Egli diede infatti inzio con il Tanucci ad un importante un periodo di riforme nell’amministrazione (anche se talvolta difettose o incomplete) che erano per quei tempi molto liberali e ardite.
Risveglio’ il settore commerciale, istituendo un tribunale di commercio ed un collegio nautico che tutelava la marina mercantile (stipulo’ un trattato con l’impero ottomano che ridusse le azioni dei pirati). Istituì l’imposta fondaria e fece il catasto, miglioro’ i tribunali e la procedura civile. Fece ogni sforzo per diminuire il potere delle feudalità e per sottrarre il regno all’influenza clericale. Colpi’ la manomorta, ossia l’ immunita’ dal fisco per alcuni immobili religiosi ( sanci’ l’ imposizione fiscale ai beni religiosi prima esenti) cosa che ancora oggi il nostro attuale governo non ha il coraggio di fare …. Egli stipulò col Vaticano (grazie alla politica anticlericale del Tanucci) un concordato in cui si prevedeva la riduzione dei privilegi ecclesiastici, delle immunita’, del numero dei chierici e si sospese il tribunale della inquisizione.
A tal proposito va ricordato un fatto esemplare che l’ambasciatore britannico sir James Gray cosi’commentò: «Il modo in cui il re si è comportato in questa occasione è considerato come uno degli atti più popolari del suo regno»
Il concordato dava inoltre al re il controllo delle nomine dei vescovi e sanciva la riduzione del numero dei conventi.
CURIOSITA’: Nel 1746 il cardinale arcivescovo Spinelli tentò d’introdurre l’Inquisizione a Napoli: la reazione dei napoletani, tradizionalmente ostili al tribunale ecclesiastico, fu violenta. Implorato dai sudditi d’intervenire, re Carlo entrò nella Basilica del Carmine e toccando l’altare con la punta della spada giurò che non avrebbe permesso l’istituzione dell’Inquisizione nel suo regno. Lo Spinelli, che fin allora aveva goduto del favore del re e del popolo, fu allontanato dalla città.
In politica estera, fu avveduto e mai spericolato, coltivando l’alleanza con l’Austria che consolidò con il matrimonio del figlio Ferdinando con la figlia di Maria Teresa, Maria Carolina.
In citta riordinò il Bosco di Capodimonte e iniziò la costruzione delle Reggia di Capodimonte
La reggia fu’ progettata da G.A. Medrano nel 1738 e fu terminata 100 anni dopo. Intorno al palazzo, il Sovrano aveva voluto due grandi boschi da destinare alla caccia e un enorme giardino.
Nel 1839 fu destinata ad ospitare le collezioni Farnesiane, che il re aveva ereditato dalla madre Elisabetta e successivamente impiantò la fabbrica di porcellane in omaggio alla sposa sassone.
Si tratta di grandi capolavori che hanno reso celebre la capitale dell’Impero ed erano poi finiti nella residenza della grande famiglia Farnese.
N.B. Le statue colossali, come il Toro Farnese e l’Atlante, venivano dalle Terme di Caracalla.
Il Toro è uno dei gruppi marmorei più grandi dell’antichità. L’Ercole, rinvenuto sotto Papa Paolo III, invece è una scultura che impressionò gli artisti del Rinascimento, diventando modello di riferimento per la cultura manierista. I gioielli Farnese trovano poi il loro culmine nella stanzetta che accoglie le gemme e in particolare la Tazza, uno dei più grandi cammei dell’antichità.
Le stupende opere archeologiche che rappresentano il trionfo dei Farnese, sono oggi raccolte nelle sale del Museo Aechelogico di Napoli ( MANN ) .
Questo Museo che può vantare il più ricco e pregevole patrimonio di opere d’arte e manufatti di interesse archeologico in Italia, è stato uno dei primi costituiti in Europa.
Esso fu realizzato in un monumentale palazzo seicentesco tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento e anch’esso è parte integrante di quel grosso progetto dei Borbone di realizzare a Napoli qualcosa di unico.
CURIOSITA’ Il monumentale edificio fu costruito alla fine del Cinquecento, come caserma di cavalleria, su ordine del viceré di Spagna (di quel complesso oggi sopravvive solo il possente portale in piperno che si spalanca sul lato occidentale di via Santa Teresa). Nel corso del XVII secolo fu ampliato grazie all’opera dell’architetto Giulio Cesare Fontana, e trasformato in sede universitaria. L’Ateneo vi rimase per circa 150 anni , fino a quando, il re Ferdinando IV decise di traslocarlo negli spazi del Real Convitto del Salvatore, ( 1777) adibendo il vecchio Palazzo degli Studi a sede del primo Museo Borbonico e della Real Biblioteca di Napoli.
