Oggi è il primo di aprile,  cioè il giorno del  pesce d’aprile

In questo giorno ogni anno per consuetudine,  si celebra una delle tradizioni più curiose e divertenti di molti paesi del mondo: In questa giornata, è comune fare scherzi agli amici, ai familiari e ai colleghi di lavoro.

L’origine della tradizione del pesce d’aprile è confusa: ci sono molte ipotesi al riguardo ma tutte senza prove certe . Alcuni dicono che  sia nata in Francia nel 1500, per poi diffondersi in Europa.

Ma secondo altri pare che invece questa tradizione sia nata proprio a Napoli.

C’è infatti chi suggerisce che tutto sia iniziato nel XIV secolo, quando il Beato Bertrando di San Genesio, patriarca di Aquileia, salvò un papa che stava per soffocare con una spina di pesce. 

Da allora il papa decretò che il primo aprile di ogni anno non si mangiasse più pesce. E quindi i pescatori di ritorno dalle magre battute di pesca del primo aprile venivano presi in giro dai paesani… un bel modo di ringraziare il pescatore da cui nascerebbe l’abitudine di fare scherzi il primo aprile. 

Un’altra leggenda ci porta, invece, in Francia, nel XVI secolo, nel periodo in cui il Capodanno venne spostato dal 25 marzo al primo gennaio, grazie alla riforma del Calendario Gregoriano voluta da Re Carlo IX. All’epoca i festeggiamenti del capodanno cadevano proprio il primo aprile. Quando si cambiò data, non tutti seguirono le nuove regole, anche perché non ne erano venuti a conoscenza. 

Vennero così chiamati “Sciocchi di aprile” e tutti iniziarono a prendersi gioco di loro, facendo scherzi di ogni tipo. 

Si iniziò da allora ad usare il termine Poisson d’Avril, Pesce d’Aprile in francese, riferendosi ai pesci che abboccano all’amo, proprio come quelle persone abboccavano alle beffe fatte nei loro confronti.

Ovviamente anche noi napoletani abbiamo una bella storiella al riguardo che si diffuse in città tanto anni fa, che ci riporta ad una storia di pesci narrata da Salvatore Di Giacomo. 

Una storiella che considera l’atto di nascita della tradizione del pesce d’aprile proprio nella nostra citta’ 

Siamo nel 600, in un secolo turbolento per il regno di Napoli: terremoti,  inondazioni, epidemie, ma sopratutto eruzione del Vesuvio minacciavano gli abitanti della nostra città 

Correva l’anno  1631 ed allora una tremenda eruzione del Vesuvio fu fermata con l’intervento di San Gennaro ed il 31 marzo  il vicerè napoletano Don Manuel de Azevedo y Zuniga (il Monterrey) per ringraziare il Santo  Protettore San Gennaro si  recò al  Duomo a presentiare alla solenne messa fatta celebrare dal  Cardinale per ringraziare in pubblico. il protettore della città per l’ennesima sciagura sventata.

Dopo questa messa il vicerè , accompagnato da tutti li Eletti e dalla Nobiltà con il Reggente della Vicaria e il Collaterale, pensò bene di recarsi con i suoi ospiti  a Palazzo.Reale  per dar luogo ad un grande  festeggiamento  , Qui era stata infatti preparato un mafgnifico pasto  al quale non mancavane  ovviamente  i soliti doni fatti dai commercianti della città come i  fruttaioli, i macellai, e sopratutto i pescivendoli che parteciparono all’evento con doni in natura.

In particolare a questi festeggimentiil vivere aveva molto apprezzato e gustato un certo pesce che da noi si chiama marmolo.  Egli dunque il giorno dolo volle rioetera a pranzo lo stesso tipo di pesce che un certo Lorenzo Gammardella, aveva il giorno prima donato in una cassetta. 

 A  tavola , Il vicerè , presto dovette però accorgersi che il pesce cha a lui era precentemente piacuito era questa volta assente.

Il vicerè  a quel punto subito ordinò  al pescatore che gli portasse i suoi marmulille, ma Lorenzo gli rispose che era costernato: i marmuli si pescano fino a metà marzo, e ora purtroppo non ce n’erano più! Ma il viceré non volle sentire ragioni e minacciò il pescatore di portargli una cassetta di marmoli altrimenti glia avrebbe fatto passato un brutto quarto d’ora.

