La città di Napoli fu fondata tra due grandi complessi vulcanici , il Vesuvio ed i Campi Flegrei e pertanto poggia le sue fondamenta su terreni piroclastici trasformatisi poi in roccia tufacea . Questo per peculiari caratteristiche morfologiche e geologiche risulta mostrare caratteristiche di leggerezza, friabilità e stabilità del tutto particolari che non risentono affatto dell’azione erosiva o di rimodellamento da parte dell’ acqua e ciò ha fatto modo che già cinquemila anni fa i primi abitanti del Golfo scavassero la pietra tufacea di origine vulcanica del sottosuolo napoletano per reperire materiale idoneo alla costruzione delle proprie dimore. I coloni greci infatti usarono il tufo (materiale abbondante e di facile lavorazione), asportato direttamente dal sottosuolo per edificare e costruire in superficie le loro abitazioni ,fortificazioni , templi ,e mura già a partire dal IV secolo a. C.
Edificarono prima le mure della città di Palepoli e poi quella di Neapolis e mentre queste crescevano in superficie si andava formando una loro stessa immagine speculare in profondità . La conseguenza di tutto questo è che il suolo di Napoli presenta ancora oggi una notevole quantità di cavità sotterranee .
N.B.
Ricordiamo che Palepoli ( città vecchia ) era il vecchio nucleo urbano fondato dai greci -cumani , mentre Neapolis ( città nuova ) era il nuovo allargato nucleo urbano .Quest’ultimo era localizzata in quello che oggi viene chiamato quartiere Pendino . Era cioè racchiusa in un perimetro rettangcolare, le cui mura seguivano il tracciato a nord con Via Foria , ad ovest con Via Costantinopoli , ad est con la strada attigua a Castel Capuano ed infine a sud con il mare che all’epoca giungeva fino all’attuale Corso Umberto.
Essa era collegata in direzione ovest con Puteoli mediante due alternative : la prima utilizzava la crypta neapolitana ( parallela all’attuale galleria di Fuorigrotta ) mentre la seconda correva per l’attuale Vomero con la cosidetta Via Antiniana .
In direzione sud-est , era invece collegata dapprima con Herculaneum , Oplonti e Pompei per poi continuare con Nuceria Alfaterna e Salernum.
In direzione nord, era invece collegata con Atella e Capua , ed infine in direzione nord-est in una biforcazione con un ramo si portava verso Nola -Abella -Abellinum e con un altro verso Acerrae -Suessula-Caudium-Beneventum.
Esso inoltre era , come centro urbano , probabilmente fin dalla sua fondazione servito dall’antico acquedotto della ” Bolla “
Le cavità sotterranee erano quindi niente altro che il risultato dell’estrazione del tufo dal sottosuolo per costruire la propria città .Il tufo giallo estratto portò alla formazione delle prime cisterne che non erano altro quindi che un vuoto tecnico rimasto dopo la raccolta del materiale tufaceo e queste man mano che Neapolis cresceva andavano di conseguenza aumentando.
Tutto questo è ancora oggi attuale . Basti pensare che sotto i marciapiedi affollati ed i vicoli di Spaccanapoli, e sotto le strade cittadine ricoperte con i lastroni del Vesuvio, ad oltre 40 metri di profondità si estende un vasto e suggestivo intrigo di caverne, cisterne, cunicoli e pozzi che vanno a costituire una vera e propria città sotto la città (come testimoniano le grandi cisterne che si estendono nella zona di San Paolo Maggiore e Piazza San Gaetano ). E’ il grembo di Napoli, da cui essa stessa è nata . Napoli ha infatti la speciale caratteristica di essere stata generata dalle proprie viscere. Per meglio capire il fenomeno basta pensare che sotto la città che occupa una superficie di 58.96 Km , sono stati individuati ad oggi circa 900.000mq di vuoti . La cosa ancora più incredibile è che se si eccettuano solo due cavità naturali formatesi in un banco di lava ( individuate durante lo scavo della galleria ferroviaria della Circumflegrea in prossimità della stazione di Montesanto ) tutti gli altri vuoti sono opera dell’uomo .