Ferdinando di Borbone , fece in modo da riunire in questa sede i due preesistenti musei reali: quello di Capodimonte, che ospitava le collezioni d’arte e d’antichità formate nel corso di oltre due secoli dalla famiglia Farnese ed ereditate da Carlo di Borbone per via materna, e il Museo Ercolanese di Portici, dedicato agli oggetti provenienti dagli scavi archeologici di Ercolano e Pompei, iniziati rispettivamente nel 1738 e nel 1748.
Il nuovo progetto museale prevedeva inoltre l’inserimento nella stessa sede anche di altri istituti di cultura, quali la Biblioteca Borbonica e l’Accademia di Belle Arti.
Napoli, Capitale del Regno, al pari di tutte le altre capitali del Vecchio Continente, poteva così fregiarsi di un polo museale tutto suo. Si andava così realizzando il progetto dei Borbone di creare a Napoli, capitale del Regno, un grandioso istituto per le arti, riunendo in un solo complesso il fondo librario, la ricchissima raccolta di antichità, appartenute ad Elisabetta Farnese, madre di Carlo III, divisa tra Roma e Capodimonte, e le collezioni archeologiche formatesi durante gli scavi intrapresi nelle cittadine vesuviane dal 1738 e precedentemente esposte nel Museo Ercolanese di Portici.
La visita a questo museo si snoda per ben dodicimila metri quadri di esposizione . Una volta entrati possiamo ammirare lungo lo scalone monumentale quattro sculture in marmo, tra le quali si segnala la statua opera di Antonio Canova raffigurante, Ferdinando I di Borbone, celebrato come protettore delle arti.
La “Real Biblioteca di Napoli”, fu aperto al pubblico, nel Gran Salone della Meridiana, solo nel 1801 per le grandi difficoltà economiche ed i grandi rivolgimenti politici dell’epoca, che rallentarono notevolmente l’impresa, , mentre le prime sezioni museali vennero inaugurate durante il decennio francese,
Tornati i Borbone dal temporaneo esilio in Sicilia ed arricchito di nuove importanti collezioni, quali la Borgia, la Vivenzio, e parte della stessa collezione personale formata a Napoli da Carolina Murat, il Museo fu inaugurato nel 1816 col nome di Real Museo Borbonico. Nel corso del XIX secolo si susseguirono molte nuove immissioni sia di collezioni private, sia di materiali provenienti dagli scavi eseguiti in Campania e nell’Italia meridionale e soprattutto nell’agro Pompeiano e Vesuviano: tra il 1830 ed il 1840, tra i monumenti di prestigio, giunsero al Museo il mosaico di Alessandro e gli altri mosaici della Casa del Fauno, il “Vetro blu”, il “Vaso di Dario”
Nel 1860, con l’Unità d’Italia, il Real Museo Borbonico divenne proprietà dello Stato, assumendo la nuova denominazione di “Museo Nazionale”. Tra il 1863 ed il 1875 oltre ad arricchirsi della notevolissima collezione Santangelo, esso venne completamente riordinato da Giuseppe Fiorelli, secondo un criterio tipologico. Alla nuova riorganizzazione operata da Ettore Pais tra il 1901 ed il 1904 fecero seguito sistemazioni di singole collezioni, rese possibili anche dalla disponibilità di nuovi spazi creatisi con i trasferimenti, nel 1925, della Biblioteca nel Palazzo Reale di Napoli e, nel 1957, della Pinacoteca nell’attuale Museo di Capodimonte. Rimasero così in questa sede soltanto le ricche collezioni di antichità, cosicché il Museo iniziò ad assumere la sua odierna identità di Museo Archeologico.
In esso oggi sono esposti oltre tremila oggetti di valore esemplare in varie sezioni tematiche e conservati centinaia di migliaia di reperti databili dall’età preistorica alla tarda antichità, sia provenienti da vari siti antichi del Meridione, sia dall’acquisizione di rilevanti raccolte antiquarie, a partire dalla collezioneFarnese appartenuta alla dinastia reale dei Borbone, fondatori del Museo.
