Nel periodo Angioino a Napoli sono stati edificati monumenti importanti e famosi come la chiesa di Santa Chiara , la Basilica di San Domenico Maggiore ,il Duomo ,la Basilica di San Lorenzo ,il Maschio Angioino , Castel Sant’Elmo .Venne inoltre ingrandito e abbellito Castel dell’Ovo.
Ma incominciamo dall’ inizio …….
I rapporti tra la casa Sveva ed il papato non erano mai stati buoni, e sopratutto con l’avvento di Manfredi, proclamato capo indiscusso dei ghibellini, erano peggiorati.
Il papa dopo averlo scomunicato si accordò con il fratello del re di Francia ( Luigi IX ), Carlo d’Angio, promettendogli il trono di Napoli e Sicilia in cambio della sola contropartita di un tributo annuo di diecimila once d’oro e l’abolizione di tutte le leggi contrarie ai privilegi del clero ripristinando le concessioni normanne.
I nobili a cui la dinastia Sveva aveva tolto molti privilegi e favori avevano chiesto anche loro aiuto e protezione al papa per sottrarsi al dominio degli svevi e questi ben contento di sbarazzarsi degli svevi e avere i potenti nobili sotto il suo dominio al suo ubbidire pensò giusto e bene assegnare il Regno di Sicilia a Carlo d’Angio.
Questi era un uomo dotato di grande personalità e schivo di qualsiasi lusso: si propose come difensore dei guelfi, al punto di assumere nei confronti del papa Clemente IV il gravoso obbligo di inviare ogni anno la Chinea, cioè un cavallo bianco accompagnato da una ingente somma di denaro in segno di sottomissione.
Si sposò due volte, la prima con Beatrice di Provenza (contessa di Provenza e Forcalqier) in seguito al quale divenne Conte di Provenza e su regalo del fratello, Conte di Angiò e del Maine (Da notare che la sorella di Beatrice, Margherita era la moglie del fratello Luigi IX).
Da questo matrimonio nacquero sette figli: suo erede fu il quarto figlio anch’egli di nome Carlo, in quanto il primo ( luigi ) morì alla nascita e il secondo e terzo figlio erano donne (Bianca e Beatrice) e come tali non aventi diritto al trono in presenza di altro figlio maschio. Nel 1268 poi, rimasto vedovo l’anno precedente, sposò in seconde nozze Margherita di Borgogna dal cui matrimonio nacque solo una figlia (Margherita).
Partecipò con suo fratello Luigi IX, re di Francia, alla settima crociata in Egitto e all’ottava in Tunisi ( dove Luigi IX mori’ di dissenteria ).
Carlo d’Angio trasferì la capitale del regno di Sicilia da Palermo (che allora contava circa 300 mila abitanti) a Napoli che ne contava solo 30 mila.
Il trasferimento fu dovuto all’esigenza che le funzioni del nuovo re richiedevano in quanto oltre ad essere signore della Provenza e dell’Angiò, Carlo era stato eletto senatore di Roma e designato dal papa vicario Imperiale in Toscana.
Inoltre aveva la Signoria dei vari comuni nel Piemonte e nella Lombardia.
Tutte queste cariche comportavano ovviamente la necessità della sua presenza a Napoli, da dove era più facile la comunicazione, il controllo dei domini ed il diretto contatto con la Curia Romana. Inoltre negli ultimi tempi, la città aveva assunto per la sua posizione geografica una grande importanza nel campo commerciale e marittimo.
Il luogo scelto come dimora reale fu Castel Capuano ma uno dei primi atti che fece fu quello di far edificare una nuova reggia che individuà far sorgere vicino al mare, appena fuori la città in una zona prospiciente il largo delle corregge (attuale via Medina).
Il nuovo castello cominciato nel 1279 e terminato nel 1282 fu chiamato appunto Castel Nuovo (per distinguerlo dal vecchio). Esso era munito di quattro torri di difesa ed alte mura merlate, un profondo fossato ed un ampio portale d’ingresso con ponte levatoio.
Nel suo interno era decorato con affreschi che portavano la firma del grande Giotto.
Intorno al nuovo castello fortificato cominciarono di conseguenza ad erigersi i palazzi delle famiglie nobili le quali per stare più a contatto con la corte lasciavano le vecchie e lontane abitazioni.
Si adoperò inoltre per il contemporaneo rafforzamento delle mura della città e l’ingrandimento del porto a cui fece aggiungere il molo grande (detto angioino), il molo piccolo ed un nuovo arsenale.
In città durante il suo regno vennero edificati nuovi monumenti come: il maschio angioino, il Duomo, la chiesa di Santa Chiara, la Basilica di San Domenico Maggiore, la Basilica di San Lorenzo Maggiore , Castel Sant’Elmo , e ingrandito nonché’ abbellito Castel dell’Ovo.
