La  nostra città conta più di cento vicoli  ampi poco più di un corridoio e lunghe meno di venti metri, che si intrecciano dal centro storico alle periferie, battezzati con i nomi più strani e inusuali. Sono vicoli stretti e misteriosi , spesso caratterizzati dallo sventolio del bucato steso ad asciugare sui fili, i panieri abbassati dai piani alti, profumo del caffè sul fuoco ed i suoni e gli schiamazzi provenienti dalle  nuove botteghe e rappresentano incontrasti , il posto dove potrete incontrare il vero folklore dei napoletani , la loro lingua , i loro rumori, i loro odori ed i loro colori.

I loro nomi , come quelli di tanti altri vicoli di Napoli , formatisi in seguito al sorgere intorno ad esso di nuovi palazzi, non sono casuali ma il risultato di secoli di storia che hanno caratterizzato il luogo da un punto di vista sociale ed economico. Spesso il nome deriva solo dalla vicina chiesa o  spesso è legato a personaggi o famiglie illustri che hanno caratterizzato  la zona , ma tante altra volte è legata solo ad antichi mestieri che riuniti in corporazioni caratterizzavano con la loro arte interi vicoli e rioni .

Ecco un elenco di alcuni dei più curiosi e divertenti vicoli e vie della nostra città :

Vico Scassacocchi:

Questo vicolo si trova tra Via dei Tribunali e Spaccanapoli e il suo nome trae origine dal fatto che un tempo si trovavano le botteghe degli sfasciacarrozze., artigiani specializzati nella rottamazione  delle carrozze che poi venivano vendute a pezzi. Gli artigiani costruivano riutilizzando il legno delle carrozze sfasciate , stanghe , ruote e nuove balestre  per poi venderle  a buon prezzo. Altri invece credono che il nome derivi dall’impossibilità di far passare le carrozze a causa de vicolo troppo stretto . Questo fattore causava la chi si addentrava nel vicolo con la carrozza , quasi sempre la rottura delle ruote ai carri e alla superficie esterna delle stesse  carrozze .

Il Vico  è uno dei più noti della città perchè è stato oggetto del film Napoli Milionaria di Edoardo De Filippo con Totò scelto come luogo di ambientazione  per la sceneggiata “La Smorfia” con Massimo Troisi, Lello Arena ed Enzo Decaro.

Via dei Calzolai:

Questo vico si trova nei pressi del quartiere di San Pietro a Patierno ed era come dice il nome , il luogo dove vi era una forte attività socio-economica legata ai calzolai che con le loro numerose botteghe specializzate nella riproduzione della scarpa  contribuirono alla ripresa economica ed al benessere d in intero quartiere.

 

Vico dei Panettieri:

Precedentemente chiamato De’ Mosconi poi assume il nuovo toponimo fin dal secolo XIV per la presenza nelle vicinanze dei forni pubblici  legati al pane e del Conservatorio dei poveri di Gesù Cristo, poi divenuto seminario arcivescovile e attualmente ospita le suore di Calcutta. Vico dei Panettieri è il luogo che ha ispirato la canzone di Carmela di Salvatore Palomba , musicata da Sergio Bruni.

 

Vico delle Paparelle :

Il nome di questo vico deriva dal modo popolare come gli abitanti del luogo chiamavano le ragazze ospiti del ritiro che fece  costruire la nobildonna Luisa Paparo per ospitare le donne povere del luogo.Vico Paparelle al Pendino, invece, non deve il suo nome ad oche o anatre, ma al nome che i napoletani diedero alla stradina che ospitava una domora per donne indigenti voluta dal nobiluomo Aurelio Paparo e da sua figlia Luisa.

Vico Paradisiello :

Questo vico deve il suo nome a frate Ignazio Savino che vi fece apporre per ragioni di fede numerosi croci .

Gino Doria, nel suo manuale, lo descrive così: “dal nome antico della contrada”. Esso è situato ai confini dell’Orto Botanico e originariamente era la continuazione di via Michele Tenore, fondatore dell’Orto Botanico di Napoli, e autore della monumentale Flora napoletana e di altre opere di botanica medica, rettore della nostra Università, nato a Napoli nel 1780 e ivi morto nel 1861.

Purtroppo il Vico non è facilmente adocchiabile. Può succedere che non ci si renda conto dell’ingresso, rischiando così di perdersi una bellezza unica!

Il Paradisiello, a prima vista, appare come una porta molto stretta, quasi a richiamare l’entrata al Regno dei Cieli, una fessura, all’interno della quale è possibile entrare solo a piedi.

Una volta imboccato, si possono notare dopo pochissimo i molti scalini che illo tempore portavano fin su a Capodimonte: i gradini, via via sempre più stretti e oppressi da una caterva di erba incolta, oggi terminano davanti a un cancello sbarrato di una villa abbandonata e fatiscente, che i partenopei hanno ribattezzato con il nome di “castello“.

La vista è davvero preziosa: lontano dai rumori della città, si può ammirare Sant’Elmo e il Vesuvio da un lato, Capri e il Centro Direzionale di Napoli dall’alto. Un panorama sicuramente incantevole!

Ma allora per questo si chiama Paradisiello?

Probabilmente il nome del vico richiama proprio al fatto di essere riconosciuto dall’immaginario collettivo come un vero e proprio piccolo paradiso lontano dal trambusto; da qui, Paradisiello.

Ma è anche attestato che un tempo l’area interessata, compresa una piccola collinetta sovrastante, apparteneva ai francescani, con le loro campagne, e i loro orti e giardini: un luogo ameno, denominato forse anche per questo paradisiello. Pare dunque che, attraverso i secoli, e nella fantasia dei napoletani, il vico si sia davvero meritato questo nome. Invito, turisti e non, a riscoprire questo posto idillico, e vi sfido a non rimanere incantati.

Vico delle Tofe :

Questo vico deve il suo nome ad un particolare mestiere , quello di costruire ” la tofa ” cioè una grossa conchiglia che una volta bucata in modo particolare , quando ci si soffiava dentro , emetteva un suono simile alle sirene delle navi che enravano nel porto. Le “trombe conchiglia” sono state infatti utilizzate per lungo tempo dai pescatori come segnale di richiamo per annunciare il loro  ritorno nel porto.

Non ha niente a vedere quindi con quello che malignamente alcuni di voi hanno pensato essere il termine con cui una volta , in passato, veniva indicata  una donna di poco conto .

La parola  ha origini latine , e deriva da ” tuba ” un termine con cui si  indica una sorta di  Tromba un tempo utilizzate per richiamare l’attenzione nell’annunciare un ingresso  importante di cose o persone . Il termine ” tufa ” significa in latino nicchio o conca marina .  

La tofa in realtà infatti è una grande conchiglia di mare (le cui dimensioni possono arrivare anche fino a 30 cm), che una volta  bucata , soffiandoci dentro, viene a  procurarsi un  suono profondo e prolungato. Essa  veniva realizzata  praticando un foro sulla conchiglia, ( dritto o laterale ) utilizzato poi per soffiarvi dentro l’aria e veniva utilizzato  un pò come le sirene che oggi annunciano l’ingresso delle navi nel porto. Infatti la celebre Tofa del porto era quel caratteristico rumore che indicava  l’ingresso e l’entrata delle imbarcazioni dai vari stabilimenti.

Nel tempo il suo uso  si diffuse come strumento folcloristico venendo utilizzato oltre che dai marinai (  e cacciatori )  anche nelle feste popolari sin dall’epoca romana, per poi essere sostituita dalla più famosa “trummetta“ che emetteva un suono ancora più stridulo e insopportabile.e  accompagnava la gioia ed il divertimento di tutti durante le feste di Piedigrotta.  Queste trombette allietavano la festa ed erano suonate incessantemente.

Nel nostro caso, il richiamo a questo primitivo strumento musicale dei due toponimi deriva da qualche mascherone che oranava una fontana lì presente, che spesso raffigurava un volto di un tritone che soffiava nella tofa, dalla quale usciva non il rumore, ma dell’acqua.
Una curiosità: prima di chiamarsi così il vico era denominato “vico della Pietra della Pazienza” per la presenza di una pietra presso la quale i nostri antichi concittadini sopportavano pazientemente i problemi e le angosce. Prima di chiamarsi così il vico era denominato vico della Pietra della Pazienza per la presenza di una pietra presso la quale i nostri antichi concittadini sopportavano pazientemente i problemi e le angosce.

 

Vico salsiccia:

Poi divenuto vico Scalciccia  si trova nella zona del Porto ed il suo nome va riferito alle salsiccie che si preparavano nelle vicine ” Chianche “( macellerie ). La scalciccia è quanto derivato dall’operazione dello scalco , cioè il macellaio.

Vico settimo cielo:

Il vicolo chiamato “ Vico Settimo Cielo” , che si trova accanto al chiostre della chiesa di Sant’Andrea delle Dame nel decumano superiore , deve il suo nome  al  vescovo  africano Settimio Celio Gaudioso, che fondò l’omonimo convento di San Gaudioso sulla collina di Caponapoli..
Secondo un’antica leggenda i Sette Cieli si riferivano a quelli di un abbagliante arcobaleno dotato di una forte luce che apparve nel cielo  il 13 dicembre del 596 mentre si stava celebrando il rito funebre di Sant’Agnello, presso la chiesa di Santa Maria Intercede che diede alla folla presente  la sensazione di vedere il paradiso.
L’espressione “andare al settimo cielo” pare derivi proprio da questo evento.

 

Vico Pallonetto a Santa Lucia :

Il vico deve secondo alcuni il suo nome al fatto che dopo la bonifica, il vicolo si e’ trovato sollevato rispetto al mare.
La denominazione di ” Pallonetto ” iinrealtà indicava  nel  Medio Evo, un luogo dove si praticava il gioco della palla . Erano allora molto diffusi la pallacorda che aveva molto dell’attuale tennis , la pallamaglio che aveva solo un ‘analogia con il gioco delle bocce , in quanto , queste , non si giocavano con le mani ma con mazze di legno chiamate , appunto , magli., la pilotta, il gioco del pallone toscano e piemontese erano invece grosso modo un misto di base-ball e di pelota basca con la palla giocata non contro il muro ma tra due squadre.
Dei ” Pallonetti ” rimasti troviamo, percorrendo la citta’ , il vico Pallonetto S. Liborio , alla Pignasecca , il vico Pallonetto S. Chiara ed il Pallonetto appunto di Santa Lucia , composto dalla via , i gradini , il Vicoletto ed il vico storto che unisce via Santa Lucia con la via Solitaria , sulla collina di Pizzofalcone.

 

 

Vico degli Impagliafiaschi :

Gli artigiani fabbricavano cesti e oggetti vari di paglia, così come la struttura per impagliare i recipienti di vetro detti “fiaschi” o dammiggiane. Caratteristici sono anche i cosiddetti “panari”, cesto in paglia con manico, generalmente legato ad una corda per essere calato dai balconi. Veniva riempito di spesa e utilizzato dalle signore per evitare la fatica delle scale. Gli artigiani richiamavano l’attenzione dei vicini con lo slogan: “ Tengo ‘a canesta, o ventaglio p’ ‘e furnacella, a scopa e ‘o scupillo”.

 

Vico tre Re a Toledo :

Questo vico ha un’origine religiosa e al contempo culinaria ; nel 500 infatti in questa zona era presente una locanda dedicata ai famosi tre Magi.

Vico  Monte dei Poveri Vergognosi

E’ una strada che si riferisce con il suo nome ad una seicentesca congregazione religiosa che aveva sede in questo luogo, con annessa chiesa che fu soppressa da Gioacchino Murat nel 1808, per stabilirvi un tribunale e la camera di commercio. Oggi, al posto dell’ edificio sorge Palazzo Buono.

 

VIA PIGNASECCA :

Il curioso nome Pignasecca attribuito a questo luogo risale al 1500 quando i numerosi orti che lo caratterizzavano furono spianati per la costruzione di via Toledo. La zona del noto mercato si trovava all’epoca fuori le mura della città, dove c’erano fiorenti orti, tant’è che il luogo era noto con il nome di “Biancomangiare” per indicare la salubrità del sito ed una gustosa pietanza locale consistente pare in una gustosa crema di latte.

