Fabrizio Ruffo, Cardinale e statista e’ rimasto famoso nella storia di Napoli per aver creato il movimento Sanfedista e comandato l’esercito della Santa Fede che segno’ la fine della Repubblica Partenopea del 1799.
Nacque il 16 settembre 1774 a San Lucido, in Calabria.
Suo zio il Cardinale Tommaso Ruffo si dedico’ alla sua istruzione affidandolo ai migliori maestri dell’epoca tra cui Angelo Baschi , che diventerà poi Papa con il nome di Pio VI .
Questa situazione si rilevo’ ovviamente un colpo di fortuna per il giovane Ruffo, il quale all’ ombra del suo protettore oramai Pontefice, fece una brillante carriera fino a diventare Cardinale nel concistoro del 1791.
In questo periodo comincio’ a frequentare la corte di Napoli diventando prima amico e poi consigliere di re Ferdinando e della regina Maria Carolina .
Quando nel 1779 i giacobini napoletani con l’aiuto di Championnet, proclamarono la Repubblica napoletana, segui’ i sovrani in fuga in Sicilia.
In Sicilia dopo una storica riunione gli fu conferito il titolo di Vicario generale del Regno e al contempo il gravoso compito, con pieni poteri della riconquista del Regno.
Il Cardinale Ruffo contava, armato del solo crocifisso e della sua mente di sollevare il popolo contro gli stessi rivoluzionari, sopratutto sulla Calabria, terra di molti suoi feudi .
Parti’ da Palermo con un gruppo di uomini, con scarse provvigioni e pochi denari e una volta giunto nella terra natale, emano’ un proclama ai bravi e coraggiosi calabresi perche’ vendicassero le offese fatte alla religione, al re e alla Patria invitandoli a unirsi sotto il vessillo della Santa Croce, per scacciate i francesi dal regno di Napoli e ristabilire la monarchia.
Radunò i volontari, sopratutto contadini, a Pizzo Calabro e incomincio’ una lunga marcia verso Napoli, alla raccolta di soldati volontari .
Ben presto comincio’ a formarsi un piccolo esercito che raccoglieva uomini di tutti i ceti sociali ed anche carcerati e briganti. Non aveva importanza chi fossero: nobili e plebei, villici e cittadini, briganti e galantuomini, sbandati, malfattori, disertori, reclusi, evasi e frati sfratati, erano tutti bene accetti per formare l’esercito della Santa Fede .
Il Cardinale infatti emise un editto che garantiva il perdono a tutti i galeotti o banditi che si fossero pentiti e uniti al suo esercito e fu instaurata a tal proposito una grazia sovrana che condonava colpe e delitti che riguardava sopratutto i capimassa. Al cardinale si unirono quindi anche numerosi briganti tra cui anche Michele Pezza detto “ fra diavolo” e Gaetano Mammone .
Ma anche Giovanni Proto che scorrazzava negli Abruzzi, Gerardo Curci, detto sciarpa che imperava nel Salernitano, Giovan Battista Rodio che andava su e giù per la Calabria e Boccheciampe che con alcuni conterranei, fuoriusciti per diserzione, molestava le Puglie .
Gaetano Mammone era considerato il più crudele e sanguinario dei banditi.. Di lui si diceva addirittura che mangiasse in teschi umani di persone da lui uccise. Il suo desiderio di sangue umano era tale che si beveva tutto quello che usciva dagli infelici che faceva scannare. Si diceva averlo visto bere il sangue suo dopo essersi salassato, e cercar con avidità quello degli altri salassati che erano con lui. Pranzava avendo a tavola qualche testa ancora grondante sangue e beveva in un cranio.
Lui e suo fratello Luigi, nativi di Sora, insieme alla loro banda facevano scorribande lungo tutto il territorio effettuando ogni sorta di violenza.
Fu lui ad entrare in Napoli da trionfatore con l’armata della Santa Fede. Finita la Repubblica Giacobina, una volta ritiratosi nei suoi domini, continuò nelle sue azioni di brigantaggio continuando a spargere sangue e terrore. Per il suo ostinato atteggiamento criminoso fu alla fine messo al bando e perseguitato. Gli fu dato una spietata caccia, anche perché era nel frattempo divenuto al pari degli altri briganti, un personaggio ingombrante.