Il tufo veniva estratto secondo una tecnica innovativa: venivano inseriti dei pali di legno all’interno di crepe naturali, così che i blocchi di tufo venissero estratti con maggior facilità senza danneggiare la struttura portante della cava . Successivamente i massi venivano “marchiati” per segnalare da quale cava era stato estratto ; infatti, è possibile scorgere talvolta guardando le antiche mura graffi e simboli appartenenti al IV secolo a.C. rappresentanti appunto l’appartenenza a quella precisa cava.
Accadde poi che in epoca romana , nei primi secoli dopo la nascita di Cristo , in seguito all’ avvenuta esigenza di un adeguato approvvigionamento idrico della città, gli antichi romani decisero di sfruttare le “cisterne” nate in seguito all’estrazione di tufo dal sottosuolo per costruire la città , ampliandole e trasformandole in un acquedotto di eccezionali dimensioni denominato Aqua Augusta . Questo aveva il compito di trasportare l’acqua dal lontano fiume Serino dell’Irpinia sino alla città crescente, secondo un preciso sistema di cunicoli e reticoli .
I romani continuarono comunque ugualmente l’opera di scavo per ricavare il materiale da costruzione, ma provvidero anche a collegare tra loro le varie cave con cuniculi, tunnel e canali per convogliarvi le acque del Serino, (una fonte di acqua che si trovava a ben 70 Km da Napoli ) e trasformarle così in vere e proprie cisterne dove raccogliere l’acqua .
Venne così realizzato grazie a questa serie di cisterne collegate ad una fitta rete di cunicoli, un vero e proprio acquedotto che permetteva di raccogliere e distribuire acqua potabile ad ogni luogo. Larghi quel poco che permetteva il passaggio di un uomo, i cunicoli dell’acquedotto si diramavano in tutte le direzioni, con lo scopo di alimentare fontane ed abitazioni situate in diverse aree della città. In questo modo da ogni casa, tramite un pozzo, si poteva accedere alla cisterna sottostante e approvvigionarsi d’acqua.
Ma proviamo a raccontare tutto dall’ inizio:
Nel periodo tra la seconda metà del I secolo a. C. e la prima metà del I secolo d. C. , l ‘impero romano con l’affermazione di Augusto , disponendo di ingenti risorse finanziarie derivanti dall’acquisizione di nuove e importanti province, diede inizio alla realizzazione di un imponente programma di nuove opere pubbliche nella città di Roma e nei vicini territori dell’impero. Tra questi il famoso acquedotto di eccezionali dimensioni denominato Aqua Augusta il cui obiettivo era principalmente quello di rifornire di acqua la flotta romana di stanza a Miseno . . Esso, lungo nel suo tronco principale ben 103 Kme nelle sue diramazioni 63 Km. portava abbondante acqua da sorgenti della zona di Serino, alle città di Puteoli, Neapolis, Nola, Atella, Cumae, Acerrae, Baia , Misenum e secondo alcuni anche Pompei ed Herculaneum distrutte nell’eruzione del 79 d.C.
Il vero obiettivo principale era comunque quello di fornire acqua ai due principali poli portuali dell’Impero romano : quello civile di Puteoli e quello militare di Misenum ( Porto Iulius ) . Ciò spiega anche l’investimento notevole attuato , stimato tra i 140 ed i 450 milioni di sesterzi corrispondenti ad 1-2 anni delle spese non militari dello stato . L’acqua prima di giungere a Miseno, dove veniva convogliata nella grandiosa cisterna della “Piscina Mirabilis ” e nelle altre grandi cisterne di cui erano dotate le strutture portuali , veniva condotta in canali sotterranei o su ponti per un lunghissimo percorso .
N.B.
L’acquedotto, che venne realizzato sotto la direzione di Vipsanio Agrippa , subì nel tempo dapprima gravi danni nella diramazione che interessava Pompei e tutta l’area vesuviana ( dovuti all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. ) e successivi altri danni dovuti a lunghi periodi di insufficiente manutenzione .Cessò infine di funzionare nel 410 d. C. quando Alarico, , dopo aver saccheggiato Roma devastò la Campania, ( Neapolis e Nola in particolare ) danneggiando gravemente tutta l’area ed anche l’acquedotto in alcuni punti fondamentali. Vista la gravità delle crisi generale, sia da un punto di vista organizzativo che economico, divenne impossibile a quel punto la sua riattivazione .
