Vi siete mai chiesti chi è veramente Pulcinella ?

Sappiamo con certezza che si tratta della  maschera della commedia dell’arte più imitata al mondo , e che da sempre rappresenta in tutto e per tutto l’universo popolare napoletano, che da millenni esorcizza le sue angosce esistenziali inventando simboli, danze e all’occorrenza anche personaggi.

Sappiamo anche che il  suo aspetto ha una maschera nera dal naso adunco, un  corpo deforme e la casacca bianca come un sudario,e addirittura  una  voce gracchiante che non appare umana. Insomma se ci fate caso , essa è lungi nel suo aspetto dall’essere divertente. Il suo nome così simile a “pulcino” conferma la sua origine di gallinaceo, e come un pulcino viene rappresentato mentre esce dall’uovo; così si chiude il cerchio, giacché la gallina è l’animale sacro di Persefone, regina degli inferi.

Può quindi  Pulcinella con il suo aspetto incarnare  la morte e le miserie umane ? 

La risposta è certamente SI  , ma al contempo può anche  scongiurarle   grazie al suo cappello a forma di corno dell’abbondanza e i suoi modi farseschi.

Egli è quindi maestro di duplicità ed i  ruoli che ricopre sono quindi tanti quanti sono i difetti e le qualità di un popolo.  Pulcinella è comico e tragico, ingenuo e scaltro, affabile e arrogante, ricco e povero, codardo e impavido, disperatamente stupido e sorprendentemente astuto, e sempre capace di rinascere dalle sue ceneri, come ogni napoletano verace, che può e sa fare ogni mestiere, o ne inventa uno, per sopravvivere alle invasioni straniere, alle guerre incessanti, alla rabbia del Vesuvio … Come diceva giustamente Benedetto Croce: “Pulcinella non è un personaggio, ma una collezione di personaggi”.

Pulcinella è il simbolo della città degli opposti che vive tra il bene ed il  male, gioia e tristezza, bellezza e degrado. E’ la  maschera della nostra ambivalenza dove  sacro e profano convivono in ogni luogo … dove le anime  dei defunti e quelle dei vivi  della città vivono fianco a fianco lungo le sue strade… dove gli antichi reperti convivono con i peggiori segni della modernità,tra  traffico e caos… dove una città sotteranea corre parallela alla vera città nascondendo i suoi segreti ed il popolo vive con disivoltura sotto il Vesuvio e tra i campi flegrei in un misto di paura e amore .

Napoli come Pulcinella è contradittoria , ma  è proprio questa caratteristica che rende la città unica.  L’unica sua possibiltà di sopravvivere per lei è quella di rimanere se stessa e non lasciarsi  travolgere dal consumismo .

Come azzardò Massimo Cacciari in una una sua ipotesi per il recupero di Napoli dai suoi disagi eterni …..  “Napoli sia Napoli“ ritrovando la sua memoria, la sua cultura, e la sua identità sgargiante.

Valorizzarla significa forse solo anche lasciare Napoli nella sua condizione di città porosa, contraddittoria e bivalente ….significa forse solo valorizzare  e non  demonizzare o rinunciare a questa sua peculiarità fantastica e fantasiosa.

Tutto questo può a prima vista apparire complicato e difficile da comprendere … ma per capire Napoli occorre viverci e farsi contaminare. Solo allora forse capirete tutto questo ,,, solo allora capirete cosa voleva intendere Goethe quando affermava che  “A Napoli piangi due volte: quando arrivi e quando te ne vai

Il nostro modo di intendere la vita , anche se tra mille contraddizioni e bivalenze è  solo un modo diverso di ricordare, di socializzare e di amare.E’ un modo per ricordarsi che i piaceri della vita vanno condivisi lontani dallo stress ed in un’atmosfera soft e rilassante  dove prevale l’amore per i contatti umani. È un’attitudine allo stare al mondo in un modo che è diverso da altri. È dare poca importanza a cose che da altre parti sarebbero vitali e tantissima rilevanza a cose invece superflue per alcuni. La napoletanità non è un pregio e non è un difetto è solo un modo diverso di vivere e vedere la vita dove ancora certamente conta tantissimo la solidarità e l’amicizia .

Pulcinella nella sua ambivalenza intrinseca e assoluta rispecchia  da questo punto di vista perfettamente la cultura partenopea, nella quale impera la dualità. È teneramente innamorato ma è spesso lussurioso, ed il suo nome ha consonanza femminile; l’iconografia poi lo rappresenta talvolta mentre partorisce piccoli Pulcinella dalla gobba, fedele al mito dell’ermafrodito, altra costante della cultura napoletana.  L’androgino Pulcinella fa rima con Verginella, nome attribuito dal popolo ad un suo grande benefattore, Virgilio, anch’egli sintesi del maschile e del femminile. Del resto per gli alchimisti, l’ermafrodita rappresenta l’essere perfetto, che racchiude in sé l’uomo e la donna, quindi l’intero universo.