In tutta la zona che andava da Santa Chiara alla attuale Pignasecca vi erano vasti giardini e belvedere che appartenevano al duca Pignatelli Fabrizio di Monteleone, il quale abitava in  un suo palazzo a Monteoliveto.

Quando le mura di Napoli furono allargate con il vicerè don Pedro de Toledo, per costruire la nuova via a lui intitolata, fu deciso di spianare tutta la zona del Biancomangiare e la maggior parte dei giardini furono confiscati al Pignatelli a cui rimasero solo quelli nella zona dello Spirito Santo. Egli allora su questo residuo terreno rimastogli fece costruire un ospizio oggi divenuto dopo tanti rifacimenti  l’Ospedale Pellegrini.

Alla grande spianata di tutti questi  orti  pare che sopravisse soltanto un pino, definito in napoletano pigna. Delle gazze vi nidificarono nascondendovi tutti gli oggetti preziosi che sottraevano dalle abitazioni vicine, finché i  demoralizzati abitanti non provvidero a scacciarle. Il pino progressivamente si seccò conferendo a questa zona il nome di “Pignasecca”.

Secondo una leggenda invece pare che in questo luogo un tempo, vi fosse una pineta, grande e fitta, popolata da tantissime gazze.  Uno di questi uccelli scoprì il vescovo della città a letto con la perpetua, e mentre questi era intento a fare determinate cose pensò bene di rubargli il suo prezioso anello. A questo punto egli, per vendicarsi, scomunicò la gazza, anzi, scomunicò tutte le gazze, una ad una. Dopo tre giorni dall’evento, la pineta morì. I pini seccarono, le gazze sparirono, lasciando solo una distesa di terra arida e vuota: la Pignasecca.

 

Vico  Teatro Nuovo

Assume  la sua denominazione da un famoso teatro fondato nel 1724, prevalentemente deputato ad inscenare le commedie tipiche della tradizione napoletana e progettato da Domenico Vaccaro. Fu distrutto da un incendio. Era anche detto “vico Sbirri”, nome che fu abolito dal 1850.

 

VICO  FIGURELLA A MONTECALVARIO

Era una piccola strada  dedicato ad un’edicola votiva, oggi non più presente, ma sostituita da un’altra dedicata a Sant’Antonio.

VIA EGIZIACA A PIZZOFALCONE

Il nome Egiziaca della strada fa riferimento senza dubbio alla chiesa-convento di S.Maria Egiziaca realizzata dal Fanzago e poi dal Guglielmelli tra il 1661 e il 1716,
Il nome di pizzofalcone fa invece riferimente alla collina su cui la strada si trova.
Questa collina di Pizzofalcone era così chiamata per la sua forma a becco di falco oppure perché nel periodo angioino vi si praticava la caccia al Falcone .

Qui nacque secondo alcuni storici  Parthenope nel VIII secolo a.c. In un territorio compreso tra l’isolotto di Megaride e la collina di Pizzofalcone. Su questa collina fuinfatti  fatta la scoperta di una necropoli cumana.

E’ da ricordare a tal proposito che i Cumani dopo la vittoria contro gli etruschi occuparono questa roccaforte dell’antica Partenope alla quale venne dato il nome di Palepoli per distinguerla dalla città nuova ( Neapolis ) fondata ad oriente.

Dopo la caduta dell’Impero Romano, la collina fu occupata dai monaci basiliani e nel 1442 venne assediata da Alfonso V d’Aragona. Poichè la collina si trovava ancora fuori delle mura della città, il re fece costruire un bastione chiamato fortelicio di Pizzofalcone per rispondere agli attacchi. Fu con Andrea Carafa, conte di Santa Severina che acquistò una serie di terreni, che nel 1500 ebbe inizio l’urbanizzazione di Pizzofalcone, ma solo grazie al vicerè Don Pedro de Toledo la collina fu in seguito inserita all’interno delle mura della città.

La collina è anche chiamata Monte di Dio; questo nome deriva dalla omonima chiesa con annesso convento fondati nel XVI secolo alla fine di via Monte di Dio e oggi non più esistenti.
Su questa altura, molti secoli dopo, durante le lotte tra Angioini e aragonesi vi vennero sistemate le artificierie di re Alfonso, e da allora in poi per la sua posizione strategica la collina fu usata come caposaldo militare.

La collina di Pizzofalcone, insieme all’isolotto di Megaride, rappresenta il residuo dell’antico cratere del Monte Echia dove ebbe sede la sontuosa villa di Lucullo, i cui giardini e dipendenze giungevano fino al mare.

 

Vico d’Afflitto

Assume il suo nome al seguito di una nobile ed illustre famiglia campana, originaria della Costiera Amalfitana, che aveva residenza lì. O, forse, si riferisce ad un membro della famiglia in particolare: potrebbe essere il senatore Rodolfo d’Afflitto, vissuto nel XVIII secolo, o forse il professore di teologia presso l’ Università di Napoli Eustachio d’Afflitto, accademico e scrittore settecentesco.

 

Vico Emanuele De Deo 

Il vicolo è  dedicata  dall’800 ,ad un giovane, all’ epoca residente nei Quartieri Spagnoli, che ha sacrificato la propria vita in nome della Rivoluzione Napoletana del 1799 .

Questo vicolo  è una delle strade che collega  alla piazetta  dei quartieri spagnoli  dove c’è il famoso  murales dedicato a Maradona diventato quasi luogo di culto dopo la scomparsa del Pibe, avvenuta il 25 novembre 2020.

 

Via Sergente Maggiore

è forse una delle poche vie dei quartieri che non ha mai cambiato la sua denominazione nei secoli, ed il suo nome  fa riferimento al fatto che in quella strada si potesse trovare l’ alloggio e l’ ufficio del sergente maggiore in carica dell’ epoca, rimarcando l’ origine militare della zona.

 

Via Nardones 

è un altro caso di via che non ha mutato denominazione negli anni, ciononostante il nome non è corretto, forse per un’erronea trascrizione in chissà quale epoca: è dedicata al nobiluomo spagnolo nonchè magistrato don Lope Mardones, che nel 1562 costruì in quella strada il suo palazzo personale.

 

Vico Freddo a Rua Catalana :

Il Vico Freddo si trova nelle vicinanze del porto, ed è chiamato in questo modo perché  non battendovi mai il sole a causa degli alti  palazzi che lo circondano iil vico è sempre freddo  , ma godendo comunque del vento del mare , nonostante tutto riesce a  mantenere una temperatura umida e fresca persino nelle estati più calde ” vico fric “. 

L’altra parte del nome , Rua Catalana , deriva in qualche modo dalla la regina  Giovanna I d’Angiò. Ella , a suo tempo infatti per incentivare il commercio, chiamò in città negozianti e operai di diverse nazionalità , assegnando a ciascuno un quartiere dove poter vivere. Rua Catalana fu, ovviamente, assegnata agli spagnoli. In essa risiedevano lattonieri , rigattieri e sugherai ed ancora oggi è un quartiere-laboratorio sede di botteghe artigiane della latta e di altri materiali poveri.

 

Vico Lammatari:

Il nome  “lammatari”  di questo vico è una deformazione dialettale del termine amitari, che indica gli amidari cioè i fabbricanti di amido. La strada era infatti, popolata da numerose botteghe che per secoli fornivano amido alle pasticcerie, ai sarti e alle lavandaie.

Vico Lammatari: la stradina è lunga 250 metri a pochi passi fra tre fermate della metro, Cavour, Museo e Materdei. Già a partire dal ‘600 si trovavano tracce di questa stradina nelle cartine di Napoli in quanto parte del territorio acquistato dal capitano spagnolo Giovan Ruiz Fonseca. L’odonimo “lammatari” è una deformazione dialettale del termine amitari, che indica gli amidari cioè i fabbricanti di amido. La strada era infatti, popolata da numerose botteghe che per secoli fornivano amido alle pasticcerie, ai sarti e alle lavandaie.

Il nome  “lammatari”  di questo vico deriva quindi dalle numerose botteghe presenti all’epoca nel luogo  che per secoli fornivano amido alle pasticcerie, ai sarti e alle lavandaie.

 

 

 

 

 

 

 

 

Vicoletto Chiavettieri :

Questo vico che si trova al Pendino , era  popolato da botteghe artigiane dove i “chiavettieri” nella loro “puteca” fabbricava e vendeva chiavi. Non era quindi il luogo dove erano  presenti antichi sciupafemmine , ma semplici fabbri specializzati nel costruire chiavi .

Via arte della lana:

E’ una stradina che  deve il suo odonimo all’artigianato tessile che nella nostra città ha da sempre avuto  un ruolo importantissimo per la nostra economia , Infatti, la città viene denominata dagli arabi la “Napoli del lino”.

Questa strada più che un vico deve quindi  il suo nome all’artigianato tessile che svolse nell’alto medioevo un ruolo importantissimo in città dando possibilità di lavoro a migliaia di persone . La produzione della lana e della seta divenne all’epoca un settore trainante dell’economia del regno e della stessa popolazione che trovava impiego e reddito attraverso la sua lavorazione.

Nei Decumani Intorno all’area dove oggi si trova la chiesa di S.S. Filippo e Giacomo , vi era allora un grande complesso costituito dall’unione di vari immobili acquistati dalla corporazione dei setaioli con lo scopo non solo di svolgere la lavorazione e la produzione della seta ma anche quella caritevole di ospitava le figlie dei tessitori poveri di Napoli . Tutta l’area intorno alla chiesa dovete immaginarla brulicante di filatoi , botteghe  ricche di stoffa e pregiata seta , tessitorie e sopratutto numerosi mercanti stranieri.

 

 Vico dei Maiorani :

Sempre nei decumani in prossimità di piazza dei Girolamini, scendendo ripido verso via San Biagio dei Librai, troviamo il  vico dei Maiorani che non è altro che l’antico vicus Pistorius , stradina in cui un tempo erano situati i mulini ad acqua adoperati per macinare il grano la strada dei pestatori, delle macine. Una stradina dove anticamente, fin dai tempi dei romani   schiacciava il grano per realizzare la farina che sarebbe stata portata nel vicolo successivo dove c’erano i fornai che preparavano il pane: ancora oggi la strada parallela a vico Maiorani, infatti, si chiama vico dei Panettieri.

Una zona che con i suoi fiumicciattoli e rigagnoli e con le divinità ad esse connesse veniva considerata un luogo di forze  invisibili ed esoteriche  magie in cui misteriose forze si scontravano. Un luogo sacro che manco a farlo apposta  vide in quel luogo al civico numero 39 , nel ‘700 essere presente la sede dell’Accademia dei Placidi, ritrovo di uomini di scienze e cultura. . Lo storico palazzo medievale secondo alcune voci popolari sarebbe stato una delle dimore del Pontano , mostra nella sua corte  interna di palazzo una antica statua di un dio fluviale che incredibilmente somiglia in maniera impressionante ad altre statue presenti in città come il Corpo di Napoli (il dio Nilo) o quello del Sebeto, il mitico fiume napoletano rappresentato sulla fontana di Mergellina in largo Sermoneta.

Il Dio fluviale è però incredibilmente incastato con il suo busto  sul tetto di un bagno abusivo  e come se non bastasse  nella parte che oggi si trova sotto al bagno, è presente anche  una fontana, con un’iscrizione in latino, e un’immagine incisa nel marmo, che raffigura San Lorenzo. La scritta sulla lapide tradotta recita:” io vi offro acqua ma se volete del buon vino , il padrone di casa ve ne darò in abbondanza”

VIA BAGNOLI :

deriva dal nome della Terma Balneolum ivi esistente e che era così chiamata dalla piccolezza e dalla angustia della sua sorgente

 

VIA BANCHI NUOVI :

La via prende il nome dai banchi o logge dei mercanti che qui avevano un punto vendita

Un tempo al posto della chiesa dei Santi Cosimo e Damiano che vedete alla fine dello slargo vi era infatti l’antico edificio della loggia dei Banchi Nuovi , sorto dopo una catastrofica alluvione che sconvolse l’intera zona .