Nel 1283, con le elargizioni di Margherita di Borgogna, seconda moglie di Carlo I d’Angiò fu ricostruita più grande una chiesetta del XII secolo dove si venerava la Madonna del Carmine detta “la bruna”.
Sul posto di una chiesa e di un convento del X secolo fu eretta dai domenicani, sempre con il concorso del re, il complesso di San Domenico Maggiore che divenne la principale casa dell’ordine del Regno con un centro studi dove insegnò anche Tommaso d’Aquino.
Nel periodo angioino lo sviluppo edilizio fu per la maggior parte di tipo religioso a cui parteciparono un pò tutti i regnanti e rispettive mogli della dinastia.
In particolare la chiesa di San Lorenzo impegnò un pò tutti i sovrani; iniziata da Carlo I, fu infatti continuata dal figlio Carlo II e terminata da Roberto d’Angiò.
Il convento accanto alla chiesa, dove si riuniva il Consesso Cittadino ( come un nostro municipio ) formato dai rappresentanti dei seggi ebbe la propria torre solo durante il regno aragonese.
I seggi erano edifici, prima chiamati ” tocchi ” ed infine anche “sedili ” dove si riunivano i rappresentanti della nobiltà.
Sulla sua facciata, di fianco al campanile, sono ancora oggi riportati i nomi di 7 antichi seggi, ognuno con il suo simbolo, in ricordo del Foro (FORCELLA con simbolo Y – MONTAGNA con un simbolo tre monti – CAPUANA con simbolo di un cavallo frenato – NIDO con un simbolo stavolta di cavallo sfrenato -PORTO con simbolo di orione, PORTANOVA con il simbolo di una porta chiusa – DEL POPOLO con il simbolo di una P ).
La religiosissima Maria d’Ungheria, moglie di Carlo II , fece erigere nel 1307 , la chiesa di Donnaregina , che terminata nel 1320 doveva poi accogliervi tre anni dopo , il sepolcro della regina , un’opera magnifica di Tino da Camaino .
L’antica Basilica detta Stefania fu abbattuta e sul posto venne eretta la cattedrale nella quale rimase incorporata la basilica di Santa Restituta che stava accanto alla prima .
I lavori iniziati nel 1294 , durarono fino al 1323 e molte volte negli anni successivi venne restaurata , particolarmente dopo i terremoti del 1349 e del 1456 in maniera tale che oggi non ha più’ niente in comune con l’originaria costruzione angioina .
Nel regno i feudi appartenenti alla decaduta dinastia Sveva erano stati confiscati ed assegnati ai connazionali del re che avevano partecipato alla conquista .
Quindi venne a scomparire l’antico sistema di stato centralizzato che teneva lontano dal governo i nobili e la chiesa , in favore di una nuova ed anche più’ numerosa feudalita’ che alla fine indeboli ‘il potere regio .
Era in poche parole un sistema fondato su principi che erano giusto il contrario di quanto era stato concepito e creato da Federico I I di Svevia .
Venne smontato il sistema di regno concepito da Federico e si ritorno’ al potere papale dominante su quello imperiale con gran ritrovato giovamento dei baroni che riacquistarono dignità e nuovi poteri .
Carlo d’Angio’ era allora considerato un personaggio importante nel quadro politico del tempo ed il suo ingresso a Napoli fu accolto in modo trionfale .
La popolazione di Napoli in epoca angioina aumentò ad oltre 40.000 abitanti che si divideva in nobili, mediani (militari, cavalieri e nobili recenti) e popolo.
Il popolo si divideva poi ulteriormente in popolo grasso (notai, giudici, medici, mercanti, imprenditori ed altri professionisti) ed artigiani che idi raggrupparono per arti e mestieri creando nella città quelle zone che dalle loro attività presero il nome e che ancora oggi conservano.
Carlo non fece comunque una politica di ampi consensi perchè gravò sopratutto il popolo di tasse insostenibili (come il nostro attuale governo).
Applicò tasse ovunque (sempre come il nostro attuale governo) come quella sul pane, la farina, il vino, i cavalli, il pesce, il bestiame, la vendemmia ed il sale.
Vi era poi il diritto doganale ( gabella delle sbarre), una specie di pedaggio (come la nostra tangenziale) dove si pagava per qualsiasi merce che entrava in città. Questi posti sbarrati si trovavano a Chiaia, Salvator Rosa, Vergini, ponte di casanova e ponte della Maddalena, e San Antonio Abate.
