Alla fine dell’Ottocento Napoli nella nostra citta’ esistevano numerosi caffe’- concerto in cui era possibile assistere ad esibizioni canore che anticiparono e sicuramente aprirono la strada a quella fase più brillante del café-chantant napoletano , avvenuta e inaugurata poi nel 1890, con l’apertura del Salone Margherita.
Negli anni tra il 1880 e il 1914 , cioè appena prima di essere investita dagli sconvolgimenti post-bellici, la città attraversava un momento di grande vitalità espressiva. Questo clima di palpitante fervore avvenne soprattutto nell’intensa attività produttiva del teatro, della narrativa, della poesia e della musica favorita dall’interesse che famosi letterati e musicisti mostrano verso di essa.
Nella Napoli di fine ottocento si viveva con molta passione intorno a canzoni e poesie: musicisti, letterati ed autori lavoravano febbrilmente per intonare nuovi brani e il popolo cantava e diffondeva i nuovi brani graziea forme di trasmissione orale che suonatori ambulanti provvedevano a diffondere esibendosi fra i tavoli di osterie e trattorie a Posillipo, al Corso, a Mergellina o ai grandi alberghi di Santa Lucia per allietare l’arrivo dei turisti.
Il popolo ascoltava i brani ovunque e sopratutto dalla voce dei “posteggiatori”, dalle interpretazioni degli attori dei “casotti”, e dagli accordi dell’ambulante che andava in giro con il pianino suonando i motivi di nuova composizione, e li ripeteva, consacrando il successo di quelli che più lo colpivano.
La circolazione di tanti brani avveniva spesso anche grazie alle ” copielle ” cioè dei fogli volanti su cui venivano stampati i versi e le musiche delle canzoni di maggior consenso che circolavano per la città. A venderle erano spesso le tante edicole diffuse in città e i vari giornalai erano dei veri esperti dei nuovi brani spesso provenienti dalla celebre festa di Piedigrotta , Talvolta bastavasolo fischiettarle all’edicolante che lui subito identificava il brano e consegnava alla gente la copiella corrispondente.
Con l’avvento delle copielle, vendute per strada su fogli di carta scadente e stampati con inchiostro sbiadito, le canzoni si diffondevano con una certa rapidità ed erano una preda ambita dai posteggiatori, che contribuirono non poco alla loro diffusione.
Per i posteggiatori si aprì quindi una nuova era prolifica e piena di soddisfazioni, con tanti viaggi all’estero e forti guadagni, Da semplici musicisti quasi esclusivamente dedicati a cantare serenate mattutine per dar la buonanotte o il l buongiorno alla propria innamorata, esssi divennero lentamente i grandi rogonisti della diffusione della canzone napoletana in città .
CURIOSITA’ Il termine “posteggia” è stato per lungo tempo tenacemente rifiutato da cantori e suonatori, quasi avesse per loro, gente d’arte, un significato riduttivo, da respingere con dovuto garbo per farsi segnalare con l’appellativo più onorevole di “professori”, professori di concertino.
i “professori” della posteggia , vivevano spesso quasi escusivamente dei proventi derivati dallo loro partecipazione a feste di ogni tipo: battesimi, fidanzamenti e matrimoni. Ma il loro impiego non era solo quello; molti di loro sostavano davanti ai grandi alberghi o nelle osterie e nei irstoranti più rinimati e frequentati dai ricchi e dai forestieri ( come quelli del Borgo Marinaro), per deliziarne i clienti. Alla fine dell’esibizione, i posteggiatori passavano con il piattino, per accettare la ” chetta “ossia giravano con il piattino per raccogliere le offerte. Orgogliosi, non consideravano quelle monete un’elemosina bensì il minimo prezzo pagato all’arte.
Alla fine dell’Ottocento, le cose invece incominciarono a cambiare . Essi cominciarono lentamente a godere una sempre più ampia visibilità e popolarità in città .
Divennero in poco tempo i ricercati porotagonisti di bar. birrerie , gelaterie locali in genere con tavolini all’aperto dove c’erano delle pedane per i concerti. Molti di loro divennero famosissimi, corteggiati e ben pagati e alla fine i grandi protagonisti dello sviluppo del cosiddetto “caffè concerto”,
Di questo periodo, ricordiamo :
Giovannella Sancia, chiamata la “Sirena di Napoli” per la sua voce melodiosa. Popolarissima al volgare del XVI secolo, fece poi un voto religioso: non avrebbe più cantato arie profane ma solo composizioni a sfondo mistico.
Maria Borsa, che arrivò perfino a Parigi, alle “Folies Bergères”; il terremoto del 1908 la privò dell’unico figlio che aveva e Maria non cantò più.
Gian Leonardo (“Giallonardo dell’arpa”) si chiamava in realtà Giovanni Leonardo Primavera e il soprannome gli venne attribuito per l’uso virtuosistico dell’arpa, con cui si accompagnava nel canto. Infatti, nel Cinquecento, era già consolidata l’abitudine di dare ai cantori e ai musici soprannomi che li rendessero immediatamente riconoscibili dal popolo.
Diego Giannini , nato a Maddaloni in provincia di Caserta, che con la sua bella voce chiara incantavale platee dei vari locali dove si esibiva sempre con il suo elegante smoking.
Gustavo De Marco ,che possiamo considerare ccertamente come il comico più famoso del teatro di varietà e del caffè Chantant napoletano . Egli riscosse molto successo in citta grazie ad una sua comicita legata ad una particolare mimica del corpo , all’arte dei doppi sensi e ad alcune macchitte ( come il bel ciccillo ) poi rese famose nei decenni a venire da Totò e Nino Taranto. In particolare fu proprio Totò ad incominciare la sua carrira imitando il repertorio di Gustavo De Marco . Sua infatti era pure l’invenzione dell’uomo -marionetta che fu poi riproposta con gran successo da Totò.
Compare Junno, cioè biondo, era cieco. Univa la sua arte a quella dei cantatori e musicanti che andavano in giro per Rua Catalana, Rua Francesca, le vie del Porto, i Decumani.
Sbruffapappa, cantore molto amato e popolare, che portava nel soprannome il segno della sua vocazione a giocare, e vincere, la quotidiana partita con il cibo.
Mastro Roggiero, che alternava le esibizioni in taverne a quelle nelle case patrizie. Col suo gruppo musicale, accompagnava tutti i balli in voga ed eseguiva tutti i generi di canto: villanelle, canzoni a ballo, madrigali, strambotti, serenate.
Mimì Maggio ,capostipite di una celebre famiglia di attori, attrici , comici e cantanti , bravissimo nel genere drammatico e certamente da considerare come il padre della sceneggiata napoletana , Egli formò una piccola copagnia di cui faceva parte anche il giovane Totò alle sue prime armi , che riscontrò al Teatro Orfeo alla ferrovia , un gran successo .
Don Antonio ò cecato suonò e cantò tutte le canzoni dell’Ottocento, quasi un’antologia del pentagramma plebeo. Intorno a lui c’era sempre un concertino con chitarre, un trombone e un ottavino. Uno dei suonatori rimorchiava don Antonio per le strade, grazie a una cordicella attaccata da un capo all’asola del suo panciotto e dall’altro attorno alla sua vita.
Rodolfo Giglio , nome d’arte dell’affascinante Nicola Pucino, che fu un tipico cantante napoletano il cui repertorio era fatto da appasionata canzoni d’amore . Egli con le sue canzoni melodiche napoletane fu il vero concorrente in città di Pasquariello , Insieme alla moglie Vincenzina Di Capua per oltre un decennio figurò nei programmi di varietà di numerosi teatri e sale di Caffè Concerto dove intratteneva co successo il pubblico napoletano. Si innamorò perdutamente di Renata Carpi,bella ed elegante attrice romana, per la quale tragicamente si tolse la vita .
Ma il più famoso di tutti i posteggiatori fu certamente Giuseppe Di Francesco detto “O’ Zingariello”.
Egli nato a Napoli nel 1852, fu il più apprezzato cantante da posteggia di fine Ottocento grazie a grandi brani come “Era de Maggio“, “‘I te vurria vasà“, “Te sì scurdato ‘e Napule“, “Sora mia“.
La sua voce descritta da chi come morbida e penetrante da chi a suo tempo ha avuto il piacere di ascoltarlo possedeva un quid misterioso, un particolare magnetismo eun’incrinatura che rendeva struggente il canto.
Egli , faceva parte di un gruppo di posteggiatori che a Posillipo, su quella sponda d’infinita bellezza, di nascoste delizie, avvolti nell’incanto fiabesco della luce notturna, cantavano ai convenuti le gioie della vita, i sogni segreti, e gli amori perduti.
Un giorno i Franceschini si lasciarono attrarre da allettanti proposte e decisero di partire per la Russia. O Zingariello al solo sentire di lasciare Napoli rispose: «Site pazzi, io luntano a Napole moro!» (Siete pazzi, io lontano da Napoli muoio).«Zingarie’, ma là c’ danno ‘nu sacco e sorde» (Zingariello, ma là ci danno un sacco di soldi), insistettero gli amici, e lui, più convinto che mai, replicò: «Voglio restà pezzente e muri’ cca»
(Voglio rimanere povero e morire qui).‘O Zingariello quindi a differenza dei suoi amici colleghi restò a Napoli dove continuando a fare il semplice posteggiatore si aggirava felice tra i tavoli dei ristoranti e cantava con il suo filo di voce e la sua chitarra le sue struggenti canzoni. Non tendeva mai la mano per ricevere la chetta (dal francese quête, il compenso che si da ai posteggiatori): chi l’ascoltava, portato da un debito di riconoscenza, gli offriva spontaneamente denaro.
Il grande musicista Richard Wagner avendo un giorno avuto modo di ascoltarlo a Posillipo in un ristorante ne remase sedotto. Il linguaggio musicale di quell’umile cantore lo affascino per la sua semplicità. Disse che «quelle note erano la voce e l’anima di ciò che gli uomini nella luce e nell’universo non vedono, ma sentono ed aspirano».
Gli propose quindi di seguirlo in Germania, ma ‘O Zingariello anche questa volta restò a Napoli.
N.B. Secondo un’altra fonte ‘o Zingariello partì e restò in Germania, ospite del musicista tedesco, per quattro anni. Secondo altre fonti, che riteniamo più attendibili, non si mosse da Napoli.Anche Charlotte Ephrussi de Rothschild, figlia del famoso banchiere Alphonse James, in visita a Napoli volle conoscere ‘ o Zingariello: la sua fama era infatti arrivata anche a Parigi, e la ricca ereditiera volle riceverlo nella suite dell’albergo dove alloggiava. Dopo la prima canzone, gli chiese di cantane un’altra e poi un’altra ancora. La donna non voleva che smettesse. Il cantore era ormai vecchio, ma il suo canto sembrava la celebrazione della giovinezza. «Vieni con me a Parigi», le disse perentoria la donna. ‘O Zingariello chinò il capo e bofonchiò: «Madam, mi dispiace, nun ve posso accuntenta’. A Parigi non saprei cantare». Egli traeva la forza e la bellezza del suo canto da Napoli e Posillipo, lì solo poteva cantare, lì solo riusciva a far sognare. ‘O Zingariello rimase quindi ancora una volta a Posillipo anche quando, molto vecchio, non cantava più; la sera si aggirava muto per i tavoli dei suoi ristoranti, vagava sui terrazzi per respirare sino all’ultimo istante l’ossigeno della sua ispirazione.
Il ricordo nostalgico del più grande dei posteggiatori napoletani ce lo ha lasciato in questi versi Libero Bovio: Zingarilello cantatore e Pusilleco, senza voce sapive cantà: cielo e mare, quann” a notte era doce, cu n’accordo ‘e chitarra Jacive scetà!
Altri posteggiatori famosi in quel periodo erano conosciuti con i loro soprannomi e questo dimostrava spesso la loro iniziale estrazione sociale:
Peppino ‘o paglietto, Giuvanne pezza all’uocchio, Paolo ‘o zuoppo, Vincenzo ‘o brigante, “Don Gennariello ‘o ferraro” detto anche “purpetiello” (piccolo polpo), Giovanni D’Andrea detto “Capitone“, Vincenzo Righelli detto “Coppola rossa“, Ciccillo “”‘o guaglione“, Salvatore Bruno “cosce longhe“, Francesco Coviello detto “Ciccio ‘o Conte“, Pietro Mazzone “‘o rumano“, Pasquale Jovino detto “‘o piattaro“, Vincenzo Presutto “capa ‘e lava“, Pasquale Contessa “‘o cappellaro“, Gaetano Buracchia “‘o busciardo“, Raffaele De Felice detto “Ucchiezzullo” (occhio piccolo”, Salvatore Forgione “‘o cusetore” (il sarto), Salvatore Lacovara detto “Totore La Quale“, Raffaele Centesimo “‘on filoscio“, Mariano Nevo “‘o surdo“, Walter Fugazza “‘o figlio d’a Signora“, Rodolfo Racz detto “muollo-muollo” (lento lento).
Si trattava però sempre di personaggi che non riuscirono mai ad uscire dall’anonimato. Tranne uno: Gennaro Pasquariello.
Come avete ben capito , in quel periodo circolavano in città quindi una intensa produzione di brani allegri o appassionati ,I napoletani amavano molto m la musica e riservavano viva attemzione alle esibioni canore che in quel periodo si tenevano per la città.
La viva attenzione che il popolo mostrava nei cofronti della valorizzazione artistica della canzonetta, e della composizione melodica,divenne fonte popolare di evasione collettiva,e molto pensarono di alimentarono intorno a questo fenomeno innumerevoli iniziative di tipo commerciale.
L’ambiente artistico locale napoletano ,rappresentava quindi certamente il luogo ideale per soddisfare le sollecitazioni del nascente movimento culturale legato al café-chantant (nella versione italiana,”caffè-concerto), Esso conquistò infatti rapidamente vaste simpatie popolari, grazie ad un grande sviluppo della canzone napoletana che ritornò in auge a partire dal 1880, grazie anche al contemporaneo rilancio della festa di Piedigrotta .Tanti versi e musiche circolavano allora quindi continuamente per la città spesso senza il consenso dell’ autore ed il popolo era l’unico giudice capace di decretare con il suo gradimento il successo o il fiasco di un nuovo motivo musicale.
Il grande merito di questa diffussione lo si deve proprio a quei posteggiatori di cui vi abbiamo accennato prima che rese molto famose e popolari tante bellissime melodie .
Tra le postegge più celebri certamente vanno ricordate una come “Michelamma”. Una canzone cantata da generazioni di posteggiatori la cui paternità pare sia da ricondurre addirittura a Salvato Rosa .
Oppure la celebre canzone ” Lu guarracino “, la famosa “Te voglio bene assaje” scritta da Raffaele Sacco, la nota ” Funiculì-Funiculà scritta nel 1880 dal giornalista Peppino Turco e dal maestro Luigi Denza per celebrare l’avvio della funicolare del Vesuvio.e la conosciutissima ” Torna a surriento, nata nel 1902 dall’idea del sindaco di Sorrento, Tramontano di rendere omaggio al primo ministro Giuseppe Zanardelli in visita alla Costiera Sorrentina. Autori della canzone furono i fratelli De Curtis ai quali Tramontano chiese di comporre un brano non per dedicarla al premier, ma piuttosto per cercare di ingraziarselo per ottenere opere pubbliche di cui la città di Sorrento necessitava.
Molto cantata e diffusa dai posteggiatori è ovviamente stata anche la bellissima “I te vurria vasà ” scritta da Vincenzo Russo , e la stupenda ” Reginella “, una delle più belle canzoni napoletane di tutti i tempi, che venne scritta nel 1917 da Liberio Bovio e musicata daGaetano Lama . La canzone narra dell’incontro al Salone Margherita tra lo stesso Bovio e la sciantosa Reginella , una donna con cui ha avuto una breve ma intensa storia di amore. Ancora profondamente innamorato, l’uomo racconta con intensità, passione e malinconia la loro relazione sperando che il dolce ricordo della loro storia abbia sfiorato “distrattamente” la mente della donna.
Grande successo ebbe anche la nota ” Marechiaro “scritta da Salvatore Di Giacomo e da tutti ricordata per essere una delle più famose canzoni napoletane .
Ed infine la grande canzone “O Sole Mio”, diventata patrimonio mondiale dell’Unesco e certamente uno dei brani più cantati e conosciuti al mondo.
Anche se quindi molte canzoni venivano pubblicate in diverse raccolte a fascicoli che contribuivano efficacemente alla diffusione internazionale della canzone napoletana, esse come abbiamo potuto notare , traevano il loro successo sopratutto dalla strada e dai vari posteggiatori e suonatori ambulante che vi circolavano.
Era infatti al loro accompagnamento che ricorrevano i giovani innamorati quando dedicavano serenate alle loro amate o quando, con le “mattinate”, portavano sotto finestre e balconi il buongiorno in musica alla fidanzata che si attardava sotto le lenzuola. Spesso questi posteggiatori partecipavano anche alle numerose feste di piazza e animavano i concertini organizzati per i ricevimenti privati.
La passione che i napoletani mostravano per la musica , il numero enorme di intellettuali che frequentava la città , il clima favorevole , e sopratutto le persone che nella nostra città erano alla costante ricerca di svago e spensieratezza rappresentavano quindi il luogo adatto per Napoli nell’aspirare a diventare il palcoscenico nazionale più vivace nella produzione degli spettacoli di café-chantant.
NB. I Cafè Chantant erano dei locali dove oltre che servire ai tavoli, si dava la possibilità a chiunque di esprimere la propria arte. Inizialmente non erano molto frequentati, ma alla fine dell’Ottocento cominciarono a far concorrenza al teatro per portata di pubblico e calibro artistico. Essi erano molto di moda in Europa e sopratutto a Parigi dove essi erano nati e nel segno di una tradizione musicale e teatrale già fiorente, nel capoluogo partenopeo, ben presto da Parigi il successo degli spettacoli dei Café Chantant si diffuse ovunque in Europa ma sopratutto Napoli dove in un tempo relativamente breve s’inaugurarono le più belle sale che fecero da modello per i tanti locali che di lì a poco sorsero in varie parti d’Italia.
In quel periodo Napoli, come tante altre città in Italia e in Europa , venne in poco tempo anch’essa contagiata dalle frenesie della Belle Époque parigina ,ma a differenza di loro il capoluogo partenopeo aveva una tradizione musicale e teatrale già da tempo fiorente per la presenza in città di numerosi artisti del calibro di Salvatore Di Giacomo , Ferdinando Russo, Enrico Leva, Salvatore Gamberdella Eduardo Di Capua ,Libero Bovio, E.A. Mario, Ernesto Murolo,e lo stesso Gabriele D’Annunzio.
N.B. L’eredità storica di quella consolidata affinità culturale che ormai da tempo si era instaurata tra Napoli e Parigi favorì comunque certamente l’ assimilazione privilegiata di modelli e tendenze che in Francia, già nella prima metà del XIX secolo, avevano caratterizzato i gusti del divertimento popolare. Un riferimento esemplare, in tal senso, ci viene offerto dalla produzione drammaturgica di Eduardo Scarpetta che, nella sua fortunata carriera di teatrante e commediografo, farà più volte ricorso alla tradizione teatrale francese ottocentesca riadattando in chiave dialettale trame e personaggi tratti dai vaudevilles e dalle commedie brillanti degli autori di successo del teatro di boulevard.
Ispirandosi quindi a modelli e gusti già tipicamente francesi, Napoli verso la fine dell’Ottocento divenne sede di innumerevoli locali che diventarono luoghi di ritrovo per passatempi alla moda. Quelli del centro storico erano prevalentemente frequentati da aristocratici e borghesi; quelli della periferia e dei vicoli, adattati in ambienti angusti e fumosi, erano invece destinati al popolo.
A Napoli , almeno inizialmente le piu belle sale erano molto similari a quelle francesi di cui ne imitavano lo stile ed il modo di fare, ma con il passare del tempo i napoletani resero i loro café-chantant qualcosa di autentico, trasformandoli in Caffè Concerto, con caratteri propri e distintivi tali da renderlo un’esperienza unica al mondoI caffè-concerto più rinomati, quelli frequentati da un pubblico socialmente elevato, offrivano ovviamente un repertorio di eccezione fatto di attrazioni, chanteuses e danseuses di livello internazionale. Nei locali minori le compagnie reclutavano i vari interpreti tra gli artisti disponibili sul posto, a seconda delle caratteristiche che ognuno poteva offrire, in modo da assicurare uno spettacolo sempre vario e comunque divertente.
Il successo in ogni dove era comunque garantito .
Nei bassi e nei salotti illuminati dalla sospensione a petrolio si ballavano la polka e la mazurka, si applaudivano le romanze sentimentali e le canzoni maliziose e sospirose, si rideva all’exploit di una ” macchietta ” con cui gli artisti di teatro caratterizzavano la scena., ma sopratutto si ascoltava con incoraggiante tenerezza la giovinetta che declamava una poesia sentimentale di Ferdinando Russo, e si incitava il figlio di famiglia che ardiva recitare.
NB. La macchietta era un artista teatrale che si cimentava in un genere certamente comico e caratterizzata da doppi sensi , allusioni ed una punta di satira. Egli in maniera ironica cantava divertenti componimenti fatti di versi rimati spesso poco licenziosi e talvolta un pò volgari.
In maniera rapida doveva sapersi truccare , avere una bella voce , un udito sensibile alla musica e sopratutto possedere il dono della comunicazione per poter trasmettre al pubblico quello che era il suo repertorio.
Ovviamente doveva anche saper recitare, improvvisare e cantare ma anche comporre . Al ritmo di una musica cadenzata ,con la sua mimica doveva essere capace non solo di far ridere ma anche far commuovere la gente in sala. Con la sua musica di sottofondo ed i suoi versi burlosi egli spesso pigliava di mira il nobile o il borghese di turno , ma anche il prete , il deputato , l’attricetta o il classico ubriacone di turno.
Era insomma un nuovo modello di recitazione teatrale che pigliava spunto da quel modello di scuola d’arte rappresentato fino ad allora da attori come Gennaro Pantalena , Federico Stella ed Eduardo Scarpetta che si muovavano nel solco della tradizione degli ultimi grandi interpreti della maschera di Pulcinella .