Pulcinella ha il pancione, altra allegoria della maternità, ma anche della fame, perché è eternamente affamato. Sogna solo maccheroni, tanto per affermare le sue origini rigorosamente napoletane. Poi improvvisamente la sua pancia si trasforma in segno d’opulenza e lo si vede rimpinzarsi di lunghi maccheroni fumanti che afferra a piene mani per infilarli nella bocca spalancata: è quello che facevano i poveri di un tempo, quando per strada si vendevano piatti di pasta fumante spolverata di formaggio grattugiato.

Pulcinella è solo il personaggio che  vive in stato quiescente nell’animo di tutti i napoletani, un popolo che come lui è maestro nell’arte di armonizzare gli opposti senza neanche contraddirsi. e come tale è un personaggio nodale della cultura partenopea .

Abito bianco, maschera nera dai tratti calcati, naso adunco, cappello a pan di zucchero. Un carattere sfrontato, sempre pronto all’inganno e all’ironia, scaltro, perdigiorno ma, in fondo, un inguaribile ottimista.

È lui, Pulcinella, la maschera tipica di Napoli,.

Egli nacque   verosimilmente  dalla fervida fantasia della penna di scrittori dialettali che tanto fiorivano a Napoli nel XVI secolo . E stata infatti la letteratura vernacola di un’antico più popolare e locale dialetto napoletano che per prima spifferò al mondo il nome di un personaggio destinato ad ottenere la più grande e più indiscutibile celebrità.

A farsi portavoce per la prima volte nei suoi scritti dell’allora sconosciuta maschera fu un compagno di studi di Gianbattista  Basile , annoverato anch’egli tra gli Accademici della Crusca , ma a molti ancora poco conosciuto.

Il nome di questo poeta napoletano , di cui la letteratura è in debito per non avergli ancora riconosciuto a distanza di tanti anni i suoi giusti meriti , è quello di Giulio Cesare Cortese , autore di molte opere in napoletano tra cui la VAIASSEIDE.

CURIOSITA’ : L’accademia della Crusca è una delle più prestigiose istituzioni linguistiche d’Italia e del mondo. Nata a Firenze nel 1585, essa è la più antica accademia linguistica del mondo,

Giulio Cesare Cortese nato a Napoli nel 1575 , fu il primo , che nella sua opera denominata ” Il viaggio di Parnaso ” menzionò il nostro Pulcinella , affidandolo dapprima ai vicoli , ai fondaci e alle strade della plebe e poi a teatri popolari affollati di un  pubblico spesse volte  formato da prostitute, pescivendoli,commercianti e qualche raro nobiluomo. 

CURIOSITA’ : La Vaiasseide è un poema eroico-comico scritto in lingua napoletana il cui tema  narra  delle avventure sentimentali di un gruppo di vaiasse  domestiche napoletane. È uno scritto comico e trasgressivo, dove molta importanza ha la partecipazione corale dei ceti sociali bassi ai meccanismi dell’azione. L’elemento “culto” è da ricercare nel viaggio che il Cortese stesso compie in un mondo che non è il suo e che descrive con ironia e   e tragicità.

Il viaggio di Parnaso invece è un’opera composta in napoletano dedicata alla condizione della letteratura e del letterato  , con varie allusioni autobiografiche, piene d’amarezza e pessimismo. Il tutto è ambientato sul Parnaso  dove Apollo e le sue muse  risiedono e dove il poeta può mettere in risalto i peccati della poesia, compiuti in una società degradata, dove è all’ordine del giorno un reato come il furto letterario. Il tutto comunque si risolve con un finale fiabesco e con l’amara delusione del poeta che si vede negate le proprie ambizioni.

 

Secondo altre teorie la maschera di Pulcinella potrebbe derivare dai personaggi delle Atellane di epoca romana, che possiamo considerare le prime forme di commedia in Italia . Essa si ritroverebbe  in particolare nei caratteri di Maccus, il servo dal naso lungo e ventre prominente, furbo e faccendiere. Una sorta di satiro buontempone e inaffidabile che con i suoi toni chiassosi e frastornanti, riesce a trasmettere anche, per chi riesce a coglierlo, un tono di malinconia.

L’antica  citta’  osca scomparsa nel XI secolo , era un tempo , una delle più importanti città della Campania e le atellane che in esse ebbero origine  erano delle forme di spettacolo  d’origine locale che influenzò il teatro latino. Fin dal IV secolo a.C erano comunque solo farse licenziose dai contadini dell’antica  Atella che  improvvisavano  durante le feste campestri . Da esse  ebbero comunque  origine , per meriptp degli autori latini che se ne ispirarono le  fabule atellana,  una specie di antica farsa romana con maschere fisse e spirito molto salace e grossolano.