Vi era inoltre anche un’imposta ordinaria annuale ( a questo punto subentra il dubbio che la nostra classe politica abbia copiato questo attuale regime fiscale messo in atto proprio dagli Angioini ) la quale gravava quasi esclusivamente sul popolo in quanto i provenzali (uomini del re e parenti), gli ecclesiastici (che già allora non pagavano l’IMU ) gli studenti, gli insegnanti universitari ed i privilegiati ( proprio come da noi ) erano esenti dalle imposte.
Questo insostenibile fiscalismo, accanto alla insopportabile tracotanza dei francesi nel loro comportamento fu certamente una delle cause principali della Rivolta dei Vespri siciliani a Palermo.
Il comportamento dei francesi era brutale con gli uomini e scorretto con le donne e se in qualsiasi altra parte era considerata grave offesa la mancanza di rispetto alle donne figurarsi in Sicilia dove permanendo la tradizione dei costumi mussulmani, la stessa era tenuta gelosissima e l’uomo aveva una concezione tutta particolare dell’onore familiare.
Il pretesto per scatenare la rivolta fu l’episodio successo il 31 marzo 1282 (vespro del martedi di Pasqua) in cui un soldato francese offese una donna frugandole le vesti.
L’episodio fu la goccia che fece traboccare il vaso: esplose una rivolta che ben presto si diffuse in tutta la Sicilia.
I nobili dell’isola, i soli che erano rimasti fedeli ai svevi presero subito in mano le redini del movimento e propugnarono la separazione della Sicilia dal resto del regno offrendone la sovranità a Pietro III d’Aragona, marito di Costanza, figlia primogenita di re Manfredi.
L ‘aragonese che in quel momento guerreggiava contro Tunisi quando seppe della designazione abbandonò l’impresa, raggiunse la Sicilia e cinse la corona che gli era stata offerta.
Fu l’inizio di una guerra che durò 20 lunghi anni.
Per Carlo d’Angiò non era più questione di domare una rivolta ma bensì di una guerra che l’opponeva al regno di Aragona, per cui si premurò di allestire una flotta capace di competere con quella forte e numerosa del nemico e mentre si recava in Francia per radunare armati e sollecitare aiuti, concentrò le sue navi nel golfo di Napoli.
Intanto, nello schieramento aragonese, al comando della flotta navale vi era un nobile napoletano rimasto fedele alla casa Sveva di nome Ruggero Lauria. Questi rimasto sin dal 1266 alla corte Aragonese della figlia di Manfredi, aveva ricevuto il comando dell’intera flotta del nuovo re di Sicilia mostrando ripetutamente di essere un abile combattente ed un eccellente stratega.
Lauria effettuava continue scorrerie lungo la costa calabrese e negli ultimi giorni, approfittando della momentanea assenza di Carlo, fece più volte delle provocatorie apparizione con la sua flotta nel golfo di Napoli.
Carlo d’Angiò aveva fortemente raccomandato al figlio primogenito Carlo di non impegnarsi in nessun combattimento finche’ non fossero arrivati gli aiuti dalla Provenza ma la provocazione delle navi nemiche che giravano spavaldamente nel golfo spingendosi fin sotto il Castel dell’Ovo quasi a tiro di balestra e la convinzione di poter ottenere la vittoria, fecero dimenticare al principe ogni raccomandazione.
Ordinò di armare in fretta le 30 galee che aveva a disposizione nel porto e contro ogni regola le riempì di armati non pensando che in tal modo le appesantiva e toglieva spazio agli uomini per le manovre ed il combattimento.
Chiuso in una splendida armatura il principe s’imbarcò sulla capitana e la flotta usci’ dal porto all’inseguimento degli aragonesi che in apparenza fuggivano per evitare la battaglia ma in realtà per trarre al largo i legni nemici e disunirli.
Alla distanza di quasi dieci miglia dalla costa Ruggero Lauria ordinò di alzare i remi, affianco una ventina di galee in favore di luce (cioe’ con il sole alle spalle ) e fece collocare le restanti navi su una seconda linea retrostante.
Arrivate in ordine sparse le navi angioine si trovarono di fronte quel baluardo galleggiante dal quale parti un’a tempesta di frecce seguita da una pioggia di fuoco, di pece fusa e di calce viva. Nel disordine e nel disorientamento dell’attacco le galee di Carlo si trovarono nell’impossibilità di manovrare e quindi in poco tempo furono speronate, arpionate, incendiate e per la maggior parte colate a picco.
Poche furono le navi che riuscirono a sfuggire al disastro: la stessa capitana fu affondata e Carlo fatto prigioniero.
Quel giorno Carlo d’Angiò perdette nello stesso momento la flotta e suo figlio.
Sette mesi dopo, il 7 gennaio 1285 , mentre a Foggia si affannava a radunare armati per invadere la Sicilia, lo colse la morte.