Il percorso di questo acquedotto giungeva nei pressi di Napoli ai piedi della collina di Capodimonte . Entrando nella nostra città ,nella sua parte finale, prima dei Ponti Rossi dove sono ancora sono visibili alcuni suoi archi , l’acquedotto intersecava due tragitti che da Neapolis portavano verso Atella passando per due centri corrispondenti all’attuale calata Capodichino e rione Doganella (detto nel Medioevo: clivum beneventanum o de galloro) . Dopo i Ponti Rossi il tracciato dell’acquedotto si avvicinava a Neapolis, passando dapprima sotto un angolo dell’attuale Orto Botanico, per emergere poi con un breve ponte-canale all’altezza della via dei Vergini, dove da poco hanno riscoperto una grande cisterna . Dopo il quartiere dei vergini l’acquedotto raggiungeva da un lato la zona di San Pietro a Maiella e Piazza San Gaetano , e da un altro il convento di Gesù e Maria ed infine la chiesa della Trinità degli Spagnoli con l’ intero quartiere spagnolo . Un pò più in alto , nella parte alta di Via Tarsia , partiva una derivazione (di cui sono stati ritrovati i resti di una cisterna) che invece serviva la parte bassa di Neapolis , mentre una diversa ramificazione , sfiorando l’angolo nord-ovest delle mura cittadine , necessariamente mediante un ponte-canale ,si dirigeva verso l’antico più piccolo centro di Palepolis ( resti di queste condutture sono stati ritrovati in piazza Santa Maria degli Angeli ) e correndo lungo il fianco della collina di Pizzofalcone ( Monte Echia ) si dirigeva sopra l’attuale Mergellina verso quel tratto della collina che divide Neapolis dalla piana successiva (Fuorigrotta) che raggiungeva con una galleria diversa dalla famosa crypta neapolitana ma parallela alla stessa.
La zona dei Ponti Rossi è detta così proprio per il colore dei suoi mattoni.
All’angolo nord-ovest delle mura di Neapolis l’acquedotto sfiorando le mura faceva partire un ramo dell’acquedotto che serviva la parte alta di Neapolis. Sono stati ritrovati resti di una cisterna in tale zona che per motivi altimetrici non poteva essere servita dal più antico ’acquedotto della Bolla. Attraverso tale ramo dell’acquedotto ormai in disuso, penetrando dal vicino ponte-canale del vicolo delle Vergini è verosimile che penetrarono nella città i soldati di Belisario nella famosa conquista di Neapolis durante la guerra gotica . Questo episodio storico è giunto a noi attraverso la testimonianza di Procopio di Cesarea. Egli a riguardo del taglio di un acquedotto che consentì a Belisarius di penetrare in Neapolis nel 537 d. C., testimonia la presenza dell’acquedotto augusteo in quell’epoca ancora funzionante ed in minima parte raggiungente la città .Belisario volendo impossessarsi della città per scacciare i Goti, dovette farlo attraverso l’acquedotto Claudio che fece poi distruggere. L’acquedotto come detto serviva in minima parte la città e la sua chiusura fortunatamente non destò alcun allarme fra i napoletani, che non soffrirono la sete . in quanto serviti dal più antico acquedotto della Bolla ( la sua portata di acqua era più che sufficiente alle necessità della popolazione di allora ).
Altro episodio riguardante il vecchio acquedotto è quello che vede protagonista Alfonso I d’Aragona nel 1442.. Egli dopo un lungo assedio , riuscì finalmente a penetrare in città proprio sfruttando questa via sotterranea rivelatagli da due pozzari che attraverso i canali dell’acquedotto ed i cunicoli sotterranei di un pozzo, detto di S. Sofia, che si trovava all’interno delle cinta muraria, accanto alla chiesa dei SS. Apostoli . I due pozzari si offrirono di guidare un manipolo di soldati dell’esercito aragonese fin dentro la città , passando al di sotto della sua poderosa cinta muraria ed entrare attraverso Il pozzo nella casa di un sarto che si trovava al di la delle mura . Il capitano Diomede Carafa , capitano del futuro re Alfonso d’Aragona solo così potè finalmente penetrare all’interno della città e aprire le sue porte permettendo in tal modo ,l’ ingresso delle truppe aragonesi e la conquista del regno.