Il nostroLorenzo a quel punto impaurito, vagò in tutti i mercati della città senza esito, finché ebbe l’idea che gli poteva salvare la vita. Si recò al convento di San Gregorio Armeno e chiese alle monache di realizzare un pesce marmolo in marzapane, in pasta mandorlata, che imitasse perfettamente quello reale e dipinto con colori naturali da sembrare vero.

Il giorno dopo, il primo aprile, si presentò al cospetto del re per mostrargli di aver fatto di tutto per soddisfare le sue richieste. Il vicerè , notato che il pesce non era reale ma solo fatto di pasta di mandorle e marzapane , invece di sentirsi raggirato dal pescatore, apprezzò la sua trovata e il suo scherzo che voleva comunque dimostrargli devozione. La voce fece il giro dell’aristocrazia e dall’anno dopo i napoletani cominciarono, il primo aprile, a regalarsi pesci di zucchero e a farsi piccoli scherzi. E da Napoli l’abitudine si estese in tutto il mondo. 

Questo è il semplce fattarielo raccolto tra  le pagine più simpatiche del grande poeta napoletano Salvatore Di Giacomo che  possiamo annoverare in un suo articolo dal  titolo L’origine del pesce d’aprile, pubblicato sul Corriere di Napoli il 1 aprile 1899. 

A seguire vi riportiamo un estratto. dell’articolo scritto dal grande poeta, giornalista commediografo  e sublime drammaturgo napoletano Salvatore Di Giacomo.

Vi racconterò brevemente com’io sia stato indotto a pubblicare, per ragioni di storia e d’attualità. l’articoletto che siete per leggere.

A tempo perso, molto perso anzi, poi che, se con la poesia e con l’arte si guadagna ben poco in questo nostro dolce paese, si guadagna addirittura nulla con la ricerca storica, a tempo perso, dicevo, io raccolgo da carte d’archivii, da’ soliti polverosi codici delle biblioteche e da qualche privata collezione que’ documenti che mi paiono più nuovi e curiosi per la illustrazione de’ nostri vecchi usi e del costume e fin di certe persone di Napoli antica. La ricerca è una cultura e un diversivo: anni addietro mi vi abbandonavo con passione e concedevo tutto me stesso, per intere giornate, all’emozionato studio di fasci (così si chiamano alcune raccolte di carte vecchie in Archivio di Stato) i quali m’andavano a mano a mano svelando intimi particolari della vita de’ secoli scorsi e intrattenendo, specie nel decimottavo ch’è il più vicino al nostro, con l’esposizione un po’ goffa, un po’ enfatica ma sempre molto dilettevole, degli avvenimenti più singolari i quali seguivano, di volta in volta, nella Fedelissima.

Appresso, divenuto impiegato dello Stato con grande scandalo de’ miei amici artisti, mi sono risovvenuto degli studi storici. Sì, è vero – pensavo – io ho, come dicono i miei amici, il piede a terra, ma se posso finalmente dormire su due cuscini, da che il mio lunario è assicurato, non meno, prima di addormentarmi, mi sarà permesso di meditare alla maniera con la quale potrò sbarcarlo più decentemente. La storia – e questo l’hanno detto quasi tutti i ministri della Pubblica Istruzione – è la maestra della vita: seguitiamo, dunque, a occuparci di storia e ad ammaestrare; lasciamo l’arte, scriviamo degli articoli eruditi, delle monografie peregrine, de’ resoconti, parecchio annotati, d’indagini preziose, e aspettiamo, premio alla nostra disinteressata attività, fra dieci, fra quindici, fra vent’anni – che importa? – una qualche promozione… per anzianità di servizio.

Ciò premesso, ditemi voi se non ho avuto un’eccellente idea quando mi son detto: Giacchè da un pezzo hai serenamente rinunziato allo struscio e in questi santi giorni non hai proprio nulla da fare, valli a passare in operoso studio alla Società di Storia Patria, in compagnia d’un cimelio e dell’ottimo conte Lodovico de la Ville sur Yllon che tiene in custodia  gli  ultimi cinque manoscritti che il comm. Luigi Riccio ha donato alla Società. 

Detto fatto: ed eccomi ieri seduto alla gran tavola di quella sala da studio, davanti a quei manoscritti … 

Mi son fermato su uno di quei cinque manoscritti firmato con il codice M. CC. 47 perché de’ cinque è stato il primo che ho scorso con una certa curiosità. Lo scrittore , un certo Felipo Salzano non dimentica, alle prime pagine, di brevemente informarci dell’essere suo: pare anzi che ci tenga. 