CURIOSITA’ : Federico Stella fu, insiemea Eduardo Scarpetta , uno tra i più grandi attori e drammaturghi della scena teatrale napoletana del suo tempo. A differenza di altri loro grandi predecessori, ad entranbi la maschera di Pulcinella andava un pò stretta e questo era per l’epoca un fatto anomalo, in quanto per ogni attore napoletano rappresentava il massimo. Ma mentra Federco Stella prediligeva un repertorio che passava dal dramma alla tragedia e anche al comico, Eduardo Scarpetta invece predilegeva il teatro comico oiche sosteneva che dati i costumi, l’indole e le tradizioni del nostro popolo, non era possibile, qui a Napoli, altro teatro che non sia il comico; da qui la geniali invenzione del Felice Sciosciammocca
Il più famoso macchiettista napoletano che trionfò sulle scene di varieta di quellì epoca d’oro tetrale del Caffè Chantant fu Nicola Maldacea, un attore comico che dotato di una voce robusta, si esibì come canzonettista in numerosi locali della provincia del capoluogo campano, fino alla scrittura per le compagnie teatrali di Eduardo Scarpetta e Gennaro Pantalena, con le quali ebbe modo di farsi conoscere e approdare al Salone Margherita.
Gennaro Pantalena fu invece un grande caratterista del teatro napoletano di fine Ottocento,che grazie anche alla sua prorompente fisicità, fece parte delle compagnie dei più grandi attori-autori dell’epoca:come Eduardo Scarpetta e Federico Stella .Egli verso la fine del XIX secolo mise su una propria compagnia, ed il suo repertorio svariò tra Salvatore Di Giacomo , Liberio Bovio ed Eduardo Minichini .
Tra le sue grandi interpretazioni fu quella del marito in Asunta Spina di Di Giacomo, ruolo che fu poi interpretato al cinema anche da Eduardo De Filippo .
Il capoluogo partenopeo, era quindi come vedete destinato a diventare durante il secolo scorso, per forza di cose il palcoscenico nazionale più vivace nella produzione degli spettacoli di café-chantant
E’ Napoli non mancò all’appello .
Alcuni imprenditori musicali e teatrali ,approfittando subito del fatto che verso la fine dell’Ottocento Napoli era una città protagonista di una stagione culturale senza precedenti,non mancarono di inaugurare in quel periodo ,le più belle sale che faranno da modello per i tanti locali che di lì a poco sorgeranno in varie parti d’Italia.
Nei mesi primaverili e in estate, i proprietari dei vari caffè-chantant ,erano soliti collocare una pedana nel vano d’ingresso o di uno degli ingressi del locale; qualche vaso con piante e fiori delimitava lo spazio riservato ai tavoli, attorno ai quali prendeva posto il pubblico pagante. Oltre il recinto si accalcava il pubblico più numeroso che, in piedi, ascoltava ed applaudiva l’artista di turno. Nei locali maggiori gli artisti erano pagati direttamente dai proprietari della sala; in quelli minori, invece, dovevano accontentarsi delle offerte degli spettatori raccolte, nel corso della serata, da uno dei cantanti che girava fra i tavoli per invocare “la buona grazia”.
In breve tempo, sull’onda dei locali parigini di fama internazionale, furono inaugurate nuove sale destinate ad accogliere attrazioni di “arte varia” più spettacolari. Le platee disponevano di tavolini, generalmente tondi. Le canzonettiste che eseguivano mumeri di secondo piano, dovevano, per contratto, intrattenere il pubblico invogliandolo a consumare, percependo, in alcuni casi, una percentuale sugli incassi. Gli spettatori potevano ordinare vari tipi di bevande mentre assistevano alle esibizioni di cantanti, comici, ballerini e numeri circensi. I primi artisti ingaggiati per animare le serate del nascente café-chantant furono prelevati dall’ambiente dei “posteggiatori”.
Le compagnie si formavano all’istante stringendo accordi sommari con un incaricato del locale in cui dovevano esibirsi , ma sempre piu spesso le esibizioni canore verranno in seguito affidate di solito a tenori e baritoni dilettanti, o a giovani fanciulle che davano prova del loro talento intonando romanze celebri.
Talvolta ad esibirsi non mancava a qualche improvvisatore che si proponeva tra gli invitati o una coppia di duettisti, tutti in genere accompagnati da un maestro di pianoforte.
Ad essi seguivano artisti comici, meglio conosciuti come “buffi di società” che presentavano divertenti repertori di macchiette, imitazioni e canzonette brillanti. Il più famoso “buffo” dell’epoca fu, senz’altro, Francesco Marzano, ideatore dell”improvvisata”, una specie di tiritera in musica con poche strofe fisse ed altre da inventare “su misura”, secondo la circostanza o la persona cui erano destinate. Anche Nicola Maldacea, Adolfo Narciso, Raffaele Viviani, solo per citare alcuni dei personaggi più noti che vanterà più tardi la storia del café-chantant napoletano, mossero i loro primi passi artistici per l’appunto nelle periodiche.
Ad alcuni gestori di “birrerie” e “caffè” venne anche la brillante idea di far esibire dei cantanti nelle ore di maggiore affluenza di clienti e il risultato fu sorprendente . Artisti e personaggi di fama internazionale vennero infatti a proporre proprio nella nostra città i loro numeri di successo , e nei nascenti café-chantan , andarono ad affermandosi lentamente una incredibile schiera di artisti locali che conquisteranno poi notorietà e prestigio sui palcoscenici di tutto il mondo.
N.B. Tanti di questi caffè sono stati i luoghi dove ai loro tavolini sono state partorite alcune tra le più belle melodie napoletane come Marechiaro, Luna nova, Maria Mari, O marenariello, e O sole mio.
Napoli sarà quindi dopo non molto tempo , la città italiana in cui gli spettacoli e i locali del Café Chantant avranno più successo, fino a diventare parte integrante del Teatro partenopeo ,
L’esibizione canora infatti dopo essersi spostato dalla strada alla pedana (per i cantanti e per l’orchestrina) o al piccolo palco appositamente attrezzato., visto il numeroso afflusso di persone che desideravano assistere allo spettacolo, dopo qualche tempo si trasferì in teatrini e luoghi di ritrovo di quartieri popolari, abitualmente allestiti alla meglio.
E ovviamente arriveranno in citta le più belle e desiderate vedette dell’epoca
Queste vedette , venivano chiamate in città ” sciantose ” da “chanteuses” ed esse si immersero tutte in un mondo bugiardo e lo vissero con ingenuo ardore, più che con malia. .
N.B. La sciantosa era la cantante dei Café-Chantant, equivalente della chanteuse parigina. Le sciantose erano uno dei pezzi forti, assieme alle macchiette, dei loro spettacoli.
Il loro passato era un mistero, parlavano con accento straniero, usavano nomi d’arte francesi e millantavano storie d’amore con personaggi del jet-set. In realtà, erano solitamente ragazze del popolo che tentavano la carriera dello spettacolo per uscire dalla povertà e che spesso dovettero gareggiare come vedremo con vedette straniere, parigine autentiche e “stelle” indigene col nome esotico, con le quali entrarono in aperta concorrenza .
La nostra città appena sventrata dopo il colera nell’illusione di risanarla, viveva una stagione di divertimenti nei locali dirimpettai dei vicoli della miseria nerae in un contesto dove la disoccupazione era una vera piaga sociale, soprattutto per la donna, fare la sciantosa , sopratutto se avevi un bel corpo euna bella voce , rappresentava spesso in certi contesti ambientali , l’unica soluzione per avere un’indipendenza ed identità sociale. Anche questa vita però non era semplice: le ragazze che decidevano di iniziare la carriera di sciantosa dovevano mettere da parte l’amore e cercare di farsi strada tra le tante Concetta, come venivano chiamate le sciantose esordienti
Le sciantose di origine napoletana erano quindi solitamente ragazze di povere origini che si buttavano nel mondo dello spettacolo per crearsi un proprio spazio nel mondo, gettandosi alle spalle tradizioni, luoghi comuni e tabù. Uno dei fattori che probabilmente spingeva questa ragazze del popolo a tale scelta piena di pericoli e delusioni, era la necessità di sopravvivere a qualunque costo, in un mondo dove la miseria e la disoccupazione erano una piaga inguaribile, specie per le donne. Ma proprio queste donne avevano dentro di loro anche quell’istinto e talento teatrale che le ha rese vere protagoniste del Café-Chantant.
CURIOSITA’. Il 6 settembre 1890 quando Garibaldi entrò a Napoli , subito poco dopo il suo arrivo iniziò una clamorosa protesta. Diverse centinaia di prostitute si diressero verso il carcere della Vicaria reclamando la liberazione dei loro protettori ed urlando slogan garibaldini. Indossavano un giubbetto rosso e una serie di sottane, l’abbigliamento tipico delle canzonettiste. Dopo un anno poi apriì a via Toledo il primo café-chantant napoletano. Qui si esibirono anche le prime canzonettiste, cantanti dalla tecnica approssimata ma piene di fascino. Erano praticamente le prime sciantose, tutte vestite di rosso e che Roberto De Simone descriveva come Sciantose Garibaldine.
La Belle Epoque in citta era insomma oramai cominciata e si era diffusa in tutti gli strati sociali della città e alla fine dell’Ottocento i café-chantant, cominciarono a nascere ovunque : il più bello era il Salone Margherita. , ma la concorrenza certo no si fava non sentire .Gli spettacoli di varietà divennero quindi i programma di cartellone dei tanti piccoli teatri presenti in città ed i vari spettacoli di café-chantant iniziavano generalmente con due esecuzioni musicali dell’orchestra. Era questo un piccolo stratagemma dell’impresario che, sfruttando in tal modo i primi dieci minuti della serata, poteva scritturare un artista di meno.
Le canzonettiste erano ovviamente il nucleo portante del programma; le attrazioni e i numeri di “arte varia” erano intrattenimenti accessori.-
Quasi tutte le sciantose usavano nomi francesi e parlavano con accento straniero, si costruivano un passato immaginario per aumentare fascino e mistero e millantavano storie d’amore con esponenti del jet-set. Le più ricche e famose si portavano dietro la claquer, ossia un gruppo di persone che, dietro compenso, applaudivano ed urlavano a dismisura durante la loro esibizione, accrescendo così notevolmente la quotazione dell’ingaggiatrice di turno.
Con il passare del tempo il l ruolo di queste donne sciantose divenne più prestigioso e professionale e questa trasformazione si avvertì anche nel vestire e nel comportamento. Le nobildonne che frequentavano i Caffè, cominciarono quindi ad imitarle nei gesti e nell’abbigliamento, trasformandole in vere e proprie icone di charme e stile .
N.B. Con il termine “sciantosa” ancora oggi i napoletani sono soliti descrivere una donna che si è impegnata molto nella cura del proprio aspetto o che viene percepita come eccessivamente vanitosa. Il termine può avere accezione negativa o positiva a seconda del contesto in cui viene inserito, ma quasi sempre esso presenta una connotazione scherzosa: non è difficile che l’espressione venga utilizzata per prendere in giro l’atteggiamento smorfioso di una donna attraente o anche quello capriccioso e viziato di una ragazzina che gioca a far la grande.
Le sciantose sono state negli anni della Belle Epoque napoletana le protagoniste indiscusse dei pettegolezzi in città. Amori folii , passioni travolgenti e inciuci vari spesso si sussurrvano a bassa voce tra le strade di Napoli a proposito di queste belle donne . L’argomento talvolta riguardava la bravura e le doti di cantante di queste dive ma qualche volta malignamente l’argomento si spostava su patrimoni andati in fumo , Esse venivani considerate sopratutto dal versante femminile , delle donne di lussuria e la loro vita avvolta nei fiumi del peccato. La loro reputazione, nella società di allora, piuttosto bigotta, non era certo delle migliori ed esse avevano la cattiva fama di rovinafamiglie. Fama che, per alcune di esse, non fu immeritata.
A dire il vero la loro vita fu invece spesso anche caratterizzata da suicidi , colpi di pistola e tragedie.
Un esempio su tutti fu la vita tumultuosa e la fine drmmatica di Blanche De Mercy, uccisa per gelosia nella stanza di una pensione a Posillipo.
Gabrielle Bressard si tolse la vita invece indavanti alla porta dell’amante, Edoardo Scarfoglio, fondatore de “Il Mattino”. , mentre accusata di concubinaggio con il marchese Gerace Marianna Monti finì in carcere e solo grazie a”potenti amici”venne poi trasferita in convento dove terminare la sua vita ( meglio il convento del carcere). Un successivo certificato di “onestà” firmato da un parroco le rese poi la libertà.
Una certa Caterina Aschieri detta “la Romanina” fu espulsa da Napoli “per irriferibili motivi” mentre nel 1729 Rosa Albertini detta “Trentossa” fu uccisa con un colpo di archibugio davanti casa. Il sicario era stato assoldato da Ceccia Greco, rivale della vittima sulla scena e nell’amore. “Delitto d’onore” dissero i giudici, e l’assassino se la cavò con una multa, beneficamente devoluta al restauro di un soffitto nel carcere della Vicaria.
Come notate attorno alle famose sciantose , nel secolo che pure era detto dei lumi ,in città si radunarono storie di amori ,passioni ma anche di di follie e tragedie
Lo scandalo sche comunque fece maggioe scalpore fu quello che coinvolse la sciantosa Maria Francesca De Browne, in arte Blanche De Mercy e lo scultore Filippo Cifariello.
L’incontro tra i due avvenne nel 1890 a Roma, dove l’artista napoletano era andato a inseguire la gloria. Maria-Blanche cantava nel teatro “Varietès” di via dei Due Macelli. Cifariello la inondò di fiori. Lei alternò sorrisi e rifiuti. Partendo per una tournée gli rese l’ultimo mazzo di rose, .
Cifariello era un bell’uomo e provò a dimenticare la bellissima soubrette con altre donne , ma quando la cantante, due anni più tardi, ritornò a Roma, decise che l’avrebbe avuta.
La sciantosa tentennò, propose un mese di convivenza di prova a Napoli, infine diventò la signora Cifariello. Filippo non le fece mancare vestiti e gioielli. Sopportò la coabitazione con la suocera e una zia di Maria, amanti degli animali. Divise la casa con 35 fra gatti, gatti, cani, galline razzolanti nel salotto, topolini bianchi.
A Maria-Blanche non bastòtutto questo. Cifariello scoprì appassionate lettere di tal Romeo Bonero, la moglie lo rabbonì con le moine. Roso dalla gelosia, lo scultore accettò un incarico in Germania, come direttore di una fabbrica di oggetti d’arte a Passau, e partì con lei.
Successivamente Filippo trovò altre due lettere ardenti. Decisero così di separarsi per qualche tempo, e la donna andò a Roma, ma tornò presto. Gli chiese il permesso di cantare in America. Pur di non perderla, Cifariello acconsentì , ma l’avventura americana fu un fallimento, Maria Blanche sembrò pentita. Rientrarono quindi a Roma. dove Il Comune di Bari commissionò allo scultore una statua del re Umberto; essa fu inaugurata nel 1905,ed in prima filain quella circostanza vi era l’assessore avvocato Leonardo Soria,
Filippo, incautamente lo presentò alla moglie.
I due coniugi Cifariello si erano intanto trasferiti a Napoli dove risiedevano nella pensione “Mascotte” a Posillipo.
E fu proprio in questa pensione che avvenne l’irreparabile, Un giorno lo scultore vide uscire l’avvocato Soria dalla loro stanza, la numero 9, e in preda ad un furioso attacco di gelosia ebbe un drammatico colloquio con il Soria che ostinatamente difese la purezza della signora, e ripartì.
Ci furono ovviamnete litigiosi scontri successivi con Maria che durarono per giorni fino a quando il 10 agosto 1905 nella pensione “Mascotte”. Il marito irrupp ,in stanza e con cinque colpi.uccise Soria. Sul tavolino, erano presenti dolci e due coppe di champagne.
I periti settori, dopo l’autopsia, dissero che non avevano mai visto un corpo tanto perfetto. L’assassino disse: “Morta l’adoro più di prima”.
Su cartelli affissi alle porte di molti café-chantant di Napoli, dal Salone Margherita all’Eldorado, il giorno dopo l’uccisione di Blanche apparve una scritta. “Chiuso per lutto
“Il processo cominciò quasi tre anni dopo alla Corte d’Assise di Napoli. La folla, divisa in due partiti, urlava. Inevitabile trasferire il giudizio a Campobasso. Si arrivò al 1910. In aula, Cifariello disse: “Mi ha dato dodici anni di inferno, ma non volevo ucciderla, è stata una fatalità”. Il difensore Gaetano Manfredi scovò altri tre amanti di Maria-Blance. Esibì 40 lettere appassionate trovate in casa di Soria assieme a un medaglione con un cespuglietto nero pudicamente definito “roba simile ai capelli”. Lesse un biglietto di Maria in cui Cifariello era definito “sudicio piccolo merlo”.
La perizia psichiatrica definì l’accusato “totalmente incapace di intendere e di volere”: I giudici lo assolsero per “vizio totale di mente” al momento di premere il grilletto in “un intenso stato passionale”. Il pubblico applaudì, il delitto d’onorein quel periodo godeva di grande rispetto.
Cifariello aveva subito la lunga detenzione preventiva nel manicomio criminale di Sant’Eframo.
Ma quella di Maria-Blanche non fu l’ultimo amore, nè l’ultima morte di una persona cara a Filippo Cifariello: l’artista, infatti, si risposò, nel 1914, con una donna molto più giovane di lui, Evelina Fabi, con cui si trasferì in una casa al Vomero e che morì dopo tre settimane di nozze , per un incidente domestico che avvenne cono lo scoppio di una macchinetta a spirito che le fece riportare delle gravi ustioni.
Il terzo ed ultimo matrimonio dello sventurato Cifariello, datato 1928, fu con Anna Maria Marzell, una donna tedesca, dalla quale ebbe due figli, Filippo e Antonio. Risultò più stabile e duraturo dei precedenti due, tuttavia la salute mentale di Filippo Cifariello diventava sempre più precaria, facendolo cadere in una profonda depressione, che culminò con il suicidio, avvenuto nel luogo più caro all’artista, il suo studio di vvia Francesco Solimena al Vomero, nel 1936.
La scia di morte che perseguitava l’artista, tuttavia, non si fermò lì: anche suo figlio Antonio, attore, perse la vita molto giovane, a soli 38 anni, al seguito di un incidente aereo un durante un viaggio in Africa. Perfino il suo avvocato, Gaetano Mnfredi morì prematuramente : si suicidò durante un viaggio in treno, a 63 anni.
N.B. Filippo Cifariello ,fu uno dei più attivi scultori tardo neoclassici della sua epoca, producendo numerose opere i bronzo, argento , Marmo , terracotta e gesso come quello del busto di Enrico Caruso.
Le sciantose, traduzione napoletana del termine francese chanteuses, soprattutto le più famose, assurte agli onori della cronaca, potevano come avete potuto notare , vantare schiere di fedelissimi ammiratori che le seguivano e le acclamavano ad ogni esibizione intonando insieme ad esse i ritornelli delle melodie più in voga.
Ognuna di esse nel corso della sua carriera artistica, si specializzava nel genere interpretativo che più si adattava alle sue caratteristiche vocali. Dalle varie ribalte intonavano i loro successi canzonettiste generiche, eccentriche a trasformazione, romanziste, e quelle che si ispiravano ai modelli francesi delle gommeuses e delle diseuses.
Per calamitare le attenzioni del pubblico, prevalentemente maschile, queste “floride donnine” esibivano generosi décolletés. indossavano sottane corte, a volants tempestati di strass, paillettes, perle e pietre luccicanti e per giocare in maniera ancor più seducente sull’ambiguità della loro origine assumevano non di rado nomi d’arte alla francese.
I primi numeri, quelli di apertura, spettavano alle canzonettiste generiche che eseguivano pezzi tratti da un comune repertorio.Questi di routine erano affidati a giovani esordienti che venivano esposte al l’inclemente giudizio del pubblico che non di rado ricopriva di fischi le malcapitate troppo intimidite esibizioni tradite dall’emozione del debutto.
Sovente i primi numeri non erano pagati, si esibivano nella speranza di ottenere una scrittura più o meno redditizia o al solo scopo di farsi conoscere quando si affacciavano alla carriera concertistica. Non tutte le canzonettiste che si esibivano in apertura dei programmi di caffè-concerto riuscirono a raggiungere traguardi di successo.
Destarono a tal proposito sicuramente affettuose simpatie le esibizioni di Margherita Leone, una bella ragazza napoletana che rinnovava ad ogni Piedigrotta il suo repertorio canzonettistico ma solo raramente riusci ad occupare il posto di vedette nel programma delle serate. Molto benvoluta dal pubblico napoletano era anche Nini Birichina, nome d’arte di Anita Pesce , una graziosa canzonettista che aveva iniziato a cantare da piccola e per circa venticinque anni propose sui palcoscenici di varietà il suo repertorio eccentrico tipicamente dialettale.
Ad eccitare le platee dei suoi ammiratori non possiamo non ricordare anche Nini Bijou, al secolo Anna Baldi , una ragazza napoletana che aveva iniziato il suo apprendistato musicale sotto la guida di Rodolfo Falvo, del quale interpretò numerose canzoni. Era versata per il genere allegro e durante le sue esibizioni spesso cambiava l’abbigliamento per meglio adattarlo al soggetto dei brani che eseguiva.
La regina indiscussa dei primi vent’anni del ‘900:, fu comunque senza dubbio Elvira Donnarumma, chiamata Capinera per via dei suoi ricci capelli neri .
Ma veramente altrettanto famosa è stata anche la napoletana Gilda Mignonette (nome d’arte di Griselda Andreatini) , conosciuta da tutti come la Regina degli Emigranti, le sue interpretazioni diventaro infatti no vere e proprie hit internazionali. Per il suo talento formidabile è stata paragonata alla cantante blues Bessie Smith.
Famosa fu anche Ester Bijou , nome d’arte di Giovanna Santagata, nativa di Capua, biondissima e con occhi azzurri, che venne subito definita Diavoletto Biondo per la sua capacità di scatenarsi sul palcoscenico e di coinvolgere il pubblico in sala. Essa purtroppo , dopo uno spettacolo teatrale al Salone Margherita, fu ritrovata morta in un albergo di Napoli, suicidatasi con un colpo di rivoltella al cuore.
