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La pasta è stata portata in Italia dagli arabi , ma è stata Napoli a celebrarla nei suoi piatti.
La sua origine è quindi antichissima essendo descritta anche da Marco Polo nel nel 1295 . Egli nel suo capolavoro ” il milione ” cita infatti gli spaghetti che si consumavano in Cina , ma alcuni antichi documenti giunti a noi da tempi antichi smentiscono questa ipotesi nominando la pasta come già presente in Sicilia intorno all’anno 1100 .
Il geografo arabo di Ruggero II , detto il Normanno , certificava infatti nei suoi scritti , la produzione della pasta essiccata nell’isola siciliana già in quell’epoca ed inoltre racconta come i sudditi del Regno di quel periodo amassero in particolar modo i maccheroni al sugo dolce ( con lo zucchero ).
Dalla Sicilia il suo uso si estese poi al resto della penisola, e sopratutto a Napoli, dove grazie alle condizioni ambientali particolarmente favorevoli ebbe una maggiore diffusione .
Documenti angioini e ricettari medievali e rinascimentali , citano in maniera continua la sua preparazione che vide sorgere in periodo borbonico grandi pastifici fuori città in località come Torre Annunziata , Castellammare di Stabia e sopratutto Gragnano .Questi luoghi grazie al loro particolare clima divennero ( e lo sono ancora ) i posti di maggior produzione e preparazione della pasta .
Essi eccellevano nella essicazione della pasta che rappresenta ancora oggi la vera discriminazione nella sua produzione . Essa deve avvenire dall’interno verso l’esterno e non viceversa , altrimenti la parte marcisce .
In alcune belle foto d’epoca di queste caratteristiche cittadine possiamo vedere intere strade principali con i loro marciapiedi , ricchi di lunghi spaghetti stesi ad asciugare , in un’ arte che allora vedeva coinvolti tutti o quasi i residenti .
Il rapporto di amore profondo tra i napoletano e la pasta non nasce comunque in maniera folle ma impiega certamente un pò di tempo .
I maccheroni si mangiavano come vi ho detto con le mani e con un abitudinario gesto : con la mano destra si sollevava la manciata di maccheroni sopra la testa e poi quindi li si faceva cadere nella bocca spalancata .
Re Ferdinando I , che spesso amava mischiarsi con il popolo , adorava mangiare come loro i maccheroni con le mani tanto da essere chiamato dal popolo ” Tata Maccherone ” ed invece da coloro che criticavano tale suo comportamento ” Re Lazzarone “.
Assiduo frequentatore di ambienti popolari , egli cercò di introdurre anche a corte abitudini e pietanze che con tanto gusto assaggiava nelle taverne , in particolar modo la pasta e la passata di pomodoro . Gli effetti a corte non furono dei migliori e le polemiche fortissime ; vedere il re mangiare la pasta con le mani , ripetendo la tecnica buffa dei lazzari che portavano i maccheroni in alto e li facevano cadere in bocca , era motivo di scherno nei pranzi di corte e causa di continui litigi con la consorte .Il maggiordomo maggiore fu addirittura costretto per compiacere la regina , ad inventare una forchetta dotata di quattro corti rebbi ( sul genere di quella attuale ) per permettere al re di afferrare la pasta e portarla in bocca senza l’uso delle mani.
Per curiosità dovete anche sapere che inizialmente la lavorazione della pasta attraversava fasi non proprio … igieniche .
Almeno fino al 600 , la pasta si lavorava artigianalmente e la sue preparazione richiedeva molto tempo Essa veniva prima impastata con i piedi ….
Si , proprio così … avete capito bene …..la farina e la semola venivano mescolati in una grande madia con i piedi scalzi , da uomini chiamati impastatori grondanti di sudore con addosso luridi stracci . Altri uomini versavano nella badia continuamente dell’acqua bollente . Gli impastatori , malgrado le scottature , continuavano a pigiare l’impasto in quanto all’epoca c’era la convinzione comune che il contatto con il composto lenisse le piaghe .