I personaggi della commedia atellana erano quattro :  Buccus,( il fanafarone ),  Dossennus ( il gobbo fubo )) , Maccus( vorace e stupido ) e  Pappus8 ilvecchio sciocco e libidinoso ). Le maschere erano per lo più realizzate con cortecce d’albero, terre policrome e tela cerata che erano  molto scomode da portare poichè spesso  le sue parti in rilievo penetravano ben presto nella carne provocando fastidiosi disagi agli attori.

 

 

 

 

 

 

 

 

La  tematica principale della commedia  era costituita da scenette di genere, briose e realistiche, basate sul contrasto fra tipi fissi, quali il padrone avaro e il servo geloso, il contadino sciocco e il passante intelligente, il vecchio innamorato e il giovane rivale; nelle quali l’intreccio si scioglieva tra contorsioni, smorfie, acrobazie, inseguimenti, spettacolari cadute e nel contesto di un percorso fertile oltre misura di situazioni ora piccanti, ora divertenti e paradossali: erano, insomma, gli aspetti farseschi l’elemento essenziale dello spettacolo. Il più delle volte infatti, le farse si sviluppano su canovacci improvvisati dagli stessi attori, che indossavano un costume realizzato al momento con pochi stracci e una maschera dai tratti ben definiti.

Ognuno di quatrro personaggi  era caratterizzato  da una propria psicologia , ma nel nostro caso quella che piu è indiziato quale antenato di Pulcinella era MACCUS, (dal greco maccoan che significa letteralmente “fare il cretino” o da una radice italica mala, maxilla che sta per “uomo dalle grosse mascelle”) ,Egli  era un personaggio balordo, ghiottone, sempre innamorato, e per questo spesso beffeggiato e malmenato.

Sulla scena era caratterizzo da un vestito bianco, la testa coperta da un copricapo di origine siriaca, il cosiddetto tutulus, una sorte di caratteristico “coppolone”, che forse indossava perché calvo e con la testa appuntita, e da una maschera a mezzo viso che gli copriva il naso adunco. Per la sua somiglianza con Pulcinella, secondo una vecchia disquisizione che ha dato origine ad una controversia mai sopita fra gli studiosi antichi e moderni, è considerato il progenitore della popolare maschera partenopea.

La documentazione sulle atellane giunte a noi è comunque scarsa, molto probabilmente per la censura esercitata sui monaci copisti, a causa del linguaggio scurrile e irriverente dei testi, che prendevano di mira anche il Cristianesimo.

Potrebbe invece essere secondo altri il vero primo Pulcinello un tale Puccio d’Aniellocontadino di Acerra che nel ‘600 si unì come buffone ad una compagnia di girovaghi che erano di strada in quelle terre.  Sembra infatti che Silvio Fiorillo , un importante attore napoletano, vissuto intorno alla seconda metà del Cinquecento, si sia ispirato pproprio a questo personaggio per mettere in scena la prima versione del Pulcinella teatrale  che tutti oggi conosciamo . 

CURIOSITA’ : Puccio d’Aniello pare avesse  la faccia scurita dal sole e il naso lungo, da cui, il passaggio al personaggio teatrale della Commedia dell’Arte con la maschera nera e i tratti somatici brutti e marcati è presto fatto.

La maschera di Pulcinella  , nata da scrittori dialettali e diffusa da una letteratura vernacola conobbe nel 500  , grazie all’attore  di Capua  Silvio Fiorillo ,una  crescente fama sopratutto nella fascia  più popolare della città . Fu lui infatti a  portarla in auge , nelle strade, nei vicoli , nelle fondaci e nelle piazze,.

 

N.B.  Secondo opinione di molti storici sembra che sia stato proprio Silvio Fiorillo , il vero e  prorio  inventore della famosa maschera .

In queste prima versione , il Pulcinella  cinquecentesca da lui rapprentato era un uomo grande e grosso con un naso enorme che  aveva un cappello con due punte e portava barba e baffi, protetti da una maschera nera  . Vestiva con un camice bianco stretto e rigonfio alla cintola che sovrastavano dei larghi pantaloni bianchi che gli facevano rughe copiose sulle scarpe .  Egli si mostrava come  un servo sciocco e timido sposato con tale “Zeza ” che egli spesso tradisce per bazzicare con una certa Rosetta , serva del dottor veneziano Pantaleone , ma anche con Pasquella ed infine con la tutto pepe piccola serva Colombina che si mostra spesso manesca , sfrontata e bugiarda .Nonostante la sua ignoranza , con il suo carattere sfrontato , sempre pronto all’inganno e all’ironia , il Pulcinella cinquecentesco legata all’attore Silvio Fiorillo , era uno sciupafemmine ed incallito traditore che spesso lo si vedeva nelle commedie  fuggire e darsela a gambe  dalla moglie Zeza che furibonda con la scopa in mano , lo insegue .