E certo non possiamo dimenticare anche la napoletana Ria Rosa ( vero nome Maria Rosa) che esordita giovanissima alla sala Umberto, mostrando una notevole voce calda e decisa, finì per esibisce anche a New York dove venne proclamata Cantante degli Emigranti ed ironicamente Nonna delle Femministe. Essa fu infatti la prima a trattare temi come quello delle ragazze madri di Napoli. Suscitò scalpore per i suoi travestimenti da Guappo napoletano per interpretare canzoni maschili.
CURIOSITA’: Piuttosto che definirsi canzonettiste, diverse artiste preferivano la denominazione di divette; alcune con l’aggiunta della specificazione “eccentriche”, per indicare che alternavano il repertorio brillante a quello sentimentale, puntando preferibilmente sul primo.
Sono stati comunque tanti i nomi delle sciantose che si sono esibiti sui palcoscenici dei Caffè Concerto di Napoli.. Tra queste ci piace ricordare la napoletana come Anita Chevry (al secolo Pescrilli) , Tina De Ferrero,Emma Santini, Amelia Rondini. Carmen Marini.e la verace Olimpia d’Avignydi origini vesuviane . La salernitana a Ester Clary (Palumbo). La milanese Gina Chamery ( Luigia Pizzoni Negri) e la toscana Vienna De Ruà.
La città di Napoli , insomma come avete avuto modo di capire , rientiva anch’essa come tane altre città europee l’influenza della moda franceseed i café-chantant sorsero lentamente come funghie nella nostra città dove tutto diventa esagerato questi locali icominciarono un pò a sorgere ovunque .
Napoli, in quell’epoca , benché fosse sempre afflitta dai suoi eterni problemi economici, era una città affollata da un mondo di letterati e di dotti nelle scienze, che avevano molteplici occasioni per esprimere la propria vivacità culturale.
Forse mai più la citta ha forse accolto tanti letterati ed artisti in un unico periodo . In quella Napoli d’inizio secolo c’era un fermento culturale che attirava l’ interesse di studiosi di tutta Europa.
La città era considerata un punto di riferimento culturale importante per tanti intellettuali. e la vecchia capitale di un Regno si ripresentava in quel periodo come la capitale della cultura e in quella magica atmosfera si riappropriava del suo appellativo di “Nobilissima”Nel giro di pochi anni i Caffè Concerto spuntarono allora nella nostra città numerosi locali . come: il Gambrinus, il Caffè Turco, il Circo del Varietà, il Salone Margherita, l’ Eden, il “Flora”, il “Diodato”, il “Veneziano”, I Cavalieri”, e tanti altri caffè – chantant, tutti frequentati da artisti e ricchi borghesi.
La stampa locale di quel periodo non mancava di interessarsi al fenomeno degli spettacoli di varietà che imperservava in città, ,Tra i tanti giornali che pubblicavano notizie del locali dove all’epoca furoreggiavano i divi del cafè-chantant erano sopratutto due quelli che sopratutto non facevano mai mancare notizie sui spettacoli ,artisti, aneddoti,fattarielli e “inciuci” vari : Napoli Eden e il Cafè Chantant .
Uno dei luoghi dove maggiormente erano presente questi caffè-concerto, tanto di moda a quei tempi, era la zona tra piazza Municipio e Piazza Plebiscito .
Nelle botteghe a pianterreno del Palazzo Salerno, proprio in piazza Plebiscito, di fronte dove si trova ora il Gambrinus, si trovava il Caffè Turco. Esso inaugurato nel 1885, pur non potendo vantare il pubblico aristocratico del dirimpettaio Gambrinus, era frequentato anche da persone di un certo rango, soprattutto amanti della canzone napoletana.
Si racconta ancora oggi in città che il Caffè Turco offriva alla sua affezionata clientela, durante la stagione estiva, uno spettacolo di intrattenimenti canori organizzati dal suo proprietario Salvatore Fiocca che a dir di molti era un geniale organizzatore . Egli offrivaper molti mesi dell’anno continuamente spettacoli canori all’aperto in uno spazio antistante il locale e rappresentò un trampolino di lancio per molti artisti napoletani.
Nel suo caffè, vestito alla turca, con un fez rosso in testa, ideava spesso serenate per pricipi, regnanti e personaggi illustri di passaggio per Napoli: bandiva corsi canori, distribuiva diplomi e medaglie. Si racconta che serviva ai tavoli Giuseppe Capaldo, un cameriere dalla vena poetica che, tra un sorbetto , un caffè e un bicchiere d’acqua di Telese da portare ai clienti, compose: A tazza e cafe, ‘E lampadine, Comme facette mammeta.
N.B. Durante questi anni si sviluppò anche la passione per il caffè ormai bevanda simbolo della città, che rende quello napoletano il caffè per antonomasia. Esso incarnò così bene lo spirito napoletano da diventare anche oggetto di canzoni popolari .
Tra gli artisti più acclamati dai clienti affezionati furoreggiava il comico Mongelluzzo, “un ‘macchiettista’, che a quei tempi era il beniamino del popolo che andava in visibilio per le sue canzonette, le sue smorfie, il suo tubino e il vestito a “quadriglie”, alla maniera di Sciosciammocca, e un bastoncino di bambù,
CURIOSITA’: Mongelluzzo sciorinava il suo eccezionale repertorio, spesso improvvisando e intrecciando col pubblico spassosi dialoghi non privi di doppi sensi e di spunti umoristici. Come artista comico era talmente popolare e apprezzato che spesso nel tram della linea 18, in servizio da Piazza Vittoria a Capodimonte, i passeggeri costringevano l’autista a una breve sosta in Piazza del Plebiscito, davanti al caffè, il tempo di godersi qualche spassosa esecuzione dell’irresistibile intrattenitore.
Alla fine della guerra libica, il caffe Turco, nel 1913, divenne Caffe Tripoli in omaggio alle vittoriose imprese in terra d’Africa. Con la prima guerra mondiale, il locale cominciò a decadere e a ridursi, pian piano, dopo la morte del Fiocca, a ristorante a prezzi fissi. All’inizio del 1932, le sue sale furono infine occupate dal Circolo degli Ufficiali.
Il primo caffè-concerto che divenne con il tempo, un importante punto di ritrovo dell’aristocrazia cittadina, si trovava ad angolo con via Verdi, e si chiamava Birreria Monaco.
Essa era uno dei ritrovi più raffinati della città. All’ingresso del locale nelle ore pomeridiane e serali sostavano splendide carrozze in attesa dei signori che ai tavoli della birreria gustavano caffè e sorbetti godendosi lo spettacolo musicale di un complesso strumentale di posteggiatori denominati “‘E figlie ‘e Ciro”, che solo in un secondo momento si trasformò in un quartetto musicale diretto dal maestro Giuseppe Avitabile.
Essi insieme ad altri tanti artisti musicali dell’epoca che avevano fatto dei Caffè-concerto il loro punto di ritrovo e spesso anche l’unico mezzo di sostentamento,erano soliti esibirsi su un modesto palchetto di legno, sopraelevato, collocato al centro della luminosa e grande sala.Alla fine della guerra libica,
Nel 1896 la Birreria Monaco dovette momentaneamente chiudere per i lavori di ampliamento stradale della via San Carlo, Venne quini aperta una sua succursale a Santa Lucia , proprio di fronte al Castello dell’Ovo t,ra i corallari ed i negozianti di frutti marini, e propriamente ove oggi sorge l’Albergo, che dall’incantevole e storica riviera prende il nome.
La succursale della Birreria Monaco sorgeve in un giardino coperto in parte da un telone di mille metri quadri e questo impianto del Concerto estivo sul mare, può ritenersi csecondo molti ome il primo vero caffè-concerto in Napoli. Qui la sera i frequentatori sentivano da Ciccillo Colucci, Gaetanella e Coppola Rossa le note incantevoli del musico (…).
E, quando le prime foglie ingiallite principiavano a cadere sui tavoli dell’affollato ritrovo e il tendone cominciava a non coprire più bene quella folla, il 17 settembre dello stesso anno,ne vennero riabilitati i fasti in Via Mesina sempre in piazza del Municipio, a ridosso del Maschio Angioino,.
Nella stessa piazza era presente anche la Birreria Strasburgo, aperta nel 1878 da Peppino Berenzone.Essa di trovava di fronte all’odierno Hotel di Londra, ed in città era considerato un luogo di ritrovo dove artisti e letterati potessero riunirsi..
La birreria , sorgeva a due passi dal Teatro San Carlo ed era in quel periodo un locale molto famoso, considerato da tutti in città come un vero e proprio centro culturale in quanto molto frequentata da letterati, scrittori, giornalisti, avvocati e artisti di chiara fama.
Nelle sue luminose sale e nel suo accogliente giardino, si radunava infatti il meglio dell’aristocrazia e dell’intellettualità napoletana, per ascoltare allegri concertini di artisti musicali che abitualmente si ritrovavano poi ogni giorno nell’antica zona dei decumani , nel Caffè dei Mannesi a San Biagio dei Librai.
CURIOSITA’: L’antico Caffè dei Mannesi, in via San Biagio dei Librai, all’incrocio con via Duomo, che prendeva il nome dalla vicina chiesa dei Mannesi era il principale punto di ritrovo dei cosiddetti gavottisti , una categoria di cosidetti”professori’ che in attesa di contratto da parte di committenti che gli offrivano di cantare e suonare per uno sposalizio o una ‘parola’ ( cioè un fidanzamento ) una serenata o mattinata, erano soliti sostare in questo bar. Alcuni di questi artisti, che non di rado suonavano “a orecchio”, erano senz’altro più popolari di attori e cantanti che calcavano le più rinomate ribalte cittadine.
I gavottisti erano quindi “artisti a disposizione del pubblico, riuniti in gruppi musicali, che però alla fine del programma non giravano per la ‘chetta’, cioè la questua. Il loro compenso era stabilito in precedenza con i clienti, attesi per ore in un Caffè.
In verita esistevano in citta due categorie di suonatori (chi pattuiva il compenso prima di far musica e chi solo dopo sollecitava il corrispettivo alla fine del suo numero girando col piatto per raccogliere le offerte del pubblico.)e non ci fu mai una grande amicizia tra loro. . Un sottile velo di disprezzo separò sempre gli uni dagli altri.
A metà Ottocento essi venivano spesso scritturati per accompagnare, con i loro strumenti, il ballo della “gavotta’, antica danza francese tornata di moda e assai popolare a Napoli. Molti gavottisti’ suonavano a orecchio, con risultati eccellenti.
Il gruppo che andava per la maggiore era capeggiato da Ciccio e Giorgio. Essi pare fossero richiestissimi per tutti i festini familiari, Ancora oggi si racconta che usavano aprire il lorp piccolo concerto con un’esibizione di Ciccio al flauto che lui chiamava ”a cannuccia a cinche pertose”, la piccola canna con cinque buchi. Il pezzo forte arrivava quando Ciccio, accompagnato dalle chitarre in sottofondo, improvvisava, col flauto, arabeschi musicali che l’uditorio seguiva ammutolito, fino al fragoroso applauso
N.B I committenti appartenevano generalmente a famiglie dei quartieri popolari o provenivano da quell’ “infima borghesia urbana, desiderosa di dare alle sue feste casalingh e un’impronta artistica, a imitazione dei salotti dei ricchi..
Il Caffè dei Mannesi, di cui si hanno notizie fino al 1930 circa, da come ci raccontano le cronache non era un locale lussuoso o particolarmente accogliente: disponeva soltanto di pochi tavolini, qualche modesto divanetto e un bancone per la preparazione del caffè. Ma poteva vantare tra i suoi più rinomati frequentatori, un maestro del vicino teatro Mercadante, che in accordo con il proprietario del caffe collaborava alla conduzione del locale trascrivendo musiche e accompagnando inesperti can-anti, fra i quali c’era Enrico Caruso, allora giovane apprendista meccanico. Il maestro, anch’egli molto giovane, era Pietro Mascagni.
Oltre al grande Enrico Caruso che vi debuttò all’inizio della sua prestigiosa carriera. il caffè era anche molto frequentato da don Luigino Stellato, il popolare autore di ‘A cammesella, che spesso vi si recava con un gruppo di amici per provare, sul pianoforte posto in un lato della sala, le sue nuove canzoni.
Fu così che un pubblico enorme prese ad invadere il caffè, tanto che il proprietario fu costretto, per limitare l’assalto, a stabilire delle audizioni vere e proprie, facendo pagare agli spettatori un modesto contributo. Nasceva, in tal modo, il primo caffè concerto della città
N.B. Agli inizi del Novecento i gavottisti si sposteranno al Caffè Spada, in piazza Garibaldi, trasferitosi tempo dopo in via Poerio.
Nel borgo di Santa Lucia, si trovava in quegli anni, attivo da 1880, anche il Caffè Vermouth di Torino,, mentre in Via medina, accanto alla chiesa dell’Incoronata, era invece presente la Birreria dell’Incoronata che offriva agli avventori di turno un intrattenimento serale a base di canzonette. Il locale, conosciuto anche col nome di Envencible Bar era frequentato soprattutto da marinai e commercianti provenienti da ogni parte del mondo.
N.B. Il bar che era collocato nell’area adiacente il porto , era molto frequentata da stranieri, marinai e commercianti, che in attesa della partenza di una nave, dopo aver fatto il giro delle bancarelle lungo le strade del Molo, ingannavano spesso il loro il tempo ai tavolini dell'”Envencible con una tazzina di caffè e il classico bicchierino d’anice.
Nell’interno del locale , oltre al bancone e alcuni tavolini c’era l’immancabie pianoforte tipico di questi caffè-concerto, collocato su una pedana . L’organizzazione delle serate in questo locale era affidata ai due artisti Elvira Donnarumma e Davide Tatangelo che in coppia prendevano grandi applausi .
N.B. I due valenti artisti ebbero il merito di scritturare e far esordire da giovane la prestigiosa canzonettistica locale Ersilia Sampieri .
Sempre a Santa Lucia , a ridosso del Castel dell’Ovo, in estate era presente da giugno a settembre un gradevole ritrovo balneare chiamato” Eldorado Lucia” che ospitava primarie compagnie di operette e artisti di varietà.
L’intero complesso turistico si presentava come “una vera e propria cittadella, tutta in muratura” all’interno della quale era stata realizzata una zona termale dove si potevano fare i bagni con l’acqua ferrata, che proveniva direttamente dalla sorgente di Palazzo Reale e che era descritta come ‘miracolosa’ anche dal grande clinico Cardarelli” Durante i mesi estivi questo locale diventava meta fissa degli appassionati del café-chantant, che al fresco di terrazze panoramiche sul mare e piccoli chalets ornati di glicini non rinunciavano al piacere di ascoltare i loro beniamini.Nell’interno del locale l’illuminazione elettrica, prodotta da una dinamo propria, si rifletteva in grandi specchiere collocate tra due finestroni spalancati su una terrazza a semicerchio che inondava di luce tutta la sala. Diverse occasioni di svago allietavano le giornate dei clienti: teatro, bar-ristorante, biliardi, macchinenette che distribuivano cioccolata, bersagli mobili, campi da tennis, altalene e piscine di acqua di mare, “una per i signori e l’altra per le signore, rigorosamente divise da un ardito sistema di tende .
Sul palcoscenico dell’Eldorado Lucia si avvicendarono le migliori compagnie teatrali napoletane e nazionali presentando spettacoli di varietà e operette e si esibirono tutti i più grossi artisti dell’epoca: Amelia Faraone, Emilia Persico, Carmen Marini, Elvira Donnarumma, Yvonne de Fleuriel, Gilda Mignonette, Eveline Dove, Lydia Jonson, Nicola Maldacea, Peppino Villani, Diego Giannini, Mario Massa, Gennaro Pasquariello, Armando Gill, Raffaele Viviani. Alla morte di Gabriele Valenzano fu la vedova, donna Lucia Margotta a gestire abilmente l’azienda. Solo negli ultimi tempi, prima della sua definitiva chiusura intorno al 1924, la direzione dell’Eldorado fu affidata ad Antonio Adamo.N.B. Secondo Erminio Scalera, che ha dedicato uno studio ai caffè napoletani più in voga tra Otto e Novecento, il primo vero café-chantant nel la nostra città , è invece stato il “Caffè del Commercio”, un piccolo e suggestivo locale inaugurato intorno al 1880 all’angolo di Piazza Francese, al quartiere Porto.
In Piazza Dante si trova invece il Caffè Diodati che inaugurò la sua attività Il primo giugno 1895 . Esso fu il primo caffè concerto napoletano all’aperto e divenne molto famoso in città sopratutto per i concorsi canori, i fuochi pirotecnici ci e le premiazioni dei carri che venivano organizzati nell’ambito delle celebrazioni festive di Piedigrotta.
Artefice dell’iniziativa era don Gennaro Diodati, proprietario di un omonimo caffè situato sempre nella piazza ma ad angolo con vico Mastellone, già gestito dal padre dal 1862 al 1878. La sala adibita a caffè-concerto si trovava, invece, dalla parte opposta, al di là della strada, nello spiazzo in cui termina la zona dell’emiciclo di piazza Dante rivolta a mezzogiorno.
In occasione della festa di Piedigrotta, il Diodati ampliava il recinto destinato al suo locale, per consentire il passaggio dei carri allegorici e delle cavalcate, e questo perché la clientela potesse meglio ed a suo agio godersi lo spettacolo ed esprimere un esatto giudizio, determinante per l’assegnazione dei cospicui premi da lui offerti per il miglior carro e la migliore canzone. Alla fine della sfilata, il pubblico entusiasta assisteva ancora ad una bellissima gara di fuochi pirotecnici che invadevano la piazza di luci in una fantasmagorica armonia di colori.
N.B.Erminio Scalera, nel suo volume sui caffè napoletani, attribuisce al gestore dell’omonimo caffè il merito di aver impiantato a Napoli, nel suo locale, un autentico teatrino all’aperto e di essersi reso promotore del primo concorso di canzoni con un premio di duecento lire in oro.
Il Caffè -Concerto Diodati a quell’epoca era molto in voga in città . Vari cantanti e attori di prosa, anche se ancora non di gran nome ma in parte gia popolari si esibivano tutte le sere sul piccolo palcoscenico per essere applauditi da un pubblico familiare, cui si univano non di rado uomini di spettacolo, giornalisti e visitatori occasionali.
Un’area di duecento metri quadrati, recintata da una balaustra in legno, era occupata da sedie e tavolini; sulla consumazione, gravava una piccola percentuale per assistere allo spettacolo. La gran parte degli spettatori non paganti sostava in piedi intorno alla staccionata. Fra i tanti artisti che animarono le serate al Caffè Diodati meritano di essere citati Antonio Bova, Vincenzo Scudillo, Carlo Maggi, Adolfo Narciso, Gennaro Camerlingo, Ida Artemisia, Pietro Fiorenza, le sorelle Viola, Giovanni Mongelluzzo, tutti accompagnati da una piccola orchestrina diretta dal maestro Carlo Fanti. Tutto ciò durò fino alla vigilia della prima guerra mondiale. Quando l’antico largo del Mercatello fu invaso dal rumoroso traffico delle linee tramviarie, don Gennaro Diodati, fu prima costretto a smantellare il teatro del suo ritrovo all’aperto, e successivamente, dopo la chiusura dell’altro caffè, avvenuta tre anni più tardi, nel 1915, abbandonò definitivamente la sua attività di organizzatore artistico impiegandosi presso la Camera di Commercio.
Il più elegante caffè per buona parte del secolo è stato comunque il Caffè Gambrinus che si trovava (e si trova ancora oggi ), in Piazza San Ferdinando (attuale Piazza Trieste e Trento).
Sorto dalla ristrutturazione del rinomato Gran Caffè, il Gambrinus (che porta il nome del leggendario re inventore della birra) è stato tra la fine dell’Ottocento e per buona parte del nostro secolo l’ultimo dei più eleganti caffè napoletani
Esso inaugurò la sua apertura il 3 novembre del 1890 , proprio nel periodo in cui purtroppo ( ma per sua fortuna ), la vecchia birreria Strasburgo chiudeva i suoi battenti. Grazie alla sua posizione “strategica” e alle splendide decorazioni delle sale interne ,per logica conseguenza tutti i clienti compresi i tanti intelletuali che precedentemente frequentavano assiduamente la vecchia birreria Strasburgo , passarono in blocco nei nuovi locali di fronte alla seicentesca chiesa del Conforto (San Ferdinando).
N.B. Il Gambrinus divenne in città sia durante l’iniziale gestione di Mariano Vacca che quella successiva dei fratelli Esposito, il locale , luogo di ritrovo preferito dagli esponenti della migliore società napoletana.
Ai numerosi tavolini si davano spesso appuntamento intellettuali, artisti e personaggi stravaganti. Oltre a Di Giacomo, da tutti riconosciuto come il caposcuola della poesia napoletana, era possibile incontrare in questo luogo personaggi come Ferdinando Russo, Ernesto Murolo, Libero Bovio, Rocco Galdieri, Edoardo Nicolardi, Giovanni Capurro, i due De Curtis Giambattista (poeta, pittore) ed Ernesto (musicista) e, la sera, alla chiusura del San Carlo o dopo le recite al San Nazzaro, anche il grande “Enrico” Caruso che faceva puntualmente la sua apparizione.
In estate su un palchetto, che veniva sistemato all’aperto, davanti a uno degli ingressi che davano su Piazza Plebiscito, le Dame Viennesi, un’orchestrina di sole donne abbigliate nei loro pittoreschi costumi d’oltralpe, deliziava il pubblico con valzer di Strauss, mentre ai suoi numerosi tavolini si davano spesso appuntamento intellettuali, artisti e personaggi stravaganti.
Come ricorda Alberto Consiglio nella sua introduzione all’opera di Erminio Scalera sui caffe napoletani la “terrazza” del Gambrinus rappresentava il centro “morale e artistico” del grande baccanale di Piedigrotta. “Il corteo aveva come passaggio obbligato Piazza San Ferdinando: i carri si fermavano innanzi al Gambrinus’ € le Donnarumma, i Testaccio, le Scarano, i Maldacea, i Pasquariello, interpretavano le canzoni nuove innanzi al pubblico più severo e più beffardo della città’.