Accadde poi nel 1616,  che i membri della Congrega dei Barbieri furono costretti a lasciare la loro sede di via Tribunali, per la costruzione del complesso dei Gerolomini. Avendo  delle case di proprietà nella zona, acquistarono da Alfonso Sanchez, che ne era diventato il proprietario, la Loggia dei mercanti e la trasformarono nella loro Cappella, dedicandola ai Santi Cosmo e Damiano.

N.B. Nello stesso anno i Padri somaschi acquistarono il monastero di San Demetrio.

La chiesa congrengale della Compagnia dei barbieri , dedicata ai santi Cosma e Damiano , sorge quindi proprio nel punto dove prima esisteva la loggia dei Banchi Nuovi. L’edificio  fondato nel  1616  ha subito nel corso dei secoli numerosi ampliamenti e diversi restauri

La facciata della chiesa utilizza l’impianto del preesistente edificio: si possono infatti ancora notare gli antichi archi cinquecenteschi i a tutto sesto della loggia cinquecentesca. Nei muri perimetrali laterali al portale settecentesco di piperno sormontato da un bel finestrone polilobato . Lo schema della facciata è invece scandito dalla presenza di  quattro lesene   rialzate da un basamento.

Nell’interno c’è l’altare maggiore settecentesco sul quale era posta una tavola di  Antonio Rimpatta  (attualmente esposta al Museo Diocesano), anche gli altari laterali erano sormontati da dipinti (trasferiti in altra sede), tra questi Il Supplizio del fuoco dei santi Cosma e Damiano di  Luca Giordano .

CURIOSITA’. I banchi , che  si trovavano un tempo in piazza dell’Olmo furono , nel 1547 , dapprima bombardati da castel SantìElmo , dall’artigliria del vicerè don Pedro di Toledo , durante la rivolta dell’inquisizione spagnola e successivamente , una ventina di anni più tardi , furono poi completamente distrutti da una delle alluvioni più rovinose che la storia della nostra città ricordi . Una sorte di diluvio universale , una pioggia torrenziale che secondo molti racconti dell’epoca durò due giorni interi . Lo spaventoso fiume d’acqua  invase e travolse le strade da via San Sebastiano fino a Chiaia devastando  nel suo percorso abitazioni e chiese e la morte di decine di persone . Dopo questo episodo , in seguito alla completa distruzione dei loro vecchi banchi , i mercanti si trasferirono in quelli nuovi fatti costruire da stessi marcanti  nell’attuale slargo .

L’attuale slargo  che oggi possiamo vedere , deve infatti l suo nome dai banchi nuovi (o logge dei mercanti ) che  qui infatti operavano,

Precedentemente il largo  era invece detto ” dei segatori” per le botteghe di falegname e fu  modificato in “Banchi Nuovi” solo el 1569: quando come vi abbiame detto , una pioggia torrenziale dalla durata di circa due giorni creò una alluvione con una massa d’acqua che, arrivando dalle strade in pendenza, rovinò e distrusse molte case in quel largo;.

Il terreno malridotto, fu acquistato dai mercanti che vi avevano in esso i banchi, ponendovi dei nuovi. Da allora il posto fu detto “dei banchi nuovi” ed il toponimo rimase anche dopo che il mercato fu soppresso e l’area fu acquistata dal marchese Alfonso Sances di Grottola, che a sua volta lo vendette alla compagnia dei barbieri che vi fecero costruire la loro chiesa congregale dedicata ai Santissimi Cosma e Damiano.

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VICO BARRETTARI :

il termine giusto è parrettari che si riferisce alle parrette ( pallettoni ) che venivano usate per le balestre

 

Vico Figurari:

E’ il vico opposto a quello più famoso di S. Gregorio Armeno da cui si accede  da  piazzetta dell’Olmo .In questa zona durante alcuni scavi sono state ritrovate piccole statuine in terracotta dedicate a Demetra ,Apollo e Diana a dimostrazione che probabilmente la tradizione di piccoli lavori in terracotta di personaggi si sia tramandata in questo luogo per secoli fino ad arrivare all’attuale arte presepiale venduta nei tanti negozi che affollano lo stretto cardine.

Il nome del vico deriva da figurine ,( immagini religiose ) e dove probabilmente  già tanto tempo fa prima i cittadini greci e poi quelli romani offrivano come ex voto delle piccole figurine ( statuine ) di terracotta delle tante divinità adorate in questo antico luogo e fabbricate  nelle tante  botteghe che qui erano presenti.

 

Vico dei sospiri :

Questo vico appartenente al quartiere di Chiaia ha un nome tutt’altro che romantico .E’ infatti il luogo dove , prima di giungere alla non vicina Piazza Mercato ( luogo dell’esecuzione ) , transitavano i vari condannati all’impiccagione .Il nome del vicolo deriva deriva dall’appellativo che le fu dato dal popolo per ricordare il passaggio obbligato in quel luogo dei condannati a morte (“Vico sospira bisi”, da  “suspire ‘e ‘mpise” (sospiri di impiccati).

Oggi invece il vico dei sospiri è una stradina colma e brulicante di vita mondana , di locali e barretti  , come quello vicino di Vicoletto Belledonne dove invece dei condannati , un tempo i sospiri erano quelli … dell’amore come sembra suggerire allusivamente  il nome

 

Vico’a munnez :

Non è un nome dedicato alla immondizia ( munnezza in napoletano ) ma solo la storpiatura del nome di un vicolo intitolato un tempo alla nobildonna  Maria Mondez . Il popolo , allora molto ignorante , non sapendo pronunciare  il nome ” MONDEZ ” lo ha semplicemente tradotto nel più popolare “Munnezz “così come successe anche con ‘o vico ‘e perucchie perché anche qui il popolino capiva pidocchi anziché pitocchi: in realtà il vicolo era il luogo in cui vivevano, non si sa bene, molti usurai o molti poveri.

 

MOLO BEVERELLO :

il toponimo indica le colline che da Pizzofalcone vanno a mare e che furono dette BIBIRELLUM per la notevole quantità di acqua.

Nella nostra città , neanche tanto tempo fa esistevano sotto il maschio angioino  alcune fontanelle che diffondevano la famos acqua sulfurea di Santa Lucia,

Essa era  una delle bevande preferite dai napoletani,  e divenne  per lungo tempo , la principale fonte di sostentamento per gli abitanti di via Chiatamone, che si attrezzavano con banchetti e recipienti per guadagnarsi la giornata.

Le giovani e belle venditrici ambulanti, giravano per la città provando a vendere l’acqua “suffregna” a chi cercava refrigerio e frescura mentre gli “acquaiuoli”, nei loro chioschetti addobbati con grappoli di limoni, arance, blocchi di ghiaccio ed altri attrezzi, riuscivano a preservare intatte le proprietà e la freschezza di quest’acqua sempre frizzante e fresca, che di solito veniva servita con un pizzico di bicarbonato, per renderla ancora più gustosa.

Questo diede luogo ad un antico vecchio mestiere della nostra città ; il mestiere dell’acquaiuolo , che a differenza di tanti altri è forse l’unico tra gli antichi mestieri napoletani, che ancora oggi resiste al tempo .  Sono infatti ancora presenti ,disseminati per tutta la città , alcuni storici chioschi  che vendono acqua e limone con o senza bicarbonato , acqua minerale e refrigeri vari

 

CURIOSITA’ : L’ acquaiuolo , inizialmente era solito girare per le stradine caratteristiche della città trainando un piccolo carretto mediante l’aiuto di un asino ,e mentre passeggiava era solito pubblicizare la sua merce con frasi gridate al popolo per incentivare a comprare l’acqua sulfurea di Santa Lucia. Egli  ,girando  in lungo ed in largo la città ,  con il suo  carrettino manteneva la sua  acqua nelle  famose ” mummare “, un grande vaso di creta con due manici ,che veniva considerato una sorta di banca dove l’acqua solitamente si manteneva fresca .

Solo successivamente , in un secondo momento . l’acquaiuolo divenne stanziale con una propria bottega decorata con luci colorate e addobbata con grossi limoni di Sorrento ed aranci .  Nel suo interno , oltre ad ,altra frutta estiva. , erano anche presenti enormi blocchi di ghiaccio , attrezzi per le spremute ,  sciroppi di vario tipo , e le    famose “mummarelle ” Il ghiaccio era immesso in grandi botticelle foderate di sughero con un vano nella parte inferiore, dove erano sistemati blocchi di ghiaccio, che rendevano l’acqua o la bibita fresca o ghiacciata, perché raffreddata dal ghiaccio. Per tale motivo i chioschi dell’acquafrescaio , venivano chiamati ” A BANCA ‘E L’ ACQUA” .

 

 

 

 

 

 

 

Le belle luciane , spigliate ,sorridenti ,e procaci  , che spesso gestivano i tanti chioschetti sul lungomare di Santa Lucia con fare malizioso gridavano a squarciagola per richiamare clienti nelle afose giornate napoletane < chi vò vevere ,che è freddo >  e cantando al  suono di canzoni dal dubbio significato giocavano spesso sul doppio senso on cui il prorompente seno veniva accostato alle mummare . Esse sopratutto durante l’estate , grazie alla neve ghiacciata che teneva fresche le loro bevande permetteva di rispondere in modo malizioso alla domanda <“Acquajuò! L’acqua è fresca?”: “Manche ‘a neva”.

L’acqua suffregna , una volta tolta dalle mummarelle veniva versata in piccole brocchette di terracotta ( chiamate giarretelle ) dove veniva aggiunto del succo di limone ed un cucchiaio di  bicorbonato . Il risultato era una straordinaria dissedante bibita con un potente effetto digestivo , caratterizzata da una scenografica eruzione di schiuma ( prodotta dallo stesso bicarbonato ). La  bevanda era da tutti considerata anche  un’autentica panacea per molti dolori fisici .

Unico problema aveva un forte sapore di uovo non del tutto gradevole per alcuni  .

N.B. Se i vasi in terracotta erano di dimensioni più piccoli , venivano ovviamente soprannominati “mummarelle ” ( termine spesso ancora oggi utilizzato per indicare in una donna delle mammelle piccole ma graziate ) .

Nei vari  quartieri del centro storico  , a girare di buon mattino annunciando la loro presenza con decise urla pubbicitari della loro acqua suffregna erano le giovani e belle donne provenienti dal borgo di Santa Lucia e al loro richiamo , molti acquirenti erano soliti affacciarsi dalle loro finestre o balconi e poi calare il loro paniere con qualche monete ed un fiaschetto da riempire con l’acqua desiderata .

L’acqua che vendevano , proveniva da una fonte che si trovava in una oscura e misteriosa grotta presente presso il famoso Chiatamone . Ad essa si accedeva mediante una scalinata e poichè le sue sorgenti di acque sulfurea erano provenienti   dalle sorgenti vulcaniche flegree e vesuviane essa  era naturalmente gasata e considerata dai napoletani per tale motivo curativa per molti malanni.

N.B. Le sue sorgenti raggiungeva il pozzo artesiano che si trovava nei giardini di Palazzo Reale  per poi arrivare in una storica sorgente ,in Via Caracciolo , dove esistevano anche delle piccole fontanelle  ,  su cui hanno poi purtroppo costruito l’attuale Hotel Continental.

Le sorgenti di questa ’atipica acqua, dall’intenso sapore sulfureo, rappresentarono per lungo tempo per gli abitanti del Chiatamone e del vicino Borgo di Santa Lucia una vera e propria attività imprenditoriale capace di far nascere nel tempo e con quella capacità imprenditoriale spontanea che solo i napoletani posseggono, una vera generazione di lavoratori che si industriavano per riempire i contenitori per portare l’acqua ai chioschi stradali, spaziando da Napoli alle località limitrofe della città sino a sfiorare le altre località a carattere turistico del Golfo di Napoli.