Dopo aver superato questa ” delicata ” fase veniva poi indirizzata ad una rudimentale trafila che permetteva di produrre i primi maccheroni bucati ( vermicelli ) . Fortunatamente , ( grazie all’ingegnere Spadaccini ) , sotto Ferdinando II , vennero poi realizzati i primi stabilimenti industriali che tolsero definitivamente di mezzo l’indecente modo di pigiare la pasta con i piedi per garantire igiene ed accuratezza al prodotto.
Prima della nascita della produzione industriale , la pasta era prodotta in scarsa quantità e vista la sua lunga preparazione aveva un costo alto che la rendeva appannaggio quasi esclusivo delle sole classe aristocratiche dove veniva usata prevalentemente come dolce e mangiata con le mani .
Con il sorgere di macchine sempre più moderne e l’applicazione di nuove tecnologie si è poi avuto nel tempo una maggiore produzione industriale ed ovviamente una maggiore fornitura di pasta che inevitabilmente portò , fortunatamente , ad un suo drastico abbassamento del costo al consumatore finale .
Questo , favorito anche dalla diffusione della salsa di pomodoro , favorì il suo consumo e la sua diffusione , essendo divenuto in tal modo accessibile anche ai ceti meno abbienti .
Con il suo diffondersi la pasta ha poi conquistato lentamente lo scettro di piatto preferito dai napoletani passando con il tempo attraverso lo spaghetto al pomodoro fresco , allo spaghetto a vongole , agli ziti al ragù , ed infine a pizza.
La pasta, e in modo diverso la pizza, è da quel momento divenuta il respiro di Napoli e della sua arte: essa celebra le vongole anche quando se ne sono fujute, e fa della frittata di maccheroni una meravigliosa consolazione al momento che nulla è’ stato preparato per pranzo . Ma al contempo costruisce attorno alla pasta fastosi preparati in un atto d’amore e di grande pazienza come accade con i grandi sughi di lenta cottura (ragù, bolognese, e genovese).
CURIOSITA’: Noi napoletani diventiamo magnamaccarune intorno al 600 ( ancora oggi molti napoletani mangiano almeno un piatto di pasta al giorno ). Fino a quell’epoca i napoletani venivano detti mangiafoglie, in quanto le terre della Campania Felix garantivano una generosa produzione di broccoli, scarole, cavoli, friarielli.
La nostra città ha quindi una lunga e storica tradizione con la pasta che viene cucinata insieme ad ingredienti di mare e di terra risultando nelle sue varianti sempre uno dei primi piatti più amati dai napoletani .
Da 5 secoli siamo grandissimi esperti di maccheroni, dei vari formati, del loro abbinamento ideale: la pasta corta coi legumi, le lagane coi ceci, lo spaghetto con le vongole, i ziti col ragù e così via.
Come dicevamo prima il cuore della sua produzione è stato per lungo tempo la zona orientale della città ( Torre Annunziata,Castellammare di Stabia , Gragnano ) ma sopratutto la piccola cittadina campana di Gragnano, ancora oggi ricca di numerosi pastifici.. Un tempo la sua principale ( Via Roma ) era ricca di scanni di legno con la pasta appesa ad asciugarsi al sole su delle canne lungo i marciapiedi e l’intera zona era ricca di mulini funzionanti grazie ad un’acqua sorgiva a basso contenuto di calcio proveniente dai monti Lattari. I filari di pasta , alti poco più di un metro , servivano per essicare la pasta e secondo molti questo processo era proprio il segreto della maggiore bontà della pasta di Gragnano rispetto alle altre , in quanto durante questa essicazione pare che la pasta si impregnasse di una leggera umida brezza che nascendo dal mare e passando per i monti portasse alla pasta messa ad aciugare insieme alla luce ed al calore del sole , un particolare profumo e sapore .Era insomma il posto dove esistevano le condizioni ideali per essiccarla e conservare la pasta .