Il figlio Carlo II rimase prigioniero in Sicilia ben 5 anni e durante questo tempo il regno fu retto dal figlio primogenito Carlo Martello assistito da un consiglio. Verso la fine del 1228, grazie alla mediazione del papa finalmente riebbe la libertà in cambio di ostaggi ed il pagamento di una forte somma di denaro.
Gli ostaggi richiesti erano tre dei suoi figli maschi (Ludovico, Roberto e Raimondo) che rimasero in prigione al posto del padre fino al trattato di Anagni in seguito al quale vennero liberati.
La guerra nonostante questo non smise di esistere anzi durò ancora per lunghi 13 anni fino a quando fu conclusa una pace che assegnava temporaneamente la Sicilia a Federico d’Aragona ( erede di Pietro III nel frattempo deceduto ) che assumeva il titolo di re di Trinarchia; tale possesso dell’ isola fu però stabilito che non era trasmissibile e alla morte di Federico sarebbe quindi ritornato agli Angioini. Carlo II continuava a portare il titolo di re di Sicilia.
Ovviamente i patti non furono poi mantenuti e quando 35 anni dopo, Federico morì, la dinastia Aragonese non solo non restituì la Sicilia agli Angioini ma ripudiando il titolo di re di Trinarchia, assunse quello di re di Sicilia in concorrenza con quello Angioino.
A quel punto il regno fu indicato come Regno di Sicilia di qua del faro ( di Messina ) che apparteneva agli Angioini e Regno di Sicilia di là del faro, quello Aragonese.
Tutto questo fino a quando dalla metà del 1300, il regno angioino non fu incominciato ad essere chiamato Regno di Napoli e come “napoletani” furono chiamati non soltanto gli abitanti della città di Napoli ma tutti gli abitanti del Regno, dagli Abbruzzi alle Calabrie.
Re Carlo II d’Angiò detto ‘ lo zoppo ‘, sposo’ Maria d’Ungheria da cui ebbe 14 figli.
La regina era la figlia del re d’Ungheria Stefano V e sorella del futuro re di Ungheria Ladislao IV.
Re Ladislao fu anni dopo assassinato e il pontefice alla sua morte designò erede Maria d’Ungheria che pero’ cedette i diritti al trono di Ungheria al suo primogenito Carlo Martello.
Il primo dei 14 figli, Carlo Martello divenne quindi re d ‘Ungheria.
Il secondo figlio era una donna (Margherita ) e quindi il trono doveva andare in successione al terzo che era Ludovico. Margherita intanto sposa Carlo di Valois ( fratello del re di Francia , Filippo IV il bello portando in dote le contee d’Angiò e del Maine).
Ludovico (nato nel castello del Parco di Nocera inferiore) rinunciò invece al regno in favore del fratello Roberto (quarto figlio) ed entrò nell’ordine francescano. Divenne poi Vescovo di Tolosa e in seguito fu nominato Santo .
Si dice sia il protettore degli esauriti perché molti anni dopo la sua morte il suo corpo fu riesumato e si vide che era intatto tranne il suo cervello, derubato e tutt’ora non ritrovato.
E’ venerato in Valencia ( dove è sepolto ) e Marsiglia ed è patrone di Serravalle pistoiese.
A Marano, in provincia di Napoli vi è una chiesa a lui dedicata in cui viene venerato.
Fu ostaggio, per molti anni, insieme ad altri fratelli presso gli Aragonesi, per la liberazione del padre.
Quando quindi all’eta di 61 anni Carlo II mori’ , il regno passò al suo terzogenito figlio maschio Roberto.
Roberto detto ‘ il saggio ‘ fu quindi l’erede e futuro re di Napoli.
Il re Roberto sposò in prime nozze Jolanda d’Aragona ( figlia di Pietro III d’Aragona ) da cui ebbe due figli maschi entrambi poi deceduti ( Luigi a 9 anni e Carlo a 30 anni ) ed in seconde nozze Sancia d’Aragona da cui non ebbe figli.
Il giovane figlio Carlo, morto prematuramente a 30 anni, aveva comunque lasciato due bambine in tenera età, Giovanna e Maria venute dal suo matrimonio con Maria Valois ( figlia di Carlo di Valois ). Roberto decise che a diventare regina del futuro Regno, alla sua morte, fosse la prima delle due cioè Giovanna.
Re Roberto, senza eredi e temendo le rivendicazioni sul regno del nipote Caroberto ( figlio di Carlo Martello ) , diede in moglie quindi Giovanna al figlio di Caroberto, Andrea d’Ungheria, assicurando così la successione al regno di una Angioina e porre fine, nello stesso tempo, alle continue rivendicazioni del re di Ungheria.
Nel novembre del 1330 nella grande Sala di Castelnuovo, Roberto, conferì solennemente il diritto di successione alla piccola Giovanna.