Un’altra zona che necessitava di molta acqua era quella di Posillipo( il nome deriva dal greco < Pausillipon > letteralmente inteso come < pausa al dolore > o luogo dove cessano gli affanni). In questo luogo erano infatti presenti due enormi e meravigliose ville residenze : quella di Publius Vedius Pollio e Lucio Licinio Lucullo. Entrambe necessitavano di una enorme risorsa idrica e per fornire un adeguato rifornimento idrico alla zona ,appena prima della galleria che portava a Fuorigrotta , una diramazione secondaria correndo lungo la collina di Pausylipon serviva tutte le ricche ville della zona , passando dapprima per quella di Lucio Licinio Lucullo sull’isolotto di Megaride ( dove si Castel dell’Ovo ) ed infine per quella di Publius Vedius Pollio presente vicino all’isolotto della Gaiola.
Quest’ultima era del nobile patrizio Publio Vedio Pollione , uno degli uomini più ricchi della tarda repubblica romana, appartenente ad una facoltosa famiglia di Benevento; egli fu tanto potente al punto di ottenere il governo dell’Asia, ma venne bollato da Cicerone come uno dei più libertini ed iniqui uomini dei suoi tempi .
La costruzione di questa sua villa risale al I secolo a.C. e si estendeva dal promontorio di Trentaremi alla Gaiola: era un villa tanto grande che Ovidio la paragonà ad una città mentre Plunio Seneca e Svetonio la descrissero particolarmente lussuosa, con piscine e vasche dove venivano allevate murene che si cibavano di schiavi infedeli e ribelli ( pensate dunque a quanta acqua occorreva ) .
Leggenda e storia vogliono che a questa crudele sorte venne condannato un cameriere colpevole di aver rotto un prezioso calice durante un banchetto in onore di Augusto. E fu proprio lui, dopo aver cercato di intercedere affinché la pena fosse evitata e di fronte al secco rifiuto di Vedio Pollione, ad imporre la volontà, non solo graziando il giovane, ma anche punendo il severo padrone di casa ordinando la rottura di tutto il vasellame custodito nella villa. L’episodio tuttavia non alterò la devozione nei confronti dell’Imperatore, tanto che egli morendo lo lasciò erede della sua villa con la sola clausola che gli venisse eretto un monumento funebre.
L’imperatore accettò la villa, ma si rifiutò di onorarne la memoria: Pollione aveva la fama di un uomo vizioso e crudele. Cicerone, per esempio, dopo averlo incontrato, scrisse di lui che era l’uomo peggiore che avesse mai conosciuto: «numquam vidi hominem nequiorem».
Con Augusto la già splendida villa del ricco ma crudele Pollione prese il nome di Pausilypum cioè lo stesso nome dato dai greci all’intera collina .
Il primitivo nucleo fu quindi ampliato ancora di più ed adeguato alle nuove esigenze di residenza augustea, dando vita ad un complesso di varie strutture di Otium, distribuite scenograficamente dalla collina fino al mare .
Immediatamente dopo la galleria, un’altra diramazione secondaria correva lungo il fianco della collina fino a raggiungere con un ponte-canale sul mare l’isolotto di Megaride , dove vi era un’altra sontuosa residenza: quella di Lucio Licinio Lucullo. Questo isolotto dove oggi si trova il Castel dell’Ovo , faceva parte del famoso complesso luculliano, una splendida ed enorme villa del Patrizio romano Lucio Licinio Lucullo. Egli si trasferì in questo luogo a vita privata dopo aver combattuto come generale in Asia ottenendo grandi successi e conquistando molti territori ma sopratutto grandi ricchezze.
Costruì in questo luogo una imponente e sfarzosa villa , conosciuta come Oppidum lucullianum che passo’ alla storia per lo sfarzo delle sue dimore e dei suoi giardini e dei ricchi banchetti che imbastiva, definiti ancora oggi ” Luculliani “.
Purtroppo della enorme villa ,che ospito ‘ in esilio l’ultimo imperatore romano d’ occidente , Romolo Augusto, oggi non rimane che qualche tronco di colonna o disseminati ruderi .
Ritornando al percorso dell’acquedotto ,esso nella piana di Fuorigrotta , correndo sui fianchi delle colline passava dapprima vicino alle thermae di via Terracina e alle thermae di Agnano , per poi giungere lungo le colline che sovrastano il mare fino a Puteoli .Questa località non era difesa da mura, e aveva un anfiteatro che era il terzo per dimensioni, dopo quelli di Roma e Capua, ed era unitamente ad Alexandrea ad Aegyptum (Alessandria d’Egitto) fra i maggiori porti dell’impero. Puteoli era però servita anche da un acquedotto locale che proveniva dal vicino monte Gauro (Gaurus mons) e dalle colline circostanti.