Il 12 luglio del 1845 , il re Ferdinando II di Borbone , durante un pranzo concesse addirittura ai fabbricanti gragnanesi l’alto priviliegio di fornire la corte di tutte le paste lunghe .
Per avere un’idea del fenomeno basta pensare che nel periodo d’oro della pasta di Gragnano , ossia nella prima metà del XIX secolo , in paese c’erano almeno 75 pastifici che davano lavoro a più di due terzi della popolazione attiva . Una quarantina erano dislocati proprio lungo Via Roma .
Ora tutti questi Opifici hanno oramai chiuso schiacciati da una crisi che nel novecento è passata attraverso vari cicli ed è stata coronata dal terremoto del 1980 . La Via Roma della pasta oramai purtroppo appartiene al passato ed è frequentata semmai dagli estimatori del panuozzo , un’alternativa alla pizza tradizione fatta imbottendo un pezzo di pane stretto e lungo fatto con la stessa pasta delle pizze , inventata qui un paio di decenni fa e che sembra riscuotere un buon successo. Ad avere imposto il cambiamento è stata la proibizione , per ragioni igieniche , di esporre la pasta ad essicare all’aperto .
Il panuozzo è sostanzialmente una pizza al forno lunga circa 30 cm. imbottita e consumata calda . La versione originale è quella farcita con pancetta e mozzarella ma può essere anche farcita in tanti altri modi diversi con mozzarella, pomodori, verdure, affettati e salsiccia e friarielli.
La sua cottura avviene nel forno a legna in due fasi : nella prima cottura si cuoce l’impasto e poi lo si divide a metà , mentre nella seconda fase che dura solo pochi minuti , la cottura consente alla farcitura di amalgamarsi con l’impasto.
Il paese oggi conta oggi solo una dozzina di stabilimenti , eppure non si respira aria di crisi visto che da soli producono una quantità di pasta pari al 5% della produzione nazionale.
Nella cucina napoletana vi sono molte varietà di pasta e oltre a quella classiche come spaghetti , vermicelli , linguine e bucatini troviamo anche i paccheri e gli ziti che tradizionalmente vengono spezzati a mano, prima di essere cotti e conditi con il ragù . Per la preparazione di pasta con i legumi viene usata anche la pasta mista (pasta ammescata), una volta venduta a prezzo più basso perché risultante dai rimasugli spezzati degli altri formati, ma oggi venduta come un formato a sé stante . Vi sono anche formati meno tradizionali, ma oggi molto diffusi, tra i quali gli scialatielli .
A Napoli sono considerati molto importanti anche i tempi di cottura della pasta, che deve essere ben “al dente”, ( in particolare se deve essere successivamente mantecata in padella ) e la trafilatura della pasta . La trafila è quell’attrezzo che grazie a dei buchi sagomati determina durante la produzione , la forma della pasta. La trafila tradizionalmente deve essere fatta da buchi sagomati in bronzo e non in acciaio in quanto le paste trafilate in bronzo hanno un aspetto per così dire più rustico. Sono infatti più ruvide, una caratteristica importante al fine di trattenere i sughi con cui usualmente la pasta è condita.
I tipi di pasta sono sostanzialmente divisi in pasta lunga e pasta corta :
La pasta lunga comprende :spaghetti , vermicelli ,linguine ,fettuccine,Reginette, bucatini, e ziti,
La pasta corta comprende invece :penne, rigatoni, tortiglioni, sedanini, gramigna, fusilli, pipette, conchiglioni, farfalle ,paccheri, mezzi paccheri , e calamarata,
Spaghetti
Lunghi 25 cm si divide in base al diametro in almeno tre diversi tipi ( spaghetti classici, spaghettini e spaghetti grossi ) a cui si aggiungono i capellini e gli spaghetti quadrati ( alla chitarra ) .Il loro nome è intuitivo… essi somigliano a lunghi fili di spago, e rappresentano la versione più lunga e sottile dei “fratelli” vermicelli. Gli spaghetti si abbinano bene a molti sughi e condimenti , dal più semplice fatto con olio ,aglio e peperoncino a quelli più eleganti fatti con scoglio ,crostacei e molluschi ma non vanno mai abbinati con il ragù.