 

L’erede di  SIlvio Fiorillo fu Andrea Calcese . Egli indossò  la maschera di Pulcinella per la prima volta nel 1618. Il suo stile recitativo era impostato sull’improvvisazione, il che consisteva nell’inventare continuamente lazzi e battute senza alcuno schema. La sua fama comunque fu notevole ed  arrivò persino in Spagna.

La figura di questo Pulcinella era quella di uno scaltro perdigiorno ,burlone e furbo , capace di sorridere sempre anche se non possedeva nulla , ma  sempre pronto a continui tradimenti con belle servetta a scapito alla infelice moglie Zeza che sopportavo tutto con filosofia .

Sempre a corto di quattrini , da coniuge pentito , lo si vedeva anche tener bottone e  aiutare la stessa moglie Zeza a cercare di ” sistemare ” la figlia Tolla con un certo don Nicola  , uno studente di provincia che come tanti altri affollavano in quel periodo Napoli per approfondire i loro studi presso l’università cittadina ,

N.B. Gli studenti di provincia ,considerati a quell’epoca i maggiori  impenitenti insidiatori dell’onor delle case , erano soprannominati ” abatelli “o pacchesecche .

Alla sopraggiunta morte del suo maestro  SIlvio Fiorillo , il suo erede naturale fu l’allievo Andrea Calcese . Egli indossò  la maschera di Pulcinella per la prima volta nel 1618. Il suo stile recitativo era impostato sull’improvvisazione, il che consisteva nell’inventare continuamente lazzi e battute senza alcuno schema. La sua fama comunque fu notevole ed  arrivò persino in Spagna.

La maschera di  Pulcinella messo in scena in quel periodo era quello di un villano sciocco ed ignorante ma anche baldanzoso acuto ed astuto che comunque conobbe il suo successo per ben tre secoli ,

Napoli fino ad inizio Ottocento  era infatti popolato da piccole compagnie che recitavano essenzialmente  commedie  dall’umorismo grottesco e facile caratterizzato  sopratutto da sceneggiate   atte a colpire il pubblico con un facile sentimentalismo.

Solo nell’ottocento infatti lentamente la maschera finì per mutare il suo atteggiamento caratteriale . Essa con il tempo divenne non  più la maschera  pigra, buffona e sciocca quale essa era stata in epoche passate, ma  una maschera attiva, dinamica e molto furba, con evidenti tratti sentimentali e malinconici.  Pulcinella spesso non veniva più rappresntato come un villano ingenuo , sciocco ed ignorante , ma un servo acuto e astuto , talvolta addirittura saggio e  totalmente urbanizzato alla nuova società in cui viveva romanticamente infelice

In questo contesto a spiccare e a godere di grande popolarità come il nuovo grande Pulcinella in città fu dapprima Vincenzo Cammarano detto Giancola,  un noto  attore del teatro napoletano che interpretò  il ruolo di Pulcinella  per più di trent’anni al Teatro San Carlino e successivamente suo figlio Filippo  Cammarano che apprese  l’arte del teatro nella compagnia paterna per poi  svolgere secondariamente ,  una feconda carriera di artista, prima al teatro Fenice e in seguito al San Carlino ,riprendendo  sopratutto il ruolo  di suo padre nella figura di Pulcinella.  nel quale si distinse  per la sua interpretazione molto popolare che piacque sia ai napoletani che alla corte dei Borboni,   Egli  fu beniamino del re Ferdinando II e nel corso della sua  carriera diede luogo  ad una enorme produzione di lavori, che si dividevano fra fra teatro, poesia e riduzioni letterarie, nel quale cercò con forza e caparbia   di distaccarsi da quel  panorama del teatro dialettale in vigore all’epoca nella Napoli dell’ottocento .

N,B,  Giancola Cammarano, siciliano di nascita ma napoletano d’adozione, fu un Pulcinella molto  amato dal popolo napoletano e persino dal re Ferdinando IV, che spesso sbeffeggiava, attribuendogli il nomignolo di “Re nasone”.

FIlippo Cammarano , nonostante i suoi rapporti a corte  anche scrittore e il primo ad avviare la “riforma” in senso morale della maschera di Pulcinella; nel suo scritto “Pulcinella Molinaro” (1814) ripropone temi e situazioni della commedia dell’arte e dell’opera buffa, ma Pulcinella, pur rimanendo lo sciocco di sempre, vi esprime con forza domande di giustizia.

