Anche su questa porta cosi’ come per tutte le altre porte di Napoli il pittore Mattia Preti aveva eseguito un affresco che oggi non esiste più, e che, come si narra, raffigurava i santi Michele, Gennaro , Rocco e Aniello in atto di preghiera alla Vergine.
Mattia Preti, bravo con il pennello ma bravissimo con la spada, era fuggito a Napoli da Roma dopo aver ucciso un nobile romano in duello. Arrivato proprio a Porta Capuana, gli era stato vietato l’ingresso in quanto la città era isolata da un cordone sanitario a causa della peste; il Preti con alle calcagna la milizia pontificia, forzò il blocco ferendo o ammazzando un soldato di guardia e fu arrestato e condannato a morte.
Ritenuto tuttavia “ excellens in arte”, cioè bravo pittore, il tribunale della Vicaria, aveva mutato tale condanna in obbligo di affrescare con storie di carattere religioso e di fede cristiana, e gratuitamente, tutte le porte della città.
Un tempo in questa zona esisteva anche un’altra grande magnifica villa che si estendeva in un’area compresa tra Porta Capuana e la chiesa di San Pietro ad Aram ( attuale inizio rettifilo ) . Si trattava della bellissima villa della Duchesca in stile rinascimentale che successivamente fu poi abbandonata a se stessa sotto il vicereame spagnolo fino a giungere al piu completo degrado . Oggi di questa villa purtroppo non e’ rimasto nulla se non la chiesetta di San Clemente che era la cappella annessa alla villa .Resta comunque il ricordo poiche’ ha dato il nome all’ intera rinomata zona posta a ridosso della statua di Garibaldi .
L’edificio, realizzato sul finire del XV secolo, fu progettato da Giuliano da Maiano, per Alfonso II, allora ancora Duca di Calabria, e fu celebre soprattutto per lo splendore dei suoi giardini e delle sue fontane .
Alfonso volle un collegamento tra la sua residenza ( Castel Capuano ) , il convento della Maddalena e la Villa della Duchesca che era particolarmente cara a sua moglie Ippolita Sforza .
Le suore , sfrattate dal convento , presero dimora nel vicino monastero di Santa Caterina al Formiello
Il nome “Duchesca” deriva proprio dalla figura della moglie di Alfonso , la duchessa Ippolita Maria Sforza, che mori’ però prima della realizzazione del corpo di fabbrica principale.
La dimora con i suoi vasti giardini e le sue logge era destinato a essere una gradevole residenza per la corte, complementare alla residenza ufficiale di Castel Capuano.
Caduti gli Aragonesi , la villa ospito’ re Carlo VIII di Francia .
Sotto il vicereame spagnolo la Duchesca fu abbandonata a se stessa . Questo porto’ come conseguenza la progressiva edificazione privata che rapidamente inghiottì completamente il vasto giardino. Nella seconda metà del XVI secolo il complesso incomincio’ ad essere sempre piu’ abbandonato finendo per versare in uno stato di profondo degrado .
Seppur danneggiata, la struttura edilizia sopravvisse fino alla seconda metà del XVIII secolo, dopo il quale venne progressivamente spogliata dei suoi materiali da costruzione, e scomparve senza lasciare né traccia materiale né testimonianze iconografiche.
Attraversata Porta Capuana, vediamo dinanzi a noi il vecchio Castel Capuano , edificato nella seconda meta’ del XII secolo in stile tipicamente medievale dal normanno Guglielmo di’ Altavilla detto ” il Malo “. Esso costituiva un baluardo imprendibile divenendo per lungo tempo residenza reale sopratutto da parte di re Carlo I d’Angio che trasferendo la capitale del regno da Palermo a Napoli decise di ampliarla per risiedervi . Fu nel tempo modificato e una volta ampliata utilizzato oltre che come residenza reale anche come fortezza e carcere che ha visto come ” ospiti ” anche personaggi illustri come Gianbattista Marino e Eleonora Pimental De Fonseca .
Il suo nome deriva dalla vicina Porta Capuana.
Nel 1540 , non essendo piu’ funzionale come fortezza , per lo spostamento in avanti delle mura urbane, il castello fu adibito per volere di don Pedro Di Toledo ,a sede dei Tribunali .
Il vicere’ , lo fece ristrutturare per riunirvi tutti i tribunali fino ad allora sparsi in diversi luoghi della citta . Da quel momento sara’ chiamato ‘ il palazzo della vicaria ‘, perche’ era il Vicario del Regno a presiedere al governo del potere giudiziario .
Le esecuzioni capitali avevano luogo nello spazio antistante la facciata settentrionale e le gabbie di ferro con dentro le teste recise dei giustiziati , oppure le mani o i piedi, troncati , dei condannati , venivano appese all’angolo del castello prospiciente via Carbonara.
Nel largo davanti alla porta principale del Castello , a destra , sopra una base quadrata di pietra , esisteva una antica colonna romana di marmo bianco che veniva indicata come la << colonna infame della vicaria >>.
Secondo vecchie leggi, quando un fallito dichiarava di non possedere più niente ,e quindi , di non poter pagare i suoi debiti, doveva salire sulla base di pietra della colonna, calare le brache, mostrare il deretano nudo ai suoi creditori e pronunciare le parole:< cedo bonis >
Le due parole latine volevano dire < sono morto per i beni di fortuna> ed il gesto significare< cosi’ sono ridotto>. Il debitore condannato doveva essere legato abbracciato, con i pantaloni completamente calati e cosi, tra gli squilli di tromba del banditore, doveva proclamare per una o più ore la frase.
Nel 1546 Don Pietro de Toledo aboli’ l’ umiliante pena della colonna , sostituendola con un’altra più’ decorosa.
Il debitore che ricorreva al disonorevole beneficio doveva, dopo che il suo nome e la formula d’uso erano stati gridati dall’esecutore , restare ritto accanto alla colonna , a capo scoperto , per un’ora, davanti ai suoi creditori.
Tale usanza duro’ fino al 1736 , cioè fino a quando Carlo di Borbone l’aboli, facendo abbattere la colonna infame.
Ben più’ a lungo duro’ l’altro uso che della base della colonna si faceva ; l’esposizione , cioe’ dei corpi senza vita delle persone morte tragicamente , onde permetterne il riconoscimento: una sala mortuaria all’aperto.Tale macabra esposizione ebbe , finalmente , fine nel 1857.
Ancora oggi il castello conserva la sua antica funzione di Tribunale . Una funzione che ha mantenuto sino ai nostri giorni , ospitando i protagonisti di quella che e’ passata alla storia come la scuola Giuridica napoletana ( un’eccellenza internazionale ).
La struttura e le caratteristiche di Castel Capuano com’erano in origine, non esistono più’, tante sono state nel corso dei secoli, le modifiche apportate all’ interno ed all’esterno dell’edificio.