Linguine

Lunghi anche loro 25 cm ma invece di di avere la forma cilindrica hanno la sezione appiattita . In bocca hanno una consistenza un po’ viscida , e quindi vanno abbinate ad un condimento che riesca a sgrassarle, magari abbinandole alla buccia di limone grattugiata, oppure al pangrattato o ancora ad una granella di noci o pistacchio , oppure con il pesto.
Vermicelli

Quasi la stessa misura dei spaghetti ma con un diametro più grande, ( poco più di 2 mm ) si prestano a sughi molto robusti, poiché sono più corposi, assorbono di più il sugo e mantengono bene la cottura. Vanno bene abbinati ad un ragù di selvaggina,( lepre o cinghiale ), Il loro nome deriva dal fatto che i vermicelli anticamente venivano preparati a mano, e quindi sembravano proprio dei vermetti.
Fettuccine

Esse sono la risposta della pasta secca alle tagliatelle, anche se appiattite e più corte .Possono essere anche fatte in casa con uova e farina, come una classica pasta fresca e in alcuni casi anche nella versione “verde” con gli spinaci Le fettuccine si sposano bene con , prosciutto, panna, burro , cipolle e parmigiano.
Reginette o Mafaldine

Sono così chiamate in onore della Regina Mafalda di Savoia e sono una sorta di fettuccine con i bordi zigrinati come a voler replicare una corona regale, appunto. Si abbinano bene con il sugo di tonno, e sugo alle verdure, fatti però con passata di pomodoro altrimenti risultano troppo asciutte.
Ziti

E qui ci troviamo di fronte ad uno dei tipi di pasta da me preferiti . Gli ziti, a mio parere sono il formato più elegante e prestigioso di pasta . Essi sono la pasta ideale per il ragù . A Napoli si suol dire ” la morte sua” ( intesa come migliore combinazione possibile ) . Essi sono come degli enormi bucatini, con un buco centrale più grande e generalmente vengono spezzati prima di immergerli in acqua bollente . Da sempre o maccarune ‘e zita, che poi sarebbe il maccherone della ragazza da marito, è considerata nella nostra città la pasta di migliore qualità, quella che veniva preparata per le grandi occasioni, come i pranzi di nozze delle zite, le donne che si maritavano.
Bucatini

I bucatini a Napoli sono detti e pirciatielle perché sono dei grossi spaghettoni con un piccolo foro centrale che si estende per tutta la sua lunghezza; si chiama così dal napoletano pircia, bucare, che è dall’antico francese percer. Sono un tipo di pasta ideale per la matriciana, il cacio e pepe e la carbonara Essi anche se sono più grossi degli spaghetti hanno una cottura rapida poiché l’acqua attraversa il buco centrale e permette una cottura rapida di tutta la superficie.
Penne

E’ il secondo formato di pasta più venduto dopo gli spaghetti,. Esistono principalmente tre varianti: di questo particolare tipo di pasta che si adatta ad un’infinità di condimenti ed in particolare con la penna all’arrabbiata .
Rigatoni e tortiglioni

I rigatoni considerati da sempre i cugini (anzi frate cugine carnale) dei maccheroni di zita, sono un formato di pasta di circa 46 mm di lunghezza e 11 mm di diametro, forati al centro, così come i tortiglioni . I due formati si differenziano per il fatto che i rigatoni sono lineari e dritti, mentre i tortiglioni sono un po’ arcuati. Entrambi sono rigati, caratteristica che permette loro di raccogliere il sugo e molti condimenti sia bianchi che rossi.
Sedanini

I sedanini sono dei piccoli rigatoni, sempre rigati e in grado di trattenere bene il condimento scelto, hanno 40 mm di lunghezza e 5 mm di diametro. Sono in genere impiegati per creare timballi di pasta al forno. Alcune ricette tipiche della cucina partenopea li vede impiegati anche in zuppe e minestre.
Gramigna

E’ spesso chiamata anche “paglia e fieno” per via del fatto che ha due colori, sia giallo che quella classica, di semola di grando duro e verde ( contiene gli spinaci nell’impasto. )La ricetta tipica della granìmigna è con il ragù di salsiccia La gramigna è così chiamata perché ricorda la forma del seme della pianta di gramigna.
Fusilli

Sono un formato di pasta attorcigliato su se stesso, simile a delle viti.Ottimi con la ricotta .
Pipette e conchiglioni

Somiglianza entrambe a delle conchiglie, con l’unica differenza che le pipette sono più piccole. Sono due formati di pasta molto interessanti, che si prestano a raccogliere il sugo o f essere farciti con piselli o ricotta e spinaci .
Farfalle

Per la loro forma non mantengono la cottura in maniera uniforme e per questo vanno bene con le insalate di pasta estive ma si adattano bene anche se abbinate ad un caldo brodo invernale .
Paccheri, mezzi paccheri , calamarata e scialatielli