 

Con la morte dell’attore e scrittore  Filippo Cammarano,giunse il momento di Salvatore  Petito, che da tutti in quel periodo veniva riconosciuto come un grande artista . Egli  ,aveva  trascorsi di ballerino al Teatro San Carlo, ed in breve tempo mostrando  sul palco tutta la sua bravura divenne un gran Pulcinella, amato da tutto il pubblico del San Carlino, che per il suo carattere ed il suo garbo, lo soprannominò “Il Pulcinella delle dame”.

Salvatore Petito

 Don Salvatore ,  non venendo meno alle sue aspettative  nello svolgere la sua missione  di un degno erede del Cammarano divenne in poco tempo in città , non solo un  artista molto noto e da tutti   apprezzato  ma  per alcuni considerato  addirittura il maggior interprete in assoluto della maschera di  Pulcinella di tutti i   tempi.

Salvatore,Potito  era non solo un artista di prim’ordine ma anche un  uomo di grandi avventure . Sciupafemmine come pochi , fu costretto a scappare da Napoli con il  grande amore della sua vita (Maria Giuseppa Errico, anch’essa danzatrice ) a Corfú, per via dei  Borbone che erano rientrati a Napoli mentra  invece lui era legato al partito di Murat . Per paura di ritorsioni alla sua persona e alla sua famiglia era quindi fuggito  nell’isola lontana dove poi decise di  sposare  la Errico; rimpatriato al placarsi della tempesta politica, assieme a sua moglie aveva aperto un piccolo  teatro  dove si  esibiva nel genere comico con Pulcinella, maschera che allora dominava incontrastata lo spettacolo popolare napoletano.

 Il piccolo teatro edificato nel 1983 da Giuseppa Errico era ” Il Teatro Silfide”  ma da tutti era  anche soprannominato ” il teatro di ” Donna Peppa “, Il teatro , che gestito  e dirietto  con grande capacità e tirchieria  da Donna Peppa,  sorgeva nelle prossimità di piazza del Carmine,nell’ androne del palazzo Maisto e là si recitavano per lo più dei drammi mitologici e briganteschi. Giuseppa Errico era la factotum del teatro, fungeva  da amministratrice , da  attrice e  da ballerina ed era benvoluta sia dagli attori, che dal pubblico di quel teatro, che, tra l’altro, era formato da prostitute, pescivendoli,commercianti ed anche guardie di quel presidio.

In quel periodo la maschera di Pulcinella, con la morte dell’attore e poeta Filippo Cammarano, cercava un degno erede  , e le  performance  teatrali di Salvatore Potito ben presto colpirono  le attenzioni di Silvio Maria Luzi, considerato allora l’ impresario della maggiore compagnia della città.

Egli intravide in Salvatore il degno erede di Filippo Cammarano e  non tardò a  scritturarlo  sul suo palcoscenico del San Carlino da tutti riconosciuto come il  sancta sanctorum del teatro d’Arte partenopeo.

Da allora , quando esordì nel 1823  come Pulcinella al Teatro San Carlino , Salvatore  continuò a recitare con successo fino al  1852 , quando le forze gli vennero a mancare e decise di ritirarsi passando le consegne a suo figlio.

Per trenta lunghi anni egli fu colui che con imapreggiabile successo fu l’indiscusso protagonista  del palcoscenico del San Carlino e smise di  calcare la scena con  successo  , solo quando  la forza e l’età lo costrinsero  per forza di cose passare la mano.

 

Il San Carlino di Napoli

Curiosita’: il Teatro San Carlino , palcoscenico della stirpe dei Potito e luogo di battesimo del ‘ Felice sciosciammocca’ di Scarpetta , aveva la sua sede nell ‘attuale Piazza del Municipio che fino al secolo scorso era chiamato < Largo del Castello > in quanto antistante al Maschio Angioino.