L’ingresso principale reca lo stemma di Carlo V re di Spagna ( ma anche precedentemente re di Napoli con il semplice nome di Carlo di Borbone ).
Nella parte posteriore e’ sita la fontana del Formiello del XV secolo che prese il nome dall’ omonimo acquedotto .
Nella vicina piazzeta Enrico De Nicola , troviamo l’interessante chiesa di Santa Caterina a Formiello , cosi’ detta dalla vicinanza degli antichi “formali d’acqua ( dal latino ad formis, “presso i condotti; presso i canali”), in quanto nei suoi pressi penetrava in città l’antico acquedotto della Bolla – Carmignano: acquedotto che fu poi sostituito totalmente dall’attuale in uso, quello di Serino, verso la fine del XIX secolo.
La chiesa ha ospitate dapprima frati dell’ordine dei Celestini (fondato da Celestino V) e successivamente i Padri Domenicani che vi rimasero fino al 1809, quando il convento ( come tutti gli altri presenti in citta’ ) venne soppresso da Gioacchino Murat.
Dopo questa soppressione il monastero ed i chiostri annessi furono adibiti a Lanificio militare con vaste alterazioni del disegno originario (tompagnature di arcate, copertura del chiostro piccolo affrescato) e costruzione di strutture (ciminiere, padiglione nel chiostro grande) che hanno però formato in pieno centro cittadino un singolare monumento di archeologia industriale.
Nel complesso , prima della sua soppressione esisteva una farmacia ( attualmente visitabile ) assai famosa in tutta Napoli , a cui si rivolgevano un’enorme massa di persone per fare incetta dei suoi prodigiosi medicamenti . Ad occuparsi dei medicamenti della spezieria di S. Caterina a Formella era il frate Donato d’Eremita.
I lavori per la ricostruzione della chiesa cominciarono intorno al 1515 su progetto dell’ architetto Romolo Balsimelli mentre il bel portale con la Statua di Santa Caterina Martire, oggi presente fu realizzato nel 1659, dall’architetto Francesco Antonio Picchiatti nel 1659 .
La chiesa custodisce pregevoli affreschi del Seicento e del Settecento ed accoglie inoltre opere scultoree databili tra il XVI ed il XVII secolo .
La cupola e’ una vera meraviglia ed i suoi lavori di affresco furono affidati a Paolo De Matteis. Vi invitiamo ad apprezzare il bellissimo dipinto della Madonna, santa Caterina e i patroni di Napoli che implorano la Trinità a favore della città .
All’interno della chiesa ci sono dieci cappelle laterali tutte interessanti e belle da vedere
Sotto l’altare della quinta Cappella a sinistra sono conservate le reliquie dei beati martiri d’Otranto massacrati dai turchi nel 1489.
La cappella custodisce sotto l’altare in marmi policromi, 240 reliquie appartenenti ad alcuni dei martiri della città pugliese, uccisi decapitati dai turchi il 14 agosto del 1480 per non aver rinnegato la propria fede. Alfonso d’Aragona trasferì così i corpi dei martiri a Napoli prima nella chiesa della Maddalena (divenuta poi chiesa di Santa Maria dei Martiri) poi nel 1574 nella chiesa di Santa Caterina a Formiello. Le reliquie furono collocate prima sotto l’altare del Rosario, nel transetto di destra, per poi trasferirle nella “cappella dei domenicani” nel 1739. Dal 1901 le reliquie dei martiri (alcuni sono crani pressoché integri) hanno trovato definitiva custodia in un grande sarcofago posto sotto l’altare della cappella della visitazione, visibili alla pubblica devozione, soprattutto dopo la recognitio canonica effettuata tra il 2002 e il 2003, che ne ha ribadito l’autenticità.
Interessante a questo punto anche il gruppo marmoreo della Madonna del Rosario tra santa Caterina da Siena e san Domenico, attribuita al romano Paolo Tenaglia.
La scena ricorda la vittoria definitiva delle truppe cristiane sugli ottomani nella famosa battaglia di Lepanto, con la Madonna che intercede presso il figlio perché fermasse l’avanzata dei turchi impedendo in questo modo l’islamizzazione dell’Europa .
Usciti dalla chiesa vi consigliamo assolutamente di recarvi alla vostra destra e percorrere la Via Carbonara , per dare uno sguardo alla vicina chiesa trecentesca di San Giovanni a Carbonara .
La via carbonara , che da’ il nome alla chiesa, in epoca medievale era una strada adibita allo scarico dei rifiuti inceneriti dove i napoletani scaricarono per secoli le immondizie (che le acque meteoriche, scorrendo dalle vicine colline, si incaricavano poi di trasportare fino al mare) e ai tempi degli angioini vi si tennero giostre e tornei tanto cruenti da provocare le proibizioni del papa e le proteste di Francesco Petrarca.
La chiesa è il risultato dell’annessione di più strutture architettoniche: la doppia scala in facciata cela l’ingresso alla sottostante chiesa della Consolazione a Carbonara; il portale centrale introduce alla Cappella di santa Monica, quello di sinistra all’ingresso laterale della chiesa di San Giovanni.
La chiesa di chiaro stampo gotico è posta su una altura e come dicevamo e’ il risultato dell’annessione di più strutture architettoniche: per accedervi fu fatta edificare nel XIII secolo una bellissima scala in piperno a doppia rampa, opera di Ferdinando Sanfelice . La bella scala tutt’oggi visibile, nasconde l’ingresso alla sottostante Chiesa della Consolazione a Carbonara ( all’ epoca documentata col nome di chiesa di Santa Maria Consolatrice degli Afflitti ).
La facciata della Chiesa di San Giovanni a Carbonara è molto semplice: al centro vi si apre uno splendido portale gotico con due pilastri ornati ed una lunetta affrescata dal pittore lombardo Leonardo da Besozzo.
Otto stemmi angioini e la figura del sole splendente, simbolo della famiglia nobiliare Caracciolo del Sole, ornano la zona dell’arco.
La chiesa nel suo interno presenta sculture e pitture di stile prevalentemente gotico e rinascimentale .La sua costruzione ebbe inizio nel 1339, grazie alle donazioni del nobile napoletano Gualtiero Galeota , sul luogo dove precedentemente sorgeva un piccolo convento di monaci agostiniani
La storia di questa chiesa, è strettamente legata alla dinastia dei Durazzo: l’ultimo erede del casato, il re di Napoli Ladislao, vi è sepolto in uno splendido monumento funebre commissionato dalla sorella Giovanna II .
L’interno, a croce latina con un’unica navata rettangolare, sfocia nell’abside .