L’acquedotto augusteo comunque ne arricchì la disponibilità d’acqua permettendo l’esistenza di varie vasche, di alcune delle quali i resti sono ancora esistenti (piscina Lusciano e Centocamerelle in Villa Avellino, piscina Cardito).
Superata Puteoli, l’acquedotto correva verso Cumae, girando intorno al lato nord del lago d’Averno e da una sua diramazione dopo circa 1 km raggiungeva mediante galleria Cumae . Questa antichissima città chiamata Cumae per la sua minima altitudine doveva essere dotata di pozzi sufficienti per moderate esigenze locali ma con acqua di qualità limitata.
Dopo aver girato intorno al lato sud del lago Avernus (lago d’Averno), l’acquedotto di dirigeva verso Baia e Bavli e infine raggiungeva Misenum e il suo porto militare, obiettivo principale e fondamentale della realizzazione dell’acquedotto, terminando fra l’altro nella imponente cosiddetta piscina mirabilis ( un gigantesco serbatoio ) e in altre piscina della zona, come quella detta Dragonara presso punta Miseno .
La zona non era autosufficiente da un punto di vista idrico. In particolare il porto militare necessitava di grandi quantitativi d’acqua e per questa necessità critica l’acquedotto risultava indispensabile .
Con la caduta della potenza militare romana e la decadenza della flotta, il porto militare perse la sua funzione e di conseguenza anche l’acquedotto augusteo perse il motivo fondamentale della sua esistenza. Il meraviglioso sistema creato dai romani, accresciuto ed ampliato nei secoli successivi fu usato fino al seicento fino a quando si cominciò a costruire un nuovo acquedotto parallelo: così lentamente le cisterne andarono svuotandosi, avendo perso la loro funzione originaria, anche se una parte del sistema rimase in funzione fino ai primi del Novecento, quando fu definitivamente abbandonato .
La città di Napoli aveva comunque la sua risorsa idrica di approvvigionamento giornaliero grazie ad un suo vecchio acquedotto .Le cavità che in seguito all’ estrazione del materiale si erano infatti andate formando nel corso dei tempi furono comunque sfruttate dai stessi greci e romani per costruirvi un acquedotto locale . Essi mettendo , attraverso una rete di cunicoli in comunicazione tra loro le varie cisterne formatesi e sfruttando bene la naturale pendenza declive che andava da Caponapoli fino al mare( in quel periodo localizzato in zona Chiatamone ), portarono in città acqua che scorreva da una sorgente presente alle falde del Monte Somma , nel paese di Volla . ( da cui nacque poi il nome” acquedotto della Bolla” ).
L’acquedotto della Bolla è quindi il più antico ed ha origine con precisione dalle colline di Cancello nel casertano .Esso attraversando la pianura denominata appunto Bolla o Volla da cui trae il nome, attraversando condutture e cunicoli, giungeva nella zona di Poggioreale detta Stadera, anticamente (Casa dell’Acqua). Da questo luogo si diramava in un primo momento solo in alcune zone cittadine come il Mercato, Loreto, Annunziata, Dogana, fino a Cappella Vecchia. Con il nuovo riassetto urbanistico che si ebbe in città nel periodo vicereale per volere Don Pedro de Toledo si diede opera ad un suo ampliamento aggiungendo acqua che proveniente dalla riattivazione di parte dell’antichissimo acquedotto di Claudio che, per le distruzioni subite, aveva sempre avuto scarsa importanza .Fu così possibile portare altra acqua alla città e fornire zone come la Vicaria, i Tribunali, Forcella, Foria, Toledo, Palazzo Reale e S. Lucia. Le zone collinari invece fin quando non fu costruito l’acquedotto del Serino , venendo escluse da un approvvigionamento idrico, facevano uso delle acque piovane raccolte nelle cisterne. La più famosa è quella che venne costruita in Castel S. Elmo nel 1538 sempre per volere di don Pedro di Toledo, che per la sua capienza poteva sopportare un assedio di sei anni.
