Salvatore di Giacomo nato a Napoli il 12 Marzo 1860 è stato un grande poeta, e sublime drammaturgo e saggista italiano.
Fu autore di molte notissime poesie in lingua napoletana (molte delle quali poi musicate) che costituiscono una parte importante della cultura popolare partenopea.
Figlio di un medico e di una musicista, Di Giacomo frequentò per volere della famiglia la facoltà di medicina, che lascia dopo pochi esami scoprendo la propria vocazione poetica e letteraria. Ben presto comincia a collaborare con riviste e giornali, pubblicando articoli e novelle.
Fu cronista dei maggiori giornali cittadini collaborando alle pagine letterarie dei quotidiani e delle riviste più in voga. Divento’ infatti redattore della pagina letteraria del Corriere del Mattino. In seguito lasciò il Corriere e passò al Pro Patria prima e alla Gazzetta poi. Fu tra i fondatori, nel 1892, della nota rivista di topografia ed arte napoletana Napoli nobilissima
Nel 1893 diviene bibliotecaro, ricoprendo negli anni seguenti tale funzione in varie biblioteche e istituzioni culturali di Napoli .
Da questo momento in poi la sua vita di poeta, di scrittore, di novelliere, di bibliotecario, non ha mai soste, finendo risultate essere nel tempo uno storico di utilissime e dense monografie sul teatro, sui musicisti, sui pittori, sulla poesia e cento altre curiosità napoletane a tal punto che nel 1929 fu nominato Accademico d’Italia.
Autore di novelle, poesie, testi di canzone, di tanti bei lavori teatrali, trasformati anche in libretti per opere liriche, Di Giacomo rappresenta una delle piu’ intense voci poetiche di Napoli e dell’Italia di fine Ottocento e senza dubbio una delle piu’ alte espressioni raggiunte dalla lingua napoletana. Alcune delle sue poesie, musicate da compositori dell’epoca, sono oggi capolavori indiscussi della canzone napoletana come Marechiaro, Era de maggio, Luna nova, Palomma ‘e notte, Carulì, ‘E spingule francese.
Muore a Napoli, il 5 Aprile 1934.
Di seguito alcuni dei piu’ bei versi scritti da Salvatore Di Giacomo :
Marzo: nu poco chiove
e n’ato ppoco stracqua
torna a chiòvere, schiove;
ride ‘o sole cu ll’acqua.
Mo nu cielo celeste,
mo n’aria cupa e nera,
mo d’ ‘o vierno ‘e ‘tempeste,
mo n’aria ‘e Primmavera.
N’auciello freddigliuso
aspetta ch’esce o sole,
ncopp’ ‘o tterreno nfuso
suspirano ‘e viole…
Catarì, che vuò cchiù?
Ntienneme, core mio,
Marzo, tu ‘o ssaje, si’ tu,
e st’auciello song’ io.