Nell’abside domina il monumento funebre a re Ladislao.(1428 ) Alto circa 18 metri, è tradizionalmente attribuito ad Andrea da Firenze ma sarebbe in realtà opera di più artisti toscani e settentrionali . Temperanza, Fortezza, Prudenza e Magnanimità: le quattro virtù sorreggono il monumento.
Il monumento, eretto dalla sorella Giovanna II, raffigura Ladislao e Giovanna in trono .Le due figure ricompaiono nel sarcofago, assieme a Carlo III e Margherita .
Al di sopra, la figura del re giacente, benedetto da un vescovo, redime l’anima del sovrano che fu in realtà scomunicato.( muore scomunicato )
Sulla sommità, la statua di Ladislao a cavallo completa di armatura e con spada sguainata: una rappresentazione inusuale in un luogo di culto.
Alle spalle del monumento a re Ladislao , si entra nella cappella Caracciolo del Sole ( vi si accede passando sotto il monumento funebre ) che fu costruita nel 1427 da Sergianni Caracciolo, gran siniscalco e amante di Giovanna II, ucciso nel 1432 e qui sepolto in una tomba scolpita (dopo il 1441) da Andrea da Firenze .
Davanti al monumento si trova l’ altare maggiore con bellissima pavimentazione a marmi policromi , e tra due finestroni la bella statua di Michelangelo Naccherino (la Madonna delle grazie )
A sinistra del presbiterio, possiamo ammirare la bella cappella Caracciolo di Vico mentre addossata alla parete di fronte all’ingresso troviamo la cappella Miroballo arricchita da numerose statue, tra cui una Madonna col Bambino . Il sepolcro di Antonio Miroballo e vari affreschi qui presenti, di epoca quattrocentesca, sono opera di Lorenzo Vaccaro.
Dal sagrato si accede alla cappella Seripando, dov’è un Crocifisso di Giorgio Vasari (1545). Ritornati sulla scalinata, si entra nella gotica cappella di S. Monica (all’interno, lo splendido sepolcro di Ruggero Sanseverino di Andrea da Firenze).
Ai piedi della scalinata, tra le rampe, è l’ingresso alla barocca chiesa inferiore della Consolazione a Carbonara, con il grande altare disegnato da Ferdinando Sanfelice e con sculture di Giuseppe Sammartino.
Usciti dalla chiesa ritorniamo presso Porta Capuana e dirigiamoci passando per Piazza Garibaldi verso Piazza del Carmine . Attraverseremo un luogo molto pittoresco fatto di bancarelle e negozi immersi in una variopinta folla di persone . Il luogo molto popolare e’ denominato Forcella , un famoso quartiere di Napoli in passato tristemente famoso per l’attività criminale di alcune famiglie camorristiche ma ora “regno” di artigiani e pizzaioli famosi come la nota Pizzeria da “Michele “( via Michele Sersale 1) , il Trianon ( via Pietro Colletta 44 ) , Carmnella ( via Marino Cristoforo 22) o il Pellone ( via nazionale 92 ) .
Il nome Forcella del quartiere , lo si deve a quella “Y” che caratterizza una biforcazione della sua strada che, ad un certo punto del percorso, interessa la via per dividerla in due .
La lettera Y , appare anche inserita nello stemma del Sedile di Forcella in quanto era sacra alle scuole pitagoriche che risiedeva in questo luogo nella Napoli greca . Ricordiamoci infatti che in matenatica la Y e’ una incognita e la scuola di Pitagora la considerava un simbolo di augurio e di buona fortuna .
Essa rappresentava la ” nascita del tutto ” cioe’ il tronco della vita che si va a dividere, l’albero di Jesse per la religione cristiana da cui tutto ha origine.
Ma prima di addentrarci nell’affollato luogo , giunti in Piazza Garibaldi mi piace ricordare a tutti che in questo posto ebbe luogo la costruzione della prima ferrovia in Italia : la Napoli-Portici . La sua stazione chiamata Bayard ,con un’ampia sala di aspetto per i passeggeri ,fu costruita nell’antica via detta «dei fossi» appena fuori le mura aragonesi che in quel tempo ancora esistevano tra la Porta del Carmine e la Porta Nolana nell’odierno Corso Garibaldi.
Grazie ad un grafico ritrovato fra gli Annali Civili si può ricostruire la struttura della prima stazione. Costituita da due corpi di fabbrica, ognuno dei quali aveva tre ingressi separati ad arco, i quali servivano a separare i clienti per classe. L’edificio, ispirato ad un sobrio linguaggio neoclassico, era alto due piani con tre fornici nella zona centrale della facciata, una lunga balconata comprendeva tre dei cinque balconi del piano superiore.
Il primo tratto di strada ferrata in Italia lo si deve ad un ingegnere francese, Armando Bayard de la Vingtrie, che alla ricerca di un paese che potesse attuare il suo progetto decise nel mese di gennaio del 1836 di esporlo al marchese Nicola Santangelo , ministro di re Ferdinando II di Borbone. Questi una volta ottenuta l’approvazione del re concesse la realizzazione dell’opera all’ingegnere francese che nel costruirla a proprie spese, ottenendo in cambio lo sfruttamento della sua stessa opera per 99 anni.
La scelta di Bayard cadde sul Regno delle Due Sicilie, probabilmente per la natura progressista e la nota vena sperimentale dei Borbone ( e non sui Savoia ).
La linea attraversava le paludi napoletane e la real strada delle Calabrie giungendo nei pressi della spiaggia di Portici, al Granatello. La strada ferrata avrebbe poi collegato Napoli con Nocera, con una diramazione per Castellammare.
La priorità per il tratto fino al Granatello di Portici era dovuta al fatto che nella cittadina vesuviana era situata la reggia estiva dei Borbone fatta costruire da Carlo I .
Le locomotive in un primo momento furono acquistate da una societa’ inglese per il solo scopo di capire come venivano costruite . Una volta capito il sistema di costruzione le restanti locomotiva vennero realizzate poi direttamentea Napoli nello stabilimento della futura officina meccanica di Pietrarsa a San Giovanni a Teduccio ( figuratevi la rabbia degli inglesi ).
Alle ore 10 del 3 ottobre del 1839, alla presenza del re Ferdinando II delle Due Sicilie e delle più alte cariche del Regno, vi fu la partenza del primo treno, il quale trasportava 258 passeggeri.
L’artista Salvatore Fergola immortalò l’evento, al quale partecipò anche un folto numero di cittadini esterrefatti. Un dipinto, conservato a San Martino, ritrae anche il grande padiglione eretto presso il Granatello, a Portici, sul ponte della villa del principe di Monteroduni.