Il largo nel passato  ha sempre avuto una vita alquanto animata ; e’ sempre stata zona di venditori ( anche merce rubata) , ambulanti , mercanti , mercato di fiori , uccelli , ma anche meta di furfanti di ogni genere ,e ciarlatani che smerciavano ogni sorta di rimedi o reliquie ambitissime.
Molti comici , in questo luogo ,recitavano sui banconi e il popolo si divertiva (non potendo accedere al teatro di corte nell’interno del castello ) poiche’ potevano assistere a commedianti che pur recitando nelle mura per il re , non disdegnavano talvolta di prodursi sui palchi improvvisati nella piazza . Tutto questo fino a quando Michele Tomeo ( un impresario del tempo ) non penso’ di affittare uno scantinato e ne fece un piccolo teatro che veniva chiamato ” o fuosso ” e poi ‘ la cantina ‘.
Di fronte 40 anni dopo, un tal Brancaccio costrui’ un baraccone ad uso teatro che fu denominato San Carlino in contrappunto ironico al Teatro San Carlo della corte regale.
Qui in una baracca , ha quindi  inizio nel 1740 la vicenda del San Carlino , il teatro comico per definizione nella Napoli del 700/800.
Il baraccone funziono’ insieme alla ‘ Cantina ‘ fino al 1759 allorche’ fu demolito nel 1884 per la sistemazione della Piazza ; i suoi cimeli sono fortunatamente custoditi nella sezione teatrale del Museo di San Martino , con il modello al vero della scena.
Tomeo , figlio di Michele , chiese allora il permesso a re Ferdinando IV di costruire un teatro nuovo usufruendo delle cantine e di altro bassi contigui . Ebbe il permesso nel 1770 e da questo momento inizia la vera vita del San Carlino che divenne la reggia della piu’ famosa maschera del mondo < PULCINELLA> . Ne era allora interprete sublime Vincenzo Cammarano , soprannominato Giancola , che godeva del favore di sua maesta’ Ferdinando IV , ma il piu’ grande interprete di Pulcinella di tutti i tempi come vedremo fu Antonio Petito , morto in scena nel 1876.
Purtroppo il 6 maggio 1884 nel quadro del risanamento , il San Carlino fu abbattuto e scomparve cosi’ quello che era stato per piu’ di un secolo il tempio della risata ed un palcoscenico che aveva nutrito generazioni di attori.

Salvatore Petito e la sua sposa  Giuseppa Errico , mentre uno recitava le sue farse “pulcinellesche” al Teatro San Carlino di Napoli, e l’altra  faceva la  pupara , la  guarattellara , ossia gestiva un teatrino dei pupi, diedero nella loro storia d’amore vita a quattro  figli :  Gaetano, Davide, Pasquale e Totonno denominato dai suoi stessi genitori “‘o pazzo” per  il fatto di essere fin da piccolo , una persona molto vivace  . Essi , figli di illustri teatranti che in quegli anni in citta si  contraddistinguevano  da tante altre compagnie popolari  per la loro immensa bravura,  furono tutti degni figli d’arte . Basti pensare che oltre adl più noto Antonio Petito ,  il fratello maggiore Gennaro , era molto stimato dal pubblico per la sua mimica e, l’altro fratello minore Davide  , era invece molto  ammirato e considerato nel mondo teatrale per il suo estro recitativo.

N.B. : I Potito con la loro impresaria Giuseppa Errico furono sulla scena popolare napoletana a partire dalla seconda metà del Settecento fino alla seconda metà dell’Ottocento, dando vita ad una delle più importanti figure del Teatro napoletano che rese celebre in tutto il mondo la maschera di Pulcinella.

Il suo nome era ANTONIO POTITO …. si , proprio quell’Antonio detto“‘o pazzo” che  lo stesso  impresario del San Carlino,  Silvio Maria Luzi , suggerì a Salvatore Petito come nuovao interprete della maschera di Pulcinella .

Egli resosi infatti conto che era arrivato il  momento per  Salvatore Petito di mettersi da parte per sopragguinti limiti di età ,  suggerì al gran maestro  di farsi affiancare in quel periodo dal figlio Antonio,che allora recitava con vari ruoli  a piazza del Carmine, nei drammoni lacrime e sangue messi in scena  al teatro  Silfide da Donna Peppa” e dalle altre compagnie girovaghe di Napoli per accattivarsi il pubblico piú plebeo.

Salvatore si convinse ad abdicare perché aveva, purtroppo, capito che era arrivato il momento di affidare ad altri quella maschera che per lui stava diventando troppo pesante.

Poteva un padre  per giunta davvero arrivato al momento del riposo,  rifiutare l’eredità al suo stesso figlio?

Qual cosa migliore era quella di passare la mano a favore del figlio.

Detto fatto. Il 12 aprile del 1852 si diede la commedia “Mi si è spento il lume” ed al levare del sipario, don Salvatore in versi dialettili si rivolse agli spettatori che lo avevano amato per decenni e  presentò suo figlio Antonio al pubblico che assediava il San Carlino, pronunciando dei versi, scritti per lui da Giacomo Marulli.

” cari miei, sono vecchio e stanco; concedetemi il meritato riposo e accogliete con indulgenza il nuovo Pulcinella di questa compagnia, mio figlio Antonio. Poi s’avvicinò con una mano decisa il figliolo, che stava con lui in scena, gli diede maschera e coppolone e “Pe’ cient’anne!” lo benedisse.

Il pubblico partecipò a lungo con applausi e lagrime e baci e grida. Mai scena d’abdicazione reale fu, a nostro vedere, piú memorabile.

L’applauso del pubblico fu lungo e fragorosissimo , ci furono lacrime , baci e grida.Mai scena d’abdicazione reale fu, a nostro vedere, piú memorabile, ed altrettanto lo fu il debutto di Totonno, che ottenne consensi, al di là del previsto.

