Il declino di Neapolis coincide con la fine dell’Impero Romano d’Occidente ( 476 d.C.).

Proprio a Napoli infatti possiamo dire concludersi l’ultimo atto del glorioso Impero romano in quanto Odoacre, capo della tribù germanica degli Eruli, mandò qui in esilio l’ultimo Imperatore romano, Romolo Augustolo che espropriato della sua autorità, fu ospitato nella splendida villa del Patrizio Lucullo, il Castrum Lucullanum (situata dove oggi sorge Castel dell’Ovo).

Romolo Augustolo fu incoronato Imperatore dell’Impero Romano d’Occidente, alla giovane età di 14 anni, dal padre Oreste (un generale romano di origine barbare) che manteneva tutte le leve del potere ma non poteva assurgere al titolo in quanto di stirpe barbara. Le origini romane della madre autorizzavano invece il figlio a salire al trono.
Il regno durò meno di un anno in quanto Odoacre una volta trucidato Oreste, depose il figlio che imprigionò a Napoli e si incoronò Re.
Successivamente dopo circa una decina di anni, fu il re ostrogoto Teodorico a sconfiggere Odoacre e a prendere il potere in Italia.

Giustiniano I, Imperatore romano d’Oriente, tentò di contrastare l’avanzata barbara e in qualche modo riprendere i territori persi in Italia, dando luogo ad una lunga guerra tra Goti e Bizantini (cosiddetta Guerra Gotica).
Il generale incaricato di dirigere l’esercito bizantino fu Belisario; questi in pochi anni partendo dalla Sicilia conquistò quasi tutta l’Italia.
A Napoli in particolare nel 535 d.c. vi fu un lungo assedio da parte dei Bizantini con a capo Belisario per riconquistare la città.

Belisario cinse d’assedio la città che si ribellò e resistette coadiuvata dalle sue possenti mura. Il generale si accampò di fronte alla porta di Santa Sofia (o chiamata anche Porta Carbonara o ancora prima Porta Pusteria) che sorgeva alla fine del Decumano Superiore, determinato a prendere Napoli per fame e per sete.
La porta si trovava nelle immediate vicinanze dell’attuale Via Carbonara, un luogo all’epoca chiamato “carbonarius” , che si trovava appena fuori le cinta urbane. Esso era il sito nel quale venivano versati e poi inceneriti i rifiuti raccolti all’interno della città.
Le acque meteoriche, poi scorrendo dalle vicine colline, si incaricavano di trasportare il tutto fino al mare. Nel luogo, dove e’ presente una bellissima e storica chiesa, ai tempi degli angioini vi si tenevano giostre e tornei tanto cruenti da provocare le proibizioni del papa e le proteste di Francesco Petrarca.

Il lungo assedio di Belisario non riusci comunque a scalfire la forte determinazione della popolazione napoletana. Nonostante gli incessanti attacchi la città resisteva e Belisario sembrava quasi sul punto di rinunciare, fino a quando un isaurico facente parte dell’esercito bizantino riferì al suo generale l’esistenza di un acquedotto da cui si poteva aprire un passaggio per entrare in città; la notte dopo, circa 400 soldati bizantini entrarono così nel cuore di Napoli attraverso l’acquedotto e riuscirono nell’impresa di aprire la porta di Santa Sofia ai loro compagni.

I soldati scesero da un pozzo fuori le mura e attraverso un ramo dell’antico acquedotto greco (detto della Bolla) riemersero da un pozzo dentro le antiche mura (che oggi si trovano sepolte sotto la cortina di palazzi tra San Giovanni a Carbonara e Via Cesare Rosarrol).

Sotto i nostri piedi correvano un tempo tre acquedotti: quello greco (detto della Bolla), quello Augusteo, e quello Carmignano. Le tre strutture si sono nel tempo incrociate e alimentate a vicenda diventando un corpo unico.
Fino al 1885, le famiglie di Napoli si rifornivano da queste condotte utilizzando i 4628 pozzi disponibili; alcuni erano ad uso condominiale e posizionati ai piani alti degli stabili, altri (privati) si trovavano nelle cucine delle case nobiliari.
Nel 1885 , la città venne colpita da una terribile pestilenza, in seguito alla quale ci furono 14 mila morti, che richiese la sostituzione della rete ad acqua fluente con un impianto a pressione, molto più sicuro per la salute.

Le antiche cavità inizialmente chiuse si trasformarono prima in ricoveri anti-aereo poi in deposito e discariche di rifiuti.