L’acqua veniva  liberamente raccolta sin dall’origine delle fonti ed il trasporto e la successiva  commercializzazione veniva poi effettuata usando, speciali anfore in terracotta che i popolani “luciani” denominarono “mummere”. Erano semplici, con più volume da riempire, generalmente da 5 litri, dal tipico colore “terreo” o a volte dipinte con scene di carattere popolare. Ma la principale caratteristica era la proprietà di mantenere a lungo ed inalterata la freschezza della temperatura sorgiva per consentire una mescita che rallegrasse il gusto e sodisfacesse la sete dei passanti.

Intorno alla grotta era  presenti una serie locale di venditori che con fare garbato e simpatico , accoglievano i tanti acquirenti provenienti dalle città limitrofe che si recavano lì apposta per fare scorta e rifornimento di quella preziosa acqua, in grado, come si diceva, di curare chi soffriva di carenza di ferro ed anemia ma  raccomandata  anche a  coloro che soffrivano  di malattie debilitanti; esse veniva molto usata in passato per la sua azione  purgativa e lassative , ma  veniva soprattutto consigliata  a  chi soffriva  di coliti spastiche.

L’acqua sulfurea o ” suffregna ” venne liberamente venduta e commercializzata   a fasi alterne, sino a quando Napoli non fu colpita dalla brutale epidemia del colera del 1973 , a causa della quale fu proibita. la vendita stradale e le fonti furono sigillate.

Essa da quel momento in un  breve arco di tempo fu ulteriormente abolita nella sua raccolta e distribuzione , non potendo garantire una regolare e igienica caratteristica  della preziosa famosa acqua suffregna

 

VICO BOTTE :

il nome deriva dal fatto che pare si usava una botte posta nel luogo per alcuni .. bisognini

Via della Lana : Questa strada più che un vico deve il suo nome all’artigianato tessile che svolse nell’alto medioevo un ruolo importantissimo in città dando possibilità di lavoro a migliaia di persone . La produzione della lana e della seta divenne all’epoca un settore trainante dell’economia del regno e della stessa popolazione che trovava impiego e reddito attraverso la sua lavorazione.

Nei Decumani Intorno all’area dove oggi si trova la chiesa di S.S. Filippo e Giacomo , vi era allora un grande complesso costituito dall’unione di vari immobili acquistati dalla corporazione dei setaioli con lo scopo non solo di svolgere la lavorazione e la produzione della seta ma anche quella caritevole di ospitava le figlie dei tessitori poveri di Napoli . Tutta l’area intorno alla chiesa dovete immaginarla brulicante di filatoi , botteghe  ricche di stoffa e pregiata seta , tessitorie e sopratutto numerosi mercanti stranieri.

Sempre nei decumani in prossimità di piazza dei Girolamini, scendendo ripido verso via San Biagio dei Librai, troviamo il  vico dei Maiorani che no è altro che l’antico vicus Pistorius , stradina in cui un tempo erano situati i mulini ad acqua adoperati per macinare il grano la strada dei pestatori, delle macine. Una stradina dove anticamente, fin dai tempi dei romani   schiacciava il grano per realizzare la farina che sarebbe stata portata nel vicolo successivo dove c’erano i fornai che preparavano il pane: ancora oggi la strada parallela a vico Maiorani, infatti, si chiama vico dei Panettieri.

Una zona che con i suoi fiumicciattoli e rigagnoli e con le divinità ad esse connesse veniva considerata un luogo di forze  invisibili ed esoteriche  magie in cui misteriose forze si scontravano. Un luogo sacro che manco a farlo apposta  vide in quel luogo al civico numero 39 , nel ‘700 essere presente la sede dell’Accademia dei Placidi, ritrovo di uomini di scienze e cultura. . Lo storico palazzo medievale secondo alcune voci popolari sarebbe stato una delle dimore del Pontano , mostra nella sua corte  interna di palazzo una antica statua di un dio fluviale che incredibilmente somiglia in maniera impressionante ad altre statue presenti in città come il Corpo di Napoli (il dio Nilo) o quello del Sebeto, il mitico fiume napoletano rappresentato sulla fontana di Mergellina in largo Sermoneta.

Il Dio fluviale è però incredibilmente incastato con il suo busto  sul tetto di un bagno abusivo  e come se non bastasse  nella parte che oggi si trova sotto al bagno, è presente anche  una fontana, con un’iscrizione in latino, e un’immagine incisa nel marmo, che raffigura San Lorenzo. La scritta sulla lapide tradotta recita:” io vi offro acqua ma se volete del buon vino , il padrone di casa ve ne darò in abbondanza”

Via Carbonara :

Questa strada deve il suo strano nome al fatto che in epoca medievale , esso rappresentava era il luogo  dove i napoletani scaricarono per secoli le immondizie  e tutti i rifiuti che andavano poi inceneriti . Bisogna ricordare che nel medioevo era consuetudine in tutte le città ,bruciare i rifiuti fuori le mura cittadine e Via Carbonara a Napoli , era il luogo in cui i rifiuti erano dati alle fiamme.

Esso , era anche  il luogo in cui in epoca angioina  si tenevano cruenti combattimenti tra uomini che si sfidavano  ad armi bianche fino all’ultimo sangue . I combattimenti  si svolgevano secondo il modello  degli antichi giuochi dei gladiatori , ed al cospetto spesso , si dice , della giovanissima regina Giovanna e di suo marito Andrea d’Ungheria.

Erano questi spettacoli sanguinosi e mortali che spesso finivano in modo macabro . I lottatori combattevano infatti con le loro armi bianche fino a quando uno dei due non moriva e non era raro vedere uno di loro soccombere perchè sgozzato da un pugnale o morire sanguinante con le budelle totalmente esposte . Per interrompere i feroci combattimenti dovette addirittura intervenire   con una bolla  Papa Giovanni XXII.

Egli nel tentativo di fermare quell’orrendo spettacolo ,  aveva vietato con una bolla quei terribili  giochi, pena la scomunica per lottatori e spettatori, ma nonostante tutto i giochi erano continuati e così, per non far brutta figura ,  su proposta dell’Arcivescovo di Napoli, il successore  Papa Benedetto XII levò le scomuniche già nominate e sospese la proibizione dei giochi .Questi furono poi banditi con successo solo mezzo secolo più tardi col re Carlo di Durazzo.

I giochi venivano chiamati ” gioco della Carbonara ” e questa potrebbe anche essere una delle ipotesi sulle origini del suo strano nome .

VIA DEL BRAVO :

pare che il nome derivi da gente di malaffare

 

VIA BRECCIE A SAN ERASMO :

il nome deriva dalla pavimentazione della strada  che in napoletano si dice vrecce

 

VICO CAMPAGNARI :

il nome del vico deriva dal fatto che nelle vicinanze esistevano fonderie di campane.

 

Via Mezzocannone :

Questa via nel passato non era era cosi’ spaziosa come lo e’ attalmente e non si chiamava mezzocannone , bensi’ Fontanula o Fontanola ,perche’ nel luogo vi era una piccola fontana  che verso la fine del 400  fu sostituita da una fontana piu’ grande che , oltre ad essere provvista di una vasca, era ornata da una statua .Questa statua raffigurava un uomo basso e tozzo ritto in una nicchia scavata nel muro , al di sopra della vasca che accoglieva l’acqua sgorgante da un cannello sottostante la statua .
Per il popolino che ancora oggi chiama un uomo di bassa statura ” o miez ommo “, la statua divenne ” o miez ommo d’o’ cannone ” intendendosi per cannone , il cannello della fonte che oggi in dialetto e’ chiamato ” cannuolo ” ma che a quei tempi era detto cannone .
Via Fontanola non fu piu’ chiamata in tal modo , perche’ tutti ormai l’ indicavano come la via ” d’ o’ miez ommo d’o ‘ cannone ” che poi per brevita’ divenne ” d’o miezo cannone”.
Dalla fontana derivo’ anche il titolo di ” o rre’ e miezo cannone ” perche’ nella statua il popolo volle ravvisare i tratti di re Ferrante d’Aragona .
Tale convinzione fu, probabilmente originata dall’ iscrizione sulla fontana che diceva : questa , costruita per ordine di re Ferrante .
La statua , gia’ per se stessa sgraziata , rosa dal tempo e dall’ umidita’ assunse un aspetto a dir poco , miserevole.
Quindi per chi si dava delle arie , nonostante le proprie precarie condizioni , oppure spavaldamente ostentava una importanza che non aveva si diceva ironicamente : “me pare o’ ree’ e miezo cannone “.
Durante il risanamento della citta’ la fontana fu rimossa ed alla strada ampliata e rinnovata , rimase il nome italianizzato di mezzocannone .

 

 

Vicolo del Cerriglio

Questo è sicuramente il vicolo più stretto di Napoli..  L’origine del suo nome è ancora oggi  avvolto nel mistero: secondo alcuni deriverebbe dal gruppo di querce, “ceriglie” in napoletano, che un tempo delimitavano l’antico quartiere medievale. Come se non bastasse, a questa specifica strada è legata una vicenda storica molto precisa.

Fin dal 1300, infatti, in tale località sorge una locanda denominata per l’appunto: locanda del Cerriglio. Questa taverna era frequentata da personaggi illustri come Micheangelo Merisi, detto il “Caravaggio”.  Il pittore, la notte del 24 settembre 1609, venne aggredito da quattro sicari. Molto probabilmente, gli organizzatori dell’imboscata furono i familiari di Rainuccio Tomasoni, l’uomo ucciso dall’artista a Roma a causa di un banale litigio. L’aggressione fu davvero violenta, infatti in un primo momento, si disse addirittura che il Merisi rimase ucciso dalle ferite riportate, notizia che poi si rivelò inconsistente e falsa. 

Molti pensano anche che l’origine toponomastica del vicolo sia legata proprio alla presenza di questa famosa e secolare locanda, ma ancora oggi, come abbiamo detto nessuna delle ipotesi è certa.

Via degli Acquari :

Questa strada che  da piazza Bovio va a Via Sedile di Porto, non deve il suo nome agli abitanti di un particolare segno zodiacale, o alla presenze di vasche in cui si tengono vivi animali acquatici, ma al fatto che in epoca romana ospitò strutture termali  grazie a sorgenti e corsi d’acqua dovuti alla particolare caratteristica del terreno distante pochi metri dalla linea costiera. Anticamente tutta la zona intorno alla Piazza era ricca di corsi d’acqua .

 

Vico Limoncello O dei Spogliamorti

Vico limoncello , che si trova nel quartiere Pendino , nei pressi di Via Anticaglia, ( decumano suoeriore )  ha assunto nel corso dei secoli diverse identità molte delle quali si sono rivelate più coerenti alla sua storia rispetto all’attuale. Per cominciare si parla di“Vico dei Giudei”  poichè accolse il nucleo più antico della popolazione ebraica costretta a spostarsi nel suddetto vicolo a seguito della caduta della città in mano ai Bizantini.
La presenza ebraica nella città di Napoli è di antica memoria; la sua popolazione doveva essere alquanto consistente, dal momento che risiedeva in più aree cittadine. L’attuale Vico Limoncello era dunque una delle tante“Giudecche”della città ovvero, antichiquartieri dove dimoravano gli ebrei. Per un periodo breve fu denominato“vico dei 12 pozzi”per l’evidente presenza di abbondante acqua ma con gli Angioini tornerà ad essere chiamato“dei Giudei”per la consuetudine medievale di restituire ai luoghi i nomi antichi più che per la presenza degli ebrei che ormai si erano stabiliti altrove. Nel VIII secolo il Duca Sergio I di Napoli fonda proprio in questo vicolo la Chiesa di San Gennaro Spogliamorti. L’edificio venne affidato ad una congrega che aveva il compito di spogliare i morti dei loro averi e di rivenderli al mercato, da qui il quartiere ebraico della città assunse un ulteriore denominazione e venne conosciuto come“degli Spogliamorti”.
Le vicissitudini di questo luogo di Napoli hanno profondamente segnato l’attuale vico limoncello, specchio di una storia oscura e tormentata mentre, per quanto attiene all’ultimo toponimo attribuitogli non esistono fonti certe che ne spiegano le ragioni.

 

VIA VICINALE AGNOLELLA :

era la zona dove si coltivava in città il baco da seta che veniva appunto indicato con il nome di Agnulillo.