Il Gambrinus diventato una galleria d’arte, grazie ai pannelli di Migliaro, Caprile, Irolli, e Casciaro il vecchio, che spiccavano tra le grandi specchiere dorate, attraeva illustri personaggi anche dalle ex province borboniche: dall’Abruzzo i fratelli Palizzi e D’Annunzio; dalla Sicilia i Capuana, i de Roberto, i Borgese; dalla Calabria il Misasi: dalla Puglia, dalla Basilicata e dal Salernitano i politici Nitti e Salandra
Ad allietare gli ospiti presenti ai tavolini in quel periodo oltre a dolci note era spesso presente … la figura della sciantosa; una cantante che eseguiva brani ed arie tratti da opere liriche o operette. (Il termine sciantosa è una storpiatura della parola francese chanteuse e cioè cantante).
N.B. Clienti affezzionati di quelle sue sale dorate arredate in stile liberty e abbellite di stucchi, statue e quadri delle fine 800 realizzati da importanti artisti napoletani sono stati anche i reali di casa Savoia e negli ultimi anni alcuni Presidenti della Repubblica nei loro soggiorni a Napoli , cosi’ come alcuni presidenti del consiglio ( Prodi – Berlusconi – Cossiga – Mattarella etc. )
I vari Caffè nella seconda metà del XIX secolo , si trasformarono quasi tutti da bar a luogo di spettacolo e per tale motivo lentamente vennero allestite in molti di loro nel proprio interno sale sempre pià grandi e sempre più raffinate , che funzionavano perfino durante la stagione estiva. Le rappresentazioni, si trasformano in veri a propri spettacoli di varietà, nel corso dei quali era anche possibile assistere ai primi spettacoli di varietà con scene “discinte”.
A Napoli, dall’inizio secolo, era diventata usanza recarsi al cafè chantant, commistione d’intrattenimento con degustazioni, durante le quali si potevano ammirare le performance delle “sciantose” (prima, su tutte, resterà Maria Sarti alias Ninì Tirabusciò, casuale inventrice della famosa “mossa”) e dei fantasisti (ai quali si aggiunse, al debutto, un giovanissimo Totò).
In giro in città erano presenti caffè- concerto per tutti i gusti e per tutte le tasche . dai barracconi con biglietti da centesimi venti per ragazzi e militari di bassa forza; al locale eccentrico con la “chetta” cioè col giro del piattello da parte degli artisti per raccogliere in spiccioli la buona grazia della clientela, e dividerla poi con il proprietario della spelonca . per finire a quelli di prim’ordine con,poltrone e al fondo file di tavolini con sedia dove si pagava una lira d’ingresso con diritto a una consumazione.
Le canzonettiste era ovviamente il nucleo portante del programma; le attrazioni e i numeri di “arte varia” erano invece intrattenimenti accessori.
Ma le canzonettiste non erano tutte uguali … vi erano a tal proposito vari tipi di spettacolo in cui ognuna di esse si specializzava. C’e chi proponeva numeri a trasformazione – altre un genere gommeuse -altre un genere diseuse , altre ancora un genere romanzista e molte un genere invece che era quello tradizionele melodico napoletano.
Le canzonettiste eccentriche che proponevano numeri“a trasformazione”., usavano cambiare d’abito a ogni canzone; “ed erano quelle tanto per intenderci che sulla toeletta da sera indossavano la giacchetta grigia di qualche “amico” e, piantandosi sul capo, di traverso, una paglietta ingiallita, cantavano canzoni originariamente scritte per interpreti maschili”. In questo genere si distinsero Pina Füller, (molto apprezzata per il suo repertorio di canzonette eccentriche e di macchiette), Emma Santini, e Amelia Rondini.
Interpreti di un genere più elevato, erano invece le romanziste,. Esse non variavano molto il loro repertorio, ricorrendo alle classiche composizioni di Tosti, De Leva, Tirindelli, Longo, Denza, Leoncavallo. Di solito si presentavano in scena in abito lungo, talvolta a coda; il viola o il nero predominavano nella scelta dei loro costumi.
Le artiste che invece s’ispiravano al genere gommeuse ricalcavano il modello della canzonettista francese indiavolata che con vesti molto corte, eccentriche, colorate e ornate di nastri,si agita e si contorce quasi con l’elasticità di una gomma ; nei primi varietà napoletani questo tipo di canzonettista con in genere enormi cappelli carichi di fiori, grosso seno, nastri, turbanti, guanti portati al di sopra del gomito, falsi gioielli luccicanti di strass, tacchi alti , immensi ventagli, e una certa smofiosa mimicadove a risaltare,era un sorriso languido, melanconico, ed una grazia birichina, conquistò molto il pubblico tra frizzi e grida. Una delle grandi esponenti di questo genere fu Yvette Guilbert il cui esordio napoletano, avvenne nel 1895 al Gran Circo delle Varietà.
Quelle che si rifacevano al genere diseuse si distingueva invece per un abbigliamento più sobrio e raffinato e una più intensa interpretazione canora.L’esempio tipico era rappresentato dalla grande canzonettista francese Yvette Guilbert il cui esordio napoletano, avvenne nel 1895 al Gran Circo delle Varietà.. Qui lei esibiva spesso la sua arte intonando brevi canzoni, o una macchietta popolare piena di gaiezza, o incarna, meravigliosamente, senza truc-co, con una cravatta rossa al collo e con un berretto di seta nera, un tipo della malavita parigina ..Tra le italiane quella particolarmente apprezzata in questo genere interpretativo era Carmen Marini un’artista dalla classica bellezza napoletana , una voce bella e intonata, molto abile nell’imitazione di alcuni divi del suo tempo.
Ma la grande risorsa delle ribalte canore del primo Novecento proveniva per la maggior parte dalla tradiziosio melodica napoletana, di genere sentimentale, malinconico, appassionato, alternata a composizioni più spregiudicate, brillanti, persino umoristiche. Autentici poeti della canzone quali Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo, Ernesto Murolo, Libero Bovio, Edoardo Nicolardi, Rocco Galdieri, Giovanni Capurro, E.A. Mario e altri più o meno noti conquistarono le platee partenopee con motivi di successo affidati alle più belle voci del momento. Sicuramente le canzonettiste che si dedicavano al genere di interpretazioni napoletane erano le più gradite dal pubblico locale.
CURIOSITA’: In riferimento a questo genere di interpreti apare interessante un ‘articolo a suo tempo apparso sulle pagine del “Cafè Chantant” del 25 maggio 1901 che cosi diceva:
E’ una specialità delle napoletane: da esse fu creata, quindi spetta ad esse l’incarnazione di questo tipo. Guai a quelle non napoletane che si permettono di fare parte di questa categoria. Bisogna possedere il viso pienotto, il seno ricolmo, le braccia molto arrotondite, le anche bene in rilievo; e poi occhi maliziosi e bonari, nasino profilato, piccola bocca. Insomma la bellezza, la simpatia, lo spirito, la verve, la grazia, i frizzi, i modi insinuanti della napoletana, doti difficili a ritrovare in donnine di origine non partenopea.
Insomma era pur vero che la romana Maria Campi aveva già inventato la “mossa”, con largo fremito d’anca., Luigi Stellato aveva già inventato lo spogliarello, diventato canzone in “Lievate ‘a cammesella”… ma quando arrivarono le “francesi”, quasi tutte nate a Napoli e dintorni, fu un’altra cosa.
CURIOSITA’: Le Folies Bergére per arginare il fenomeno ad un certo punto mandarono a Napoli una parigina autentica, Armand’Ary. Quando lei intonò il motivo di Mario Costa, “Songo frangesa e vengo da Parigi”, fu il delirio. Le dedicarono una canzone e un profumo. La sua parabola perà , come vedremo , calò allo spuntare di Blanche Lescaut, all’anagrafe Emma Sorel,
Una grande interprete di melodie napoletane, figura emblematica nella storia della canzone popolare dialettale dei primi del Novecento, si rivelò Elvira Donnarumma nata a Napoli il 31 marzo 1883. Ella a soli nove anni già eseguiva in un teatrino di Mergellina la nenia E Ccerase di Vincenzo Valente ispirandosi al modello della soubrette Emilia Persico che allora furoreggiava sulle tavole dei cafés-chantants napoletani; passò poi al Petrella, teatrino popolare nella zona del Porto, figurando nei numeri di varietà che seguivano lo spettacolo dell’Opera dei pupi. Cantò poi nella birreria Incoronata e nel 1894 già occupava un ruolo fisso nel regolare programma, al Gran Circo delle Varietà, con la presentazione di “piccola canzonettista”.
In seguito lavorò spesso all’Eden in numeri da sola ma anche in coppia con Davide Tatangelo, suscitando persino l’ammirazione della Duse che, una sera, al teatro La Fenice di Napoli le lanciò una rosa.
Lasciata la città natale proseguì la sua vita artistica nel resto d’Italia conquistando la sua piena affermazione come vedette dello spettacolo nel 1908, all’Olimpia di Roma. Di successo in successo continuò a cantare ancora per oltre vent’anni contesa dai più importanti impresari della penisola. Suo eterno rivale, specie nelle battaglie canore di Piedigrotta, fu un altro grande interprete dell’anima napoletana, Pasquariello, con cui la Donnarumma resse validamente il confronto, pur non potendo emularlo nella macchietta. Il periodo di declino cominciò dopo la prima guerra mondiale. Nel 1920, quando la Donnarumma aveva appena trentaquattro anni, al Teatro Miramar di Napoli agli applausi si accompagnò l’ingrato commento: “E brava‘a vicchiarella!”.
Nel 1921 fece un’apparizione nel film Santa Lucia lontana e fece coppia in quel periodo con il cantante Mario Mari per formare un numero alternato. Morto il primo marito, il dottor Auricchio, si risposò nel 30. Negli ultimi tempi, ridotta a partecipare alle “canzoni sceneggiate” nel periferico Trianon, fu nuovamente colpita da un antico male e dovètte abbandonare le scene. Nel 1932 si ritirò nella sua modesta casetta al Corso Garibaldi dove si spense il 22 maggio 1933..
A lei Libero Bovio dedicò la canzone Chiove.
Artista dalla voce non potente ma pastosa, dotata di una carica sensuale particolare , Elvira Donnarumma pur non disponendo di una particolare bellezza fisica riuscì a conquistare i suoi ammiratori con il suo fascino d’artista. Le sue intrpretazioni migliori spaziavano dal genere brioso, ricco di umori popolareschi, a quello melodico, a quello violento del bozzettismo drammatico. Fra le canzoni brillanti scritte per lei si ricordano: Quanno mammeta t’ha fatto di Califano e Gambardella, Miette ‘na mana cca! di Califano e Tutta mia di Califano e Valente.
Tra le tante artiste che incontrarono i favori del pubblico napoletano non possiamo certo dimenticare di citare anche Aimée Eymard (in arte Armand’Ary), Holda, Fanny Marton, Maria Valty, Clelia Dini canzonettista che all’inizio delle sua carriera, quando presentava nei primi caffè concerto sorti in città il suo allegro repertorio si faceva chiamare Ida Cardoville, Diana De Lys, Emilienne De Sere, Rachel De Ruy, Yvonne de Fleuriel.
Ma come avete notato,le napoletane pur avendo una tremenda concorrenza francese riuscirono ugualmente a difendersi bene e tuttavia vantare con il tempo una loro autonoma invenzione del caffè concerto e di un numero che darà a sua volta origine ad un particolare genere di spettacolo: lo spogliarello.
Fu così che nel 1875 Luigi Stellato in collaborazione col musicista Francesco Melber, nella rielaborazione di un motivo popolare creò “A cammesella”, divertente duetto tra sposini, con il marito che tende ad eliminare ad uno ad uno i numerosi schermi dietro i quali la moda del tempo nascondeva le grazie della sposa e, quest’ultima, che, di volta in volta, si schermisce e cede.
Tra le tante canzonettiste eccentriche , quelle molto apprezzate dal pubblico napoletano furono le francesi Polaire, Eugénie Fougère, Lyly Murey, Karina, Dianette, Princesse de Rajak, Renée Lyonette; Corinna Raymond; la tedesca Mirzl Kirchner.
L”avvenente canzonettista di origine tedesca, Mirzl Kirchner,“dalla voce di contralto, petto da balia e gambe da alpinista” , grazie alle sue sorprendenti qualità di voce e alla sua versatilità linguistica era riuscita in poco tempo a diventare una beniamina del pubblico locale tanto da conquistarsi lusinghieri apprezzamenti sulle pagine del “Cafè-Chantant”:
Alcune di queste canzonettiste eccentriche proponevano numeri“a trasformazione”. nei quali usavano cambiare d’abito a ogni canzone; “erano quelle che sulla toeletta da sera indossavano la giacchetta grigia di qualche “amico” e, piantandosi sul capo, di traverso, una paglietta ingiallita, cantavano canzoni originariamente scritte per interpreti maschili”. In questo genere si distinsero Pina Füller, (molto apprezzata per il suo repertorio di canzonette eccentriche e di macchiette), Emma Santini, Amelia Rondini.
Interpreti di un genere più elevato, erano invece le romanziste,. Esse non variavano molto il loro repertorio, ricorrendo alle classiche composizioni di Tosti, De Leva, Tirindelli,Longo, Denza, Leoncavallo. Di solito si presentavano in scena in abito lungo, talvolta a coda; il viola o il nero predominavano nella scelta dei loro costumi.
Acclamata chanteuse che riscosse uno straordinario successo per la sua avvenenza e le sue doti artistiche. fu certamente tra tutte queste Eugénie Fougère . Essa fu per molti anni fu una delle più apprezzate canzonettiste delle ribalte partenopee che elettrizzò con le sue canzonette eccentriche di pretta marca parigina. Al Salone Margherita di Napoli presentò anche brillanti duetti in coppia con Nicola Maldacea.
Ricorda di lei Ettore De Mura:
Ogniqualvolta ritornava a Napoli, l’Eugénie si presentava con un repertorio sempre più vasto, cantando in francese, spagnolo, inglese, italiano ed in napoletano. Il delirio del pubblico era indescrivibile, e si rinnovavano doni, fiori, profferte d’amore. (…)
CURIOSITA’: Verso il 1910 lasciò l’Italia per l’Argentina e cantò a Buenos Aires, ma non gode più di successi pari a quelli italiani e napoletani in particolare. Il gusto di quel pubblico era affatto differente ed a poco a poco decadde, al punto di girare con il “piattino”, dopo il suo numero, in locali notturni di Città del Messico. Secondo l’autore francese Eugénie Fougère sarebbe stata rinvenuta, morta strangolata, un mattino di settembre del 1903 accasciata sul letto della sua villa di Aix-les-Bains. La famosa canzonettista sarebbe rimasta vittima di un piano omicida organizzato da una sua vecchia compagna d’arte, Rosalie Goriat, conosciuta nelle brasseries degli Champs-Elysées agli esordi della carriera. La Goriat avrebbe agito con la complicità di un amante per impossessarsi dei gioielli che la Fougère aveva espresso intenzione di vendere per coprire dei debiti di gioco. La polizia dopo una serie di indagini era riuscita a incastrare i colpevoli che, confessato il crimine, vennero imprigionati e condannati ai lavori forzati.
Un’altra stella di primaria grandezza, apprezzata anche come interprete di opere liriche era Aurora Castillo , nata a Buenos da genitori italiana , si racconta che lei iera molto brava sia nel genere melodico che in quello billante. Il suo cavallo di battaglia era Zi’ Caruli, una canzone del 1902 composta appositamente per lei da Capurro e Buongiovanni.
Le cronache dell’epoca si occuparono molto di lei presentandola come una vedette di grande talento: applaudita nel genere lirico, , ammirata quale prima donna d’operette, lei fu una fanmosa canzonettista sol perché il genere era finanziariamente più remunerativo, Dopo un breve periodo dove si dedicò all’opera lirica , ritornata alle ribalte del café-chantant si lasciò particolarmente apprezzare per le sue spassose esibizioni in duetto con Nicola Maldacea. Un’altra brillante carriera fu quella di Elvira Catania, nata a Napoli il 21 aprile 1878. Aveva esordito nell’ambiente degli spettacoli di varietà fin da ragazzina, facendo coppia con Mimì Maggio al Teatro Rossini; era poi passata all’Eden, quindi all’Eldorado e di lì aveva raccolto applausi nei migliori palcoscenici d’Italia. Bella donnina dalla graziosa silhouette, riceveva entusiastiche accoglienze per le sue interpretazioni di vivaci canzonette presentate indossando abiti sempre nuovi. Fu sulle scene per tutto il primo decennio del Novecento. Folte schiere di ammiratori vantava anche Mary Fleur, torinese di nascita ma residente a Napoli, una canzonettista dotata di una grande voce, ma anche di una grande verve e grazia. Bionda , formosa, e con movenze agili e provocanti, lei in maniera esuberante riempiva di vita la scena, creando subito una corrente di simpatia con il pubblico, che l’ascolta con interesse e compiacimento nelle sue provocanti danze, ricche di un vestiario sempre vario ed elegante . Il suo repertorio comprendeva la più bella produzione di Murolo, Bovio, Nicolardi, Nutile, Valente, Nardella, Buongiovanni. Esegui per molti anni ‘A nuvena, di Di Giacomo e De Leva, e come usava fare la sua collega torinese, Annita Di Landa, imitava il suono della zampogna in maniera sorprendente.
Annita Di Landa .proclamata a Milano fra le migliori cantanti a dizione, bella, giovane, elegantissima ma disinvolta ma dotata sopratutto di una gran bella voce , giunta a Napoli i nel 1903 entusiasmò il pubblico locale esibendosi tra gennaio e febbraio all’Eden, nel mese di marzo al Teatro Nuovo e durante il mese di agosto al Teatro Excelsior. Nell’agosto del 1905 raccolse meritati applausi al Salone Margherita e al Teatro Verdi (ex Circo delle Varietà) lavorando in coppia con Maldacea. Anche lei era un’acclamata interprete del brano di Di Giacomo e De Leva ‘A Nuvena: il pubblico napoletano si divertiva ad ascoltarne i versi intonati dalla cantante con accento piemontese e si entusiasmava all’imitazione della zampogna che lei riproduceva alla perfezione.
Nell’aprile del 1896, al teatro Eden, fu obbligata a cantare almeno dieci pezzi per sera. Al Circo delle Varietà ebbe diverse riconferme e bissava tutte le sere O pizzajuolo nuovo, di Capurro e Gambardella. Partita per l’America Latina si trasferì negli ultimi anni della sua vita a Montevideo, in Uruguay, e avendo sposato un ricco industriale lasciò le scene. Un’altra beniamina delle ribalte napoletane dell’epoca era Emilia Persico nata a Napoli e scritturata ad appena quindici anni fu scritturata dalla compagnia dialettale di Gennaro Pantalena con il ruolo di prima attrice amorosa. Passata al teatro d’operetta e, a distanza di qualche anno, poi a quello di varietà, di trionfo in trionfo, interpretò tutti i generi della canzone napoletana eseguendo le più belle canzoni scritte per lei da Cinquegrana, Russo, Califano e Di Giacomo.
Ma il posto d’onore, tra le interpreti più estrose e bizzarre che hanno segnato la storia del nostro varietà agli inizi di questo secolo, spetta sicuramente a Ersilia Sampieri nome d’arte di Ersilia Ambrosi, nata a Torino nel 1877. Rimasta orfana di entrambi i genitori venne scritturata all’età di dieci anni in una compagnia lirica formata di bambini, la cosiddetta “Compagnia Lillipuziana” Trasferitasi a Napoli a 17 anni, col nome di “Piccola Andalusa” aveva cantato per la prima volta alla Birreria dell’Incoronata insieme a Elvira Donnarumma e Davide Tatangelo. A pochi mesi dall’avvenimento fu scritturata allo Scotto-Jonno dove continuò ad esibirsi per quattro mesi presentando canzoni napoletane. Da allora cominciò la sua ascesa al successo diventando la più popolare chanteuse dei palcoscenici nazionali ritenuta dai più autorevoli esponenti della critica e del giornalismo di spettacolo la “Sarah Bernhardt del Caffè-concerto”. Nel 1901 tornò a Napoli ingaggiata dai fratelli Marino per il Salone Margherita dove trionfò presentando un repertorio di canzoni napoletane tra le quali le più applaudite erano: Sì e no, Nnucentella, ‘E ffemmene c” o bastone. Sempre nello stesso anno tra marzo e novembre fu più volte presente sulle ribalte partenopee ricevendo entusiastiche accoglienze all’Olympia, alla Fenice, all’Eden, al Teatro Nuovo.
Bella , elegante , intelligente, affascinante e ovviamente dotata di una straordinaria voe , Emila Sampieri fu una canzonettista degna di ammirazione e di gran successo che venne considerata dalla nota rivista Cafè-Chantant, la vera ” signora “signora della scena del cafè-concerto. ” Lei con quella sua signorilità eleva il caffè concerto alla dignità dell’arte. Le canzonette dette dalla nostra bellissima artista (…) assumono piacevolmente una grazia nuova e acquistano un sapore “… Il repertorio della Sampieri si arricchi nel tempo delle più belle melodie di famosi autori napoletani tra i quali ricorrevano spesso Vincenzo Russo ed Eduardo Di Capua. Nel 1901, al Salone Margherita di Napoli, furoreggiava con i brani A serenata d’e rose e l’ te vur-ria vasa. Più tardi la Sampieri inserì nel suo repertorio anche le canzoni di Armando Gill: Canti nuovi e Come pioveva. Nel 1907 aveva sposato Mario Guayna, in arte “Mister Muscolo” un famoso lottatore acrobata. Continuò ad avere numerosi ammiratori anche dopo il matrimonio e tra questi il famoso poeta Libero Bovio.
Lasciò le ribalte del varietà nel 1932 e andò a vivere a Trieste, dove fondò un periodico letterario, “Il Crepuscolo”, in cui investì tutti i capitali accumulati riducendosi in miseria. Nel biennio 1949-50, si trasferì a Roma, in un alloggio di via Frattina dove si improvvisò chiromante, ma con scarso successo e finì per ricoverarsi in un Istituto di Beneficenza dove poi morì .
Un accenno a parte meritano Maria Campi e Lina Cavalieri, due stelle di primaria grandezza nel firmamento delle canzonettiste italiane che tuttavia non frequentarono spesso i palcoscenici napoletani negli anni tra la fine del vecchio secolo e la prima guerra mondiale.
La romana Maria Campi , nome d’arte di Maria De Angelis,nelle sue fugaci apparizioni napoletane avvenute tra il 1899 e il 1915 trovò comunque sempre calorose accoglienze, soprattutto da parte del pubblico del Teatro Eden, che gradiva in particolar modo il suo repertorio di canzonette “à diction” e le sue esibizioni in duetto con Davide Tatangelo.