Tre anni dopo, conclusa felicemente le trattative, Andrea d’Ungheria e Giovanna d’Angio furono uniti in matrimonio che provvisoriamente fu tale solo di nome avendo ognuno degli sposi solo 7 anni.
Roberto d’Angio fu un grande mecenate ed un uomo di grande cultura; le sue corti furono frequentate dai grandi intellettuali del tempo e la stessa città durante il suo regno guadagnò un conseguente prestigio.
L’amministrazione del regno funziono’ egregiamente e la citta’ curata ed abbellita.
A poco meno di un anno dalla sua incoronazione sollecitato dalla moglie Sancia ordinò che si desse inizio ai lavori per la costruzione di una grande Basilica, destinata ad accogliere le spoglie della famiglia reale con annesso monastero per le clarisse; nacque cosi facendo la bellissima e storica chiesa di Santa Chiara .
Nel 1325 fu iniziata la costruzione del convento di San Martino mentre nel 1329 fu ordinata la costruzione di Castel Sant’Elmo, ampliando il primitivo nucleo esistente da epoca normanna, detto Belforte.
Il castello fu costruito con lo scopo di controllare le vie di accesso alla città perciò fu costruito sulla collina di Sant’Erasmo, oggi San Martino.
Il castello ha una pianta a stella con sei punte, mura robuste e profondi fossati. Prima all’interno vi erano un’enorme piscina per il rifornimento idrico, una polveriera, la chiesa e molti magazzini.
Il popolo invece continuò a sopportare pesanti sacrifici economici essendo come al solito esenti dalle tasse, il clero, la nobiltà ed i francesi.
Egli fu religiosissimo, ma non un buon marito tanto che la seconda moglie Sancia di Mayorca chiese al papa di scioglierla dal matrimonio per potersi ritirare in convento.
Il Pontefice scrisse al marito di condurre una vita più morigerata, ma ciò non impedì che si dicesse che la fanciulla Maria, contessa d’Aquino, Fiammetta per Giovanni Boccaccio, fosse sua figlia illegittima.
Roberto morì in seguito ad una febbre altissima e fu sepolto in Santa Chiara accanto a suo padre in una tomba opera di Tino da Camaino. Sul letto di morte chiese ed ottenne di essere accolto quale terziario nell’ordine dei francescani e il suo corpo fu rivestito del saio.
Alla sua morte il regno passò in successione alla minorenne nipote Giovanna che aveva solo 16 anni.
Il papa incoronò Giovanna a Roma, regina del regno di Napoli e secondo testamento ( e volontà papale ) Andrea fu escluso dal trono.
Giovanna I è stata il primo sovrano napoletano a governare il regno ed anche per questo fu una Regina molto amata dal popolo napoletano.
Ereditò un regno sulla soglia di un disfacimento totale amministrativo e politico, privo di qualsiasi ordine e reggenza e pieno di uomini senza scrupoli che approfittando della assenza di un vero reggente, cercavano di trarre quanti più profitti possibili.
Già durante la reggenza, per la minorità della regina, la pubblica amministrazione era diventata precaria, quasi inesistente, perchè ognuno faceva i propri interessi e perfino la giustizia, rimasta tale solo di nome era venduta al migliore offerente.
Con l’assenza di un vero re, i baroni in provincia si soverchiavano a vicenda e qualcuno si impossessava anche delle terre demaniali rimanendo impunito.
A corte era tutto un susseguirsi di manovre e di intrighi per l’accaparramento delle cariche più importanti e redditizie.
La buona regina Sancia d’Aragona, vedova di Roberto d’Angio, stanca di assistere a tale disfacimento del regno si era ritirata nel convento di Santa Chiara per passare poi in quello di Santa Croce dove fini’ i suoi giorni.
Il ruolo politico e militare tenuto da Napoli al tempo di Roberto, come pure l’ordine e la tranquillità interna del regno erano quindi solo un lontano ricordo quando la giovane regina prese possesso del regno.
Uscita di tutela a 18 anni, Giovanna, priva di esperienza, si trovò quindi di fronte a una situazione difficile, con accanto un marito che non amava e attorniata da familiari che male la consigliavano.
Il matrimonio tra Giovanna e Andrea d’Ungheria fu un vero e proprio fallimento, non solo per la giovane eta’ dei due sposi ma per la loro diversità di carattere e sopratutto di cultura. Erano difatti due persone totalmente diverse: rozzo e ignorante lui, raffinata e colta lei.
La regina d’Ungheria e madre di Andrea, dopo aver assistito all’incoronazione di Giovanna, sulla via del ritorno verso casa sostando a Roma, chiese al papa di rivedere le proprie posizioni in merito all’esclusione del figlio Andrea dal trono di Napoli.