 

VIA AGOSTINO ALLA ZECCA:

il toponimo deriva dalla chiesa di San Agostino alla Zecca

 

VIA ALABARDIERI :

il nome deriva dalla presenza un tempo della caserma degli Alabardieri i quali formavano un corpo speciale che soleva scortare i sovrani borbonici.

 

VIA ( VIALE ) ALDEBARAN

è invece solo il nome di una stella

 

VIA ALTAIR :

si riferisce alla stella della costellazione dell’aquila

 

VIA ANTICAGLIA :

prende il nome da due archi di epoca romana

 

VIA ARENACCIA :

il nome deriva dal fatto che la strada , fangoso torrente in caso di pioggia, diventava deposito di arene in tempo di siccità

 

VIA ARENELLA :

La via prende il nome dalla arene che vi lasciano i torrenti delle acque piovane che calano dal monte dei Camaldoli.

Secondo molti l’origine del nome Arenella deriva dalla designazione che molti attribuivano ai detriti arenosi provenienti dalla collina dei Camaldoli trasportati dall’acqua piovana che si depositavano nello slargo poi mutato in Piazza. Essa pertanto costituisce una delle quattro arene di Napoli , insieme all’Arenaccia, all’Arena alla Sanità e all’Arena Sant’Antonio che accoglievano le acque dal sovrastanti monte camaldolese.

Il luogo, essendo isolato e molto scosceso, rimase, fino al ‘900, privo d’insediamenti di rilievo . Inizialmente costituita da una grande area di campagna , l’intera zona con  la presenza di poche vecchie case rurali ,  vide inizialmente la sola presenza di casali ed orti con isolati contadini   che lentamente aggregatisi  tra loro portarono al   sorgere di due principali nuclei abitativi : il villaggio Arenella e le Due Porte a  cui si accedeva tramite  sentieri in aspra salita, percorsi perlopiù a dorso d’asino .Erano inoltre presenti poche solitarie ville nobiliari ( case signorili di campagna ) sorte dal ‘600 in poi ad opera di notabili napoletani, come dimore di villeggiatura.

Analogamente a tutte le periferie extraurbane , l’Arenella  venne infatti promossa insieme a tanti altri villaggi agricoli ,a partire dal XV secolo , a luogo di villeggiatura  di molte  famiglie aristocratiche . La larga prevalenza di braccianti contadini e le piccole comunità di artigiani e commercianti insieme   all’aria salubre e le varie attrattive naturali  resero i villaggi in quel tempo , un delizioso luogo dove riposarsi lontano dalla caotica vita cittadina nonchè un fresco luogo dove rifugiarsi dall’afosa temperatura estiva del centro città.  Molte famiglie nobiliari costruirono pertanto le loro dimore estive proprio in questi villaggi agricoli alla larga da caos , e calura.

 

Via Nuova degli ARMIERI :

in questa via si trovavano  fino a tutto il rinascimento , le botteghe degli armieri

 

Via Nilo :

Questa via , insieme all’omonime piazzetta , presente nel decumano inferiore, deve il suo nome alla statua del dio Nilo , eretta dalla comunità egizia alessandrina che duemila anni fa era residente  con abitazioni e botteghe in questo punto della città,. Essi edificarono  tale monumento in memoria della loro patria lontana. Gli  napoletani quando scoprirono  la  statua  , credettero  di identificarla nel  ” corpo di Napoli ” donde il nome ancora oggi rimastole . La scultura, ha subito nel corso dei millenni varie “peripezie” sparendo per un certo periodo nel XV secolo, perdendo la testa nel XVII secolo (poi ricostruita dagli amministratori dell’epoca); malgrado tutto oggi la statua è ancora lì dove la vollero gli Alessandrini più di duemila anni fa.

Piazzetta Nilo era anticamente chiamata piazzetta Bisi, dove Bisi stava per ‘mpisi, e cioè impiccati; era quindi la piazza dei condannati a morte che la attraversavano in tristi cortei verso il loro patibolo.

 

Via Cisterna dell’Olio :

Questa stretta via che alle spalle di Piazza Dante  scorre da via Toledo fino a via Domenico Capitelli,  deve il suo nome al fatto che in questo luogo erano conservate nel sottosuolo quattro cisterne per la conservazione dell’olio.

 

Via Carminiello ai Mannesi :

I Mannesi erano costruttori e riparatori di carri, e Carmeniello a Napoli è solo il vezzeggiativo del nome Carmine . Questo per spiegare lo strano nome di questa via . Esso  deriva dal fatto che in questa strada venne eretta, in un periodo imprecisato dell’Alto Medioevo, la chiesa di Santa Maria del Carmine ai Mannesi il diminutivo Carminiello fu usato per le dimensioni modeste della chiesa, mentre l’ altro  toponimo “Mannesi” si riferisce invece a tutta l’area, nella quale lavoravano soprattutto costruttori e riparatori di carri.

 

Via Calascione:

Questa strada era anticamente conosciuto come ” ‘o dujie centesime”, dalla entità del dazio da pagare per attraversarlo nel punto di congiungimento alla Rampa Caprioli che sbocca in Via S. Maria a Cappella vecchia e giungere rapidamente a Piazza dei Martiri e al mare di Via Caracciolo.

Il nome Calascione invece è forse da attribuire al popolare strumento musicale Calascione molto utilizzato in città , che veniva spesso usato in accompagnamento alle varie melodie , nel VII secolo. E’ per intenderci quello strumento con un manico lunghissimo con cui la maschera Pulcinella  viene spesso rappresentato nella iconografia popolare . Si tratta di uno strumento molto popolare spesso costruito con legni pregiati e intarsi, con decorazioni in madreperla e avorio .Cadde in disuso a partire dalla fine del XVIII secolo, prima negli ambienti nobili e, poi, anche in quelli popolari, soppiantato da strumeti più moderni.

Probabilmente , secondo molti in questa via vi erano presenti alcune importanti botteghe di costruttori di questo strumento , mentre secondo altri il suo nome lo si deve solo alla residenza in questo luogo del famoso maestro e compositore austriaco Thalberg,

 

Vico  S. Gregorio Armeno :

 Questo è sicuramente il vicolo della nostra citta che tutti conoscono . Possiamo addirittura azzardarci nel dire che è forse il vicolo popolare più  famoso  e   nota in tutto il mondo per la sua  presenza di botteghe dove bravi artigiani costruiscono ogni giorno meravigliosi pastori e presepi, Essi tramandano di generazioni in generazioni , una tradizione che ha origini antichissime in questo luogo ;: esisteva infatti nella stradina un tempio dedicato a Cerere, dea romana della fertilità, alla quale i cittadini offrivano come ex voto delle piccole statuine di terracotta, fabbricate nelle botteghe vicine.

Lungo via San Gregorio troviamo il complesso di San Gregorio Armeno composto dalla chiesa e dal monastero con chiostro che prende il nome dalle spoglie del santo trasportate nella chiesa dalle monache armene riparate in Napoli per sfuggire alla persecuzione degli Inoclasti .
In questo edificio vivevano le monache di clausura del convento che nel tempo divennero sempre piu’ numerose . Questo porto’ alla necessita’ di costruire un piu’ ampio monastero sul lato opposto della strada . Le due strutture  furono poi congiunti dal cavalcavia tuttora esistente  che nel XVII secolo venne sormontato dal campanile della chiesa . Se ponete attenzione vedrete che si tratta di quel caratteristico campanile presente in fondo o al vicolo posto a cavallo  nel suo sbocco su via San Gaetano che univa il convento di San Gregorio con il dirimpettaio convento di San Pantaleo.

Da uno scalone sulla nostra destra si può accedere al convento tutt’ora abitato da suore  e ammirare il bellissimo chiostro ricco di agrumeti , e giardini ben curati, al cui centro si trova una grande fontana marmorea barocca  affiancata da due grandi sculture  a grandezza naturale che raffigurano Cristo e la Samaritana.

Il  Vicolo di San Gregorio Armeno deve il suo nome alla chiesa omonima che è una delle più antiche di Napoli.

 

 

Vico Santa Maria delle Grazie a Toledo:

è da anni uno dei vicoli più colorati del centro storico . Esso è stato nel tempo soprannominato  il “Vicolo dell’Amore”, per le strofe di canzoni di Pino Daniele e altri cantautori impresse su striscioni e cuori in polistrolo, appesi dai vari commercianti  .
Grazie a questa sua folkloristica immagine è stato in questi anni un vicolo immagine della cultura e dell’ospitalità  partenopea, “postatissimo” sui social  che ha finito per catturare  l’attenzione anche dei stilisti  Dolce & Gabbana , oltre che di registi di film, cortometraggi e spot pubblicitari.

Oggi  il vicolo è diventato uno dei luoghi simbolo  della città per il suo fastoso ed anche esagerato folklore ma anche  meta di tanti turisti   che vogliono immortalare il loro amore in una foto a Napoli .Sui muri del vicolo vi sono impressi molti messaggi e frasi di innamorati  hanno bisogno di urlare al mondo il loro amore , esattamente come accade nei muri adiacenti alla casa di Giulietta a Verona, ma anche sul Ponte Milvio di Roma.

 

Via ponte di Tappia

è la prosecuzione di via dell’Incoronata, ma anticamente quest’ultima proseguiva oltre via Guantai Nuovi verso via Toledo col nome di vico del baglivo Uries, la strada in cui nacque Enrico De Nicola   e detta così perché il magistrato Carlo Uries,baglivo dell’Ordine Gerosolimitano e reggente di Carlo V , vi costruì nel 1533  il proprio palazzo.

Oggi la strada in questione, il cui toponimo era uno dei più antichi di Napoli (lo si attesta infatti sin dal 1667 , non esiste più perché cancellata dal nuovo reticolato nonché dalla nuova cortina di palazzi.

 

Via Argine

oggi è una delle strade principali del quartiere Ponticelli, situato nella zona orientale di Napoli. Comune autonomo fino al 1925, oggi insieme ai quartieri Barra e San Giovanni a Teduccio, forma la VI Municipalità della città.
Il toponimo indica la posizione della strada che correva parallelamente, come un argine appunto, ad un torrente che trasportava a mare le acque del monte Somma.  Probabilmente in origine via Argine non era altro che un tratturo di campagna che attraversava i vari fondi agricoli.

Purtroppo oggi di Via Argine resta solo un lungo stradone trafficato che attraversa un’area destinata totalmente alla produzione industriale e dedita all’economia. Come dovrebbe accadere anche per altri percorsi cittadini, dovrebbe essere valorizzata di più dato che costituisce, come abbiamo visto, un enorme e prezioso documento storico.

Ponticelli, non è stato sempre un quartiere di Napoli ma ha avuto una sua storia ed una sua importanza. Frequentato già in età romana, come si evince dalle evidenze archeologiche (villa del patrizio Caius Olius Ampliatus), è dall’età medievale (XI secolo) che si hanno le prime notizie su “Ponticello“, un piccolo agglomerato di case rurali con i fondi coltivabili. Col tempo si formarono due siti urbani diversi, “Ponticello grande” e “Ponticello piccolo” che andarono a fondersi in un unico villaggio definito “Ponticelli”: “Sotto gli Angioini erano due villaggi contigui, uno detto Ponticellum magnum, e l’altro Ponticellum piczolum. Dopo gli Angioini di questi due casali se ne formò uno solo, ”

 

Vico Gavine :

il suo nome deriva probabilmente dai numerosi gabbiani detti in vernacolo ” gravine “che affollavano il luogo , un tempo  spiaggia .

Vico Fontanelle alla Zabatteria  :

 La Zabatteria era un tempo la zona dei ciabattini (dall’arabo cabata modificato in zabata) i quali adoperando  il pellame per eseguire i loro manufatti, si servivano per eseguire il loro lavoro di alcune piccole fontane presenti in zona.

 

Via dei Vergini:

Il nome deriva da una fratria religiosa greca, quella degli EUNOSTIDI , formata da uomini ” vergini “dediti alla temperanza ma sopratutto alla castità.