Altra grande opera meritoria di Carlo furono come vi abbiamo accennato, gli scavi di Ercolano e Pompei con cui egli porto’ alla luce un tesoro straordinario di reperti archeologici. Il suo merito fu di capire immediatamente l’importanza di tali ritrovamenti e di inaugurare una campagna archeologica continuata poi dai successori e in vigore ancora oggi.
Fu il teatro più’ grande e sontuoso in Italia, che divenne talmente famoso da divenire negli anni successivi tappa obbligatoria per tutti i visitatori italiani e stranieri.
Il maggiore intervento pubblico degli anni in cui Carlo, era re di Napol, fu comunque la costruzione del gigantesco Albergo dei poveri, allora detto “Reclusorio”: un ospizio destinato, nelle intenzioni del sovrano, ad accogliere ottomila persone e dare asilo ad una moltetudine di poveri senza dimora per toglierli dalle strade. Esso doveva rappresentare la pieta’ illuminista della casa Borbonica e la maggiore espreesione delle sue idee riformiste
L’edificio doveva, nelle intenzioni del sovrano, contenere il forte problema dei poveri (in citta’ erano 25.000) e sulla forte spinta esercitata da padre Rocco, egli decise di far costruire per i soli poveri un mastodontico Albergo dove essi potevano essere ospitati con separazione dei sessi e delle età.
Nel grande sogno utopistico di re Carlo, la grande fabbrica era destinata a ospitare ottomila persone, che avrebbero avuto a loro disposizione refettori, cortili, portici, officine, abitazioni, etc. oltre ad avere nel suo centro geometrico una grande chiesa; la comunità avrebbe potuto quindi svolgere nel Reclusorio una sua vita, se non autonoma, certamente abbastanza completa.
Il progetto e la direzione dei lavori furono affidati a Ferdinando Fuga, che legò il proprio nome a questa grande opera. L’architetto fiorentino, partito dall’idea di costruire un edificio quadrilatero, con quattro cortili quadrati nella piana situata alle spalle del borgo di Loreto, dovette poi rinunciare alla localizzazione prescelta, probabilmente perché costruire una fabbrica di tale mole praticamente sul mare, e in un’area dalla ben definita funzione militare, era poco conveniente*
Di più, si temeva forse che la fabbrica, sorgendo in una zona disabitata, potesse diventare una sorta di ghetto, tagliato fuori dalla vita della città. Il suolo dove, invece, l’ospizio fu costruito presentava caratteristiche assai più vantaggiose.
Alle sue spalle si levava la collina di Miradois, la quale costituiva, con il suo verde, una quinta ideale per il rigoroso volume della fabbrica; un intento paesaggistico aveva certamente presieduto a questa ubicazione, in quanto il Reclusorio veniva così organicamente, anche se forzatamente, integrato nella struttura naturale dei luoghi. Inoltre, lo si costruì lungo via Foria, che nel 1766 venne selciata e allargata”” e che “assume, da questa epoca, le funzioni di ingresso d’onore della città: funzione già prima disimpegnate da Porta Capuana, nella occasione dei solenni ricevimenti di regnanti e principi”.
N.B. La scelta di costruire la colossale opera lungo Via Foria , fu una decisione strategica e ben ponderata daIi Borbone e dallo stesso architetto Fuga. Ess edificatoin manira spoporzionata rispetto al minuto tessuto edilizio circostante, doveva simbolicamente costituire una sorta di monumento alla gloria del monarca.
Al visitatore che giungeva a Napoli dalla Parte più alta di via del Campo si profilava la fuga prospettica della facciata maggiore del Reclusorio, lunga trecentocinquanta metri
N.B. La mappa del duca di Noja raffigura l’Albergo dei poveri nello sviluppo previsto dal progetto, con il fronte più lungo di seicento metri. Ma sopravvenute difficoltà impedirono che l’edificio fosse completato: la parte costruita corrisponde a un quinto del volume progettato.
Il progetto iniziale prevedeva una pianta rettangolare, con cinque cortili interni e una chiesa nel mezzo; i due cortili più esterni furono poi cancellati dal progetto, che rimaneva comunque estremamente ambizioso: nel 1819, quando i lavori di costruzione furono definitivamente sospesi, l’edificio era stato realizzato per poco più della metà del progetto originario.
I lavori,lunghissimi, furono iniziati nel 1751, proseguirono per tutto il Settecento e per i primi decenni dell’Ottocento.