Il papa promise che in qualche modo nel tempo avrebbe rivisto le iniziali posizioni e questa notizia una volta giunta a Napoli creò non poche apprensioni in tutta la corte che vedeva minacciato il loro potere al punto che in molti incominciarono a pensare di organizzare una congiura contro il re.
La notizia poi che la regina era incinta e che quindi a questo punto il papa non avrebbe più indugiato ad inviare la bolla per l’incoronazione di Andrea fece precipitare gli eventi.
Durante il pernottamento in una dimora angioina nei pressi di Aversa dove Giovanna e Andrea si erano recati con tutto il seguito reale per una caccia al cinghiale, il principe fu assalito e ucciso dai congiurati mentre la regina non si accorgeva di nulla nella stanza accanto.
Fu un delitto che segnò e marcò per sempre il regno di Giovanna che provocò l’ira del fratello di Andrea e re d’Ungheria.
Luigi d’Ungheria fu in assoluto il suo più grande nemico che diede luogo ad una vera e propria spedizione punitiva contro la regina convinto che fosse lei la vera colpevole del delitto.
Luigi d’Ungheria, a capo di un esercito marciò quindi su Napoli, costringendo Giovanna a fuggire via mare verso i suoi possedimenti in Provenza.
Spaventata dalla incombente minaccia ungherese e sperando di essere più protetta, Giovanna concesse prima di partire la mano a Luigi di Taranto al quale concedeva già un rapporto intimo.
I due si sposarono nella chiesa voluta e fondata dalla stessa Regina nel Largo delle Corregge (oggi via Medina) , anticamente nota come “Incoronatella” o “Pietatella”, e oggi chiamata Santa Maria dell’Incoronata. Nell’occasione la regina fece dono di una reliquia (una spina ) della corona di Cristo che aveva ricevuto dal re di Francia ( proveniente dalla Sainte chappelle di Parigi )
La reliquia è rappresentata anche nel portale d’ingresso e l’episodio conferì alla struttura il nome appunto di “Incoronata”.
Luigi d’Ungheria fece il suo ingresso nella capitale cavalcando in assetto di guerra e circondato dai suoi capitani; rifiutò ogni onore e qualsiasi cerimonia, raggiunge Castelnuovo e vi si rinchiuse mentre la sua gente occupava la piazza e gli altri castelli della città.
Durante i pochi giorni rimasto ad Aversa, il re magiaro aveva fatto arrestare Roberto e Filippo di Taranto, fratelli del nuovo marito di Giovanna e Roberto, Luigi di Durazzo.
Vennero inizialmente tenuti prigionieri a Napoli e poi trasferiti in Ungheria dove rimasero prigionieri 5anni mentre le loro case furono saccheggiate .
Carlo di Durazzo ( marito di Maria d’Angiò, sorella della regina) invece ritenuto dall’ungherese il diretto responsabile dell’assassinio, venne decapitato nello stesso posto dov’era stato assassinato il fratello Andrea.
L’appagamento sia pure parziale della sua vendetta, lo scoppio della peste e l’insorgere di nuove questioni in patria, indussero il re di Ungheria a ritornare in Ungheria.
Giovanna si era intanto presentata umilmente al papa proclamando la sua innocenza per l’assassinio di Andrea e sollecitato un giudizio dove fu dichiarata innocente.
Quando seppe della partenza da Napoli del re ungherese fece ritorno a Napoli dove fu accolta con gioia dalla popolazione già informata dell’assoluzione papale.
Luigi d’Ungheria l’anno dopo effettuò una nuova invasione e stavolta a differenza della prima invasione arse e saccheggio’ tutto il possibile lungo il suo cammino attraverso il regno (per la evidente parteggiare del popolo a favore della regina)
L’intervento del papa, portò ad una tregua giusto quando il re magiaro aveva appena occupato Capua ( dopo un mese di assedio).
Il patto tra il papa e il re prevedeva che la regina e suo marito lasciassero Napoli per stabilirsi a Gaeta sotto la protezione Pontificia mentre Luigi d’Ungheria, lasciando delle guarnigioni nelle zone del regno occupate, sarebbe ritornato in patria.
Il Papa nel frattempo avrebbe riesaminato il giudizio del concilio di Avignone con la promessa della perdita del regno da parte di Giovanna nel caso di colpevolezza nel nuovo giudizio.
Seguirono lunghe trattative successive tra il papa e Luigi d’Ungheria fino a quando fu raggiunto un accordo definitivo: il papa si impegnava a punire i colpevoli dell’uccisione di Andrea che erano rimasti impuniti e le località del regno occupate dagli ungheresi sarebbero passate sotto il controllo dei legati papali.