Lina Cavalieri, nata a Viterbo da una famiglia poverissima, intrapesa la sua carrira ancora giovanissima dopo aver raccolto i suoi primi successi a Roma , ottenne un gran successo sui palcoscenici dei vari Trianon, Gambrinus,Eldorado, Eden, Alhambra, e Salone Margherita. per poi divenire una delle più affermate etoiles del momento . Essa infatti cconquistò le platee dei cafés-chantants più in voga d’Europa rivaleggiando perfino con la bella Otéro.
N.B. La rivista la belle époque la definì “la donna più bella del mondo” .
La sua irresistibile avvenenza fece perdere la testa a molti uomini di fama internazionale; tra questi vi era il principe Alessandro Bariatinskij, tenente della guardia imperiale russa, che la sposò innalzandola agli onori della corte zarista. Ciò la costrinse ad abbandonare in un primo tempo la carriera artistica; ma il richiamo delle scene sopraggiunse ben presto e avendo nel frattempo studiato canto per dedicarsi alla lirica decise di sacrificare l’amore del marito per affrontare il teatro d’opera. Debuttò al San Carlo di Napoli nell’aprile del 1900, con la Bohème continuando da quel momento a raccogliere strepitosi successi sui massimi palcoscenici allora esistenti in Italia e all’estero. Non ancora quarantenne sposò a New York, dopo la monte del principe Bariatinsky, il secondo marito, Mister Robert W. Chanler, un ricchissimo pittore col quale però restò insieme soltanto una settimana. In seguito fu moglie del tenore francese Lucien Muratore e, dopo un terzo divorzio, si legò a Giovanni Campari.
La sciantosa che in quel priodo univa alle sue doti di canto e bellezza anche la danza all’esibizione canora erano le più ricercate dai vari teatri . Un esempio tipico era rappresentato dalla danzatrice spagnola di fama internazionale Consuelo Tortajada che fece il suo debutto a Napoli, al Salone Margherita, nell’aprile del 1898 e da allora fino al 1908 raccolse costanti successi in tutti i teatri della penisola, eseguendo anche simpatici duetti in lingua italiana e in dialetto con Nicola Maldacea.
Rara bellezza e fascino avvolgente erano all’origine del mito incarnato da un’altra stella internazionale della danza: la Belle Otéro, nome d’arte di Carolina Augustina Carasson, nata il 20 dicembre 1868 in Spagna a Fuente- Valga, presso Cadige, dalla zingara Carmen Otéro e dal commerciante greco Giorgio Carasson.
Attrice, cantante e ballerina di varietà, raggiunse la fama più per la sua avvenenza e la sua grazia spavalda e spregiudicata che per le reali capacità artistiche. Protetta da Gaston Calmette, direttore del “Figaro”, riuscì a debuttare come cantante all’Eldorado di Parigi nel 1889 e in un numero di danze gitane al Cirque d’Été. Subito dopo partì in tournée per gli Stati Uniti con una troupe di chitarristi, per esibirsi come danzatrice all’Eden di New York dove ottenne un lusinghiero successo. Rientrata in Europa si esibì al Wintergarten di Berlino e in altre importanti capitali del vecchio continente: Vienna, Budapest, Bucarest, Pietroburgo, Mosca, dove cantò anche nei grandi teatri lirici.
Nel 1892 fu scritturata alle Folies-Bergère figurando ormai come prima étoile di fama internazionale. Si esibì quindi come danzatrice e cantante a Londra, ritornò ancora una volta, acclamatissima, in America e continuò a furoreggiare sulle ribalte delle più belle città d’Europa intrecciando i successi della sua clamorosa carriera artistica con le avventurose vicende della sua vita sentimentale che la videro protagonista di appassionate storie d’amore con celebri personaggi del suo tempo (Guglielmo II, Edoardo VII Principe di Galles, lo zar Nicola II di Russia, Gabriele D’Annunzio, il Principe Alberto di Monaco). Verso la fine del secolo interpretò alcuni film che immortalavano le sue eccentriche danze.
N.B. La bella Otéro si è degnata venire fra noi, a farsi conoscere ed ammirare, nel salone del Margherita,
Vera incarnazione del fascino della Belle Époque, fu anche la belga Cléo de Mérode, nome d’arte di Diane Cléopatre . Essa nata a Parigi, si dedicò quasi esclusivamente agli spettacoli di caffè-concerto conquistando folle di ammiratori .Al salone Margherita dova elle fece la sua prima apparizione napoletana del 1902 tutte le sere un gremito pubblico elegantissimocorreva ad ammirarla .
Molto apprezzate erano anche le danze popolari spagnole che Pepita Rachel proponeva in quel periodo nelle sale napoletane a conquistando consensi di pubblico e di critica: bellezza tipica andalusa con capelli nerissimi , occhi profondi e sopratutto forme procaci e movenze molli e voluttuose , questa sciantosa spagnola esercitava un fascini indescrivibile con il suo modo di danzare pieno di seduzioni. sopratutto sul pubblico maschile.
N.B. Intorno a queste star di livello internazionale tanti altri divi della danza si cimentarono sulle ribalte partenopee destando calorose manifestazioni di simpatia; tra questi val la pena di citare Emma Tejero, Annette De Parme, Ada Emiller, Nini Ricciardi, la coppia Nelly Jull’s, la troupe italiana dei Molasso e fra tutti il celebre sestetto Harrison.
Un ‘altra grande protagonista assoluta del café chantant, per le sue doti artistiche, per la sua professionalità, non scevra da una sensualità innata e fuori dal comune, tanto da far perdere la testa a un elevato numero di uomini, fu Amelia Faraone
Amelia Faraone, seppe in parte sfatare quei pregiudizi e si affermò quasi da subito come protagonista assoluta del café chantant, per le sue doti artistiche, per la sua professionalità, non scevra da una sensualità innata e fuori dal comune, tanto da far perdere la testa a un elevato numero di uomini.
La bella Amelia nonostante fin da giovane avesse spalle un passato piuttosto travagliato, e già una figlia illegittima avuta dalla relazione con un giovane ufficiale di stanza a Capua da cui era stata poi abbandonata., ella seppe sempre tenere nell’ombra la sua vita privata,.
Cominciò ad esibirsi in numeri ad inizio serata, che avevano il compito di scaldare il pubblico in un suo locale che aveva acquistato con i soldi di una cambiale che l’Ufficialetto messo alle strette da donna Adelaide (madre di Adele ) aveva firma insieme alla sua famiglia per liberarsi di una paternità scomoda.
CURIOSITA’: Nel piccolo Caffè aperto in via del Corso a Roma fuori per insegna , pendeva un globo o palla infuocata. Spesso l’Amelia sarà indicata come quella della “palla infuocata” e i doppi sensi si sprecano.
Nella capitale ,sul piccolo palcoscenico rimediato del suo locale, in calzoni da marinaretto, facendo intravedere delle gambe che mandano in visibilio la Roma umbertina duetta:il famoso Levate ‘a cammesella , una ballata popolare che Luigi Stellato aveva trascritto mentre la musica era stata “acconciata” da Francesco Melber nel 1875. Naturalmente prima di arrivare alla cammesella doveva togliersi il mantesino, la vesticciola, il suttanino, il cursetto e, nonostante questa spoliazione accurata rimaneva ben coperta, i vestiti di quel tempo erano come i veli delle cipolle: infiniti. Amelia, in questo modesto spogliarello, riscosse un enorme successo, non come canzonettista, ma come nuova bellezza disponibile sulla piazza, affermandosi giro di poco meno di un anno come una delle artistici del Caffè chantant maggiormente preferita del pubblico.
A creare il suo personaggio di artista poliedrica e con mille sfaccettature della sua femminilità, furono anche i testi che interpretava, per il pubblico del Salone Margherita prima e poi nelle sue tournée in giro per l’Europa, quali ad esempio “’O cuntrattino”, di Ferdinando Russo o piuttosto “Jette ‘o bbeleno!”, un brano che ottenne un grandissimo successo e fu ripreso anche da altri artisti napoletani.
Per lei Salvatore Di Giacomo scrisse “Lariulì” musicata da Costa e molti altri autori famosi del tempo non mancarono di arricchire il suo repertorio. Ma la canzone del suo esordio era stata “Pacchianella” di De Curtis e Valente. Molte delle sue esibizioni erano veri e propri brani di teatro, confezionati esclusivamente per lei e che le permettevano di valorizzare le sue doti di femminilità e di passionalità. Dei duetti con Maldacea basti ricordare “Pozzo fa ‘o prevete.” E “’A signora cura”.
In una di quelle scenette, con la sua aria ingenua ed ammiccante, parlando di se stessa così si esprimeva: “Quann’è asciuta ‘a Faraona! Butto, burro chella llà! Quant’è bbona! Quant’è bbona! M’ ‘a vulesse cunfessà!”
Canzoni come questa ed altre simili crearono intorno alla sciantosa un clima particolare un’aura che seduceva tutto il pubblico maschile di quell’Italietta crispina. La folla dei suoi spasimanti cresceva a dismisura ed una sera, dopo lo spettacolo le si presentò un ufficiale piemontese a chiederle di uscire a cena con lui. La risposta che si ebbe lo lasciò alquanto perplesso: “I non esco con i giovanotti se non c’è anche mammà”!”
L’ufficiale si ritirò in buon ordine, sebbene poco convinto di quella scusa e un po’ risentito per il rifiuto. Quell’ufficiale era Vittorio Emanuele principe di Napoli che più tardi, quando qualcuno del suo entourage gli sussurrò all’orecchio che la bella Amelia usciva spesso con bellissimi giovanotti e , di certo, senza mammà a farle da chaperon, montò su tutte le furie e cominciò a sfidare a duello tutti gli spasimanti della sciantosa, pur sapendo che non avrebbe potuto, per questioni di rango incrociare le armi con essi. Al suo posto avrebbero dovuto scendere sul terreno i generali al suo servizio. Per fortuna la diplomazia della casa reale scese in campo e quei duelli furono evitati. D’altro canto il 29 luglio del 1900 l’anarchico Bresci pose fine ai giorni del re Umberto I e suo figlio, Vittorio Emanuele fu chiamato ad altri e più alti impegni, e costretto ad abbandonare le sue velleità da scapolo e le avventure galanti, anche se non del tutto.
Amelia invece proseguì la sua carriera che la portò a mietere successi nei più importanti teatri d’Europa. Giunta però all’età di 33 anni, nel 1904 decise di ritirarsi dalle scene per potersi godere gli affetti familiari.
Non poteva mancare a questa lista di sciantose del Caffè Chantant la bella e misteriosa Blanche Lescaut che appare improvvisamente a dominare la scena del caffè chantan napoletano ed il favore del pubblico. Di lei, dotata di un fascino particolare si sapeva fino ad allora poco o nulla.
Apparì improvvisamente sulla scena teatrale come una meteora, ottenendo un immediato trionfo, poi si ritirò, passò poi all’operetta, scomparve ancora per poi debuttare sulle scene liriche, .. di nuovo fece perdere le sue tracce per brevi ritorni nell’operetta o nella lirica.
Nata in Francia , quando lei arriva a Napoli, tra la fine del 1893 e il ’94, ha solo 18 anni ed è da poco rientrata con la madre dagli Stati Uniti, Fatta passare per una affermata e famosa cantante francese, debutta al Salone Margherita nell’ottobre de 1894 , facendosi forte del mestiere imparato già in tenera dalla madre che era un non famosa cantante lirica , ottenendo subito le simpatie del pubblico .Da quel momento nel giro di appena due anni divenne una vera e propria stella del cafè-chantant a Napoli.
Da Napoli, la nuova canzonettista, spiccò il volo per altri concerti, per conquistare nuovi ammiratori. Nel dicembre del ’94, debutta a Roma al teatro le Varietà per poi passare negli anni succcessivi prima al Metastasio, poi all’Orfeo e di seguito all’Esedra:
Ritornata a Napoli, ancora al Salole Margherita, incomiciò continuamente ad imbeccarsi con la seducente Armand’Ary, anch’essa francese, che lavorava nel vicino concorrente il Varietà.
N.B. Le due ‘francesi’ in quel periodo furono le due grandi protagoniste .del caffè chantant napoletano . Tra di loro ci fu una grande continua competizione nel contendersi un maggior numero di ammiratori anche se a dire il vero i giornali napoletani sdell’epoca erano certi piu attenti ai successi di Lescaut che a quelli di Armand’Ary. Il quotidiano” Il Mattino per esempio dedicò dei servizi a Blance Lescault davvero notevoli che nessun’altra chanteuse se li è poi mai sognati. Molte malelingue a tal proposito sostenevano che forse Blanche era “amica” dell’intraprendente sciupafemmine Scarfoglio, direttore del giornale..
Il suo successo in città fu enorme a tal punto da mettere in ombra tutte la altre stelle dei vari caffè chentanti presenti in città . Ad un certo punto a nulla valsero la presenza in città della Armand’Ary o il richiamo a Napol da parte del Circolo della varietà di artisti del calibro di Dora Parnes, Amelia Faraone, Paula Delmont, e Polaire,
La regina indiscussa del caffè chantant che tutti volevano ammirare era lei.:Blanche Lescaut .
Come per ogni stella sull’onda del successo, anche per Blanche si misero al lavoro poeti e musicisti, e le serate d’onore della diva furono trionfali. In una di queste, a fine aprile, riceve regali di gran valore: un orologio con chantelaine dal conte Szenvski, una broche-ape di corallo legata oro da un certo L.T.C., un bracciale in oro martellato con smeraldi e rubini dal console degli Stati Uniti, e molti altri ancora.
CURIOSITA’: Blance Lescaut , era un artista elegante, intelligente, brava , dotata di una meravigliosa voce e certamente poco coperta non dico coperta poiché teneva a far ammirare le sue gentili forme in ‘extenso’ , ma sopratutto appariva in scena sempre tutta scintillante di diamanti.i gioielli,e oro più o meno massiccio, Questi suppellettili allìepoca facevano parte dell’arte del canto. I giornali annunziano spesso che, in tale o tal’altra scena, questa o quella artista si fregiava di brillanti per il valore di 100,000, 200,000, 500,000 franchi. Venne un tempo in cui i giornali facevano annunzi di tal genere: ‘la cantante o canzonettista X, verrà in scena con la famosa collana di diamanti. L’impresa si è procurato il ‘fac-simile della fattura, rilasciata dal gioielliere, che verrà esposto nel vestibolo.
Per qualche tempo. Blance Lescaut, fu una delle migliori e più acclamate artiste di Caffè Concerto anche a Firenze dove o al ‘Trianon’ per mesi e mesi di seguito faceva accorrere il pubblico per udirla .
CURIOSITA’: In quel periodo a Firenze lei lavorò anche all’ Alhambra di Firenze , un piccolo Teatro dove si esibiva anche spesso Nicola Maldacea, ed Ella Rocca una tedesca che ebbe un certo successo per certe sue spericolate esibizioni, in precario equilibrio, sui cavalli, e una stella napoletana emergente nascosta sotto il nome improbabile di Olympia d’Avigny , che finirà in Argentina al seguito di Cantalamessa per poi risorgere in Spagna nel 1920 come musa attempata del giovane poeta e giornalista Salvador Valverde che spinge, nonostante i dinieghi, a scrivere canzoni, canzoni e poi operette, sceneggiature che lo portano di successo in successo, ma lo portano pure lontano dalla sua musa, questa finirà per aprire un’accademia di canto e morire proprio sul suolo spagnolo, purtroppo in estrema povertà.
Blanche Lescaut, figlia di una cantante lirica, era certa di avere una voce da non sprecare su tavole incerte di caffè concerto,e da artista conosciutissima dal pubblico dei Caffe- Concerto ,pur gauadagnando molto ( all’Eden di Roma prendeva 200 lire a sera quando i giornali costavano 5 centesimi ), non era comunque del tutto contente del suo successo .
Ad un certo punto della sua vita , decise quindi di alzare il lisuo livello artistico, abbandonado il suo vecchio repertorio e decicarsi inizialmente al l canto nell’operetta e più tard nell’opera, col nome di Bel Sorel.
Il suo debutto nella lirica, almeno quello più eclatante, avviene al teatro Lirico di Milano nel ruolo di Mimì nella Boheme di Ruggero Leoncavallo , ed ebbe in quella circostanza la fortuna di trovarsi a cantare con il grande Enrico Caruso che in quel periodo vivacchiava in Italia (solo il Metropolitan newyorkese sa regalargli, anni dopo, una fama planetaria).
Proprio in quel periodo, un’altra sciantosa passa dal caffè concerto alle tavole della lirica: Lina Cavalieri , che più scaltra e senza remore sa raccogliere successi in mezzo mondo nonostante i mezzi vocali inappropriati. Lina e Blanche si erano esibite insieme al Grande Orfeo di Roma nel 1895, dove Lescaut era la stella e Cavalieri solo un numero secondario.
N.B. Nella storia della Belle-Epoque europea Lina Cavalieri vanta un ruolo molto importante. Essa , sale addirittura sulle tavole del Metropolitan a New York accanto a Caruso e non trova di meglio che, nel finale dell’opera, baciarlo platealmente sulla bocca ottenendone una pubblicità inaudita. La chiamano anche a Hollywood dove gira due film, è la prima italiana a entrare nella nascente mecca del cinema.
Tornando a Lescaut, l’artista Bel Sorel, espresse la sua bravura. ottenendo un gran successo al Teatro Lirico di Milano e successivamente anche all’Adriano di Roma. e al Teatro Rossini di Venezia . Venne poi ingaggiata per delle tournée all’estero.
Blanche Lescaut, rapprentava la vera espressione di quella forma di arte che era il Caffè-Conerto. Lei certamente non era certamente bellissima ma veniva apprezzata ugualmente dal pubblico per la sua bravura ,Quando Blasche Lescalf, ne formosa, nè provocante, eseguiva il suo spettacolo e comunque miniava le più graziose canzonette , il pubblico nonostante non n scena nessuna gamba scoperta, si entusiasme ugualmente e prorompea in lughi applausi.
Non era quindi sempre vera quella convinzione che per essere una diva del Caff’ Chantant bastava essere una belle figliola , graziosa, civetta, e sfacciata nel mostrar le gambe ,
Tante volte alcune di loro pur essendo molto belle e molto sfacciate, nonchè capaci di piroettare benissimo , non riuscivano ugualmente a commuovere il pubblico presente che anzi spesso fischiava o almeno zittiva i solitari amichevoli battimani. Talune sciantose pur essendo bellissime e disposte a tutto pur di aver successo , ma purtroppo senza un bel tono di voce o un atteggiamnto sguaiato diventavano feroce bersaglio del lancio di multiple pallottole di carta. da parte di un pubblico che non sopportava sguaiataggini o tante stonature
Non bastava insomma saper sgambettare ed essere dotati della capacità di far ridere per avere successo sui pacoscenici dei più famosi teatri dei Caffè-Concerto.
Se la coguetterie aveva indubbiamente una certa importanza nella carriera di una canzonettista, essa non bastava da sola ad assicurarne un’ascesa luminosa..Talvolta ragazze non belle , ne sfacciate che avevano però una vena simpatica , molta grazie nella dizione, una certa eleganza o un misterioso fascino, era applauditissime
.Blanche Lescaut,apparteneva a questì ultima categoria di canzonettiste ed il pubblico dopo lo spettacolo inebriato dalla sua grazia save, etusiasto e sollevato in piedi ,si entasiasmava e prorompera in lunghi applassi,, Ella era insomma capace come poche di far provare al pubblico una briciola di godimento, oltre che sensale, anche spirituale.
Il luogo simbolo della Bella Epoque Napoletana per anni è comunque stata la Galleria Umberto .
Qui dentro, nel 1890 per merito dei fratelli Marino venne infatti inaugurato l’elegante Salone Margherita, il primo e massimo cafè-chantant d’Italia della Belle epoque, che fu sede dello svago notturno per un buon ventennio dei napoletani e di importanti personalita’ intellettuali di fine 800 e 900 tra cui : D’Annunzio, Crispi, Serao, Scarfoglio , Serao , Di Giacomo , Ferdinando Russo ed i principi ereditari di casa Savoia ( Vittorio Emanuele ) .
I fratelli Marino di Napoli, decisi ad importare il modello dei Cafè-chantant francesi in Italia, inaugurarono a Napoli, il 15 novembre 1890 nella galleria Umberto I , questo magnifico salone simbolo della Belle Epoque, alla presenza della créme cittadina: principesse, contesse, uomini politici e giornalisti come Matilde Serao.
Esso ricalcò totalmente il modello francese, persino nella lingua utilizzata: cartelloni, i contratti degli artisti e i menù erano scritti in francese; così come i camerieri in livrea e gli stessi spettatori lì parlavano tutti in francese.
Nel varieta’ gli impresari del salone scritturavano artisti famosi in tutta Europa come la ballerina viennese Dora Parnes ,la francese Cleo de Merode, la celebre Eugenie Fougere , innamorata di Eduardo Scarpetta e la leggendaria Bella Otero che qui’ si esibi’ per amore del principe Gaetano Caracciolo , conosciuto a Parigi .
Molti artisti italiani si fingevano d’oltralpe, e ricalcavano i nomi d’arte in onore ai divi e alle vedettes parigine. Importanti e famosi artisti che esordirono o frequentarono le assi del Salone furono Anna Fougez, Lina Cavalieri, Lydia Johnson, Leopoldo Fregoli, Ettore Petrolini, Raffaele Viviani.
CURIOSITA’: Nel Salone Margherita , Gabriele D’Annunzio conobbe la giovane francese Pierrette Butterfly , presentatagli da Edoardo Scarfoglio , mentre Maria Ciampi mando’ in delirio la folla eseguendo la celebre < MOSSA > , il sensuale movimento imparato dalla napoletana Maria Borsa che lo aveva proposto con successo nei teatri popolari .
Il salone è stato considerato a lungo simbolo della belle époque . In esso si diffuse anche la passione e il successo della canzone napoletana anche se il pezzo forte dello spettacolo erano sicuramente le ballerine che danzavano il can-can con le gambe scoperte, Sul palcoscenico del locale sfilarono, in quegli anni, le più celebri étoiles internazionali.