 L’antico pozzo servito a Belisario pare sia stato identificato nel chiostro grande del convento di Santa patrizia, nel centro antico di Napoli.

Ritratto in mosaico di Belisario

I due chiostri del convento di Santa Patrizia furono fondati nel XIII secolo ed erano abitati dai monaci basiliani, successivamente vi si insediarono le monache benedettine che vi rimasero fino al 1648. Essi furono conservati con cura fino alla fine del XIX secolo, finchè avvenne il grande scempio. Una scellerata classe di uomini politici locali decise che l’università napoletana di medicina doveva sorgere al posto di conventi ricchi di affreschi e opere di’ arte, cosi’ durante i lavori di ristrutturazione per la destinazione universitaria (ma la sovrintendenza dei beni culturali dov’era?) il chiostro maggiore, a pianta quadrata, venne completamente deturpato. Gli affreschi raffiguranti la vita di Cristo e della Santa titolare vennero completamente imbiancati; poche tracce sono oggi visibili nella volta del corridoio che conduceva alla cappella delle monache.

Al centro del chiostro maggiore di santa Patrizia vi era il famoso pozzo che la voce tradizionale del popolo indica come il passaggio segreto di Belisario.

Il chiostro minore, visitabile, non presenta elementi artistici di rilievo, ma custodisce un giardino. Oggi e’ una delle sedi della Facoltà di studi di Napoli e ospita il Museo di anatomia umana.

La realizzazione delle cliniche universitarie, diede luogo ad un grande sventramento che deturpò l’impianto millenario della città greco- romana e comportò inoltre la demolizione di tutto il monastero della Sapienza e di quello attiguo della Croce di Lucca, entrambi ricchi di opere d’arte.

Un velo di tristezza ti coglie se poi scopri che negli anni ’70 del 1900 fu costruito un secondo policlinico in quella che oggi è la zona ospedaliera (forse servivano più cattedre da assegnare) e rischi di piangere se poi, addirittura, scopri che tutta la struttura è destinata nel tempo ad essere abbattuta per essere sostituita (speriamo) secondo un piano comunale già approvato (di riqualificazione urbanistica dell’area) da un grande parco archeologico, dal momento che al di sotto di essa sono conservati resti dell’ antica Neapolis e in particolare dell’acropoli.
Nel frattempo continuano a sperperare soldi in lavori di ristrutturazione di interi reparti anche se si è già da tempo stabilito il trasferimento dell’università in altra città.
Voi, sapendo che l’anno prossimo potreste cambiare casa, spendereste soldi per ristrutturarla? Certamente no! Perché quei soldi sono il frutto dei vostri sacrifici, di duro lavoro e sudore. Ma loro no! Forse perchè non sono soldi loro ma nostri.
Ricordiamo a tutti che si tratta dell’università assegnata a Caserta; lo so che vi starete chiedendo che ci fa l’università di Caserta a Napoli, ma questo dovreste chiederlo alla potente casta di strani politici universitari. Certo non voglio pensare che il motivo sia perchè tutti i professori sono residenti a Napoli dove l’Università è facilmente raggiungibile mentre per andare a Caserta sarebbero costretti ad usare l’auto e svegliarsi molto prima. NO, non posso crederlo! Non ci credo e mi rifiuto di crederlo! Posso solo dirvi che nel frattempo hanno cambiato nome all’Università chiamandola “Luigi Vanvitelli” (in sintonia con Caserta) e speso cifre folli per dare un nuovo logo alla struttura. Ma intanto resta a Napoli, mentre il progetto del Grande Parco Archeologico per la riqualificazione urbanistica dell’area giace purtroppo su qualche scrivania abbandonata e coperta da centimetri di polvere. La nostra unica speranza è che la polvere non si trasformi in MUFFA.