Alla base del credo di questa comunità vi è, tra storia e leggenda, la suggestiva vicenda di Eunosto, un affascinante giovane, vittima del corteggiamento insistente e aggressivo di Ocna. La fanciulla sentendosi ferita nell’orgoglio e nel tentativo di vendicare il rifiuto subito aveva indotto i suoi fratelli ad uccidere il bel giovane convincendoli, ingiustamente, di essere stata vittima di uno stupro. Scoperta la verità, i due furono arrestati, Ocne si tolse la vita e i cittadini dedicarono un tempio al povero e innocente Eunosto.

 

 

Via Forcella:

un tempo chiamata via Forcillense o Ercolanese  è una delle strade più popolate ed antiche del centro storico di Napoli .Esso anticamente era un quartiere dove si trovavano  un Ginnasio ,  il Tempio di Ercole  e numerose terme ( per cui fu detta anche termense ) . Erano molto famose alcune gare che si svolgevano in questo quartiere :in un vicolo detto Lampadius , corrispondente all’attuale vico della Lace .  Si trattava delle famose lampadoforie , consistenti in delle corse con  le fiaccole  che si svolgevano in onore di Partenope .

Il suo nome è da attribuire alla forma che la via assume, diramandosi ad un certo punto creando un bivio a Y, che somiglia proprio ad una forcella come compare nello  stemma del seggio (o sedile).

La  forma di Y, era un simbolo che richiamava l’emblema della scuola di Pitagora, al tempo presente nella zona. 

Il nome di Forcella è legato ad un modo di dire molto usato nel parlato napoletano: “S’arricorda ‘o cippo a Furcella” è un’espressione che ammonisce l’utilizzo di qualcosa di antiquato e obsoleto, perché fuori uso e non a passo con i tempi. Ebbene, sembra che il famigerato cippo starebbe ad indicare proprio un qualcosa di vecchio quanto l’antica Neapolis!  Si riferisce infatti al gruppo di grandi pietre, il cippo, delimitate dall’alto cancello circolare che si erge di fronte al teatro, risalenti molto probabilmente al III secolo a.C, e facenti parte delle antiche cinta murarie di epoca greca.

Via Donnaregina :

 E’ chiamato cosi’  grazie alle donazioni della regina di Napoli Maria d’Ungheria. che permise di costruire  un complesso conventuale dotato di una chiesa (Santa Maria Donnaregina Vecchia).
Agli inizi del Seicento proprio dinanzi alla chiesa Vecchia venne costruita quella Nuova con lo scopo di riservarla alle monache clarisse costituendo in questo modo un unico grande complesso monastico di Donnaregina, formato per l’appunto dalla Vecchia e la Nuova chiesa, entrambe direttamente collegate tra loro tramite le rispettive zone absidali

 

VIA DEGLI ASTRONI:

ci sono in questo caso varie ipotesi sull’origine di questo toponimo .La prima , quella che si riferisce a STRUNIS ( sturnis ), sarebbe collegata a l’abbondanza nel luogo di tali uccelli , mentre secondo altri sarebbe da attribuire alla pianta locale STRUBIS . Altri pensano addirittura che derivi da Strioni , stregoni , o persino al ciclope Sterpe.

 

VIA LANZIERI :

Questo era il luogo dove anticamente si fabbricavano lance per soldati

 

VICO ACCIMATORI

il nome deriva da i cimatori di lana

 

VICO DEGLI SCOPARI

E’ così chiamato perchè un tempo nel luogo di vendevano scope di saggine, ventagli da fuoco e altro

 

VICO SBREGLIE :

così chiamato perchè forse nel luogo vi era un deposito di sbreglie ( sono le foglie esterne della pannocchia di granturco che venivano usate per riempire i materassi

 

Vico dei Giubbonari :

era il luogo dove erano riuniti gli artigiani che fabbricavano i giubboni

 

VIA CAPODICHINO :

era l’antica strada che dalla città conduceva a Capua e Benevento . Essa una volta giunta alla collina , nel punto più alto prendeva il nome di CLIVIO . Arrivati poi al crinale si chiamava CAPUT DE CLIVO.

Nel 1812 re Gioacchino Murat, per rendere piu’ facile il raccordo della citta’ con le strade di Caserta ed Aversa ,sulla via di Roma, ordino di’ costruire una strada che da Via Foria arrivasse alla sommità del colle di Poggioreale .
La strada, ampia e con larghi tornanti, fu chiamata Via del Campo perche’ terminava al Campo di Marte ( oggi aeroporto ) il quale era adibito all’ esercitazioni militari.
Prima della costruzione di questa strada per arrivare a Capodichino ( il nome deriva dall’ originale < caput de clivi > bisognava superare l’aspra salita che comincia da Piazza Ottocalli, chiamata, come tutt’ora e’ chiamata,Calata Capodichino , oppure percorrere la strada Nuova di Capodimonte da poco ricostruita.
Sebbene meno ripida questa strada era, in cambio,molto piu’ lunga e sboccava alla fine di Secondigliano, quindi non conveniente per coloro che dalla citta’ dovevano raggiungere i casali ed i villaggi della zona casertana .
Normalmente , si preferiva la via piu’ breve, anche se piu’ difficile, tanto piu’ che si poteva contere sull’aiuto dei < bilancini > che si trovavano sul posto.
Ai piedi della salita, infatti c’era, come nelle stazioni di posta, un servizio di cavalli ( ed anche di buoi ), nel caso che si doveva trainare un carro pesante uno o due dei quali, secondo il bisogno , venivano attaccati con tirelle davanti al veicolo che era trainato fino al termine della salita.
Piazza Ottocalli era dunque la sede di questa stazione di posta che diede origine al nome della localita’, origine della quale, si hanno due versioni diverse.
La prima afferma che, siccome nella piazza c’erano sempre 8 cavalli di posta , questi per corruzione di parola divennero 8 calli ; a sostegno di questa tesi si fa presente che i carrettieri la parola – cavallo – la pronunciavano caallo .
Per la seconda versione, la piu’ attendibile, bisogna premettere che nell’ epoca borbonica tra le monete come i Ducati, le piastre, i carlini, i tornesi e la grana c’erano anche delle monetine chiamate < cavalli> perche’ sopra una faccia di queste c’era, appunto, inciso un cavallo.
In una certa epoca e per un certo spazio di tempo la tariffa per il servizio di traino lungo la salita era di 8 cavalli, quindi siccome queste monetine erano comunemente chiamate < calli > , il luogo del servizio di posta divenne la piazza degli ” otto calli “.

calli-3 calli

 

VIA CAPODIMONTE :

E’ una denominazione medioevale CAPUT DE MONTES

In passato raggiungere la zona di Capodimonte era abbastannza difficile .Proveniendo dal centro della città per raggiungere la zona collinare di Capodimonte si diveva infatti necessariamente passare per  il rione spesso afflitto dal terribile fenomeno della ” lava dei vergini ”

Fu questo il mtivo che Giuseppe Bonaparte, nel brevissimo tempo che fu governante della nostra citta decise di far costruire una nuova strada che nelle sue intenzioni vrebbe unito la Reggia di Capodimonte e il centro di Napoli,

N.B. I lavori da lui iniziati a inizio Ottocento e continuarono poi  con Gioacchino Murat.

La  strada che inizialmente si chiamava Corso Napoleone  venne costruita per facilitare il percorso  dei borghesi e dei reali  che dal centro della città si spostavano verso la Reggia di Capodimonte. Questo percorso infatti all’epoca costringeva  risultava particolarmente tortuoso, in quanto costringeva le carrozze a percorrere il rione sanità e  per questo si ritenne necessaria la costruzione di un collegamento diretto,

La costruzione della strada comporto’ la costruzione di un ponte ( Ponte “Maddalena Cerasuolo”Intitolato nel 2012 alla partigiana che lo salvò dalla distruzione ).

Il risultato in termini di viabilità fu notevole, ma fu disastroso per il quartiere, che iniziò via via ad essere tagliato fuori dalla vita della città, pur essendo così vicina. Non solo, la costruzione del ponte provocò l’abbattimento del chiostro principale della Basilica di Santa Maria della Sanità e deturpò il chiostro minore.
L’isolamento ha fatto sì che il quartiere vivesse sempre più per sé stesso, con pochi scambi con il resto di Napoli. Questo ha causato, nei casi più gravi, situazioni di degrado e criminalità che hanno portato alla sua ghettizzazione.

 

VIA PONTI ROSSI :

ll nome deriva dagli archi  superstiti in mattoni rossi del grandioso acquedotto fatto costruire da Augusto che coprendo un percorso di 92 Km , convogliava le acque del Serino a Napoli e a Baia dove serviva al rifornimento della flotta di Miseno.

La sinuosa strada che congiunge la parte alta e boscosa della città con la parte bassa e più densamente popolata e cementificata del capoluogo partenopeo, si chiama in questo modo perchè nel passato ha ospitato un tratto dell’acquedotto di epoca claudia in tufo e laterizi rossi, i cui resti sono tuttora visibili non lontano da piazza Carlo III.

L’opera in mattoni rossi  ancora oggi in parte visibile, era uno dei poche tratti all’aperto dell’imponente acquedotto che fu costruita nel I secolo d. C., per volontà dell’imperatore Claudio, sia per assicurare un adeguato apporto idrico alla regione sia per consentire l’approvvigionamento del porto commerciale di Puteoli.

In tutto, l’acquedotto copriva una lunghezza di circa centodieci chilometri. La struttura fu costruita quasi interamente sottoterra, molto spesso in gallerie scavate direttamente nel tufo, solo in alcune parti usciva all’aperto proseguendo su arcate. Alcune di queste sono ancora oggi visibili, come quelle appunto dei Ponti Rossi con i suoi archi di tufo rivestiti di mattoni rossi. L’acquedotto fu però totalmente distrutto da Belisario, illustre generale inviato dall’imperatore Giustiniano a metà del 536 d. C. durante la guerra greco-gotica. Per obbligare Napoli alla resa il guerriero bizantino lo distrusse e riuscì ad assediare la città.

Essa è  una delle strade più lunghe di Napoli e con i suoi 2.5 km, si estende  dalla collina di Capodimonte fino a scendere giù a valle nella zona dell’Arenaccia,

Nel Medioevo, questa zona era chiamata “la vela”, poi prese il nome di “campo dei nostri”, poi di “archi di mattoni” e infine dei Ponti Rossi per il motivo che abbiamo spiegato.

 

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VIALE COLLI AMINEI :

I Colli Aminei che portano verso Capodimonte o  volendo verso il centro della città era in passato una zona  ricca della  vite aminea dalle quali si estraeva un pregiato vino assai celebrato nell’antichità classica .

Ai Colli Aminei , sorgeva un tempo , nella zona dove ora esiste il “parco del Poggio ” un grosso mausuleo funebre detto ” la connocchia “, andato distrutto nel 1965. Esso era situato all’imbocco della salita ” lo scudillo ” , un suggestivo stretto e ripido strada  tufacea di epoca romana che partendo dai colli aminei  conduceva direttamente al rione Sanità all’altezza dell’Ospedale San Gennaro . La strada ,stretta e con forte pendenza ,  come accennato, pare esistere, con il nome di “Scutillum”, già dai tempi dei romani, tanto che lì c’era l’antichissimo mausoleo della Conocchia (un colombario del primo secolo distrutto nel 1965 per speculazioni edilizie, che era meta di molti visitatori stranieri nel corso dell’800). Ma il nome dello Scudillo potrebbe anche fare riferimento al fatto che questa piccola via, utilizzata per secoli come collegamento fra la parte alta della città, che era campagna, e quella vivace dei mercati del centro, era “scura”, ombreggiata da alberi e costoni di tufo. In ogni caso questa salita scavata nella roccia, anche per la sua veduta panoramica, venne scelta nel Settecento come residenza di molte nobili famiglie napoletane, e non a caso lì si trovano ancora oggi palazzi bellissimi come Villa Domi o il Convitto Pontano.

N.B. Oggi purtroppo l’antica vite” aminea “, ovvero amena ,è del tutto scomparsa  scomparsa con l’eccessiva urbanizzazione dell’intera zona.