N,B, I contratti degli artisti erano redatti in francese, come esigeva la moda del tempo fortemente influenzata dalle tendenze parigine
ll Salone Margherita visse il suo momento di massimo splendore tra il 1892 e il 1912. In esso potevano trovare posto oltre cinquecento persone e poichè sorgeva in una parte sottostante della Galleria. vi si accedeva scendendo per una breve rampa di scale in marmo, dalla parte di via Verdi, opposta a Toledo,Il costo del biglietto era intorno alle due lire.In sala erano presenti tavolini di marmo e sedie; in fondo, un piccolo palcoscenico a forma di conchiglia e tutt’ intorno due file di palchi. Una disposizione che avrebbe visto nel ‘parterre’ il pubblico più scapigliato mentre nei palchi si sarebbero raccolti signori più temperati, qualche volta in compagnia delle mogli.
Sul suo palcoscenico risuonarono tutte le più belle voci, nessuna esclusa della canzone; esplose la vis comica dei più incisivi macchiettisti; si ammirarono, fino al delirio, le grazie di bellissime sciantose; si applaudirono fini dicitori e giocolieri mirabolanti e i ritmi indiavolati di un can can di inequivocabile origine parigina.
I frequentatori abituali, “che per lo più appartenevano all’aristocrazia o alla crema della società intellettuale napoletana, venivano accolti dal portiere gallonato (famoso a Napoli quanto una vedette) e accompagnati ai palchi da un marchese decaduto.
La lista delle consumazioni era stampata in francese ed era questa la lingua che i camerieri usavano per rivolgersi al pubblico. Tuttavia la consumazione delle bevande non doveva essere consentita, almeno all’inizio, nella stessa sala dove si svolgeva lo spettacolo ma in un’altra zona del locale, dove probabilmente funzionava un bancone di ristoro. Nella sala non si poteva neanche fumare, né mangiare, né muoversi. Una regolare platea di sedie, di poltroncine e di poltrone presenti infatti lo impediva.
Dalle memorie del macchiettista Nicola Maldacea si apprende che alla fine del secolo scorso il biglietto d’ingresso al Salone Margherita, il più rinomato café-chantant dell’epoca, dava diritto a una consumazione a scelta tra: uno choppen di birra Sedlmayer, un poncino alla milanese, un vermouth al seltz, uno sciroppo, un gelato “di società” , un bicchierino di Malaga, uno spumoncino, una mezza cremolata, un rhum, un bicchierino di küm-mel o di assenzio, un thè, un kirch, un caffè o un caffellatte. Pagando a parte c’era inoltre ampia facoltà di scelta fra tutti i tipi di geli, tutti i liquori italiani e stranieri e tutti i vini dal Falerno al Posillipo vecchio, dal Lacrima Chrysti al Médoc, dal Saint-Julien al Grignolino e al Nebiolo, dallo Chateau Margony allo Chateau Lafitte, dallo Champagne Grand Cremant al Veuve Cliquot originale, il più caro di tutti, che costava quindici lire a bottiglia, somma con la quale poteva sfamarsi per tre giorni un’intera famiglia.
Ma la vera attrazione di primo piano, l’interprete di grido capace di accendere gli animi e mandare in tripudio l’uditorio era la “stella” di turno, ovverosia la vedette, introdotta in scena da una squillante marcetta.
In genere era una bella donna, non più giovanissima, che non si vergognava di mostrare le gambe e rimbeccare con sfrontatezza gli spettatori in vena di fare gli spiritosi. Il suo arrivo era annunciato con diversi giorni di anticipo sui fogli concertistici e da strisce vario-pinte, applicate ai manifesti pubblicitari, che riportavano il suo nome a lettere cubitali.
Strass, aigrettes e paillettes, esaltavano la sua elegante figura; la sua carica scenica ammaliava la platea, l’energia della sua voce scatenava gli habitués del loggione.
Alla “stella”‘ era riservato il miglior posto del programma e di solito concludeva il suo numero tra ovazioni e fragorose richieste di bis.
CURIOSITA’: Le sale napoletane per assicurarsi vedettes di grande prestigio prima che toccassero altre piazze, facevano sovente lievitare i prezzi d’ingaggio. Tra le vedettes, una delle più amate dal pubblico napoletano era senza dubbio Clara Charretty, nome d’arte di Clara Francesconi, canzonettista che aveva debuttato nel 1894 al Monte Majella, una sala della Galleria Principe di Napoli, facendosi notare per la sua bellezza e la sua spontaneità. In breve tempo diventò famosa e già nel 1901 il pubblico di utta Italia le tributava festose accoglienze e le dimostrava la sua sim-atia con fiori e doni. Nel corso della sua carriera lavorò anche come trice di prosa, recitando con Eduardo Scarpetta e con la compagnia di Alfredo Melidoni.
La figura della sciantosa ha inevitabilmente ispirato tante canzoni che sono diventate alcuni dei tanti successi della canzone classica napoletana.
La prima è del 1894, Mario Pasquale Costa, autore di molte melodie di successo, fu ispirato da questo fenomeno di costume e, mentre sedeva al tavolo di una birreria di Napoli, scrisse e musicò la canzone ‘A frangesa (la francese) che divenne rapidamente un cavallo di battaglia di molte sciantose che si esibivano nei teatri di varietà e si riconoscevano nel ruolo. Le parole della canzone fanno riferimento alle prime sciantose di Napoli che si esibivano in locali assai più modesti del famoso Salone Margherita.
La canzone parla di una ragazza che si esibisce davanti a un pubblico maschile e che si dichiara francese perché a fine ‘800 evocare la Francia e citare Parigi equivaleva un mondo di moda, eleganza e spensieratezza. Le ragazze napoletane, desiderose di far fortuna hanno sempre sognato di andare lontano o di essere nate in un altro posto, e poi, però, al tempo stesso di venire a Napoli e farsi ammirare comunque nella loro città. Prima Parigi, poi l’America ed infine Londra…ma il desiderio che tutte nel cuore nutrivano, pur lasciando intravedere altri orizzonti, è sempre stato quello di essere felici a Napoli.
Allo stesso filone appartiene la canzone Lilì Kangy del 1905 scritta da Salvatore Gambardella e Giovanni Capurro. Anche si riprende il tema della nazionalità “altra” che questa volta evoca sia la Francia che la Spagna, terra affine per storia e tradizioni a Napoli, ma pure diversa e lontana. Il titolo della canzone fa riferimento ad un esotico pseudonimo di una ragazza napoletana che crede di aver trovato la strada del successo ma che dichiara subito la sua identità: la ragazza racconta che è passata da semplice Concetta a diventare la celebre Lilì Kangy; è fiera delle sue origine e pe quanti ne provano ad indovinare la sua provenienza, che sia la Francia o la Spagna, lei dichiara apertamente di al Conte di Mola (un vico dei Quartieri di Napoli).
Nella canzone si fa anche riferimento all’avviamento delle tre sorella minori alla carriera di sciantosa, sull’onda del successo ella sorella maggiore protagonista. Questo fa comprendere di come il mestiere della sciantosa fosse diventato ormai all’epoca una prospettiva di lavoro per ragazze ansiose di uscire dalla miseria.
Nel 1911, nel pieno clima dell’emigrazione italiana di massa, Salvatore Gambardella e Aniello Califano scrivono Ninì Tirabusciò, una canzone che avrà un grande e duraturo successo, anche a Milano, e che ispirerà famosi film. Questa canzone viene scritta quando ormai la Belle époque è al tramonto e gaiezza e spensieratezza giungono al termine con la tragedia della Prima Guerra Mondiale.
Rispetto alle due canzoni precedenti, Ninì Tirabusciò è una protagonista molto più cinica e spregiudicata: decide di lasciare per sempre Napoli e il consorte, che definisce un inetto imbecille, per andare a cercare fortuna altrove. Consapevole di non avere questo gran talento canoro, si improvvisa sciantosa più per seguire il successo e la ricchezza che per una sua vocazione e passione. Ninì dichiara apertamente di essere un’arrivista e che non serve il talento, ma mostrarsi disponibile e trovare qualcuno che ti appoggi economicamente.
La canzone fu portata al successo dalla sciantosa romana Maria De Angelis, in arte nota come Maria Campi, che inventò anche la storica “mossa”, un colpo d’anca che aveva luogo alla fine dell’esibizione.
A parlare della Sciantosa, in maniera “indiretta”, è infine la canzone Reginella, scritta nel 1917 da Libero Bovio e Gaetano Lama. Stavolta come protagonista non c’è la sciantosa che si esibisce sul palcoscenico, ma un gruppo di sciantose in un momento di vita quotidiana, viste attraverso lo sguardo triste di un ex-innamorato. La canzone vuole far capire di come fosse difficile gestire le relazioni sentimentali da sciantosa, che considerata la loro vita mondana e le vesti scollate, erano spesso costrette ad allontanare i loro primi e semplici innamorati.
CURIOSITA’: Il teatro non era ‘ l’unico salone presente sul territorio . Vi era infatti un salone proprio nel Palazzo Berio di Toledo, per intenderci il palazzo accanto alla funicolare centrale, la cui realizzazione ha comportato la demolizione di parte del Palazzo Berio.
Nel Salone Margherita, , vi si proiettarono successivamente i primi films con immagini in movimento dei fratelli Lumiere ( 1896) , cioè il cinema e si apri quindi il primo cinematografo.
CURIOSITA’ Per tutti gli anni Dieci del XX secolo il cinema non prevede sonoro, se non un accompagnamento musicale eseguito dal vivo da un pianista ma per nulla sincronizzato con le immagini. Gli attori si muovevano sullo schermo agitando le labbra, poi, bianca su uno sfondo nero, passava la didascalia del dialogo, abbellita da una cornice arabescata
. Fu solo nel 1921, che venne brevettata la pellicola ad impressione conemporanea di immagini e suoni dal siciliano Giovanni Rappazzo . Con la sua formidabile idea ebbe così origine il film sonoro, ma come già era accaduto con Edison e il Phantoscope, in assenza di un finanziatore se ne impadroni la statunitense Fox.
Il Salone Margherita ha quindi poi continuato a funzionato per qualche anno ancora come cinema-varietà, proponendo esibizioni da avanspettacolo e sceneggiate.
Nel primo dopoguerra iniziò il suo declino .
Il Saole del Salone Margherita, che intanto era diventato il quinto cinema della zona Galleria Umberto I, . Negli anni ’70 fu visto come luogo di perdizione con avanspettacoli e balletti, non più votati all’eleganza, Negli ultimi tempi si era rpurtroppo addirittura ridotto a locale per spettacoli di strep-tease e film porno che portarono alla sua chiusura nel 1982.
CURIOSITA’:. Alla fine degli anni Venti, con l’avvento del sonoro, il fascismo intravide nel cinema un’arma potentissima per la propaganda del proprio verbo, cosi il regime dispose sgravi fiscali e incentivi per tutti i teatri che avessero adottato il cinematografo all’interno delle proprie strutture. Accadde perciò che i gestori delle sale si fecero attrarre dalla sirena del denaro e si adattarono al volere supremo. Erano previste tre proiezioni al giorno.Ciascuna proiezione era preceduta da una serie di numeri di varietà, allo scopo di attrarre spettatori. Era nato l’avanspettacolo, cioè la messinscena che precedeva la proiezione del film.
Andò avanti cosi fino alla fine della Seconda guerra mondiale.
Poi la rivista cedette piano piano il passo alla commedia musicale, mentre a partire dagli anni Sessanta l’avanspettacolo degenerò in mesti spogliarelli che precedevano la proiezione di film a luci rosse.
CURIOSITA’:Il cosiddetto avanspettacolo ,era all’epoca costituito dalle rappresentazioni di varietà che precedevano o seguivano le proiezioni cinematografiche, . Da principio esso era veramente un avanspettacolo offerto al pubblico dalle maggiori sale cinematografiche in aggiunta al film che restava il nucleo maggiore del programma; ma a poco a poco, riusci a’ prendere il sopravvento e formare il pezzo forte del programma dei cinema di secondo e di terzo ordine .
Nel maggio del 1903 [ un incendio ne distrusse il palcoscenico e danneggiò le decorazioni, ma nel novembre esso risorse più bello di prima.
Acquistato recentemente da Alfredo Barbaro, proprietario di magazzini di alta moda con sede in Galleria, è stato oggi restituito ai napoletani, in tutto il suo antico e rinomato splendore.
Il fascino di questa storica sala della Belle Époque partenopea è stato perà in parte convertito
Negli ultimi anni è stato riaperto ed utilizzato come pista da ballo per ospitare mostre , spettacoli e serate di tango, ben lontane dallo spregiudicato can-can di fine Ottocento.
Nella Galleria Umberto era comunque presente anche il Caffè Calzona , un noto punto di ritrovo di attori in cerca di scrittura, agenti teatrali e orchestrali . Esso gia precedentemente noto come Caffè Starace dal 1891, inaugurò la sua nuova gestione a partire dal 1899.
Spazioso e accogliente, decorato con gusto, il Calzona offriva ai suoi clienti un servizio inappuntabile e degli intrattenimenti serali che si presentavano come autentici spettacoli dei quali, spesso, si occupava anche la critica ufficiale.
Esso In meno di un anno il Caffè Calzona divenne uno dei ritrovi più alla moda della città. In questo locale tutte le sere, all’esterno del locale, dalle 20,30 alle 23,30, si teneva un gran concerto vocale e strumentale secondo alcuni storici come il Passananti , fu proprio al Calzona, “che per la prima volta sul palcoscenico di un Cafè-chantant napoletano, ancor prima che al Salone Margherita, si esibirono delle sciantose.
CURIOSITA’ .Era infatti la mezzanotte del 31 dicembre 1899, quando dodici bellissime ragazze, con il loro balli un po osé per quei tempi, salutarono l’Ottocento come il secolo d’oro appena concluso e diedero il benvenuto al neonato Novecento,
Giovani autori di canzoni, poeti e musicisti tentarono con successo, dal piccolo palcoscenico di questo caffè, il lancio delle loro prime creazioni.
N.B. La coppia Scarano-Moretti (rispettivamente padre e madre di Tecla, che diventerà di lì a poco un’attrice molto popolare nell’ambiente teatrale napoletano) che si era già conquistata l’ammirazione di critica e pubblico lavorando nelle compagnie di operette, si faceva ora apprezzare in questo locale in un brillante repertorio di duetti, macchiette e canzoni.
Avvalendosi della posizione di prestigio che occupavano all’interno del programma serale potevano permettersi di tenere a battesimo e incoraggiare tutti quei cantanti e fini dicitori, alle loro prime esperienze artistiche, che venivano scritturati dalla direzione.
Non di rado quindi poteva capitare di ascoltare l’Orchestra di Dame Viennesi, diretta dal maestro Berthold Redlich o l’altra formazione altrettanto famosa costituita da belle ragazze fiorentine; nè mancavano all’appello cantanti noti, dicitori e comici più o meno affermati quali Diego Giannini, Mario Massa, Olga Florez Paganini. Durante il periodo di Piedigrotta il pubblico accorreva numeroso per assistere alle audizioni canzonettistiche e applaudire le più belle voci in gara. Bastava consumare una tazzina di caffè, per la modica spesa di tre soldini (quindici centesimi), per trascorrere una lieta serata e godersl, senza limitazione di tempo, lo spettacolo
Fra le due guerre il locale fu oggetto di radicali trasformazioni: venne prima adibito a ristorante, poi funziono come cinema Umberto e negli ultimi tempi come bar, riassumendo però l’antica denominazione.
Nell’angiporto della galleria , ora Piazzetta Matilde Serao , ma un tempo vico rotto San Carlo , al civico numero 7 , al primo piano e nei suoi sotterranei si trova la prima sede originaria del ‘ Mattino ‘ quotidiano napoletano fondato nel 1892 da Eduardo Scarfoglio e Matilde Serao , mentre al terzo piano si trovava la sede del quotidiano di sinistra l’Unità , subentrato nel 1949 , al quotidiano ” La voce ” .
CURIOSITA’: Nel 1962 , la testata giornalistica ” il mattino ” spostò la sua sede in via Chiatamone dove ancora oggi si trova .
Questa semplice piccola piazzetta , un tempo chiamata , vico rotto San Carlo , è stata uno dei luoghi dove , nell’immediato dopoguerra generazioni intere di giornalisti ed intellettuali napoletani si incontravano in un vivace scambio di idee ed opinioni . Esso fu infatti un incredibile incubatore di storie e passioni di quella Napoli soffocata da laurismo ma ricca di giovani talenti che affollavano la sede del giornalismo comunista come Francesca Spada ( morta suicida ) , Renzo Lappicella , Ermanno Rea , il matematico Renato Caccioppoli , e tanti altri bravi giornalisti , che naufraghi di un tempo non favorevole avevano bisogno di una zattera a cui aggrapparsi .
La sede del quotidiano ” Il Mattino ” , vede invece frequentate da famosi poeti come Giosuè Carducci , Gabriele D’Annunzio e Ferdinando Russo , solo per citarne alcuni , ma anche il luogo che vide affermarsi uno dei più famosi giornalisti dell’epoca divenuto famosissimo in città , tale Giovanni Ansaldo che aveva dimora nel famoso Palazzo Cellamare presente nella vicina via Chiaia
Alla Galleria Umberto si collega anche la figura dello Sciuscià, ossia i lustrascarpe della città di Napoli . Per ben 50 anni vi hanno operato al suo interno, e solo ai nobili o agli uomini ricchi era consentito l’usanza di farsi lustrare le scarpe all’interno della Galleria.
La maestosa Galleria Umberto I , e’ oggi considerato uno dei luoghi simbolo di Napoli .
La bellissima e complessa struttura venne completata tra il 1887 e il 1890 e in poco tempo si trasformo’ nel salotto buono della città, e splendido ritrovo della mondanità. Giornalisti , scrittori , attori , poeti , belle donne e uomini di successo amarono per lungo tempo incontrarsi in questo luogo.
Fu inaugurata il 10 novembre 1892 dall’allora sindaco Nicola Amore .
Con i suoi 147 metri di lunghezza, una larghezza di 15 ed un’altezza di 34 e mezzo con il vertice della cupola che raggiunge i 57 metri, la Galleria si presenta con 4 ingressi che si aprono su Via Toledo, Via Santa Brigida, Via San Carlo e Via Verdi .
L’apertura del Salone Margherita e il successo di pubblico che otteneva in quegli anni la sua programmazione artistica diedero l’impulso in città alla creazione di nuovi spazi teatrali destinati ad accogliere spertacoli di varietà con allestimenti sempre più attraenti. Diversi teatri napoletani che nel corso dell’Ottocento ospitavano regolarmente compagnie di prosa o compagnie dialettali, a chiusura del dramma o della commedia serale, offrivano sempre più spesso un breve intrattenimento di canzoni, macchiette e duetti comici.
Nella vicina Via Toledo nel 1901 si aprì infatti il cinema-varietà Roma, dove nell’antisala, mentre il pubblico si tratteneva in attesa di entrare nel salone del cinema, si svolgevano, su una piccola pedana, concerti di canzoni.
Nel tempo questa antisala fin’ di arricchirsi di un minuscolo palcoscenico dove si svolgevano dapprima modesti programmi di varietà e successivamente dei vari e propri spettacoli di varietà che precedevano i films. Su quel palco vi cantarono infatti Pasquariello, Donnarumma, Mario Mari, Diego Giannini, Mario Massa, e tutti i grossi calibri della canzone napoletana”.
Successivamente la sala funzionerà esclusivamente come cinema sotto la gestione dei marchesi Comola-Ricci, i nipoti dell’antico proprietario, l’ingegnere Eugenio Vitale
.Negli anni ottanta del XIX secolo il café-concert come abbiamo notato veniva quindi sempre piu ad essere allestito all’interno di grandi sale sempre più raffinate perfino durante la stagione estiva e addirittura infine le rappresentazioni, trasformatesi in veri a propri spettacoli di varietà, vennero quasi tutte portate in piccoli veri e propri teatri poi lentamente divenuti sempre piu grandi .
Molti di questi erano presenti nell’altra famosa galleria di Napoli che si trovava e si trova ancora oggi di fronte al Museo archeologico di Napoli,
Nella Galleria Principe di Napoli, dal 1894, erano infatti presente il caffè-concerto Scotto-Jonno, così chiamato dal nome del direttore Vincenzo Scott-Jonno.
Esso periodicamente ospitò le audizioni delle più rinomate case editrici musicali dell’epoca: Bideri, Santojanni, Ricordi, Izzo.
Ma fu sopratutto un incredibile trampolino di lancio per molti giovani aspiranti alla celebrità. Fra gli artisti più conosciuti e più amati dal pubblico napoletano che calcarono le tavole di questo locale vale la pena menzionare: Adolfo Narciso, Angelina Arcella, Marietta Tedeschi (la compagna in duetto di Peppino Villani), Laura Altavilla, Erminia Manzotti, Leopoldo Buono, Antonio Bova, Gennaro Cesarano.
Dal mese di luglio del 1903 lo Scotto-Jonno sospese momentaneamente l’attività commerciale annunciando la cessione del locale a chiunque ne avesse voluto assumere l’impresa. Nel 1906 la gestione del caffè fu affidata a Ciro Scognamillo. Durante la prima guerra mondiale si trasformò in cinema; di sera, su una pedana all’esterno, un quartetto di ciechi eseguiva brani musicaliAttualmente i locali dello Scotto-Jonno giàun tempo café chantant,durante la Belle Epoque è stata mirata ad accorpare sotto l’insegna di ScottoJonno, e trasformata senza non poche difficolt,non solo in una grande biblioteca , ma anche un caffè letterario, con 110 metri quadri per l’esposizione di libri e oggetti, 60 metri quadri per aree tematiche di somministrazione, e quasi 200 metri quadri adibiti a servizi al pubblico, tra info point, ludoteca, aree comuni di lettura, caffetteria e ristorazione. Una proposta culturale a tutto tondo, fondata in gran parte su attività gratuite, con la possibilità di accedere a una collezione di oltre 1.800 volumi (previa consultazione del catalogo via app) e un calendario di intrattenimento che spazierà dai concerti ai quadri teatrali, alle mostre, proprio cogliendo l’eredità dei cafè chantant.
Anche il caffè El Recreo, le cui sale al primo piano della Galleria Principe di Napoli affacciavano di fronte al Museo Nazionale, a partire dal 1894 proporrà serate musicali con artisti locali. La concorrenza di altri ritrovi popolari dislocati nei paraggi determinò, tuttavia, la sua precoce decadenza.