Mammone infatti in passato era stato definito da re Ferdinando “nostro buon amico e generale, il vero sostegno del Trono” ed anche insignito di decorazioni borboniche.
Gli abitanti della zona scrissero al re supplicandolo di liberarli da quel sanguinario personaggio. Mammone e suo fratello quindi dopo essere serviti alla causa vennero esplicitamente esclusi dal condono per i loro pregressi reati e una volta arrestati condotti nelle carceri di Ischia da cui riuscirono poi, in un secondo momento, a fuggire con la complicità di alcune guardie.
Nello stesso anno fu ritrovato ( vestito da prete) e arrestato a Gaeta e rinchiuso poi nelle carceri della Vicaria dove quattro mesi dopo mori’ avvelenato.
La sua immagine agli occhi della gente doveva apparire terrificante .
Ancora oggi per far stare buoni i bambini o intimorirli in caso di capricci si usa talvolta dire ‘ stai buono altrimenti arriva il mammone ‘.
Oppure ‘Fai il buono se no viene il mammone e ti mangia‘
Pino Daniele nel suo bel brano “Ninnanàninnanoè“ ad un certo punto cita il brigante dicendo ….si vene ‘o mammone chiudimmo ‘a porta “ …
Il fratello invece fu arrestato solo tredici anni dopo quando ritornato al suo paese si reco’ dal sindaco per chiedere le chiavi della sua abitazione. Fu processato e condannato a morte dopo aver anche chiesto in una lettera una supplica al re, rimasta senza risposta.
Il bandito Michele Pezza, detto “Fra Diavolo” dominava le zone di Itri e di Sessa.
Precedentemente era stato un chierico spretato e in seguito ad alcuni assassini e vari reati si era rifugiato con una sua banda nelle montagne intorno a Itri per sfuggire alla cattura dei gendarmi.
Una volta avuto il dispaccio del Cardinale Ruffo, subito si uni’ a combattere al fianco della Santa Fede ( sostenendo che lo faceva per espiare i suoi peccati ) ottenendone grandi vantaggi.
In un’aria mista tra brigante e uomo religioso, ostentava un’atteggiamento di brav’uomo disposto a sacrificarsi per gli altri in omaggio al suo Dio.
Anche Ferdinando e Carolina ne furono attratti e stabilirono con il brigante ottimi relazioni. Gli furono dati gradi di Colonnello e dopo la fine delle ostilità il titolo di Duca di Cassano con vitalizio che il figlio continuo’ a percepire anche dopo la sua morte ( 3000 Ducati ).
Visse con il suo nuovo titolo nobiliare per anni attestandosi al suo nuovo stato senza creare nessun problema. Il re nel 1806 lo richiamo’ di nuovo in scena per detronizzare Giuseppe Bonaparte che lo aveva costretto a cedere il suo posto ( Carolina aveva offerto 50.000 ducati ) ma questa volta non avendo alle spalle l’armata del Cardinale Ruffo, con soli 600 uomini non riusci’ a tenere testa all’esercito francese: fu fatto prigioniero e poi impiccato in Piazza Mercato.
Il piccolo esercito del Cardinale Ruffo presto si ingigantisce fino a contare 25.000 uomini divenendo, sotto la bandiera borbonica e della Chiesa, l’Esercito della Santa Fede.
Ruffo conquistò tutte le città e i villaggi che attaccò.
Il cardinale emise inoltre un altro editto con il quale garantiva il perdono a tutti i rivoluzionari che si fossero pentiti, che gli consentì di avanzare rapidamente e di giungere presto alle porte di Resina e di occupare il palazzo reale di Portici .
Intanto i francesi battuti nell’Alto Adige erano costretti ad indietreggiare dal territorio Italiano. Per rinforzare il loro esercito decimato e stanco richiamarono uomini dai presidi dislocati nelle varie regioni d’Italia, compreso quello dalla Repubblica Partenopea.
Lasciarono quindi solo 900 uomini a Napoli nel Castel sant’Elmo affidando la sorte della Repubblica in citta’ alle poche forze liberali .
Russi e Turchi alleati di Ferdinando erano già sbarcati a Brindisi mentre la flotta Spagnola comandata da Nelson giungeva via mare .