Nel 1840 la via ferrata arrivò a Torre del Greco, nel 1842 a Castellammare di Stabia. I lavori furono continuati per portare la Ferrovia fino a Nocera e terminarono il 18 maggio del 1844. Alla fine dell’ottobre del 1839 la ferrovia napoletana aveva trasportato circa 60.000 viaggiatori .La compagnia ritenne allora di poter ribassare i prezzi e nel 1840 furono previsti biglietti ridotti per i cittadini meno abbienti, vale a dire «alle persone di giacca e coppola, alle donne senza cappello, ai domestici in livrea ed ai soldati e bassi ufficiali del real esercito». Esattamente il contrario di quanto avviene oggi …..
Appena alle spalle di Piazza Garibaldi , situata in una traversa a ridosso del Corso Umberto si trova la chiesa più antica e misteriosa di Napoli , la Basilica di San Pietro ad Aram, scampata al Rinascimento nel secolo scorso oggi stretta tra il caos del Rettifilo e il degrado del mercatino che ne impedisce persino l’accesso dalla porta principale (ci piazzano le bancarelle davanti) ,
Verso la fine dell’ottocento ,in tutta la zona , dopo una epidemia di colera , fu attuato un piano urbanistico ,con l’intento di dare una ripulita all’intero quartiere . L’intera area fu soggetto a un ricostruzione, che vide interi rioni ,vicoli e viuzze , con palazzi addossati l’un su l’altro rasi al suolo, per far spazio ad una strada ampia e luminosa , che ricalcasse in parte i boulevard francesi ,la strada è appunto il Corso Umberto.
Le origini di questa chiesa sono molto antiche ;Secondo molti essa dovrebbe risalire al 444 dopo Cristo , in concomitanza del passaggio di San Pietro a Napoli . Pare infatti che essa sorga proprio nel luogo dove san Pietro celebrò la prima messa a Napoli e in tal momento battezzò due santi (santa Candida, Sant’Aspreno) . La struttura attuale che vediamo comprendente anche un monastero di Monaci Regolari di Sant’Agostino fu costruita su quella paleocristiana nel XII secolo.
L’interno della antica chiesa di San Pietro ad Aram è a croce latina con quattro cappelle laterali tutte decorate con stucchi antichi e colonne scanalate.Essa conserva, oltre a splendidi dipinti su tela e tavola realizzati da grandi artisti come Jusepe de Ribera, Massimo Stanzione, Mattia Preti, Luca Giordano, Andrea Vaccaro, Giacinto Diano e Belisario Corenzio, anche un antichissimo affresco di Santa Candida, tornato alla luce dopo molti secoli.
Molto interessanti da vedere anche i bassorilievi di Nauclerio .
La caratteristica principale di questa chiesa la ritroviamo nella cripta : scendendo ci troveremo infatti negli ambienti di una antica chiesa paleocristiana a tre navate e con colonne in marmo .
Nel suo interno e’ ancora oggi custodita l’Ara Petri, ovvero l’altare su cui pregò San Pietro durante la sua venuta a Napoli .L’altare di San Pietro, che si trova nel vestibolo, è sovrastato da un affresco rinascimentale.ed è lo stesso medesimo altare sul quale celebrarono messa anche altri vescovi come San Silvestro I, San Pelagio, San Gregorio Magno e San Nestoriano, vescovo africano sbarcato a Napoli insieme a San Gaudioso.
Secondo molti l’Apostolo Pietro proveniente da Antioca e diretto a Roma, fece una sosta a Napoli ,e qui incontro una vecchia signora,di nome Candida,la quale era gravemente malata.
Quest’ultima portata a cospetto del Sant’uomo ,implorò la la grazia per la sua guarigione nonostante ella fosse una pagana e non credente . Pietro commosso da tale richiesta opero’ la guarigione , e l’anziana donna guarita dal male ,condusse Pietro da un altro infermo un certo Aspreno,e anche per lui si compi il miracolo.
I due Pagani si convertirono al Cristianesimo con tale fervore che L’apostolo Pietro alla sua partenza da napoli consacrò Aspreno primo vescovo di Napoli.
Aspreno fu profondamente legato a questo luogo , l’altare dove Pietro (Ara Petri) aveva celebrato ,pregato e compiuto i suoi prodigi ,egli lo custodi prima all’interno di una piccola edicola e poi in seguito nella Basilica di San Pietro ad Aram li sopra eretta.
Ad Aspreno viene collegata la cappella che si trova in piazza Bovio (inglobata nel Palazzo della Borsa), dove è possibile ancora oggi vedere la pietra bucata nella quale infilava la testa chi voleva guarire dall’emicrania
Anche candida non lascio mai piu questo santo posto . La credenza popolare vuole che la santa donna ( che era stata guarita da Pietro ) abbia vissuto il resto della sua vita , nella cripta sottostante l’originaria chiesa napoletana ,alla quale si accede mediante una piccola scala dal transetto sinistro, dove sono visibili l’ambulacro e il famoso antico pozzo che aveva poteri taumaturgici . Nella cripta si sono rinvenuti numerosi scheletri di martiri Cristiani, fra di essi quello di Candida posto in una nicchia di fianco all’altare dove numerosi fedeli si recano da tempo immemore in cerca di grazia.
La Basilica nel periodo napoleonico fu adibita a caserma per le truppe francesi. Essa fu anche danneggiata dal terremoto del 1980, ma l’amore del popolo ne ha permesso la riedificazione.
La costruzione originaria venne ampliata nel Dodicesimo secolo annettendo anche un monastero; Nel 1453, grazie al re Alfonso I d’Aragona, la chiesa fu affidata ai Canonici Lateranensi. In questo periodo, la basilica fu inglobata nelle mura cittadine, fu restaurata e il monastero arricchito da un bellissimo chiostro con colonne in marmo e archi a tutto sesto; inoltre, ne fu costruito un altro nel Cinquecento in piperno.
Purtroppo durante il periodo di Risanamento edilizio della città di fine Ottocento, il chiostro di San Pietro ad Aram fu abbattuto e le sue colonne trasferite nella chiesa di Sant’Aspreno.
Dei due chiostri di questo monastero è possibile vedere le colonne nel vestibolo di Sant’Aspreno.
Superata Piazza Garibaldi ,attraverso il corso Garibaldi si arriva a piazza Nolana dove possiamo vedere l’antica e famosa Porta Nolana fatta erigere nel XV secolo da re Ferrante d’Aragona .
La costruzione fu affidata allo scultore e architetto Giuliano da Maiano che realizzo’ una struttura costituita da due imponenti torri di piperno , dette Torre della Fede (o Cara Fè) a sud e Torre della Speranza a nord che reggono un bell’arco, ornato da un bassorilievo quattrocentesco. Al centro e’ inglobata la Porta dove nello spessore del muro troviamo ancora la scanalatura per la saracinesca .
La denominazione è dovuta al suo ‘orientamento, poiche’ la strada che vi passava sotto portava nella direzione della citta’ di Nola.