All’angolo esterno della Galleria Principe di Napoli, tra via Costantinopoli e via Foria,si trovava anche il Caffè Allocca un piccolo locale inaugurato verso il 1900, che disponeva di una sala capiente una trentina di posti.
I cantanti, che di solito erano accompagnati al piano dal maestro Carlo Mirelli, godevano di contratti che duravano a lungo. Sul minuscolo palco di questo caffè furono ricorrenti le esibizioni di Gennaro Camerlingo, Pietro Fiorenza, Vincenzina Di Fragna e Gennaro Cesarano. Ma l’evento più importante, da considerarsi storico per la canzone napoletana, fu il battesimo d’arte di Gennaro Pasquariello. Il successo del locale, e i vantaggi che ne derivarono al proprietario Carlo Allocca, durarono per circa quindici anni.
Sempre nel 1894, a breve distanza di tempo dall’inaugurazione dello Scotto-Jonno, le sale del Caffe Monte Majella, sotto i portici della Galleria Principe di Napoli, di fronte al Museo, furono attrezzate con pedana e pianoforte, per ospitare intrattenimenti canzonettistici.
Gli stessi programmi, d’estate, si svolgevano all’esterno, sotto il porticato.Nel primo anno di attività i frequentatori affezionati ebbero modo di assistere agli esordi di Clara Charretty e di Ersilia Sampieri, ancora alle prime armi; Maria Borsa mandava in visibilio i suoi ammiratori quando intonava le note dei brani A funtanella e Muntagna fredda.
Nei repertori di macchiette e farse si distinsero Gennaro Cesarano, Nakonio Bova e Connaro Carterlingo. Nel perioto dolla guerra era, tra il1915 ed il 1918, il Caffè Majella si trasformo’ anche lui in un cinena.Anche il vicino teatro Bellini, in via Conte di Ruvo, ricostruito nel 1876 su disegno dell’architetto Sorgente, per conto del barone Lacapria, dopo un violento incendio scoppiato nel 1869, ospitò il café-chantant, facendo sfilare sul suo palcoscenico i massimi calibri del varietà, da Pasquariello alla Donnarumma. Le audizioni della casa musicale “La Canzonetta” diventarono una tradizione di questo teatro.
Il principale antagonista in città del salone mrgherita era comunque in città il Teatro Eden . Esso si trovava in via Guglielmo Sanfelice, in prossimità di Piazza Borsa e del nuovo Corso Umberto,
Il Teatro venne inaugurato nel mese di dicembre del 1894 dalla rinomata imoresa dei fratelli Paolo e Giuseppe Resi che potevano già vantare una certa esperienza nell’ambiente artistico partenopeo acquisita durante la gestione della Birreria Monaco, aperta nel 1885 in Piazza Municipio.
La loro abile direzione fece dell’Eden un locale di prim’ordine, ed un vero punto di istituzione della nostra città del teatro di Varietà . Esso continuamente rimodernato fu un importante punto di riferimento dei migliori artisti italiani e stranieri.
In questo teatro oltre alla compinata Camoli che ebbe l’onore d’inaugurare con un prologo in versi del Califano.l’apertura del teatro , si esibirono con grande successo Elvira Catania, Mimì Maggio, Olimpia D’Avigny, la Ferrara, Gennaro Pasquariello, la tarantella sorrentina e la danzatrice Iris De Longle,. e sorsero all’ascesa del successo iniziarono il programma, l’Eden di via Rettifilo è divenuto una istituzione della nostra città. Di esso dovremmo parlarne, come stabilimento serio e simpaticissimo; come la vera fucina dei migliori artisti napoletani; come la fonte battesimale delle migliori nostre melodie. Andate ancor oggi nel foyer di questo teatro da dove sorsero e ascesero all’Olimpo concertistico, oltre i sunnominati, Berardo Cantalamessa, Peppino Villani, Emilia Persico, Elvira Donnarumma, la Ballatony, la Marton, le Iris-Andreace e quante sono glorie nostre, e voi troverete sempre la schiera più eletta dei nostri poeti, scrittori, musicisti, critici, editori .in lieto scambio di idee. Intorno a Peppino Resi sentirete sempre il prepararsi e l’affermarsi di ogni emanazione artistica del Caffè Concerto
Il palcoscenico di questo teatro per spettacoli di varietà che a differenza di altri locali non chiudeva in estate ma continuava la sua programmazione anche nei mesi estivi trasformandosi in un fresco salone scoperto, dove si dava appuntamento tutta la Napoli mondana., divenne la vera fucina dei migliori artisti napoletani e la fonte battesimale delle migliori nostre melodie dell’epoca . Da questo teatro ascesero al successo concertistico, Berardo Cantalamessa, Peppino Villani, Emilia Persico, Elvira Donnarumma, la Ballatony, la Marton, e le Iris-Andreace.
Il teatro Eden in città fu insomma l’emanzazione artistica del caffà concerto in città ed uno dei luoghi più frequentati di quella schiera più eletta dei nostri poeti, scrittori, musicisti, critici, editoriche in lieto scambio di idee si riuniva proprio in questo luogo.
Una descrizione preziosa per ricostruire lo scenario e l’atmosfera di questo elegante ritrovo ce la fornisce De Mura:
La sala era divisa per metà: da una parte le poltrone, circa trecento; dall’altra tavolini di marmo e sedie. Inoltre, c’erano palchi e barcacce. Nel 1910, quando già era stato rinnovato e ingrandito più volte, l’Eden poteva ospitare novecento persone distribuite tra la sala, una fila di palchi e la galleria. Inoltre, disponeva di un comodo foyer.Il pubblico che seralmente vi si dava convegno, era numerosissimo e variamente rappresentativo; c’era infatti da incontrare i campioni di tutti gli strati sociali: dall’erede di nobile casato alla cocottina falsamente esotica; dall’uomo di penna al ricco commerciante affatto analfabeta. (…)
Spesso accadeva che la sua sala fosse un parterre des rois’ dell’arte e della mondanità. (…) Toilettes d’ispirazione parigina, per le donne; sparati e frack, per gli uomini.Dalle scollature delle signore si innalzavano nuvole di colonia; dai candidi fazzoletti, che a cascata scendevano dai taschini maschili, rispondeva un alone di lavanda. In giro un gran traffico di ‘bouquets’: per la divetta eccentrica o per la stella della canzone.
Dai palchi alla sala un chiacchierio continuo, un ammiccare malizioso, sorrisi e allusioni a non finire. (…) intorno al pubblico ed ai cantanti, ruotavano due caratteristici personaggi: la fioraia con il suo cesto profumato e Stefano, sigaraio e giornalaio, ma, soprattutto, messaggero discreto di biglietti tra sala e palcoscenico. L’organizzazione artistica dei fratelli Resi conquisterà sempre più il favore del pubblico e della critica specializzata. Sulle pagine delle riviste “Napoli-Eden” e “il Cafè Chantant” s’incontrano spesso commenti elogiativi in riferimento ai periodici abbellimenti della sala e alla qualità delle attrazioni proposte : Le poltrone belle ed eleganti ,comodissime in peluche amaranto danno un brio di signorilità alla sala risplendente di luce per due lampade elettriche aggiunte ai numerosi lumi in incandescenza. Ma gli apprezzamenti non si limitano alla struttura del’edificio , anche il programma ampliato con numeri fra i migliori del genere consente di considerare questo “simpaticissimo ritrovo” fra quelli di prim”ordine. ,Nel 1931 ‘Eden sarà, nel segno dei tempi, trasformato definitivamente in una sala cinematografica.
Un a locale che ricalcava nella sua forma il Teatro Eden , con l’esclusione ovviamente dei palchi. era un locale che si trovava in Via Trinità degli spagnoli denominato la Birreria Carbone. Esso inaugurato nel 1894 , era un altro locale estivo della città , molto frequentato però da un pubblico familiare. Nei pochi anni di attività si avvicendarono in questo ritrovo le sorelle Arcella, il buffo Luigi Della Guardia, Cesira Novelli, Lisa Conte, la Ferrara, Angelo Giannelli ed altri artisti di secondaria importanza. Assunse per un periodo il nome di Birreria Orfeo.
Sempre da quelle parti nel 1911, con precisione in piazza Carità s’ inaugurava la Sala Napoli, cinema-varietà diviso in due zone: una stretta e lunga riservata alle proiezioni di film muti e l’altra, più piccola, per gli spettacoli di varietà.
Dalle notizie che riporta De Mura si apprende che: ” Mossero i loro primi passi artistici in questo locale Tina Castigliana e Ria Rosa. Tra gli altri artisti vi passarono: Giovanni Mongelluzzo, Mario Massa, Diego Giannini, Totò, Gilda Mignonette, Guglielmo Onofri, la Floramy, Fiorgenti, Gennarino Di Napoli, la Montebruno”.Nei pressi di Piazza Dante , era invece presente da poco messo nuovo anche il ” Teatro Rossini” con spettacoli di varietà. Durante la gestione di Salvatore Colia il locale ospiro i popolari artisti Maria Boni Mini Maggio, Diego Giannini, Mario Massa, fino a Viviani, Parisi e Armando Gill. Nel 1927 fu edificato, sulle macerie del vecchio Rossini, il cinema-teatro Reale, che alla proiezione di film abbinava intrattenimenti di varieta. In seguito la sala è stata adibita esclusivamente a proiezioni cinematografiche.
il nostro centro storico di Napoli,cpme potete notare era quidi pieno zeppo di Teatri dove si svolgevano attività teatrali fatti quasi esclusivamente di spettacoli di varietà associati ad una emergente attivita di cinema.
In quei primi due decenni del 1900 che abitava in citta si poteva assistere a continue inaugurazioni di nuovi teatri varietà.
I Teatri si trovavano in città praticamente ovunque sia nei quartieri più abitati dall’alta borghesia e freqentata dai ceti sociali più alti che in quelli piu frequentati e abitta dalle classi sociali più povere.
In Piazza Cavour, a ridosso dell’Ospedale degli Incurabili, attivo dal 182, era a tal proposito , presente il teatro Partenope che disponeva di un palcoscenico, una dozzina di palchi ed una platea capace di contenere circa 120 .
N.B. Nel corso del tempo i palchi raddoppiarono e in sala furono aggiunti altri trenta posti., proprio grazie all’andar di scena del varietà che appariva spesso in coda agli allestimenti di drammi e commedie,.
Tra i tanti artisti che animarono le serate al teatro Partenope, De Mura cita: Davide Tatangelo, le cui esibizioni si collocavano tra la macchietta e la satira; Peppino Villani, da solo e in coppia con Marietta Tedeschi; l’altra coppia nella vita e in palco-scenico, formata da Mimì Maggio e Antonietta Gravante; Roberto Ciaramella, Salvatore Costa, Gigi Pisano, Salvatore Cafiero e la moglie Titina che si presentavano con l’esotica etichetta di Les Cafiero; Ersilia Sampieri, Raffaele e Luisella Viviani, Gennaro Pasquariello, Elvira Donnarumma, Maria Borsa, Clara Charretty, Silvia Coruzzolo.
Sulle tavole di questa ribalta Armando Gill sperimentò l”improvvisata”,un tipo di intrattenimento molto gradito al pubblico popolare che affollava il locale. ncora oggi in città si racconta che questo incredibile personaggio fosse capace d’intrattenere e divertire il pubblico per un’ora, e anche più, con le sue indimenticabili «improvvisate ” e per tale motivo nel 1943 fu il presentatore ufficilale della celebre festa di Piedigrotta e sempre interpretando un personaggio farina del suo sacco: un viveur borghese dai modi eleganti, vestito rigorosamente in frac o al massimo in marsina, riconoscibile dal papillon bianco,il ciuffo di capelli , ’immancabile gardenia appuntata all’occhiello ed un caratteristico monocolo .
N.B. Il popolare Armando Gill, fu l’autore della notissima canzone. ” come pioveva” che fu cantata in quel periodo in tutta Italia.
Riconosciuto dalla critica in maniera unamina come l’antesiniano dei cantautori italiani, egli fu autore di innumerevoli inconfondibili lavori, in napoletano e in lingua italiana , firmandosia le parole che la musica suoi brani, che lui personalmente cantava ed era solito presentare al pubblico con l’adagio «… versi di Armando, musica di Gill, canta Armando Gill».
Dopo la prima guerra mondiale, il nuovo gestore, l’ingegnere Cozzolino, rinnovò il teatro e al vecchio nome sostituì quello della vicina piazza, inaugurando il Teatro Cavour, sotto la cui insegna recitarono i fratelli De Filippo.
Nel 1925 l’impresario Gennaro Ruggiero ripristinò l’antica denominazione. Gli spettacoli, però, erano sempre gli stessi, sebbene su di essi incominciasse a pesare il cambiamento nei gusti del pubblco. Infatti il Ruggiero aveva fatto costruire una sopraelevazione per la proiezione di film e da quel momento, il nome Partenope stette indicare soltanto un cinematografo di periferia in cui si proiettavano due, e talvolta anche tre film diversi. Nel febbraio del 1962,l’intero edificio, teatro e cinema, fu demolito.
.In Piazza Tribunali invece fu il Teatro Garibaldi a vivere nei primi decenni del novecento un momento di popolarita . Esso si trovava a ridosso del Palazzo di Giustizia, di fronte Porta Capuana e la sua sala interna poteva contenere circa seicento persone. Su questo palco si esibirono sopratutto compagnie di prosa e, in prevalenza, formazioni che avevano per insegna il Pulcinella nell’interpretazione di maschere popolarissime, come Aniello Balzano, Michele Castiglione, Ernesto Palazzini, Ernesto Calace ma altrettanto successo, ed anche più, avevano gli spettacoli di varietà e primi, fra i beniamini del pubblico, furono il comico Giovanni Mongelluzzo, le sorelle Covitti, le Perez, il duo Capurro, il “buffo Alfano”. Alimentavano i programmi canzonettiste debuttanti che, per la maggior parte, poiché accolte da sonori fischi, venivano protestate dall’impresa. Poi il teatro si trasformò in cinema di terz’ordine e nel 1918 fu demolito.
Nel popolare , ma antico e prestigioso quartiere Forcella, nel dicembre del 1911 inaugurava per esempio , la sua attività il teatro Trianon, una sala di affluenza popolare, bella e ampia, con poltrone di velluto rosso fiammante, poltroncine per i posti più arretrati, due file di palchi e un loggione.” Esso diede vita a spettacoli di varietà, nei quali figuravano, spesso, oltre a cantanti di primo piano, addirittura tre, ed anche quattro, vedettes per volta.
In questo Teatro , all’epoca divenuto famosissimo si alternarono su quel palcoscenico attori, e gia noti cantanti in citta come per esempio Pasquariello, Donnarumma, Gill, Fulvia Musette, Maldacea, Tecla Scarano, Diego Giannini, Gina De Chamery.
N.B. Sul palco di questo teatro conclusero qui la loro meravigliosa carriera artistica, i già citati Armando Gill ed Elvira Donnarumma .
Prima con l’impresa di Amodio Salsi, che era anche il proprietario del teatro, e poi con quella di Giuseppe De Simone e Gennaro De Falco , il Trianon registrò un’attività ricca di avvenimenti artistici e di soddisfazioni finanziarie. Di frequente ospitò le audizioni di Piedigrotta prima di trasformarsi verso la fine degli anni quaranta in cinema Splendor.
Per più di una volta addirittura la sua platea fu trasformata in pista per il circo equestre, mentre le poltrone venivano allineate sul palcoscenico.
Poi il tono dei programmi cominciò lentamente a calare e nel 1923, iniziarono quelie mattinate famose con spettacoli misti di prosa, varietà e cinematografo
.Nel 1924, le mattinate terminavano alle diciotto per lasciare il palcoscenico alla compagnia di sceneggiate “Cafiero-Pumo” allora particolarmente in auge, alla quale seguiva un ulteriore varieta che concludeva, finalmente, lo spettacolo
Nella vicina Piazza della Ferrovia , nel 1903 divenne anche molto popolare l’Arena Olimpia , un piccolo teatro che era situato al centro della spianata che faceva da anticamera alla stazione centrale. La sala, dotata di comode poltrone, poteva accogliere fino cinquecento persone. All’inizio l’Arena Olimpia ospitava regolarmente compagnie di prosa offrendo due spettacoli serali al folto pubblico di operai e piccoli borghesi – “uomini in abiti attillati e donne in raso, con gran mostra di scialli multicolori” che accorreva dalla popolarissima zona circostante.
Nelle ore tarde vi pervenivano i guappi più in vista del quartiere e le donnine nottambule
Sempre alla ferrovia ma stavolta in Via Alessandro Poerio di trovava la sala cinematografica Iride, dove il gestore Carlo Cattaneo, per distrarre il pubblico che si assiepava nella sala d’aspetto in attesa di assistere alla proiezione del film, allestì una pedana, sotto un arco, per lo svolgimento di un ridotto programma di varietà: due o tre numeri, non di più.
Ricorda De Mura: “Lo spazio era così esiguo che non c’era posto per il pianoforte, sicché i cantanti si esibivano acompagnati da un minuscolo organo suonato dal maestro Giovanni Lentano. Sebbene fossero dei ripieghi, quei programmi annoverarono, più di una volta, cantanti di diffusa notorietà. Tra di essi, e più stabilmente, Ferdinando Rubini e Tina Lentini. Il piccolo varietà ebbe vita fino al 1915″93.Sempre alla ferrovia ma in Via Alessandro Poerio si trovava Il teatro Orfeo che come tutti sanno fu il regno di Mimì Maggio, Roberto Ciaramella e Silvia Coruzzolo . Spesso in programma comparirono Raffaele e Luisella Viviani, Ersilia Sampieri, Bambi, Brugnoletto, Fulvia Musette.
Il teatro inaugurato il 20 settembre 1912 accolse in quei fantastici anni, compagnie di prosa, operette, riviste, sceneggiate e audizioni di canzoni. Verso gli anni ’60 ha funzionato come cinema di seconda visione.
Al corso Garibaldi, ad angolo con la piazza di Santa Maria La Fede, si trovava invece il cinema Teatro Vittorio Amanuele che a partire dal mese di luglio del 1909, aveva avviato una programmazione di spettacoli di varietà. Dal gennaio dell’anno successivo iniziano le proiezioni cinematografiche cui faceva seguito un programma di canzoni dove capitava di incontrare artisti come Gustavo De Marco, Mimì Maggio, Silvia Coruzzolo, Les Cafiero, Rosa De Chanteraine, Ida Belli, Mario Pasqualillo, con la sorella Nini Bijou e Mongelluzzo. Dopo la demolizione del 1916 avvenuta per la costruzione di un grande fabbricato, nella struttura della sala trovò posto il cinema-teatro Tosca.
Sempre da quelle parti ma in prossimità dell’attuale Piazza Giovanni Bovio, negli ultimi mesi del 1899, avviava la sua programmazione, sotto la direzione artistica di Oreste Capaccioli, la sala Umberto I frequentata da un tipo di pubblico prevalentemente piccolo borghese.
Il Cav. Giovanni del Piano, nel 1898, aveva trasformato quello che in origine era un baraccone per opere dei pupi in una costruzione in muratura e la sera del 20 dicembre, battezzato il nuovo teatro col nome di Re Umberto, ci fu l’inaugurazione con la compagnia di operette Soarez-Acconci.
Nell’anno successivo l’Umberto ospitò la compagnia di Federico Stella e cominciò a dare spazio agli spettacoli di varietà nei quali inizialmente si distinsero la stella internazionale Jeannette Gieter e la diva napoletana Clara Charretty. Dal mese di aprile del 1901 al mese di ottobre del 1902 il teatro, con la gestione Romano-Catuogno, assunse la nuova denominazione di Casino Music-Hall. Successivamente la sala riprese la sua denominazione d’origine e l’impresa passò nelle mani del signor Cammarano. Nel 1906 già si proiettavano, in sala, film della lunghezza di sessanta-settanta metri, mentre all’ingresso, su una pedana, si esibivano gli artisti nei loro numeri di varietà.Nel 1908 il locale subì una radicale trasformazione, quando si ricavò una sala più spaziosa con posti distinti, secondi posti formati da scanni in ferro e due file di palchi (ventuno per ciascuna fila). La proprietà passò ad Amodio Salsi mentre l’impresa restava a Giovanni Del Piano.
Nel 1911, tra gli altri, sfilarono su quel palcoscenico: Renata Carpi, Mimi Maggio, Les Cafiero, Gustavo De Marco, Nella Vandea (Fig. 21), Armando Gill, Irma Martiny; nel 1912: ancora Gill, Nini Birichina, Alfredo Bambi, Mary Fleur, Diego Giannini, Les D’Aloès, Isabella Santa-Cruz.
L’attività variettistica, intervallata da commedie in prosa e film, prosegui, contemporaneamente ai vari ammodernamenti della sala, fino al 1917; anno in cui si registrò un avvenimento importante: Raffaele Viviani lasciava il varietà per iniziare, proprio all’Umberto, la sua meravigliosa avventura di attore e autore. Nel 1924 l’Umberto fu ceduto all’avv. Silvio Del Buono che, a sua volta, nel 1926, cedette i locali alla S.E.T. (Società Esercizi Telefonici).Nella vicina via Depretis dal 1906 aprì i battenti da quellae parti anche il cinema-varietà Salon de la Gaité. In questo salone il cinema muto era alle sue prime affermazioni, venivano ogni giorno dati spettacoli continui della durata di un’ora, con concerti vocali e strumentali in una delle sale d’aspetto. Il prezzo della poltrona, nel quale era compreso anche l’accesso al cinema, era di centesimi cinquanta, quello della platea, la metà”. La sala verrà chiusa nel 1920.
In Via De Petris, si trovava anche la ” Sala Impero “dove in un vasto salone aperto nel 1911 di si proiettavano film e una sala per il varietà, cosiddetta “di attesa” ‘. Qui si svolgevano cinque ed anche sei spettacoli al giorno. Gli artisti però non potevano eseguire più di due canzoni a testa. Tra i tanti che passarono all’Impero, De Mura cita Mario Massa, Diego Giannini, Les Cafiero, Olga Florez Paganini, Nina Impero e Anna Fougez. L’orchestra, diretta abitualmente dal maestro Salvatore Capaldo, era formata da nove elementi. Dal 1917 il locale, che nel frattempo aveva assunto il nome di Sala Verdi, proporrà bozzetti. commedie con la maschera di Pulcinella interpretata da Michele Castiglione e brevi programmi di varietà. Dopo pochi anni, intorno al 1920, la sala chiuse definitivamente la sua attività.