La maschera passò quindi da padre in figlio ed addirittura come vedremo … in mani migliori ! Da quel momento , quando Antonio Potito  ricevette l’investitura del camice bianco, dallo stesso padre, sul palcoscenico del San Carlino, davanti alla platea degli spettatori egli   fino all’ultimo giorno della sua esistenza, sarà per il pubblico e per la stampa  per sempre nella storia ,“Il Re dei Pulcinella” ed “Il Re del San Carlino”.

 

Autore, attore e capocomico napoletano di fama internazionale, Antonio Petito ,  nato nel 1822,  esordì sulla scena teatrale a soli sette anni , mostrando da subito grandi capacità nel ballo , nella mimica, nel canto, nella musica, nelle parodie e nei giochi di prestigio (era anche un acrobata molto abile)

Scrisse di lui Salvatore Di Giacomo : “L’attore era veramente grande, la sua figura illuminava tutta la scena ,riempiva tutti i vuoti , raccoglieva tutte le emozioni e gl’interessamenti ; così le volgari stupidaggini della commedia petiniana , il suo difetto d’umanità, scomparivano in un godimento che pervadeva tutto il pubblico e durava ancor fuori del teatro: una felicità che accompagnava fin a casa gli spettatori , e lasciava ancor sorridere , nel sonno , le loro labbra dischiuse”

CURIOSITA’: Salvatore Petito quando  abbandonò la maschera e, innamorato come era del teatro e della commedia , rimase ancora qualche anno  sul palcoscenico del San Carlino, interpretando piccole parti di carattere comicissimo (vecchi cafoni e giureconsulti sordi,  che ancora adesso vivono nelle farse di tradizione meridionale). Rimasto vedovo condusse all’altare un’altra sua generosa amante pescata da dentro un teatro e il suo spirito gagliardo ma immalinconito volò in cielo da un minuscolo appartamento che era l’anno 1869.

Antonio Petito nell’indossare  la maschera,di Pulcinella  non sostituì  semplicemente  suo padre al San Carlino: egli diede una vita ad un nuovo Pulcinella modificandone non tanto gli aspetti, le movenze, l’abbigliamento, ma  il linguaggio e i contenuti della maschera , recando a quest’ultima maggiore spessore psicologico. Nelle sue commedie Pulcinella finiva infatti spesso col trattare  temi sociali di grande attualità che cercavano di portare all’attenzione  e alla riflessione del pubblico molte realtà partenopee di metà ottocento .

La considerazione di una realtà sociale che andava mutando in seguito allo sviluppo industriale incalzante , e le  mutate situazioni economiche e culturali, che questa comportava, portò con il tempo Antonio ad essere obbligato a migliorare la  lingua del suo personaggio .La sua maschera di Pulcinella , finì con il tempo a  non si esprimersi  più in un vernacolo arcaico, ingarbugliato, rurale e ricco di errori, ma con l’affermazione della borghesia, Pulcinella , finì per esprimersi anche  nella nuova lingua borghese, allacciandosi persino alla cultura francese del vaudevilles e della pochades. Lentamente l’attore finì per mutare anche  l’atteggiamento caratteriale di Pulcinella; essa non era più una maschera pigra, buffona e sciocca quale essa era stata in epoche passate, ma  una maschera attiva, dinamica e molto furba, con evidenti tratti sentimentali e malinconici. Non più un villano ingenuo , sciocco ed ignorante , ma un servo acuto e astuto , talvolta addirittura saggio e  totalmente urbanizzato alla nuova società in cui viveva romanticamente infelice.

Antonio Petito fu insomma colui che rivoluzionò la maschera di Pulcinella avvicinandola di più a quel mondo borghese che aveva trasformato la società . Il suo pubblico , con un Pulcinella trasformato divenne più vasto e si allargò facendosi apprezzare, anche alle classi più agiate e non solo al popolino . Le sue commedie trattavano spesso di argomenti a sfondo sociale di grande attualità, che oltre a divenire un simbolo delle aspirazioni popolari divennero lentamamente anche un modo  di  insegnare al proletariato ad avere un nuovo rispetto per se stesso ed una serena coscienza dei propri doveri.

Insomma, Antonio Petito alla fine riscosse ancora più fama successo di suo padre , calcando lo stesso identico  palcoscenico e la stessa maschera . Il suo carisma e la sua genialità lo misero , nello stesso palcoscenico in cui fu incoronato, su di un piedistallo dal quale nessuno mai più riuscì a detronizzarlo ed a sostituirlo degnamente. Il suo strapotere artistico fu enorme e portò alla massima gloria il San Carlino proprio in un periodo in cui  in tutta Italia il teatro d’Arte soffriva .