Il re di Ungheria chiese (più che richieste i suoi erano ordini) di inviare (in modo da farli crescere alla sua corte) Carlo di Durazzo (figlio del duca morto in prigione a Castel dell’Ovo) e Margherita di Durazzo ( figlia di quel Carlo fatto giustiziare ad Aversa e di Maria d’Angiò, sorella della regina ).
I due ragazzi, nonchè cugini, vivevano da piccoli a corte della regina: Il primo, Carlo, rimasto orfano a 8 anni, era stato educato e protetto da Giovanna che vedeva in lui il probabile successore al trono non avendo figli ed eredi diretti.
Margherita era anch’essa rimasta orfana dopo la prematura morte di Maria ( sorella di Giovanna ) avvenuta nel 1366 ed era cresciuta coccolata ed educata in maniera amorevole dalla zia Regina.
In un primo tempo Giovanna oppose un netto rifiuto alla richiesta ma poi per evitare un ulteriore attrito tra i due regni acconsentì.
I due ragazzi vissero così alla corte ungherese secondo i costumi magiari in modo che un giorno si sarebbe seduto sul trono napoletano un re, più ungherese che Angioino.
Ovviamente i due giovani ragazzi si sposarono secondo volere del re a cui furono sempre affezionati e devoti pur sapendo di essere questo l’uccisore del loro rispettivo padre e zio ( anche se il padre di Carlo era morto in carcere ad opera di Luigi di Taranto e della regina Giovanna, trauma che il giovane ragazzo e futuro sovrano non dimenticherà mai).
Luigi d’Ungheria era così finalmente soddisfatto avendo raggiunto il suo scopo; gli unici infatti che potevano vantare titoli per la successione del regno di Napoli erano sotto il suo diretto controllo.
Nel frattempo all’età di soli 42 anni morì anche luigi di Tarano e Giovanna rimase vedova per la seconda volta.
Un anno dopo, a 37 anni, convolò a nozze con Giacomo di Maiorca, un bellissimo giovane ma principe povero, che non fu associato al trono.
Fu questa la causa, probabilmente, per cui due anni dopo egli abbandonò la moglie e andò a guerreggiare nella Spagna , dove mori’.
Giovanna allora, all’età di 50 anni convolò a nozze per la quarta volta: il prescelto fu Ottone di Brunswick, cadetto di una famiglia principesca germanica, che datosi al mestiere delle armi era ormai un valente e valoroso capitano di ventura, quello che ci voleva per i brutti tempi che correvano.
Nel marzo del 1378 moriva il papa Gregorio XI e la sua morte dava l’avvio al grande scisma che doveva poi lacerare la Chiesa per quasi 40 anni, coinvolgendo l’Italia , parte dell’Europa e il regno di Napoli.
La fine del papa, purtroppo per Giovanna, causò anche la fine del suo regno e della sua stessa vita.
Per oltre 70 anni la sede papale era stata ad Avignone e solo l’anno precedente la sua morte, Gregorio XI l’aveva riportato a Roma.
Furono questi i motivi che indussero i romani a scendere in piazza e minacciare di morte i cardinali, riuniti in conclave, se non fosse stato eletto un papa italiano.
Quando i cardinali si riunirono in conclave a Roma, per scegliere il nuovo papa, i tumulti aumentarono, la folla aumentò ed i cardinali impauriti elessero il napoletano e arcivescovo di Bari Bartolomeo Prignano. Il nuovo papa prese il nome di Urbano VI.
Ma ai Cardinali francesi la cosa non fu ben digerita e una volta trasferiti ad Anagni dichiararono vacante la sede papale essendo illegittima perchè avvenuta sotto la pressione popolare che aveva coartato la loro volontà.
Dopo questa dichiarazione I Cardinali si riunirono di nuovo in conclave a Fondi ed elessero nuovo papa, Roberto di Ginevra, che assunse il nome di Clemente VII .
Il re di Francia, Carlo V si dichiarò subito per Clemente mentre Luigi d’Ungheria ritenne valida l’elezione di Urbano.
Giovanna commise un grande errore che pagò poi a caro prezzo. In un primo momento aveva festeggiato il papa eletto a Roma tra l’altro di origini napoletane (e di conseguenza subito amato dal suo popolo ) per poi in un secondo momento riconoscere Clemente VII.
Giovanna era sicuramente in buona fede e seguiva solo i suoi sentimenti religiosi, convinta dell’ elezione illegittima di Urbano VI perché convinta dal parere di eminenti ecclesiastici da lei consultati.
Non fece nessun calcolo, neanche quello di pensare che Urbano VI era napoletano e che il popolo aveva esultato con gioia l’avvento al papato di un concittadino.
La maggior parte del popolo disapprovò quindi la sua scelta e al momento opportuno le fu ostile.