Originariamente la Porta si trovava in posizione più arretrata,nella zona di Forcella tra l’ospedale Ascalesi e la basilica dell’Annunziata, ed era conosciuta per questo motivo con il nome di Porta Furcillensis e solo nel 1484 in occasione dell’avvenuto ampliamento delle mura cittadine da parte degli aragonesi fu deciso di spostarla piu’ avanti .
L’ arco a tutto sesto mostra un bassorilievo rinascimentale rappresentante Ferrante I d’Aragona, con indosso l’armatura e la corona, in groppa a un cavallo.
La Porta mostra inoltre su marmo tre stemmi sporgenti. Quello centrale raffigura le armi aragonesi intrecciate con quelle angioine e presenta le Fasce di Francia e della casa d’Angiò, le armi d’Ungheria, i gigli e la città di Gerusalemme. Laterali vi sono due scudi sannitici raffiguranti armi ormai non più visibili.
La Porta mostrava inoltre un affresco di Mattia Preti con protagonista san Gennaro, in compagnia di san Francesco e santa Rosalia, mentre riceve l’apparizione dell’Immacolata con il Bambino Gesù in braccio. Il Santo Patrono chiede alla Madonna di aiutare la popolazione napoletana falcidiata dalla peste. L’affresco è stato però totalmente cancellato, probabilmente nell’Ottocento.
Un tempo nella nostra città’ esistevano ben 26 porte e 28 torri : le principali erano ai lati dei Decumani .
Nel Decumano superiore nel suo tratto iniziale , all’angolo tra Costantinopoli e la Sapienza si trovava Porta Romana, mentre alla sua fine si trovava Porta Santa Sofia.
Nel Decumano Maggiore all’altezza della chiesa della Croce di Lucca si trovava Porta Puteolana mentre alla sua fine Porta Capuana ( poi spostata piu’ avanti oltre il castello ).
Nel decumano inferiore , al suo inizio Porta Capuana ( o Puteolana ) che si trovava in Piazza San Domenico ) e al suo finire Porta Furcillense ( o Erculanese ) chiamata poi Porta Nolana .
Di quelle più importanti ricordiamo inoltre la Porta di Donnorso ( epoca ducale ) che si trovava inizialmente di fianco al Conservatorio e successivamente spostata al termine di Costantinopoli di fronte al Museo Nazionale ( all’epoca Palazzo degli Studi ).
Port’ Alba eretta nel 1640 ( detta Porta Sciuscielle , dagli alberi di carrubo del vicino convento di San Sebastiano)
Porta Medina si trovava tra la Pignasecca e Montesanto
Porta Mercato , Porta di Pontenuovo, Porta del Carmine , Porta del Molo Piccolo e Porta Ventosa a Mezzocannone che rappresentava l’unica Porta in citta’ verso il mare .
Oggi ne sono rimaste solo quattro: Porta San Gennaro, Port’Alba, Porta Capuana e Porta Nolana
Nei pressi delle torri vi è il pittoresco mercato di Porta Nolana, dove si può comprare ottimo pesce fresco, verdure, frutta e tanti altri prodotti della cucina popolare napoletana . Si tratta di un luogo che ha completamente conservato il suo fascino popolare .
In questo luogo il tempo sembra essersi fermato somigliando a quei paesaggi che vediamo talvolta negli antichi presepi del settecento dove il tempo sembra essersi fermato.
Fuori Porta Nolana nel XVI secolo Colantonio Caracciolo costruii una bellissima villa chiamata Villa il Paradiso, con un gran giardino ricco di fantastici giochi d’acqua e adornato con antiche statue . Tra le mura di questa bellissima villa sono accadute numerose vicende, alcune in particolare legate a Galeazzo il figlio di Colantonio, che lascio Napoli per trasferirsi a Ginevra, perché perseguitato e accusato varie volte di eresia .
Nel 500 avvenne la decadenza della famiglia, e Villa il Paradiso venne abbandonata.
Da quel momento su questo incantevole luogo sono iniziate a sorgere numerose leggende, anche a causa di una strana epigrafe, posta sulla porta, datata 1543 che recava apparentemente una semplice dedica agli Dei pagani, ma che secondo molti era in realtà un vero e proprio omaggio al Diavolo.
Tra i resti della casa, si può intravedere un ombra gigantesca , con un faccione brutale e largo, chiunque abbia visto questa strana figura sostiene che lo spettro metta i brividi tanto da indurre a non dormire per notti intere, se si tratti di un membro della famiglia Colantonio o del demonio stesso non ci è dato saperlo, ma più persone consigliano di stare lontani da quella villa.
Nei pressi di Porta Nolana si trova un pittoresco mercato dove si può comprare ottimo pesce fresco, verdure, frutta e tanti altri prodotti della cucina popolare napoletana . Si tratta di un luogo che ha completamente conservato il suo fascino popolare che una volta attraversato ci conduce direttamente nella storica Piazza del Mercato.
La piazza oggi come appare non e’ bella da vedere , disordinata, caotica , rumorosa e preda del confusionario mercato rionale con le varie merci esposte e nulla sembra ricordare in questa piazza qualcosa del suo glorioso passato .Nel settecento questa era infatti una delle piazze più famose di Napoli grazie alle drammatiche e pubbliche impiccagioni che vide centinaia di persone condannate a morte.
All’origine era chiamata piazza del moricino, uno spiazzo fuori le mura ,verso il mare ove si sono accampati eserciti e mercanti di ogni nazionalita’ e religione , ma in prevalenza orientali , chiamati generalmente ” mori ” .
Nel 639 giungono a Napoli alcuni carmelitani sfuggiti ai saraceni , recando con loro una tavola dipinta della Vergine Maria , chiamata ” la bruna del monte Carmelo ” che si dice dipinta da S. Luca in persona .
I frati intendendola esporla al culto , fabbricano una piccola chiesetta , che e’ il primo nucleo dell’ attuale chiesa del Carmine . Sembra che la chiesa consistesse in una cripta sotterranea , una grotta , e per questo fosse chiamata originariamente ” S. maria della Grotticella” .
Carlo I d’Angio , avendo elevato Napoli a capitale del suo regno , decise di trasferire in questa piazza il mercato ufficiale , che fino ad allora si teneva nella piazza Augustale , odierna S. Gaetano . Al tempo degli angioini la piazza era chiamata ” foro magno ” .