L’espansione urbanistica della città ed il conseguente accrescersi della popolazione non aveva comunque del tutto risolto il problema e dopo il terremoto del 1626 che aveva acuito con danni la maggiore necessità d’acqua , con notevole abbassamento della falda acquifera ed una conseguente tremenda epidemia di colera, si provvide per ampliare la rete idrica a convogliare in città l’acqua del fiume Faenza (poco distante da S. Agata dei Goti ).Il vecchio sistema di distribuzione idrica venne così lentamente abbandonato in cambio di un nuovo acquedotto .
Questo nuovo acquedotto, prese il nome di ” Carmignano ” in onore all ‘ impegno del facoltoso nobile napoletano Cesare Carmignano che a sue spese diede inizio alla grande opera ingegneristica.
N.B .In relazione all’epidemia di peste, bisogna dire che anche in quell’occasione l’acquedotto ebbe un significativo episodio da ricordare. Era il 1528, e vicerè era Filiberto di Chalons principe di Oranges. Le truppe francesi guidate da Odet de Foix signore e visconte di Lautrec tentavano di impossessarsi del regno per conto di Francesco I di Valois e assediarono la città. Accampatasi nella masseria del duca di Montalto che era dislocata sopra una collina al di fuori di porta Capuana, tentarono invano di entrare nella città. Anche il Lautrec pensò di costringere per sete alla resa gli Spagnoli dopo che questi in una sortita notturna li avevano depredati di tutti i cavalli. Quindi decise di distruggere l’acquedotto della Bolla che attraverso i giardini di Poggioreale raggiungeva la città. La mancanza d’acqua però colpì maggiormente le truppe francesi per la vicinanza delle grandi paludi della pianura e causò anche l’epidemia di peste e la morte dello stesso Lautrec e dei suoi soldati che vennero sepolti sul luogo in una immensa che collegava Capodichino con Poggioreale grotta indicata con il nome ” degli Sportiglioni ” ( cioè dei pipistrelli ) . Con essi secondo racconti popolari sembra sia anadato seppellito anche tutto il tesoro che i francesi avevano appresso . Notizia quest’ultima che ha provocato una lunga caccia al tesoro , anzii alla caverna , da parte di molti. Ricerca sinora rivelatasi vana , della grotta degli Sportiglioni infatti non si è più trovata traccia . Scomparsa , così come altre caverne di questa zona.
Come dicevamo prima , il patrizio napoletano Cesare Carmignano, , e il matematico Alessandro Ciminelli , decisero di costruire il nuovo acquedotto a loro spese fino al paese di Casalnuovo e, da qui, fino a Napoli a spese della città. Nello stesso tempo i guadagni successivi alla vendita dell’acqua e quelli dovuti all’attività dei tre mulini presenti lungo il canale si sarebbero divisi tra i contraenti. in maniera equa . L`acquedotto fu inaugurato nel maggio 1929 e, quando l`eruzione del Vesuvio del 16 e 17 dicembre 1631 distrusse un tronco di questo acquedotto, nel territorio di Noia , esso venne prontamente ricostruito, cercando di far passare il percorso il più lontano possibile dal vulcano, per il territorio di Acerra. L`acquedotto si presenta sotto forma di un canale a Casalnuovo, per poi diventare un lungo cunicolo fino a Napoli. In città l`acquedotto passava sotto tutta Via Foria, alimentando, con almeno due rami , l`Orto Botanico, per poi scendere verso via Toledo fino a portare le sue acque fino alla zona di Monte di Dio. Lungo tutto il tratto in cunicolo furono realizzati numerosi pozzi-luce per consentire di portare via rapidamente il materiale cavato e per mantenere la direzione di scavo. Riunendosi con quella della Bolla, esso alimentava anche la parte della città che comprendeva la Villa Comunale.