Egli nelle prime pagine così specifica a e ci informa .. 

Trascrivo letteralmente .. 

Li miei natali furono alli 16 del giugno 1570 nella Fedelissima città di Neapoli ad hore ventuno, alla Piazzetta de Portanova, nella casa che fu de’ signori Mocci et hora è del mco. (magnifico) Antonello Seripando. Fu mio padre il mastrodatti Aniello Salzano con Lucretia Santacroce congionto et me chiamarono Felipo.  S’incomenza questo giornale alli 18 luglio 1630, sotto il nobile governo dell’Eccellentissimo don Ferdinando Afan de Ribera Enriquez, duca di Alcalà.

Trascrivo qualche passo la cui cognizione è necessaria al lettore che vorrà seguire il Salzano e me fino alla conclusione di questo scritto. 

A carta 102 del suo giornale, sotto l’anno 1631, al  31 marzo, si legge: : il Viceré Illustrissimo signor conte di Monterey rengratiando il Sommo Nostro Protettore San Gennaro si è recato nell’Arcivescovado (Duomo) a presentiare alla solenne messa fatta celebrare da S. E. il Cardinale a pubblico segno di gaudio per lo cessato incendio del Vesevo. 

Doppo, tra moltitudine immensa di popolo lagrimante, il signor Conte, accompagnato da tutti li Eletti e dalla Nobiltà con il Reggente della Vicaria e il Collaterale, si restituì a Palazzo. E qui era preparata una magnifica collatione alla quale non mancorno li soliti donativi dei pescivendoli della città et padroni di chianche posti de frutta.»

E al giorno appresso:

«Volle S. E. ripetere in Palazzo stamani la collatione che vi fu ieri. Et ciò fece per un dilettoso frangente occorso alla prima di esse, che cioè, avendo S. E. assai gustato di certo pesce largo et scamazzato. quale da noi dicesi marmolo, ripetutamente ne interrogò li suoi familiari, quali havendo fatto venire il donatore di quel pesce Lorenzo Gammadella, volle S. E. degnarsi di comandargli che facesse servito d’un altro delli detti marmoli

Al che havendo il Gammardella risposto ch’e di quella qualità et peso non danno le nostre acque se non fino alla mettà del mese de marzo, il signor Viceré non dandoli più tempo di ripetere et insistendo molto et anche pronontiando alcune adirate parole in spagnolo, impaurissi il Gammardella et promise di portare il marmolo

Ma non havendo in niuna fatta maniera trovato alcun marmolo né alla Preta de lo Pesce né alla Matalena né alle barche de Gaeta stava disperatissimo et agitato. Il che vedendo un suo comparo, cuocho del signor principe di Conca, et composto uno marmolo al naturale pie di pasta riale, che se dice che molto gusti S. E. questo tutto de zuccaro e ben dipinto il Gammardella portò a S. E. e con intesa del Scalco di S. E. fo servito in tavola. 

Al che il signor conte meravigliatosi assai et trovato concettoso il remedio, se dice che pronontiasse : E viva el señor Gambardilla· che m’ha fatto il scherzo! E bienvenido sia el pesce d’Aprile, da po che il pesce de marzo non se ritrova. Et questo gratioso incontro si è saputo per tutta la città.»

Basterebbe questo documento per indurci a credere che l’origine del così detto pesce d’aprile dati dalla prima metà del seicento. Ma il Salzano, una ventina di giorni dopo quel fatto, ritorna sull’argomento per dire, a pagina 207 del suo diario: «Oramai tutti conoscendo per la voce che se n’è divulgata il caso della collatione con il scherzo del marmolo è nato nella Nobiltà l’uso di ripetere con svariate immaginazioni la burla fra di essi (sic). Va per tutte le bocche quella inventata al giodice di Vicaria Pietro Volcano, quale hebbe uno cane con la pella d’un piecoro cosuta attorno».

E a me non pare, in verità, senza darmi l’aria d’aver fatta una grande scoperta, che si possa più dubitare della cronologia e del luogo della curiosa e innocente invenzione, la quale, dopo due secoli e mezzo, rallegra ancor tanta gente e dà tanto sui nervi a tant’altra.

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