Urbano e Clemente non si limitarono solo alle bolle con le quali si scomunicarono a vicenda ma si contesero la tiara anche con le armi.
La situazione precipitò quando il papa Clemente VII, lasciato Fondi, si rifugiò a Napoli per sentirsi più sicuro presso la regina Giovanna.
La regina ordino grandi festeggiamenti per onorare l’ospite che prese dimora nel Castel dell’Ovo, ma il popolo in disaccordo con la regina incominciò ad agitarsi dando luogo a tumulti; una folla sempre più numerosa incominciò ad accalcarsi. Ben presto scoppiarono incidenti, il palazzo arcivescovile venne invaso e devastato, e le case di coloro conosciuti come sostenitori dell’antipapa saccheggiate.
La folla minacciosa alla fine si accalcò di fronte al Castel dell’Ovo inneggiando a papa Urbano VI. Dopo tre giorni di disordini il papa preferì lasciare Napoli e far leva per la Provenza ove stabilire la sua sede ad Avignone.
Giovanna sotto la pressione popolare acconsentì a riconoscere Urbano VI come il solo papa legittimo ma poi giunto suo marito Ottone con le sue milizie, ritornò alla sua prima decisione favorevole all’antipapa.
Questo atteggiamento ambiguo offese ed inasprì il popolo che decisi a difendere i diritti di Urbano passò direttamente alla rivolta armata contro tutti coloro che sostenevano Clemente VII ( iniziò così una vera guerra civile ), compreso lo stesso potere regio.
Dopo il voltafaccia, il papa Urbano non tardò ad accusarla di eresia, scomunicandola e deponendola, invitando di conseguenza Luigi re d’Ungheria a invadere il regno di Napoli per offrirgli la corona.
Il re di Ungheria, ovviamente, accettò l’offerta del pontefice e delegò il giovane principe Carlo di Durazzo ad avanzare verso Napoli alla testa di un esercito per conquistare il regno di Giovanna.
La notizia riempì di sgomento la regina che non trovò altra strada se non quella di chiedere aiuto al re di Francia con il quale raggiunse l’accordo di adottare come figlio suo fratello Luigi d’Angiò, conferirgli il titolo di duca di Calabria ( titolo che spettava ai futuri regnanti ) e riconoscendolo di conseguenza come suo successore.
Giovanna rese pubblica l’adozione di Luigi d’Angiò solo quando Carlo di Durazzo nel suo cammino verso Napoli, sostò a Roma per negoziare l’investitura del regno chiamandolo subito al suo soccorso.
Nella sua chiamata di urgenza, Giovanna promise l’immediata associazione al trono di Luigi d’Angiò, ma la sfortuna volle l’improvvisa morte del re di Francia Carlo V.
Il principe francese quindi era in quel momento impossibilitato a muoversi perchè impegnato
a reggere il regno del fratello vista la minore età dell’erede Carlo VI.
Carlo di Durazzo entrò a Napoli senza grandi resistenze, grazie anche agli aiuti dei sostenitori papali e senza l’opposizione del popolo.
Giovanna, con i familiari e circa 500 fedeli si rinchiuse in Castelnuovo sperando di poter resistere fino all’arrivo dei soccorsi chiesti a Luigi d’Angiò.
Intanto ad Avignone l’antipapa Clemente VII, incoronava Luigi d’Angiò, re di Napoli invitandolo a destituire Carlo e a impadronirsi del trono.
Giovanna sperò fino alla fine l’arrivo dei francesi ma questi purtroppo non arrivarono mai.
Ottone coraggiosamente si dispose con le scarse forze di uomini rimasti a sua disposizione nel largo antistante il castello ed ingaggiò battaglia.
Il combattimento fu aspro e violento ma alla fine gli Angioini, malgrado il loro valore, furono sopraffatti. Ottone rimasto appiedato per aver avuto il cavallo ucciso, fu fatto prigioniero.
Due giorni dopo, svanita ogni speranza di soccorso francese, la regina fece aprire le porte del castello e si arrese al vincitore.
La deposta regina fu imprigionata dapprima nel castello dell’Ovo, poi in quello di Nocera ed infine reclusa a Mauro Lucano dove fu brutalmente eliminata dai sicari del re e quindi esposta cadavere nella chiesa di Santa Chiara.
La regina poichè era morta scomunicata non poteva di conseguenza essere inumata in terra sacra. Le sue spoglie pertanto furono prima tumulate nella sacrestia di Santa Chiara e poi buttate in una fossa comune coperta da una lastra di marmo vicino all’ingresso del chiostro.
Mori il 27 luglio del 1382 a 56 anni e dopo 38 anni di regno.
Carlo Durazzo dichiaro’ che era finita per morte naturale ma corse voce di morte per strangolamento su ordine dello stesso ingrato nipote.