In Piazza Municipio , il Varietà fu comunque presente per un certo perioso anche al Teatro Mercadante ( ex Fondo ) che De Mura definiva un saloto di velluto rosso” con un’accogliente platea e un quadruplo ordine di palchi, oltre al loggione.
In questo meraviglioso Teatro, l’intera stagione del 1911 fu imperniata sul varietà e nel 1913 fecero la loro apparizione le prime proiezioni cinematografiche.
Con acustica perfetta e le polltoncine della sala che potevano accogliere circa ottocento persone, il Mercadante ospitava periodicamente anche allestimenti di operette, riviste e manifestazioni piedigrottesche.
Curiosità: Il bellissimo teatro aperto nel 1870 , inizialmente si chiamava teatro Volpicelli, e faceva parte di una serie di magazzini di proprietà dell’ospedale Incurabili a piazza Cavour. La platea disponeva di duecento posti e due ordini di palchi. Nel marzo del 1871, assunse il nuovo nome di Mercadante e fu il primo teatro, in Italia, a essere dedicato alla memoria del grande musicista, a soli tre mesi dalla sua scomparsa. All’inizio prevalsero gli allestimenti di opere buffe, successivamente ospitò compagnie di prosa e balletti; infine imperò il varietà. Nel 1893 furoreggiarono le sorelle Scarano, Peppino Villani, Alfredo Melidoni. Il teatro sospesela sua l’attività nel 1926.
Attualmente il teatro, affidato per la gestione all’amministrazione comunale di Napoli, accoglie allestimenti di compagnie di prosa e gruppi di sperimentazione
CURIOSITA’ : Piazza del Municipio è sempre stata nei secoli un luogo dove comici in passato recitavano sui banconi divertendo il popolo che godeva ugualmente di alcuni spettacoli pur non potendo accedere al teatro di corte nell’interno del castello .Tutto questo grazie al fatto che alcuni commedianti pur recitando nelle mura per il re , non disdegnavano talvolta di prodursi sui palchi improvvisati nella piazza . Questo avvenne fino a quando Michele Tomeo ( un impresario del tempo ) non penso’ di affittare uno scantinato e ne fece un piccolo teatro che veniva chiamato ” o fuosso ” e poi ‘ la cantina ‘.Di fronte a tale ” fuosso ” , 40 anni dopo, un tal Brancaccio costrui’ un baraccone ad uso teatro che fu denominato San Carlino (in contrappunto ironico al Teatro San Carlo della corte regale ) che divenne il teatro comico per definizione nella Napoli del 700/800.
Fu ‘ il palcoscenico del Pulcinella della stirpe del Petito ed il luogo di battesimo del ‘ Felice sciosciammocca’ di Scarpetta.
Il baraccone funziono’ ‘ fino al 1759 allorche’ fu demolito nel 1884 per la sistemazione della Piazza ; i suoi cimeli sono fortunatamente custoditi nella sezione teatrale del Museo di San Martino , con il modello al vero della scena.
Tomeo , figlio di Michele , chiese allora il permesso a re Ferdinando IV di costruire un teatro nuovo usufruendo delle cantine e di altro bassi contigui . Ebbe il permesso nel 1770 e da questo momento inizia la vera vita del San Carlino che divenne la sede della piu’ famosa maschera del mondo < PULCINELLA> . Ne era allora interprete sublime Vincenzo Cammarano , soprannominato Giancola , che godeva del favore di sua maesta’ Ferdinando IV , ma il piu’ grande interprete di Pulcinella di tutti i tempi fu Antonio Petito , morto in scena nel 1876.
Il grandissimo attore e commediografo Edoardo Scarpetta sostitui’ alla maschera di pulcinella il suo inimitabile ‘ Felice sciosciammocca ‘ macchietta di grande successo .
Purtroppo il 6 maggio 1884 nel quadro del risanamento , il San Carlino fu abbattuto e scomparve cosi’ quello che era stato per piu’ di un secolo il tempio della risata ed un palcoscenico che aveva nutrito generazioni di attori.
Non basta a colmare la perdita l’esistenza sulla piazza di un altro piccolo ma glorioso teatro ” il Mercadante ” .
La zona del porto certo non poteva anche lei essere un luogo dove si potevano assistere a stettacoli teatrali di Caffè Concerto .
In questo quartiere si trovava infatti , inaugurato nel 1871 in via Flavio Gioia, il popolare Teatro Petrella, che durante la gestione dell’impresario Carmine Roma produsse spettacoli a base di canzoni e duetti, preceduti abitualmente da una commedia o un dramma a tinte forti. Nel suo interno, una fila di palchi, un loggione, alcune poltroncine e la platea, testimoniavano l’agiatezza di un tempo. Dalle memorie di Adolfo Narciso, anch’egli esibitosi come macchiettista in questo teatro, si apprende che la canzonettista più amata dal pubblico del Petrella era Ida Cardoville, “una bruna bellissima, con gli occhi neri, lucenti come lama d’acciaio”
N.B. Elvira Donnarumma, una delle più amate interpreti della canzone napoletana, mosse i suoi primi passi artistici, insieme al padre, proprio sulle tavole di questo palcoscenico dove nel 1905 anche Raffaele Viviani ottenne la sua prima, vera affermazione interpretando la macchietta O scugnizzo di Capurro e chitarristi , mandolinista , contrabbassisti ,violinisti Don Paolo “* o zuoppo”. Ricorda De Mura che negli anni in cui comincia ad imporsi la moda del caffè-concerto, un’orchestrina,
Anche nel quartiere Vasto , vi era un noto caffè dove fino al secolo scorso si organizzavano di solito delle note serate canore alle quali prendevano parte artisti che generalmente provenivano dalle file dei posteggiatori. Esso molto noto in città si chiamava il Gran Caffè di Napoli ,
Sempre nello stesso quartiere Vasto , ma in Via Firenze si trovava un altro bar che si chiamava ” Caffè Vigilante ” . Esso fu impiantato in quel luogo nel 1865 e dopo circa trent’anni di attività venne poi trasferito in Piazza della Ferrovia, ad angolo con il Corso Garibaldi e trasformato dal 1894 in caffè-concerto.
La sala fu attrezzata con un piccolo palcoscenico fornito di scene fisse e sipario. Scenette comiche chiudevano il programma serale di canzoni nel quale era frequente la partecipazione degli artisti Ida Artemisia, Antonio Bova , Bianca De Stefano,Rosina Paris, Virgina Der Gaudio e Andrea Alfano che spesso si esibiva in duetto con Nina Naldini .Nel 1905, eliminate le attrezzature sceniche il Vigilante riprese la sua antica fisionomia di semplice carffèe nel 1936, con il passaggio alla ditta Boccalatte prese il nome di Bar Miccio.
Spostandoci in quartier certamente più residenziali noterete che le cose non cambiavano . Anche qui infatti i Teatri con spettacoli varietà certo non mancavano .
Canzoni e macchiette erano in programma infatti anche al cinema-tea-tro Kursàal, aperto nel 1912 in via Filangieri. Ai film di prima visione, faceva sempre seguito un piccolo ma degno programma di varietà. In locandina, spesso figurarono: Olga Florez Paganini, Diego Giannini, Pasquariello, Parisi, Papaccio, la Donnarumma ,e Armando Gill.
Da questa sala, i tre fratelli De Filippo, riuniti in una formazione propria diedero inizio, nel 1931, al loro “Teatro umoristico”. Nel 1933 fu demolito il palcoscenico e il Kursàal, con la gestione del signor Cuccurullo, fu trasformato in sala cinematografica. In un secondo momento, fu cambiato anche il nome e l’ex teatro divenne l’attuale cinema Filangieri, diretto dai nipoti del Cuccurullo.
Un altro noto caffe-concerto si trovava in piazza Vittoria . Essa era chiamato ” il Caffettuccio”,ed accoglieva i personaggi più in vista della Belle Époque napoletana.
CURIOSITA’: In origine era stato una latteria, e l’ambiente proprio per tale motivo non presentava alcuna particolarità: pareti imbiancate, un piccolo specchio, qualche tavolo di marmo e delle sedie di Vienna. Nella stagione estiva però il Caffettuccio spalancava i suoi due ingressi in piazza Vittoria, di fronte ai varchi della Villa Comunale e diventava un punto di riferimento importante per chiunque volesse godere di un buon spettacolo.
N.B. Attualmente il locale è sede di un elegante negozio di cravatte di proprietà di Eugenio Marinella e figli.
Negli anni a cavallo degli ultimi due secoli amche in Via Chiaia ,al teatro Sannazaro, presente accanto alla chiesa di Sant’Orsola, furoreggiavano gli spettacoli di varietà.
In questo delizioso teatro dalla sala bianca e oro e provvista di una platea e quattro ordini di palchi, Il 1913 fu l’anno del trionfo per Gennaro Pasquariello e Renata Carpi, che furono acclamatissimi .
Nel 1928, seguendo la tendenza del momento, gli interventi di arte varia si ridussero per fare sempre più spazio alle proiezioni cinematografiche. Quattro anni più tardi, nel 1932, le fortune del Sannazaro si sposarono con quelle dei fratelli De Filippo e del loro “Teatro umoristico”. Ritornato ad essere un cinema di seconda visione, in tempi più recenti vide poi trionfare la commedia dialettale negli allestimenti della compagnia di Nino Taranto e Luisa Conte.
Negli anni ottanta del XIX secolo, il café-concert come abbiamo notato veniva quindi sempre piu ad essere allestito all’interno di grandi sale sempre più raffinate perfino durante la stagione estiva e addirittura infine le rappresentazioni, trasformatesi in veri a propri spettacoli di varietà, vennero quasi tutte portate in piccoli veri e propri teatri poi lentamente divenuti sempre piu grandi
Uno dei più grandi esempi di tutto questo ci viene dato dalla storia che circonda il” Gran Circo delle varietà “,un vasto ed elegante teatro che si trovava di fronte al tunnel della Vittoria, nell’attuale sede del quotidiano “II Mattino” ( via Chiatamone 65).
Il teatro comprendeva un’accogliente sala con decorazioni in bianco e oro, poltrone in velluto rosso e tavolini da caffè, sulla quale si apriva una fila di palchi, che dava accesso a salette da gioco e di lettura, a un ristorante e a un separé. Esso nonostante pare non diponesse di un’acustica eccezionale che si ripercuoteva certamente sulla qualitò delle prestazioni canore ,divenne in città uno dei luoghi più importanti di quei tempi della nuova Belle Époque del café-chantant a Napoli
Su questo palcoscenico si avvicendano le pi importanti vedettes s internazionali; le cantanti e i comici più quotati, nonchè le più acclamate compagnie di balleti e di operette: Yvette Guibert, Eugenie Fougère, la Tortajada, Armand’Ary la quale mando in visibilio tutta Napoli quando per la prima volta cantò A frangesa, scritta per lei da Mario Costa), Emilia Persico, Amelia Faraone, Blanche Lescaut; Amina Vargas , Carmen Marini, Pina Ciotti, Giuseppina Calligaris, Nicola Maldacea, Peppino Villani, Diego Giannini. La ribalta del Gran Circo delle Varietà diventò, in pochi anni, una delle principali pedane di lancio per le canzoni di Di Giacomo e Costa, Gambardella e Califano, Di Capua e Russo, Di Chiara e Capurro.
Nel 1896, in seguito alla morte dell’On. Billi, assunse in un primo tempo la gestione dello stabilimento l’impresa Giuseppone per cederla poi a quella del cavalier Sigismondo Stern. A dicembre del 1900 in Via Chiatamone, nel ex sala del Gran Circo delle Varietà, il cavaliere
Sigismondo Stern apriva l’Olympia ” ,il più bel locale d’Italia capace di contenere oltre 3000 persone .Di giorno, nell ampia sala spiendidamente decorata e abbelita , si poteva tracontere il tempo allo skating-ring, ai tiri ai bersaglio, alle sale da gioco, da biliardo e da lettura, al caffe orientale o alla taverna alsaziana, Nelle ore serali aristi di varietà si esibivano sull’elegante palcoscenico. In una cronaca del 22 dicembre il recensore della nota rivista “Cafe-Chantant” così presenta il rinnovato locale:
Niente di più grandioso e di più aristocratico […] si è visto mai da noi. Tutto vi è elegante, signorile […]. II palcoscenico un modello di eleganza e di vivacità. Svelti chioschi nei quali belle signorine venderanno giornali, cartoline illustrate, sigarette, biscotti, cioccolata, champagne ecc., sono nell’intercolonnato. I palchi sono anche molto graziosi e fra un intercolon-nio e l’altro dei piani superiori, certi specchi traditori vi fanno degli scherzi […]. Quello che ha sorpreso tutti è certamente il fatto che dalle 14 alle 2 di notte, cioè per 12 ore si può passare il tempo in questo ritrovo divertendosi sempre […]. Dalle 14 alle 16 vi saranno le ripetizioni pubbliche degli artisti scritturati o che 50 propongono; dalle 16 alle 17 “skating-ring” diretto dal maestro G. Bernardi; dalle 17 alle 18 concerto delle Dame Russe; dalle 18 alle 20 tiro al bigliardo ed altri giuochi; dalle 21 alle 24 spettacolo di varietà ed infine dalle 24 alle 2 vita notturna*. Purtroppo la scarsa affluenza di pubblico costrinse i gestori, dopo pochi mesi, ad una prematura chiusura del locale. La sala riprese nuovamente la programmazione degli spettacoli a partire dal mese di luglio del 1901, sotto la direzione dell’impresario Turbiglio, di Genova, che cambiò anche il nome dello stabilimento in Giardino d’Italia per poi riadottare, nel mese di novembre dello stess anno ,l’originaria denominazione di Gran Circo delle Varietà. Dal mese di marzo del 1902 dopo un imprecisato periodo di chiusura, la sala riaprì i battenti con la nuova gestione di Gaetano Bianchi. La direzione artistica venne affidata all’avvocato Francesco Razi, direttore della rivista “il Cafè-Chantant”.Ma già in una cronaca del mese successivo si apprendeva che, per divergenze sui sistemi adottati dal direttore dell’impresa e per altre ragioni di carattere personale, il signor Rezzi aveva rinunciato fin dal 27 marzo ad essere l’agente esclusivo del Gran Circo delle Varietà
L’anno dopo nel 1903, l’attuale gestore, Ciro Scognamillo, decise di modificare la sala aggiungendovi un’altra fila di palchi e di cambiare ancora una volta il nome del teatro chiamandolo Verdi. Dopo un periodo di allestimenti lirici, con artisti di gran nome, ritornò ad imperare il varietà, per oltre cinque anni. Nel 1908 l’edificio fu acquistato da Roberto De Sanna, un ricco commerciante di carboni e impresario del teatro San Carlo, che lo trasformò in Galleria Vittoria con l’installazione di un’agenzia di viaggi, la “Cook”, magazzini di moda ed un cinema-varietà di piccole dimensioni che prese il nome dalla Galleria. Fino al primo dopoguerra continuarono ad essere presentati spettacoli di varietà con artisti di prim’ordine: Gennaro Pasquariello, Armando Gill, Elvira Donnarumma, Gina De Chamery .
L’ultimo periodo di attività come sala per spettacoli fu destinato esclusivamente a proiezioni cinematografiche.
CURIOSITA’: Inizialmente al posto del teatro , in questo posto era presente un edificio circolare, chiamato Panorama, costruito dall’ingegnere Fontana nel 1880, per conto di un gruppo finanziario francese. Nell’ampio stabilimento, mediante una combinazione di specchi e di lenti, il pubblico poteva ammirare suggestivi panorami. L’inaugurazione avvenne con lo spettacolo Pompei, ma la novità non incontrò il favore del pubblico. Nel 1881 il locale fu ceduto alla ditta Miccio che vi installò il suo noto emporio, fatto sgomberare da piazza Municipio per l’ampliamento di via San Carlo. Dalle notizie riportate da Ettore De Mura nella sua Enciclopedia della canzone napoletana apprendiamo che “nel 1886, un gruppo di uomini di teatro, capitanati dall’On. Pasquale Billi e dall’impresario De Simone, prese in fitto, per dieci anni, lo stabile, per trasformarlo in un elegante teatro: il Gran Circo delle Varietà.
Nel piazzale della vicina Via Partenope ,dove oggi trova posto quel monumento dedicato a Umberto 1, era allora presente anche Il Miramar, un delizioso Teatro estivo in legno dotato di una ampia terrazza sul mare , dove si svolgevano apprezzati repertori di café-chantant. Vi trionfarono in questo luogo oltre a Petrolini, nella sua famosa interpretazione di Gastone, il comico Foravanti, l’elegante Luciano Molinari, Armando il, o sum garbata spigliatezza, Peppino Villani, Maldacea, e ovviamente la solita Elvira Donnarummma.
Nel 1925 il proprietario, Giovanni Galli, lo ricostrui in muratura, cambiandogli il nome in Teatro Alhambra. Il nuovo locale, tutto oro e specchi, ebbe il battesimo nel mese di giugno, sotto la direzione di Vincenzo Mazzeo. Per qualche tempo il pubblico continuò ad affollare la sala, anche perché dotata di una pista da ballo e di un attrezzato bar-ristorante. Nel 1927 la gestione fu assunta da Luigi Piciocchi, Il locale nel 1928 e 1929 passò poi ad Antonio Adamo che, per rilanciare il cattivo andamento degli affari, sfrutto il locale organizzandovi proiezioni cinematografiche accompagnate da esibizioni di varietà. Ancora per qualche anno l’Alhambra continuò a funzionare come sala cinema-tografica, fino al 1930, quando il proprietario, l’ing. Galli lo cedette in fitto al Comune che v’installò gli uffici esattoriali.Non allontanandoci molto da luogo, ne approfittiamo per parlarvi del Teatro Excelsior che dall’estate del 1900 visse grandi momenti di gloria . Esso era unelegante ritrovo estivo, sullo stabilimento balneare del Castello dell’Ovo a Santa Lucia.
La sala, capace di contenere circa 1400 persone, richiamava, per la sua splendida posizione di fronte al golfo di Napoli, un pubblico entusiasta per la bellezza dell’ambiente, fresco, ricco di luce e di ogni comfort desiderabile durante i mesi estivi. I proprietari dello stabile erano Limongelli e Percuoco; Cammarano gestiva l’impresa e Fournier si occupava della direzione artistica.
Nel 1902 la scarsa affluenza di pubblico e alcuni contrasti sorti tra la direzione e l’impresa determinarono una temporanea chiusura del locale.
La riapertura del locale con un salone capace di contenere 1400 persone , fu resa possibile, grazie all’intervento dei cantanti scritturati, che si organizzarono in compagnia sociale e ripresero l’attività artistica. Figuravano nella società Mary Fleur, Lyane D’Orient, Flora Bonnet, Mira Florentita,L’Excelsior fu abbattuto nel 1914, in seguito a un’ingiunzione del Comune, imposta per tutelare l’estetica del panorama cittadino.
Non molto lontano , perchè impiantato nell’ex Viale Regina Elena,( attuale viale Antonio Gramsci ),dal 1915 al 1924 si trova il cinema-teatro Maximum dove negli intervalli tra le proiezioni dei film erano inseriti interventi di varietà nei quali era possibile incontrare degli artisti della fama di Pasquariello ,Gill e Gabre’
Dal 1924 , il locale continuò poi ad esercitare esclusivamente attività di sala cinematografica
L’ex teatro esistente tutt’ ora si chiama oggi cinema President.
Un altro famoso locale lo si poteva ritrovare sulla collina del Vomero, ed esattamente in via Morghen, dove Giuseppe Resi dal 1910, aveva impiantato il Flora Park, un elegante ritrovo estivo sempre affollato che oltre al bar disponeva di un ampio salone per il pattinaggio,
In questo locale si alternavano i più acclamati artisti del momomento: Yvonne De Fleuriel, Peppino vilani, Alfredo Bambi, Nicola Maldacea, Armando Gill, Pasquarillo, Elvira Donnarumma, Les Trombetta.
Nel 1915 l’impresa passò ai figli di don Peppino Resi che dotarono il ritrovo di una sala da ballo e lo fecero funzionare anche d’inverno, limitando, però, in questa stagione, lo spettacolo di varietà alla sola domenica. Numerose furono le case editrici che vi presentarono audizioni canore durante i festeggiamenti di Piedigrotta
N.B. Sempre Giuseppe Resi. nel l mese di luglio del 1906 Giuseppe Resi apri’ un nuovo locale, l’Eden Bellavista, per allietare le serate estive dei villeggianti che affollavano la collina di Bellavista, a pochi chilometri da Napoli.
Al quartiere Vomero si trovava anche il cinema-teatro Ideal, aperto nel 1913 da Roberto Jelasi, il commendatore Flocco e l’avvocato Laviano all’interno del palazzo del Duca Donnorso, in via Scarlatti, Esso ospitò più volte lavori musicali e spettacoli di varietà ai quali presero parte importanti artisti dell’epoca: dalla De Chamery a Giannini, da Pasquariello a Gill, da Mario Massa a Vittorio Parisi. Per più di una Piedigrotta vi si organizzarono audizioni canore anche in mattinata. Il locale disponeva, fra la sala ed il loggione, di 1080 posti. Sei mesi prima che cessasse di funzionare, l’Ideal fu ceduto alla Soc. C.I.T.E.C.A… Chiuse definitivamente i battenti il 30 giugno 1963.
Avete visto durante il nostro viaggio in questo mondo del Caffè Chantant , quanti cinema erano prima presenti nella nostra città ?
Oggi Napoli è invece una città che purtroppo ha invece pochi cinema .
Troppi cinema storici hanno infatti chiuso i battenti per destinare il loro uso a supermercati o peggio ancora a store cinesi .
Senza andare troppo troppo indietro nel tempo: vi ricordate del Fiamma, dell’Arcobaleno, dell’Alcione, del Roxy, del President, dell’Empire, dell’Arlecchino, dell’Astra, dell’Ariston, del Bernini, dell’Abadir, dell’Amedeo, dell’Ambasciatori, dell’Adriano, del Santa Lucia, del Fiorentinie del Delle Palme ?
Tutti chiusi tranne l Filangieri, il Modernissimo, La Perla, il Med , il Metropolitan, e le sale vomeresi appassionate dell’America,Hall , del Vittoria e del Plaza.
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