Nel 1885 , il Regno d’Italia in conseguenza dell’ epidemie del colera dell’anno precedente , accertato l’inquinamento delle acque (la rete fognaria correva superiormente all’acquedotto non intubata, ed essendo il tufo un materiale permeabile aveva consentito il trapasso dei liquami infetti nella rete idrica) decise di chiudere l’acquedotto della bolla e di tutti gli acquedotti sotterranei . Venne di conseguenza avviata la costruzione dell”acquedotto del Serino che utilizzandola la sorgente di Serino attraverso un sistema in tubazione convoglia le acque in due grandi serbatoi presenti allo Scudillo ed a Capodimonte .Esso con successivi ampliamenti ancora oggi porta l’acqua a Napoli . L’ inizio dei dei suoi lavori avvenne alla presenza dell’allora sindaco Nicola Amore e del re Umberto I, accompagnato dalla regina Margherita, mentre la sua inaugurazione vide protagonista la piazza del Plebiscito, dove da una fontana circolare di grande ampiezza si fece zampillare la nuova acqua con un potente getto.
Il vecchio acquedotto divenne purtroppo una discarica abusiva in cui la gente gettava nei suoi pozzi tutto quello di cui poteva e doveva disfarsi : dai normali rifiuti ai residui edilizi . Divenne poi , quando la città necessitava di un ricovero antiaereo ,un luogo di rifugio dalle bombe che durante il conflitto mondiale caddero a centinaia sulla città distruggendo monumenti ,antiche chiese ( vedi Santa Chiara ), case e affetti.
Napoli alla fine del conflitto mondiale risultò essere stata la città più bombardata d’Italia (circa 200 raid di cui 120 a segno).
I sotterranei furono quindi utilizzati durante la Seconda Guerra Mondiale come rifugi antiaerei per proteggersi dai disastrosi bombardamenti che colpirono la città.
Durante la seconda guerra mondiale nell’inverno del 1943 gli alleati americani sganciarono chili e chili di tritolo sulla città effettuando cento e più bombardamenti continui. L’obiettivo degli americani era infiacchire la città e fomentare la rabbia e la rivolta verso i tedeschi . Ci riuscirono , perchè poi nell’autunno successivo Napoli fu pronta alla rivolta dando vita alle celebri quattro giornate.
In quegli anni in città regnava la paura e nell’aria si udiva continuamente il solo suono della sirena e stavolta non era il canto della mitica Partenope , ma quello che annunciava l’ennesimo attacco aereo ed il conseguente bombardamento . La gente impaurita scappava ovunque e non era raro vedere sangue per strada di persone sbalzate in aria magari senza un braccio od una gamba .
Per offrire rifugi sicuri alla popolazione si decise di adattare le strutture dell’antico acquedotto.
Il genio civile decise di riaprire queste cavità apportando alcune modifiche. La prima fu la costruzione delle scale, in quanto prima si accedeva al sottosuolo soltanto attraverso i pozzi; la seconda consistette nell’occlusione dei pozzi costruendo pilastri per evitare che le bombe penetrassero nel sottosuolo. Questi pilastri non hanno infatti funzione reggente in quanto la statica delle cavità è assicurata dalla forma tronco-trapezoidale che i greci sapientemente le conferirono, e che raccoglie le forze dall’alto e le distribuisce sulle pareti laterali tramite i lati obliqui. Successivamente si ricolmò il suolo di terreno per evitare di asportare i detriti, cosicché quello su cui si cammina quando si visitano le cavità dell’antico acquedotto oggi non è il piano di calpestio originale ma un modesto spessore di sedimenti, quello originale è a circa 5 m più sotto.
Furono allestiti in tutta Napoli 369 ricoveri in grotta e 247 ricoveri anti-crollo, alcuni dei quali con più di un accesso. Le cavità furono illuminate e sistemate per accogliere decine e decine di persone che al suono della sirena si affrettavano a scendere per le scale che scendevano in profondità. Durante quegli anni orribili della guerra, circa quattromila persone popolarono i sotterranei della città, aspettando che il conflitto bellico consentisse il ritorno alla vita. Resti di arredi, graffiti e vari oggetti in ottimo stato di conservazione testimoniano ancora oggi la grande paura dei bombardamenti e i numerosi periodi della giornata vissuti nei rifugi, facendo riemergere uno spaccato di vita importante e al tempo stesso tragico della storia cittadina. Le pareti, ricoperte di intonaco rosso, portano toccanti scritti e disegni, come quella di un dirigibile aereo che sgancia bombe. In questi ambienti si possono osservare giocattoli dell’epoca, resti di ordigni bellici, resti dei tipici vasi da notte napoletani ( “cànteri”, ) riconoscibili dal manico laterale e foto di uomini in preghiera, o soldati in difesa o immagini di tragici eventi della guerra.