 

VIALE CAMPI FLEGREI :

Il nome significa campi bruciati dal fuoco ( dal greco flego = brucio )

I campi flegrei ovvero i campi ardenti della terra dei fuochi (secondo gli antichi greci ) si identificano con quella porzione di territorio campano che si estende dalla punta di Posillipo ( cinta dalla collina dei Camaldoli ) fino alla piana di Quarto e lungo la Domiziana fino alle sponde del Lago Patria.

L’immagine che gli antichi avevano dei Campi Flegrei doveva inizialmente essere terrificante e meravigliosa al tempo stesso. I vulcani con le loro lingue di fuoco che alte sembravano lambire il cielo, le sorgenti termali che sgorgavano ovunque e i laghi scuri circondati da fitte e inesplorate foreste  erano proprio il luogo ideale dove immaginare potessero risiedere tutti i loro miti e le loro credenze e far vivere le loro leggende.
Il luogo per il suo misterioso fascino era quanto di meglio si prestava per immaginare ed intrecciare storia, miti e leggende.
Furono i navigatori greci di ritorno dai loro viaggi di esplorazione a narrare di aver visto e poi descrivere con il nome “terra dei fuochi” questo straordinario luogo ed i suoi paesaggi fatti di colonne di fumo, di vulcani ardenti, e di lingue di fuoco alte nel cielo che con il loro riflesso nel mare rendevano le acque vicino la costa inquietanti e misteriose.

Molte delle leggende hanno quindi trovato il luogo ideale dove ambientarsi e numerose memorie storiche, artistiche e letterarie hanno di conseguenza trovato casa nel mondo fiabesco della terra flegrea. Ancora oggi possiamo ammirare impressionanti manifestazioni fumaroliche presso la solfatara di Pozzuoli, un vulcano dal cratere ellittico che risale a circa 4000 anni fa che è anche l’unico dei Campi Flegrei ancora attivo.

Nel secolo scorso i campi ardenti divennero per i viaggiatori una tappa fondamentale di quel Grand Tour ottocentesco del programma di formazione a cui si doveva attenere qualsiasi europeo che si vantasse di essere colto e viaggiatore poichè solo in questo luogo egli poteva trovare immediato riscontro fatto dai suoi studi sui poemi e sui classici latini e greci.

La maggior parte dei luoghi sono ambientati intorno alle figure di Ercole, Ulisse Enea e Virgilio. Il primo per la costruzione della famosa via Herculanea, cioè la diga artificiale tra il Lago di Lucrino ed il mare fatta in occasione del suo passaggio con i buoi presi a Gerione (decima delle dodici fatiche a cui l’eroe fu condannato). Il mito di Ercole fu molto radicato nel territorio e molte località legarono il suo nome a quello dell’eroe: Bacoli (vacua = terra incolta e deserta; boaulia = stalla di buoi, venne cosi’ chiamata in ricordo della sosta di Ercole con gli armenti sottratti a Gerione) mentre Ercolano secondo leggenda pare sia stata fondata proprio da Ercole ( Hercolaneum ,cioe’ la greca Herakleion ).

La figura di Ulisse è invece legata sopratutto ai nomi di Baia e Miseno, i due suoi sciagurati compagni seppelliti nei luoghi che hanno poi dato il nome alle due località.
Ma se non bastasse, sembra che Nisida sia l’isola delle capre narrata da Omero e l’isola di Scheria pare corrisponda alla bella Ischia.

Enea è invece il protagonista assoluto del Lago d’Averno, identificato dagli antichi come lo specchio d’acqua che tutti credevano celasse la porta di ingresso agli inferi.
In questa zona si trova anche il luogo dei vaticini della Sibilla che come cita Virgilio nell’Eneide ( libro VI) fu visitato da Enea nella speranza di conoscere il proprio destino per mano della Sibilla Cumana da lui consultata.

Il luogo ricco di paura e mistero dove non potevano volgersi in volo gli uccelli, era anche il luogo delle misteriose grotte abitate dai Cimmeri e della inestricata e inesplorata foresta sacra dedicata a Proserpina.

Virgilio è in assoluto il personaggio che più di ogni altro ha magnificato il luogo scegliendolo quale protagonista assoluto dove ambientare l’intero VI libro della sua opera.
Il Tempio di Apollo a Cuma con le sue gigantesche porte in oro, la leggenda di Dedalo, la Sibilla ed i suoi vaticini, il mondo dell’Ade e la porta degli inferi trovano con il poeta la loro definita consacrazione.

I Campi Flegrei sono luoghi non solo ricchi di leggende ma anche di storia, in particolare di Roma e molti famosi personaggi romani hanno legato le loro vicende a questo luogo: Agrippina, Annibale, Cesare, Nerone, Cicerone, Lucullo, Caio Mario, Augusto, Caligola, Pompeo, Domiziano e tanti altri possedettero qui sfarzose ville.

Tra queste primeggiava quella del dittatore Caio Mario, poi acquistata da Lucullo, dove morì, nel 37 d.C., l’imperatore Tiberio, ma non si può dimenticare quella di Cornelia, figlia di Scipione l’Africano.

Fu una località molto ambita dalla nobiltà romana, famosa per il suo  clima mite, la bellezza del paesaggio, il verde delle sue colline e le sue acque termali: tutto il litorale e le colline circostanti furono luogo di insediamento di sontuose ville di patrizi romani per i quali divenne segno di prestigio e di affermazione sociale possedere una villa per esempio a Baia, considerata all’epoca il luogo più bello del mondo ed il più ambito per passarvi l’estate.
Tutta la zona venne frequentata dai personaggi più in vista della capitale e questi luoghi diventarono di conseguenza occasioni di incontri politici e di affari oltre che di cultura, lussi e lussuria.

 

Via o Gradoni di Chiaia :

il nome deriva da PLAYA ( spiaggia )

Via Chiaia , il cui nome e’ una corruzione di ” Plaga” in origine era  infatti un alveo che convogliava verso il mare le acque discendenti dalle circostanti colline.
Il nome Chiaja prende quindi  origine da ‘ Plaja ‘, ovvero spiaggia .
Ai tempi romani , venne prosciugata e spianata , e divenne parte integrante della strada di comunicazione con Pozzuoli.
Diventata poi un borgo , rimase fuori le mura fino al 1563 fino a quando, con lo spostamento della Porta di S. spirito , che stava nei pressi di Palazzo Reale , la strada entro’ nella cinta urbana , ma il territorio era e rimase zona di pescatori , dalla Vittoria fino a Mergellina , fino a quando , dopo l’abbattimento della Porta di Chiaia e l’inaugurazione della Villa Comunale , la zona comincio’ a mutare rapidamente aspetto.
La via all’epoca ,separava come una grande spaccatura le colline di San Carlo alle Mortelle e di Pizzofalcone , motivo per cui il vicere’ Emanuele Guzman , conte di Monterey , fece costruire nel 1636 ( a spese degli abitanti ) un ponte ancora oggi presente ( in largo Santa Caterina ) per unire i due versanti delle colline proprio in prossimita’ dell’ antica Porta di Chiaia , demolita per ordine di Ferdinando IV nel 1782.
Il ponte , visibile a meta’ strada , oggi munito di un ascensore di collegamento a Monte di Dio fu poi ricostruito e trasformato da Ferdinando II nel corso dell’ottocento.
Il cavalcavia viene inglobato in un impianto ad arco di trionfo , decorato in bassorilievo con due lapidi murate che ne ricordano la costruzione e la ristrutturazione .
Dopo l’unita d’ Italia lo stemma borbone viene sostituito naturalmente con le insegne Savoia .( come tante strade e luoghi hanno dovuto cedere loro i storici nomi anche il ponte ha dovuto cedere lo stemma a coloro che nulla hanno fatto per costruirlo e ristrutturarlo ) .
Nella seconda meta’ dell’Ottocento e nei primi anni del novecento grazie alla presenza di palazzi nobiliari e negozi eleganti , la strada divenne ritrovo dell ‘alta aristocrazia e della borghesia napoletana . Divenne un luogo ricco di botteghe eleganti che all’epoca rappresentavano il vero salotto della citta’ .

 

VIA CHIATAMONE :

dal geco Platamon che indica una roccia marina scavata da grotte . L’attuale strada un tempo era piena, di queste grotte scavate per estrarre il tufo o dedicate al culto di Serapide e Mithra.

Furono  antri che per lungo tempo sono stati  teatro di oscuri riti mitriaci e orgiastici propiziatori fino a che il vicerè non vi pose fine con una ordinanza.
Fu infatti il viceré don Pedro de Toledo a ordinare che le gallerie ai piedi del Monte Echia fossero tutte distrutte o murate, salvo poi essere riaperte in seguito per altri motivi come nel caso del cunicolo voluto da Ferdinando II di Borbone per spostare velocemente i soldati di via della Pace a Palazzo Reale.

Il Chiatamone era un luogo di mare e delizia, sabbia e lussuria. Era al tempo detta ‘la Posillipo dei pezzenti ed il luogo dove il popolo, ma anche la nobiltà amava andare a bagnarsi e ricrearsi.
A quei tempi gli edifici sulla strada del Chiatamone affacciavano quasi tutti sul mare e il posto oltre che luogo di soggiorni balneari era celebre anche per le fonti di acqua sulfurea.

L’area del Chiatamone infatti prima dell’ottocento ,dava direttamente sull’arenile e prima della colmata di cemento che la separò dal mare, in questo luogo si estendeva il giardino del Casino Reale , considerato un luogo di delizie perchè tra gli alberi di lecci era ubicata una delle più belle ville neoclassiche risalenti alla metà del settecento: l’antico casino Reale del Chiatamone

 

 

VIA O VICO LORETO :

questa strada che il popolino tutt’oggi chiama ancora ” ò buvero “( il borgo )deriva dalla chiesa ed ospedali dedicati a Santa Maria del Loreto

 

VIA O DISCESA COROGLIO

Il nome “Coroglio” dato alla zona di Napoli immediatamente a ridosso di Capo Posillipo deriva dal termine napoletano “curuoglio” che, a sua volta, ha origine nel latino “corollio” (piccola corolla). Questo era “quel particolare copricapo (cercine o torciglione di panno ) , su cui si trasportavano oggetti pesanti . Probabilmente il nome è stato attribuito per la particolare forma del capo estremo del colle, molto simile ad un panno attorcigliato. Nel giungere a Coroglio , bisogna attraversare una sinuosa e lunga discesa che partendo dall’apice della collina di Posillipo arriva poi fino al mare ed al quartiere industriale .Questa strada è oggi chiamata “Discesa di Coroglio”, mentre tempo fa era anche conosciuta come “Rampa dei Tedeschi”. Questo nome, tramandato dalla tradizione, si deve ad una serie di studi che alcuni archeologi tedeschi svolsero all’interno della grotta di Seiano, raggiungibile dalla discesa, agli inizi dell’Ottocento. Gli studiosi si stabilirono per lungo tempo lungo la strada finendo per “ribattezzarla”. Oltre alla grotta di Seiano presente sotto la collina , nell’ex zona industriale recuperata della città ( polo siderurgico Italsider ) si trova anche la bella struttura della citta della Scienza . Di fronte a Coroglio si trova invece l’isolotto di Nisida

 

SALITA MOIARIELLO :

Il nome deriva da moio che è la dizione dialettale di Moggio , una misura agraria.  Era questo infatti  il luogo anche dove finiva la gabella del vino. Dopo il cancello dell’Osservatorio infatti passati altri duecentro metri, sul muro di un palazzo e’  ancora presente una tabella antica di marmo con scritto “confine della gabella del vino della città e di Napoli” , a significare che da questo punto in poi non si  era piu’ tenuti a pagava la tassa sul vino.