Da questa decisione e dal cambiamento di vita di questa piazza , presero a formarsi i quartieri di Porto e del Pendino , celebri per la grandiosa festa popolare che si teneva a loro cura dal 23 al 24 agosto in onore di S. Giovanni a Mare . La festa si celebro’ fino al XVIII secolo , e le cronache abbondano in descrizioni fantastiche di statue di’ oro e argento , coperte di pietre preziose , portate in processione od esposte all’ ammirazione piu’ che alla pieta’ dei fedeli ; si parlava anche dei grossi banchetti all’ aperto , di fuochi , di luminarie e quanto di solenne sfarzo la ricchissima Napoli di allora poteva offrire . La festa , proibita , al tempo della rivoluzione di Masaniello , ripresa poi e di nuovo proibita , decadde lentamente ed alla fine del 1700 non se ne parlava gia’ piu’.
Motivo della proibizione non furono pero’ i moti di Masaniello , ma una imposizione clericale . Questa festa infatti , originata da un motivo religioso ( si intendeva ricordare il battesimo di Gesu’ nel Giordano ) finiva con un bagno notturno e una volta inibita la comune morale ci si abbandonava a poco licenziosi atti amorosi. ( il bando di abolizione parla di promiscuita’ fra ” homini et femine”.)
La piazza e’ stata per anni il palcoscenico delle pubbliche esecuzioni dove si son consumati crimini terribili, come la decapitazione del giovane Corradino, l’esecuzione dei congiurati delle rivolte baronali , l’impiccagione dei rivoluzionari della repubblica partenopea ,tutte morti eccellenti , consacrate da processi tanto solenni quanto fasulli .
Corradino di Svevia inaugura tristemente la piazza come luogo di esecuzioni capitali .
Da allora , stanziarono in permanenza sulla piazza un palco per la decollazione dei nobili , una forca per la gente comune ed il trave per la corda , pena riservata ai delitti minori .
L’ elenco dei giustiziati su questa piazza sarebbe lungo : Roberto e Raimondo Cabano , Filippa la catanese ed il conte Terlizzi , bruciati vivi nel 1343 perche’ colpevoli dell’assassino di Andrea di’ Ungheria ; tre anni dopo per lo stesso delitto , Luigi Durazzo con Landò e Giacomo della Polla .
Persero il capo , sotto la scure in piazza del mercato , adibita alle esecuzioni capitali ,.Antonello Petrucci , il conte di Sarno , con gli altri partecipanti alla famosa congiura dei baroni ; vi fu messo a morte Pandolfello Alopo , che era stato l’amante della regina Giovanna II, il conte Cesare di Capua e cosi’ via per i secoli , fino ad arrivare ai tempi di Masaniello e alla sua coraggiosa rivolta . La piazza è stato il luogo dove infatti prese avvio la famosa rivolta di Masaniello , il pescivendolo rivoluzionario.
Poco distante, nel campanile del Carmine avvenne infatti, l’assassinio di un pescatore che aveva guidato la ribellione contro il vicerè spagnolo che strangolava il popolo con gabelle odiose in un periodo in cui , nella metà del XVII secolo, Napoli era una città di circa 400000 abitanti , per l’epoca una metropoli . Di bello ci sono le due fontane con leoni ed obelisco , in parte sfregiate , in parte in fase di restauro.
Furono tante le teste mozze nella piazza in uno spaventoso lavoro della mannaia e delle forche , tanto che qualcuno gia’ diceva che la piazza non era piu’ del mercato, bensi’ del capo mozzato .
Altri vi furono impiccati come Michele Pezza detto ” fra diavolo ”
E’ stata anche la piazza dei Martiri della Repubblica Partenopea del 1799 eco e conseguenza della Rivoluzione Francese, e a pagarla a Napoli, primo tra tutti gli illustri di quell’epoca, l’ammiraglio Francesco Caracciolo, impiccato sulla nave Minerva, gettato in mare a morte avvenuta e poi recuperato e sepolto alla chiesa di Santa Maria della Catena a Santa Lucia
Gli ultimi condannati furono gli eroi della liberta’ napoletana , fra i quali i piu’ noti furono Mario Pagano , Domenico Cirillo , Eleonora Fonseca Pimental e la povera Luisa Sanfelice , per la quale fu usato un trattamento di favore: poiche’ nel maggio del 1800 era stato proclamato un generale indulto ed il palo della forca era stato tolto , lo si ripristino’ l’11 settembre per impiccare la Sanfelice .Dopo di allora , piazza del Mercato cesso’ di essere adibita alle esecuzioni capitali .
Di bello c’è lo spazio centrale che veniva usato come deposito di granaglie fino alla peste della seconda metà del 600 ,quando, per necessità, fu convertito in fossa comune . In questo spazio ora c’è la confusione del mercato però quando capita , è bello godersi le chiese che la circondano , tutte importanti, tutte cariche di storia , da Sant’Eligio a San Giovanni a mare , sino al Carmine maggiore .
A proposito, da questa piazza, è possibile assistere all’incendio del campanile , un rito che si svolge da secoli a ricordare l’incendio di una torre di legno costruita dai saraceni per espugnare la città e distrutta dalla ribellione popolare che non tollerava l’ennesima invasione di turno .
A pochi passi possiamo ammirare la Basilica del Carmine ,una delle più grandi e note chiese di Napoli che conserva nel suo interno molte interessanti memorie storiche , prime fra tutte il miracoloso Crocefisso ligneo , autore di un celebre fatto realmente accaduto :
Alfonso d’Aragona , dopo un primo disastroso tentativo di conquistare Napoli , non desistette dal proposito e ci riprovo’ alcuni anni dopo . Sbarco’ a Napoli e cinse di assedio la citta’ . L’ esercito di Alfonso , comandato da suo fratello Pietro , era attestato in una zona, oggi corrispondente al borgo Loreto . In quel luogo c’era tra l’altro , una postazione con le bombarde rivolte verso il campanile del Carmine dove si erano rifugiati gentiluomini del seggio di Portanova sostenitori delle armi angioine.
Nella chiesa oltre l’abside ,era presente il Crocefisso , oggetto della nostra storia.
L’ infante don Pietro , fratello di Alfonso , notando del movimento nei pressi della chiesa ordino’ di aprire il fuoco in direzione del campanile .Un colpo di bombarda attraverso’ il muro , penetro’ nel tempio e avrebbe fatto saltare il capo del Cristo se questi non l’ avesse chinato . Cosi’ solo la corona di spine salto’ via .
Quindi la palla cadde con gran fragore sopra certe tavole dentro la chiesa . Era il 17 ottobre del 1439 , una data che i napoletani ricordano come quella del ” miracolo del Crocifisso “.
La notizia del fatto si sparse nel campo aragonese e arrivo’ fino ad Alfonso , che ordino’ al fratello di sospendere il bombardamento ; ma don Pietro continuo’ , pagando con la morte la sua disobbedienza . Infatti un colpo sparato dal campo angioino gli tronco’ di netto la testa . Quando poi Alfonso entro’ in Napoli , volle accertare di persona la veridicita’ di quanto gli era stato narrato ,. Si convinse della autenticita’ del fatto e volle che il Crocefisso fosse restaurato senza badare a spese ; dono’altresì un magnifico tabernacolo , in sostituzione di quello che il proiettile della bombarda aveva mandato in frantumi .