I paccheri sono come dei grandi rigatoni, lisci e non rigati, ma dalla consistenza ruvida e porosa che assorbono benissimo il condimento, Esso secondo una leggenda pare sia nata per errore , dallo schiaffone ( paccaro )ricevuto dal garzone di un pastificio . Da noi solitamente vengono impiegati in tantissimi primi piatti, con un sugo di pesce, al forno, e ripieni.
Esistono poi altri due formati derivanti dai paccheri: i mezzi paccheri (sempre lisci ma grandi la metà) e la calamarata (la metà della metà dei paccheri).
Gli scialatielli e la calamarata nascono nella seconda metà del ‘900 e sono i formati più recenti.
Enrico Consentino, cuoco sorrentino, li chiamò scialatielli perché diceva che erano così buoni che’a tiella se scialava (la padella godeva) e quindi sciala-tiella!
Lo Scialatiello è un formato di pasta fresca simile allo spaghetto, ma più corto, più spesso e irregolare, nato per i primi piatti di pesce. Il suo nome deriva dal dialetto napoletano, precisamente dal verbo sciglià che, riferito ai capelli, significa “scompigliare“, spettinare. Ed è questo lo stato in cui si presentano gli scialatielli appena scolati e serviti nel piatto.
Gli scialatielli sono un classico della cucina napoletana e sono perfetti con tutti i frutti di mare, ma si adattano bene anche a ingredienti più collinari come i funghi porcini.
Altri formati di pasta hanno nomi storici: i manfredi, quelli del pranzo di pasqua o di Santo Stefano, con la ricotta e col ragù, derivano dalla leggenda che riguarda Manfredi di Svevia a cui nel 200 fu offerto un piatto di pasta con la ricotta di cui era ghiotto.
Dal periodo delle colonie italiane in Africa nasce il nome “tripolini” dalla capitale libica e ovviamente i negozi che si chiamano ancora oggi Coloniali ma che non vendono più i prodotti delle colonie.
Poi ci sono le pastine piccole, i formati che si cuociono in pochissimi minuti. Gli avemaria sono un formato di pasta talmente piccola che si cuoceva mentre ti dicevi una avemaria. I padrenostri, erano un po’ più grandi e quindi necessitavano di qualche secondo in più di cottura… il padrenostro ha infatti una durata lievemente maggiore dell’avemaria.
N.B. La “lasagna” deriva dalla parola latina lagana con la quale venivano indicate strisce di pasta cotte nell’olio.
E non dimenticate la pasta mista o, come si chiama a Napoli pasta ammiscata,.
Essa viene ormai da tempo venduta come un formato a sé, ma quella autentica è una cosa del tutto diversa, nata dall’esigenza e dall’abitudine di non sprecare nulla. Fino a una cinquantina di anni fa la pasta, insieme molti altri generi, veniva venduta sfusa e negli Alimentari troneggiavano i grandi espositori appositi, dove i vari formati stavano in grandi cassetti con il frontale di vetro. Era inevitabile che nel fondo di questi cassetti rimanessero frammenti di pasta rotta e qualche rimasuglio di spaghetti , di penne e di qualunque altro formato di pasta . Una volta raccolti, questi avanzi venivano venduti a un prezzo inferiore, più accessibile a chi doveva guardare anche ai centesimi, ed andavano benissimo per le minestre, specie per quelle di legumi. Lo stesso succedeva o per la pasta e patate fatta in casa , dove le massaie utilizzano tutti i resti di pasta rimasti in dispensa .
Ma ricordate …….qualsiasi tipo di spaghetto o pasta che mangiate ricordatevi comunque di non buttate mai la pasta che avanza da in pasto o una cena perché possiamo il giorno dopo sempre fare una bella ‘ Frittata di maccheroni ‘.
Questo piatto tradizionale nasce infatti dall’esigenza di non buttare gli avanzi di pasta, che siano maccheroni o spaghetti, in bianco o conditi. In questa semplice ricetta la pasta viene condita con uova sbattute e formaggio e al piatto possono essere aggiunti tantissimi ingredienti, come salame e affettati, salsiccia, vari tipi di formaggi e tutto ciò che può essere avanzato nel frigo di casa. Il tutto viene poi ripassato in padella o al forno in modo che la pasta risulti compatta. ( la migliore frittata di maccheroni è quella fatta con la pasta di ragù avanzata ). Ma se volete identificare una buona frittata , ricordatevi che essa deve avere la faccia esterna coi maccheroni rosicarielli , ovvero rosolati ,croccanti . Il termine giusto è ” abbruscato ” e per ottenerlo dovete nuovamente friggere per qualche minuto , lo spaghetto già cotto ed intriso di olio e pomodoro . Solo così otterrete una gustosa crosticina.
La frittata , ha il vantaggio che può essere mangiata sia calda che fredda ed è ottima per un picnic o un pranzo al sacco. E’ infatti è uno di quei piatti che si portano in gita o in spiaggia perchè si mangia con le mani come se fosse un panino .
Ma ricordate che la frittata a Napoli non è solo di maccheroni . Essa può essere fatta anche con le cipolle e vi assicuro che vale la pena provarla .