Questo luogo, un tempo grazioso borgo popolare che fungeva da collegamento tra la parte bassa della città’ e la collina di Capodimonte, e’ oggi denominato “Salita Moiariello “.
Il luogo era molto frequentato fino a quando nell’ottocento non venne costruito ad opera dei francesi , il ponte della Sanita’.
Da quel momento l’intera area e’ rimasta un posto appartato e poco frequentato e proprio grazie a questo parziale isolamento dal contesto cittadino che intanto continuava a svilupparsi , possiamo oggi dire che il luogo  ha oggi  ha preservato il suo carattere originale e caratteristico  di un tempo .
Possiamo percorrere infatti questo luogo , in una lunga passeggiata , in strette stradine tra vicoli , piccole e basse case ( vasci ) , e scorci di vedute mozzafiato che danno su stupendi   panorami.L’intera passeggiata che alterna gradini e pavimento liscio fatto di antico basolato, si snoda tra vecchi orti e antichi giardini che oltre a portare  alla Reggia ed al magnifico Parco di Capodimonte, ci porta anche attraverso una piccola deviazione, sulla collina di Miradois, dove è presente l’Osservatorio Astronomico voluto da Gioacchino Murat.

VIA FURLONE A CAPODIMONTE :

cosi detta dal  “Frullone ” un attrezzo conil quale si sceverava la farina dalla crusca

 

VIA PIGNA :

il nome di questa strada deriva dalla presenza un tempo in questa zona di un pino secolare

Via Marzano : 

ex Largo delle corregge, ed oggi Via Medina , rappresenta una delle più importanti strade storiche della città di Napoli. Un tempo era adibita allo svolgimento di tornei, in cui le corregge erano le bardature che si applicavano ai cavalli partecipanti alla gara. Essa annovera in entrambi i lati  molti monumenti e luoghi di interesse artistico-storico di notevole importanza. L’arteria partenopea fu centro di una folta  attività commerciale, diventando il quartier generale economico di mercanti esteri.

 

VIA FERZE AL LAVINAIO :

la denominazione di ” ferze ” si riferisce a strisce di tela ruvide che servivano per separare il materasso dalle tavole di legno . Probabilmente in questa zona si mettevano ad asciugare le ferze dopo averle lavate.

 

VIA CUPOLA DELLE TOZZOLE :

cupa in napoletano vuol dire stradina di campagne mentre Tozzole significa pezzi di pane raffermo . Evidentemente nella zona ci doveva essere uno scarico dove le bestie andavano a raspare per liberare appunto le tozzole

 

VIA FORMALE :

con la voce ” formale “i napoletani indicavano gli acquedotti ed in particolare quelli che portavano in città l’acqua della Bolla

 

 

 Vico Girolamini

Nel medioevo questo vicolo veniva chiamato “San Giorgio ad diaconiam” che poi cambiò in “”vico Cafatino” dalle case dell’omonima famiglia napoletana. La piazza deriva il nome dalla bella chiesa detta “dei Gerolomini” ma intitolata a Santa Maria della Natività  detta anche di S. Filippo Neri.  Su questa piazza affaccia il palazzo Manso dove fu ospitato il Tasso dall’allora proprietario Gian Battista Manso, marchese di Villa. Sempre nella stessa piazza si trovava la casa dove visse il Vico per circa 20 anni,  come ricordato da Benedetto Croce. Sempre nella stessa piazza di fronte alla chiesa si trova il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, dove studiò Giovan Battista Pergolesi; l’attività del conservatorio terminò a metà 700. Sulla piazza si apre anche la Chiesa di S.Maria della Colonna nel suo rifacimento del 1715 che faceva parte del conservatorio. La monumentale chiesa che da il nome alla piazza fu costruita tra il 1592 e il 1609 su progetto di Antonio Dosio, la cupola fu innalzata nel 1650 mentre la facciata  è opera del Fanzago. La chiesa fu ampliata nel 1780 da Ferdinando Fuga che vi aggiunse i due campanili. Questa chiesa contiene tante testimonianze d’arte da poter essere considerata un vero e proprio museo. I padri filippini verso la fine del 500 acquistarono il palazzo Saripandro  di fronte alla cattedrale dove nel 1575 fondarono la famosa biblioteca .

 

I VICOLI DEL LAVINAIO

Nel quartiere Pendino sono presenti tre stradiccioletre dai seguenti nomi: Vico rotto al Lavinaio, vico Colonne al Lavinaio e vico Ferze al Lavinaio. Esse si chiamano così a causa delle lave che scorrevano lungo le mura difensive aragonesi.

O’Lavinaio invece si chiama in questo modo  perchè richiama il termine lave, generalmente usato in quegli anni per indicare il rigoglioso flusso di acqua piovana e fango che che scorreva proprio lungo quelle strade. Queste, infatti, rappresentavano il fossato angioino dove si incanalavano queste lave che erano poi destinate alle spiagge site all’altezza del Castello del Carmine. In seguito, il Castello venne demolito e le acque vennero deviate all’altezza dell’Arenaccia.

In  seguito alla terrorizzante e potente esplosione del Vesuvio nel 1631, il termine Lavinaio è stato poi usato indicare quella  lava fuoriuscente dalle eruzioni vulcaniche del Vesuvio. che era giunta fino in prossimità del luogo ma il  riferimento originario resta sempre quello dei flussi di acqua pluviale.

Esso è stato anche il   primo luogo dove si verificò la terribile peste a Napolidel 1656 che  ebbe conseguenze disastrose  sulla popolazione napoletana (fu una delle più tragiche della storia di Napoli ). Il popolo napoletano venne letteralmente decimato dai quei mali fisici.

Su un totale di 450.000 abitanti, ne morirono ben 200.000. In certe giornate, decedevano circa 20.000/ 30.000 persone. Il tasso di mortalità oscillava fra il 50 e il 60% della popolazione.

L’infezione arrivò su delle navi napoletane di ritorno dalla Sardegna, regno che contrasse la peste dalla Spagna già nel 1652. Dei topi trasmisero la peste a dei doganieri che erano a bordo, e la leggenda vuole che il primo di loro abitasse nel vico del Lavinaio. Lo sfortunato infetto, quindi, tornò nella sua abitazione e intaccò la peste anche a sua madre. Dopodiché, l’infezione si diffuse a macchia d’olio per tutta Napoli.

 

VICO E LARGO SANT’ANTONIO ABATE :

un vero e proprio dedalo di vicoli , occupatp per la maggior parte da mercatini ortofrutticoli dove per secoli si è svolta la chiassosa e colorita vita popolare di questa zona chiamata semplicemente ” ò buvero “( il borgo ) , Essa prende il nome dalla trecentesca chiesa di S. Antonio Abate con annesso ospedale fondato nel 1370 dalla regina Giovanna I d’Angiò . L’ospedale divenne celebre in città perchè curava quello che allora si chiamava fuoco sacro o meglio fuoco di Sant’Antonio . I monaci riuscivano a dare sollievo a questo fastidioso e doloroso herpes con una pomata a base di grasso di maiale che era ritenuto un animale sacro al santo ( IL MOTIVO PER CUI IL SANTO è SEMPRE RAPPRESENTATO CON UN PICCOLO MAIALINO AL SUO FIANCO )

N.B. Il Borgo di Sant’Antonio Abate, anticamente era la Amsterdam napoletana. Un luogo di peccati e perdizione. Soprattutto un luogo dove si praticava la prostituzione sia maschile che femminile, noto col nome di imbrecciata.

Il nome Imbrecciata deriva dal peculiare manto stradale acciottolato che ricopriva i percorsi urbani del quartiere che viene richiamato anche nel  libro “Storia della prostituzione” di Salvatore Di Giacomo.

Ilnome deriva quindi  dai ciottoli con la quale era lastricata la strada, che prendevano il nome di breccia: sassi appiattiti e levigati, utilizzati anche in un gioco antico napoletano.
L’imbrecciata divenne sopratutto in epoca vicereale un  luogo in cui si ritrovano taverne, prostitute, clienti, ladri e balordi.  Tra il XV e il XIX secolo, poi sarà addirittura Ferdinando I di Borbone, a fine ‘700 a consacrare la zona al meretricio attraverso un editto col quale la prostituzione veniva autorizzata e concentrata solo in quella zona.
Ferdinando II, nel 1855, addirittura decise di  costruire un muro nella zona  per isolare i clienti che cercavano piacere e sollazzo, in cambio di denaro.
L’imbrecciata nel borgo di Sant’Antonio ci viene quindi da secoli  tramandata come luogo di perdizione e come luogo pericolosissimo.  Esso possiamo addirittura definirlo come uno fra i primi quartieri a luci rosse del mondo., Si narra fosse il palcoscenico criminale in cui  regnava la violenza di Ciccio Cappuccio, un noto camorrista della zona. Un mediatore che garantiva l’armonia fra le bande rivali e che, manco a dirlo, ovviamente, gestiva il milionario giro di prostituzione. Insomma incarnava la figura classica del ricottaro.
All’interno di questo rione, c’era poi anche un viale tutto frequentato da omosessuali e travestiti, che prendeva il nome di Vico Femminelle. Il vico si chiama, ora, Via Pietro Antonio Lettieri.

N.B. I casini nacquero, in realtà, anche per combattere il dilagare delle malattie veneree conseguenti alla promiscuità scellerata cui il quartiere era abituato, regolandone attività, tariffe, sanzioni e modalità.

L’imbrecciata, era un luogo che all’epoca  godeva  di una notorietà internazionale. Famoso in tutto il mondo  costituiva, infatti, una sorta di meta obbligatoria del peccato per i giovani rampolli nobili o borghesi che desiderassero godersi la vita ed avessero i soldi per permetterselo.
Esso è addirittura  citato anche da Gustave Flaubert, l’autore di Madame Bovary, che visitò Napoli nel 1851 e scrisse: “ Napoli è affascinante per la quantità di donne che ci sono. Un intero quartiere è abitato da prostitute che stanno davanti alle loro porte; è una vera e propria suburra. Quando si passa per la strada, arrotolano le loro vesti fino alle ascelle per mostrarvi il culo, per avere due o tre soldi.” Ognuno si arrangia come può.
Alexandre Dumas padre scrisse, invece, di Napoli: “Un luogo abitato soltanto da donne le quali, vecchie o giovani, belle o brutte, di ogni età e di ogni paese, di ogni condizione, sono buttate lì alla rinfusa sorvegliate come criminali, parcheggiate come gregge, braccate come bestie alla rinfusa.”

CURIOSITA’: A guastare i piani di Ciccio Cappuccio e di tutto il team malavitoso che regnava incontrastato nella zona, è stato lo Stato Italiano, che dopo l’unità d’Italia, nel 1876 inaugura i casini di Stato e termina l’esperienza di prostituzione nel quartiere dell’Imbrecciata.
La prostituzione migrò, dunque, anche in altri quartieri e smise di essere esclusiva del borgo di Sant’Antonio Abate.

Camminando nel ventre di Napoli sarà facile imbattersi in tanti altri vicoli con strani nomi come  Vico del Sole , Vico dei Giganti , Vico del Fico al Purgatorio  , Vico della Pace , Vico delle Zite ,  Vico Storto , Vico Donnaromita , Vico Sanfelice, Via Santa Maria Antesaecula, vico Carlotta, vico Carrette , vico Palma ,  Rua Francesca , e tanti altri ancora

Questi Vicoli talvolta scuri, cupi che trasudano umidità … che puzzano di muffa … dove gli odori, i colori ,ed  i sapori si fondono in una realtà  di degrado mista a  decoro, decenza ed umiltà sono il luogo dove meglio si può trovare  la vera anima di questa città con i suoi suoni e le mille sfaccettature dell’anima genuina partenopea .Su di essi spesso si affacciano ‘e vasci, ossia quelle abitazioni di uno/due vani a piano terra a cui si accede direttamente dalla strada.

Questa è la parte popolare della città con le sue botteghe artigianali, che nonostante tutti i cambiamenti che il mondo sta affrontando continuano a portare avanti le vecchie tradizioni producendo a mano originali capi artigianali che riguardano non solo una locale  oggettistica ma anche raffinati capi sartoriali ben curati e tradizionali  trattorie che magari non avranno nomi stellati ma che hanno dalla loro le ricette tradizionali fatte a regola d’arte di una  cucina che da generazione in generazione, e giorno dopo giorno continua ad avere successo in tutto il mondo .

ARTICOLO SCRITTO DA ANTONIO CIVETTA

 

 

 

 

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