Oggi il Crocefisso e’ ancora visibile nella chiesa del Carmine sotto l’arco del transetto in un grande tabernacolo intagliato , probabilmente quello rifatto d’Aragona.
La chiesa del Carmine , con l’ annesso campanile , sorge nel luogo dove all’inizio del VII secolo vi era un ospizio per i pescatori invalidi , ceduto poi ad un gruppo di eremiti del Monte Carmelo , i quali veneravano l’ immagine di una Madonna detta la Bruna , dipinta , secondo la credenza , da San Luca in persona . L’ immagine della Madonna divenne presto oggetto di culto per il popolo .
Intorno all” immagine miracolosa della Madonna Bruna , che i napoletani chiamano affettuosamente ” Mamma Schiavona” , ovvero la Vergine del Carmelo si racconta una strana leggenda . Si dice che il dipinto della vergine fu per breve tempo spedita a Roma , ma immediatamente rispedita a Napoli per ordine dello stesso papa , per i .. ..troppi miracoli che aveva fatto …. Insomma per paura di offuscare la gloria di San Pietro fu rimandata a Napoli .
Durante il viaggio di ritorno continuo’ a fare miracoli sanando ciechi , sordi e acciaccati e quando finalmente giunse a Napoli fu ovviamente accolta con grandi onori e feste .
L’ intero popolo di Napoli gli ando’ incontro in una solenne processione , e la scortarono fino al suo ingresso in chiesa .
La Madonna oramai famosa divenne immagine di culto e moltissimi fedeli ,nel tempo vennero a Napoli in processione a visitare la figura della Madonna , da tutto il regno di Sicilia .
La storia della chiesa inizia nel lontano 639 quando giunsero a Napoli alcuni carmelitani sfuggiti ai saraceni , recando con loro una tavola dipinta della Vergine Maria , chiamata ” la bruna del monte Carmelo ” che si dice dipinta da S. Luca in persona .. I frati intendendola esporla al culto , fabbricano una piccola chiesetta , che e’ il primo nucleo dell’ attuale chiesa del Carmine . Sembra che la chiesa consistesse in una cripta sotterranea , una grotta , e per questo fosse chiamata originariamente ” S. maria della Grotticella” .
I carmelitani , con la donazione di Elisabetta ebbero la possibilita’ di ampliare la chiesa ; la sventurata madre di Corradino , arrivo’ purtroppo in ritardo a Napoli , quando il figlio era stato, oramai gia’ decapitato ,e le forti quantita’ di oro e pietre preziose , che lei aveva portato con se nella speranza di pagare il riscatto del figlio , furono cosi’ donate ai Carmelitani per la tumulazione del corpo di Corradino nella chiesa con la promessa che si dicesse ogni anno una solenne messa di suffragio.
L’ obbligo di celebrare la messa perpetua e’ assolto ancor oggi , nel giorno dell’anniversario della morte dell’ ultimo degli Hoenstaufen.
Quando nel 1646 la chiesa fu rifatta , furono rinvenuti per caso i resti dello sventurato Corradino . Il cardinale Filomarino fece infatti abbassare il pavimento dietro l’ altare maggiore e in tale occasione vennero alla luce due casse di piombo contenenti i resti di Corradino e Federico d’Austria .
Le ossa del principe erano sepolte in una cassa di piombo : sul coperchio incise R.C.C. furono giustamente interpretate con ” Regis Corradini Corpus”. Le ossa del principe sfuggirono durante la seconda guerra mondiale al reparto S.S. che per ordine di Hitler si presentarono a reclamare la salma per trasportarla in Germania .
Ai militi nazisti sfuggi’ la lapide e nonostante le S.S. minacciarono terribili rappresaglie , i frati tacquero ed i nazisti dovettero andarsene a mani vuote .
Nella cappellino di San Ciro , invece una lapide , ci dice che le ossa di Masaniello sono andate disperse e non sappiamo dove sono andate a finire .
La stessa sorte e’ toccata a quelle del pittore Aniello Falcone , qui’ sepolto in un luogo rimasto ignoto .
E’ conservato invece il pulpito dal quale il capopopolo Masaniello arringo’ la folla prima di essere ucciso .
La chiesa possiede un campanile detto < o ‘ pero > per la sua singolare forma ,coperto da mattonelle maiolicate , opera di Fra nuvolo , alto 75 metri
Per costruire le due campane occorse l” opera di cento galeotti .
Accanto a Piazza Mercato si trova la piazza Sant’Eligio . Entrambe le attuali piazze erano un tempo riunite in un’unico largo spiazzo e solo in seguito al sorgere dello sgraziato e assurdo fabbricato moderno di palazzo Ottieri , ( risultato della grande speculazione edilizia dell’epoca di Lauro ) risultano oggi divise in due diverse piazze.
In piazza Sant’Eligio ,troviamo in stile gotico la più antica chiesa di epoca angioina della citta’.
La devozione del popolo per Sant’Eligio era grande e sopratutto l’invocava per la guarigione dei cavalli ammalati , i quali venivano recati davanti la chiesa per essere benedetti . Quando la guarigione si otteneva ,i ferri , che avevano portato il cavallo infermo erano inchiodati su la porta come oggetti votivi.
L’ingresso alla chiesa si trova sul lato destro, attraverso un portale in stile gotico francese. L’interno, presenta una pianta con tre navate, cappelle laterali e abside poligonale.
Tra le opere conservate nella chiesa, meritano menzione: un dipinto di Massimo Stanzione che raffigura Sant’Eligio San Dionigi e San Martino, un dipinto dal fiammingo Cornelio Smet che rappresenta il Giudizio universale e che qualcuno sostiene sia stato anche ritoccato da Michelangelo, una copia nella cappella di San Mauro del dipinto di Francesco Solimena raffigurante Sant’Eligio in adorazione e una madonnina lignea databile intorno al XV secolo.
Nell’ educandato femminile e’ conservata la Madonna della misericordia dalla faccia tagliata , che secondo la leggenda , avrebbe perso sangue all’ altezza di uno sfregio praticato sul volto della Vergine .
Infine, nella chiesa si trova il sepolcro dello scrittore Pietro Summonte, morto nel 1526, e un’antica cappella dei Macellai del Mercato di epoca rinascimentale attribuita a Tommaso Malvito.
Spettacolare e’ la sala di San’Eligio che veniva utilizzata dai reali in occasione delle feste popolari in Piazza Mercato, con decorazioni e affreschi straordinari .