La città di Napoli, comunque, cessata l’influenza gotica, sotto la dominazione bizantina, conobbe una discreta prosperità divenendo capoluogo dell’Italia meridionale, sede di nove monasteri, di una guarnigione e di autorità ecclesiastiche e politiche.
Si ebbe un notevole sviluppo delle attività cantieristiche e portuali che incrementarono lo sviluppo delle attività commerciali nel bacino mediterraneo. La produzione agricola e manufattiera ebbero anch’esse un grosso rilancio.
La favorevole posizione geografica e l’acquisito benessere economico attirarono di conseguenza le attenzioni di vicini nemici come i Longobardi di Benevento che a partire dal VI secolo cercarono in tutti i modi di impossessarsi di Napoli, considerata il loro potenziale naturale sbocco della loro potenza sul Tirreno.
I Longobardi nei loro continui attacchi alla conquista della città, spopolarono i paesi vicini e Napoli divenne cosi’ il luogo naturale di rifugio per tutti i campani contrari ai longobardi portando la popolazione a circa 40.000 abitanti.
Ci furono ripetuti e mai riusciti tentativi di invasione. Nel corso del IX secolo gli attacchi furono ancora più continui e ancora più violenti.
Nel 1831, durante un altro dei furiosi assedi longobardi, questi rapirono addirittura il corpo di San Gennaro che era custodito nelle catacombe allora fuori le mura della citta’ e lo trasportarono a Benevento, sede del ducato longobardo, nella chiesa di Santa Maria di Gerusalemme.
Fortunatamente, il cranio e la teca con le ampolle del sangue erano state già precedentemente riposte in una cripta nella chiesa di Santa Stefania (sulla quale verso la fine del secolo XIII, venne eretto il Duomo).

Le ossa restarono nella città di Benevento fino al 1156, quando vennero traslate nel santuario di Montevergine (AV), dove rimasero per tre secoli, e addirittura se ne perdettero le tracce, finché durante alcuni scavi effettuati nel 1480, casualmente furono ritrovate sotto l’altare maggiore, insieme a quelle di altri santi, ma ben individuate da una lamina di piombo con il nome.
Il 13 gennaio 1492, grazie alla potente famiglia Carafa, dopo interminabili discussioni e trattative con i monaci dell’abbazia verginiana, le ossa furono riportate a Napoli e come degno luogo per ospitarle il cardinale Oliviero Carafa fece costruire nel Duomo di Napoli, al di sotto dell’altare maggiore, una cripta d’eccezione in puro stile rinascimentale: la cappella del succorpo. Intanto le ossa del cranio erano state sistemate in un preziosissimo busto d’argento, opera di tre orafi provenzali, dono di Carlo II d’Angiò nel 1305, al Duomo di Napoli.

Successivamente nel 1646 il busto d’argento con il cranio e le famose ampolle col sangue, furono poste nella nuova artistica Cappella del Tesoro, ricca di capolavori d’arte d’ogni genere.

Napoli fu inizialmente una vera e propria provincia bizantina ma poi lentamente divenne uno stato autonomo grazie all’instaurarsi di una classe dirigente (con alla testa il duca) costituita da funzionari civili e militari i quali oramai governavano da soli ma senza dichiarazioni di indipendenza dall’Impero bizantino. Fu in effetti una indipendenza di fatto che si espresse principalmente attraverso la nomina del duca che non avveniva attraverso un atto dell’Imperatore ma per volontà del popolo o meglio i capi di esso.

L’Impero d’altronde trovava difficoltà nel gestire e difendere la provincia periferica di un cosi’ vasto territorio e tollerava di buon grado questa pseudo- indipendenza in quanto formalmente non cessò mai di essere un territorio bizantino.
All’inizio e per quasi un secolo la città fu gestita dal forte potere dei vescovi (il papa andava assumendo sempre di più una sorte di protezionismo su Napoli). L’autorità laica era esercitata dal giudice bizantino, coadiuvato dal duca per gli aspetti militari, ma la supremazia era dei vescovi che dopo la scomparsa dei giudici assunsero anche i poteri civili.
Nel 638, decaduta la potenza dei vescovi, il duca che prima aveva solo poteri militari associò agli stessi anche quelli civili, diventando il capo assoluto alle dirette dipendenze dello stratego di Sicilia.

Iniziò così il ducato napoletano che durò per circa cinque secoli dove si successero 37 duchi. Possiamo considerare l’inizio del periodo autonomo vero e proprio con la nomina a duca di Sergio I, conte di Cuma che donando molte delle sue ricchezze a favore dei cittadini bisognosi acquisì tra il popolo grande popolarità.
Fu lui a dichiarare ereditaria la successione del ducato e da quel momento Napoli divenne un vero e proprio stato autonomo.
Il duca aveva tutto il potere di un sovrano assoluto: dichiarava la guerra e concludeva la pace senza consultare nessuno, imponeva ed aboliva le tasse, dettava leggi, arbitrava liti, sceglieva e nominava i funzionari e i magistrati.

 

 

 

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