Egli ebbe grande fama in tutta Italia dove  era considerato il re dei Pulcinella. Veniva considerato ovunque un figura leggendaria  anzi potremmo dire che Pulcinella era  ed èancora oggi  sinonimo di Petito. 

 Pensate solo che il re Vittorio Emanuele II in visita a  Napoli, volle vedere quasi solo lui.

Oltre ad essere ricordato come il più grande interprete di Pulcinella  egli fu comunque  anche un prolifico commediografo, ma poichè era semi-analfabeta, egli dopo aver ideato la trama di una commedia  poi si rivolgeva agli illustri letterati del tempo per effettuare la stesura dell’opera. Nonostante egli quindi avesse delle profonde lacune culturali , fu il primo vero attore  comico che intuì quanto fosse necessario il copione scritto da recitare e possiamo certamente considerarlo  antesiniano di una nuova forma di teatro che  vide in epoca successiva grande protagonista il suo allievo  prediletto Eduardo Scarpetta con la figura di Felice Sciosciamocca . Egli segnò  il passaggio dal teatro delle maschere al teatro del carattere.

 Antonio Petito fu infatti famoso anche per interpretazioni senza maschera, col nome di Pascarello, impegnato in esperimenti di riscrittura da Molière e da Goldoni che (non ce ne stupiamo) lasciavano di stucco anche gli stessi altri attori della compagnia. Scarpetta addirittura lo preferiva cosí, a volto nudo, ed è lecito supporre che il famoso Felice Sciosciammocca , nato da una rielaborazione proprio di Petito ,non fu altro che l’emulazione della neoterica drammaturgia d’attore di Pascarello.

 D’altronde Totonno aveva iniziato la sua carriera artistica interpretando le parti di cattivo, e lo faceva talmente bene che una sera al teatro di “Donna Peppa” uno spettatore, indispettito per il tradimento di Jago (interpretato da Antonio Petito)  , in un impeto di rabbia, lanciò una scarpa al Petito, con una violenza tale da procurargli una grossa ferita. Alla madre, che voleva far arrestare l’esagitato, Petito disse queste parole :

<< Pecchè ‘o faje arrestà ? In fondo m’ha fatto ‘o cchi` bello cumplimento ca me puteva fa ! >>

Ma Antonio Petito nella sua vita privata era un uomo buono burlone a cui piaceva molto  fare scherzi, anche se possedeva   un carattere un pò particolare tipico di   quelli dotati di  un estro così trascinante, 

Come il grande Molière, anche lui  lasciò la vita terrena mentre recitava . Ebbe infatti un malore  in scena sullo stesso palco dove il padre lo aveva incoronato , , la sera del 24 marzo del  1876 , abbandonò al suo destino la maschera di Pulcinella.

Antonio Petito

Quella sera , il grande Petito , il più grande interprete della maschera di Pulcinella era  intento a recitare nella ” Dama Bianca ”  del grande Marulli, quando un vile infarto cardiaco attacco , lo fulminò dietro le quinte. Fu allora adagiato su di un materasso e portato sul palcoscenico dove esalò il suo ultimo respiro, sotto gli occhi di un pubblico addolorato e frastornato che, piangendo e disperandosi, gli tributò l’ultimo ed il più fragoroso degli applausi. Con la sua morte finì l’ultimo ed il più grande dei Pulcinella. 

Con la sua morte  finiva anche una gloriosa generazione di Pulcinella che mai più vide attori degni di vestire quel bianco camice, anche se non si possono trascurare le ottime interpretazioni di Giuseppe De Martino e Salvatore De Muto che, pur dando ottimi saggi di recitazione, non seppero ridare alla maschera napoletano quel lustro e quella fama che gli aveva dato Antonio Petito.

Egli a distanza di molti anni resta ancora il più celebre ed uno dei più apprezzati Pulcinella della storia ancora tanto da essere conosciuto come “Il Re dei Pulcinella”.

Colui che forse potremmo idealmente identificare come  il suo vero nipote scenico è solo il grande Eduardo De Filippo, figlio di Eduardo Scarpetta il quale come vi abbiamo detto era a sua volta il principale allievo di Antonio Petito . Il grandissimo attore e commediografo Edoardo Scarpetta sostitui’ però come sappiamo alla maschera di pulcinella il suo inimitabile ‘ Felice sciosciammocca ‘ , una macchietta di grande successo .

Un grande Pulcinella manca quindi oramai da tempo …..

Ma io sono  sicuro che un grande Pulcinella esiste ancora nella nostra città e si mimetizza tra la gente per mettere in opera i suoi piani … egli aspetta solo la sua grande occasione per portare alla luce il suo talento .

Chi di voi sarà il prossimo grande Pulcinella ?

A voi la maschera …

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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