Fuori dalla chiesa è possibile ammirare l’arco quattrocentesco che collega il campanile con un edificio adiacente la struttura. Sul primo dei due piani e presente un orologio e, sotto la sua cornice, sono scolpite due teste che, secondo una leggenda del Cinquecento, apparterrebbero alle figure di Irene Malerbi e del duca Antonello Caracciolo.
Quest’ultimo, nobiluomo privo di scrupoli , innamoratosi della giovane vergine e impossibilitato dalle resistenze di lei ad averla , non riuscendo a conquistare il cuore della ragazza, fece ingiustamente arrestare il padre della fanciulla chiedendo in cambio della sua liberazione la resa della fanciulla ai suoi propositi . Il vile ricatto ando’ a buon fine e il padre della sventurato fu effettivamente liberato . La famiglia, però, si ribellò e chiese giustizia al sovrano Ferdinando d’Aragona che condannò il duca a sposare forzatamente la giovane Irene per fornire la dote e, poi, lo fece decapitare.
A pochi passi dalla chiesa di Sant’Eligio Maggiore, castrata tra i palazzi della zona Mercato troviamo l’atrio della chiesa di San Giovanni a mare . Una chiesa che quasi non si riconosce dall’esterno, affiacciata sull’omonimo vicolo e inglobata com’è negli edifici che nel tempo le sono sorti attorno. Quando giungete in prossimita’ della chiesa diffidate dal suo ingresso scialbo e trasandato. Dietro quel portale, infatti si nascondono le arcate di una una delle chiese più affascinanti della nostra citta’.
L’edificio è preceduto da un cortile dove troviamo la copia della celeberrima “Capa ‘e Napule”, la testa marmorea , di epoca ellenica , divenuto simbolo pagano della storia napoletana. L ‘originale fu trovato nei paraggi della chiesa ed e’ attualmente collocato sul secondo pianerottolo di riposo di Palazzo San Giacomo ( palazzo comunale ) .Ribattezzata dai popolani con il nome di “Donna Marianna”, a’ cap’ e Napule, è diventata nei secoli un’icona della citta’.
Fondata nel XII secolo, utilizzando una preesistente struttura, di cui tuttora rimangono parti visibili, fu annessa all’ospedale di San Giovanni eretto dai cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, divenuto poi di Malta, per accogliere coloro che tornavano malati dalla Terrasanta IIpellegrini che provenivano dalla Terrasanta , venivano accolti nella attuale navata di questo santuario, che rappresenta l’ex parte di un’ospedale oggi scomparso , dove dovevano osservare un periodo di quarantena prima di entrare in citta’.
È una delle poche chiese che presenta ancora testimonianze dell’architettura romanica a Napoli ; sconsacrata e poco conosciuta agli stessi napoletani, l’edificio affascina anche per il suo nome: fu cosi’ denominata perche’ quando fu costruita, nel dodicesimo secolo, il mare arrivava quasi a lambire le sue mura esterne .
La struttura è un’importante testimonianza del periodo normanno a Napoli e relativamente a quel periodo e’ da considerarsi una struttura di notevole interesse culturale.
La chiesa rappresenta infatti l’unico esempio di edilizia religiosa a Napoli in età normanna perche’ in conseguenza dei difficili rapporti che presto si stabilirono tra i Normanni ed il Papato vennero eliminati in quel periodo molti edifici sacri ; essa, pertanto, risulta essere l’unica testimonianza architettonica cattolica normanna in citta’.
Il Santo protettore di questa chiesetta che lambiva il mare , era la biblica figura di San Giovanni che battezzò nel fiume Giordano nostro Signore Gesù.
L’immediata vicinanza al mare consolidò un rito, ripetuto ogni anno nella notte di San Giovanni il 23 giugno, che prevedeva un battesimo collettivo nelle acque marine.
Il popolo festeggiava la ricorrenza con un bagno collettivo nelle acque del mare, il quale pero’ spesso degenerava fino ad arrivare ad un punto tale che esso dovette essere soppresso, dal viceré Spagnolo per la piega pagana e misterica che stava prendendo .
Questa festa infatti , originata da un motivo religioso ( si intendeva ricordare il battesimo di Gesu’ nel Giordano ) finiva con un bagno notturno e una volta inibita la comune morale ci si abbandonava a poco licenziosi atti amorosi. ( il bando di abolizione del periodo vicereale parla di promiscuita’ fra ” homini et femine”.)La festa fu poi del tutto soppressa durante il regno borbonico.
I festeggiamenti duravano un ottavario ed iniziavano con la funzione in chiesa e la processione con la miracolosa statua del Santo ricca di argento oro e pietre preziose. Durante la festa di S. Giovanni a Mare, alcuni orafi imbrogliavano la gente vendendo loro ottone e pietre per oro e pietre preziose. Fu così che nel 1781 gli orafi furono obbligati a marcare gli oggetti preziosi.
La festa fu del tutto soppressa durante il regno borbonico.
La chiesa nei secoli ha subito vari interventi architettonici , e restauri , senza tuttavia subire mai un rifacimento barocco che rivestì di marmi policromi la gran parte degli edifici sacri napoletani nel XVII secolo.
Alla metà dell’800, nel decennio francese , con la soppressione dell’ordine benedettino, l’ospedale fu smantellato e ridotto a private abitazioni , mentre con i lavori del Risanamento il complesso fu ampliamente mutilata per l’apertura di nuove strade che inglobarono la chiesa ed il suo bel campanile voluto dalla famiglia Carafa all’interno di altri e nuovi edifici .
Nonostante sia stata depredata di quasi tutte le opere , rimane tuttavia una chiesa molto importante in città.
L’accesso avviene dalla parte laterale della chiesa, da una delle tre navate ,attraverso un portale medievale del XII secolo, preceduto da un atrio.
Le navate, a loro volta, si affacciano su un transetto a volte ogivali, segno degli interventi trecenteschi, al di sotto del quale sono ancora ben evidenti le fondamenta del primo abside, segnandone in quel punto la terminazione dell’originaria fondazione normanna.
E’ importante l’arco ribassato, durazzesco-catalano, che inquadra la cappella centrale con l’altare maggiore. E’ tradizione che dinanzi al Crocifisso, in una della cappelle, avesse pregato Santa Brigida quando venne a Napoli al tempo di Giovanna I (1343-1381), perciò in questa chiesa si celebrava, una volta, con molta solennità la festa di Santa Brigida.
Quasi sicuramente in questo periodo la copertura a capriate lignee fu sostituita con la volta a crociera.
Il pavimento, in basalto, è disseminato di diverse lapidi che ricordano i molti cavalieri dell’Ordine di Gerusalemme sepolti nel tempo all’interno della chiesa; le pareti sono ricche di epigrafi, targhe e stemmi araldici risalenti a vari secoli.