Nei pressi del ponte della Maddalena i giacobini opposero resistenza asserragliati nel forte di Vigliena . La difesa fu vana e i rivoluzionari si fecero saltare in aria insieme al forte in un suicidio collettivo.
L’ultimo presidio della repubblica a quel punto fu Castel Sant’Elmo, ma ben presto capitolo ‘ anche questo e i rivoluzionari accettarono la resa a cui fu promessa salva la vita dallo stesso Cardinale Ruffo .
Con la promessa di essere poi condotti in Francia, i repubblicani si arresero e vennero arrestati; i capitolati tra cui Eleonora Pimentel Fonseca, furono portati sulle navi inglesi, pronte a partire per la Francia .
Il 24 giugno giunse la flotta di Nelson il quale a questo punto prese nelle sue mani la situazione e non rispetto’ le onorevoli condizioni della resa garantite da Ruffo cioe’ ” salva la vita a tutti “.
Nelson non rispetto’ i termini dell’accordo e, facendosi mano armata di Ferdinando IV, ordino’ di fermare la partenza delle navi dando disposizione di riportare a terra tutti quelli che dovevano essere giudicati.
Migliaia di cittadini vengono arrestati e molte centinaia giustiziati. Caddero in quel tempo i nomi più illustri della cultura e del patriottismo napoletano.
Non venendo rispettate le condizioni della resa che garantiva ‘salva la vita a tutti’ e venendo meno all’accordo si commise un vero e proprio massacro.
Furono condannati a morte tutti i giacobini e tra questi personaggi illustri come l’ammiraglio Caracciolo, il conte Rufo Ettore Carafa , il principe Colonna , il duca di Cassano , Mario e Ferdinando Pignatelli, Domenico Cirillo, i vescovi Natale e Serrao, Gennaro Serra di Cassano, Luigia Sanfelice, il giurista Francesco Conforti, il colonnello Gabriele Manthoné, gli scrittori Vincenzo Russo e Mario Pagano, Ignazio Ciaia,, Giuseppe Logoteta.
La restaurazione borbonica, insomma, in brevissimo tempo falcio’ quello che Benedetto Croce definirà “il fiore dell’intelligenza meridionale”.
Il primo fu Caracciolo che pago’ anche per l’odio che Nelson nutriva nei suoi confronti . Fu impiccato ad un pennone della sua nave ed il suo corpo fu gettato in mare .
Sui motivi che indussero Orazio Nelson ad operare in modo cosi’ poco onorevole, influi’ certamente la sua passione per lady Hamilton, la moglie dell’ambasciatore inglese e amica intima,’ MOLTO INTIMA ‘ di Maria Carolina, la quale si servi’ appunto della sua amica per far pressione sull’ambasciatore e soddisfare tutto l’odio che nutriva per i repubblicani .
Nelson era pazzamente invaghito della bella Emma Lyon ( avventuriera di gran classe che era riuscita ad irretire fino a farsi sposare, Sir William Hamilton ) che per espresso desiderio di Maria Carolina era a bordo dell’ammiraglia.
Indignato e sinceramente addolorato, il cardinale tentò in tutti i modi di evitare la feroce carneficina e minacciato addirittura di arresto, assistè impotente agli orrori della repressione.
Alla fine del burrascoso episodio, molto amareggiato decise di ritirarsi dalla vita politica.
Nell’ottobre dello stesso anno si reco’ a Roma e piu’ tardi seguì papa Pio VII in prigionia a Parigi, dove non tardò ad allacciare relazioni con il Governo francese, (grazie ad una reciproca stima che stabilì con Napoleone Buonaparte) e in qualità di ascoltato consigliere del Papa lo esortò a firmare il trattato di Fontainebleau.
Tornera’ a Napoli solo quindici anni dopo, ma per dedicarsi unicamente ai suoi studi.
Trascorse gli ultimi anni della vita a Napoli nella sontuosa dimora di famiglia, Palazzo Bagnara, nell’attuale Piazza Dante, numero 89.
Morì il 13 dicembre 1827 all’eta di 83 anni. Il suo feretro fu esposto solennemente nella chiesa di S.Domenico Maggiore, dove fu sepolto nella sontuosa Cappella di famiglia, dove riposa, nella settima cappella della navata sinistra, che oggi ha il nome di ‘Cappella di Santa Caterina di Alessandria.