CURIOSITA’: Nel 1780 Francesco Milizia commentava: “Chi sa quando si finirà; e sono quasi trent’anni, che si lavora a quest’opera. Con minore spesa, e in più breve tempo si sarebbe tolta per sempre ogni povertà dall’abbondantissimo Regno di Napoli”‘. Osservazione infondata, perché ben altre erano le dimensioni dei problemi economici da affrontare; più esatta l’osservazione successiva: “È una esperienza costante, che per questi Ospizj non si tolgono i poveri’*. In realtà, l’iniziativa risultò, più che altro, un monumento alla vanità della Corona.
Comunque sia, l’Albergo dei poveri è una di quelle fabbriche che nel panorama urbano assumono un peso e un rilievo di primo piano. La sua mole e il severo schema strutturale che sovraintende alla composizione sono tali da costituire un unicum di eccezionale interesse.
Ancora oggi Il Real Albergo dei Poveri o Palazzo Fuga (nell’uso popolare, Reclusorio o Serraglio) ,voluto da Carlo III di Borbone , resta il maggiore palazzo monumentale di Napoli e rappresenta con i suoi oltre 100mila metri quadrati uno degli edifici più grandi d’Europa.
Con la sua pianta rettangolare l’enorme edificio misura 389 metri di lunghezza e 140 metri di profondità, con un’area coperta di 55mila metri quadrati. I 103mila metri quadrati di superficie utile sono distribuiti su sette piani fuori terra per un totale di 440 tra sale e gallerie, mentre il volume stimato è di 830mila metri cubi.
Questo enorme edificio incompiuto ospitò bambini e ragazzi orfani, donne e uomini poveri, fu sede del tribunale per i minori, ed ha avuto nei secoli una storia travagliata, passando per citare solo gli ultimi decenni, per danneggiamenti e crolli (terremoto del 1980), situazioni di abbandono e occupazioni abusive, per vivere finalmente, negli ultimi anni, una nuova fase di ristrutturazione e riqualificazione promossa finalmente dal Comune.
Carlo quando lasciò il regno di Napoli per prendere possesso del trono di Spagna, lascio la direttiva del regno a suo figlio minore Ferdinando IV e al suo fidato ministro Bernardo Tanucci . A questi tra le tante cose da fare, lasciò anche l’incarico da dare a Ferdinando Fuga di costruire ai piedi della collina di Poggioreale , un cimitero per i poveri, fuori porta, fornito di 366 fosse comuni da riempire una al giorno :Il cimitero di Santa Maria del Popolo, conosciuto come cimitero delle 366 fosse o come cimitero dei Tredici .
Il sovrano volle quest’opera per evitare fenomeni di infezione (molto comuni in quel tempo) dovuti alle sepolture nelle terre sante delle chiese della città.
La mortalità in quel periodo in città era molto alte per le frequenti epidemie e un numero crescente di malattie considerate allìepoca incurabili , Gli ospedali i erano eccessivamente affollati ed il numero dei morti aumentava di giorno in giorno .
N.B. Era usanza comune all’epoca , sotterrare i morti nelle cavità di ospedali, chiese e grotte , ma il numero dei morti era altissimo e non si trovava in questi luoghi piu’ spazio .
Si penso’ bene quindi di non seppellire piu’ i corpi dei defunti all’interno delle chiese, o nelle immediate vicinanze di esse e prevedere la creazione di grandi fosse comuni al di fuori della mura cittadine.
Una delle aree particolarmente in uso e piena di cadaveri , era quella di una grande cavità, detta piscina, posta sotto l’ospedale degli Incurabili dove gli ammalati deceduti venivano gettati alla rinfusa . Si trattava di un’enorme fossa comune , che a causa del cattivo odore che da essa proveniva comprometteva gravemente la salubruta’ dell’ aria con conseguente pericolo di infezioni .
Il grande numero di morti che affligeva l’ ospedale non poteva piu’ essere contenuto in questa fosse comune e si penso’ bene ad un certo punto di costruire un Cimitero a proprio uso esclusivo lontano dall’ ospedale che sorse nella zona di San Antonio Abate su disegno di Ferdinando Fuga. Questo cimitero fu in assoluto il primo cimitero ad essere costruito al di fuori delle mura cittadine anticipando di circa quarant’anni l’editto napoleonico di Saint Claude e fu anche ,il primo esempio cittadino , insieme alla realizzazione del Real Albergo dei Poveri , di un’area specificamente dedicata ai poveri, facente parte del grande progetto illuministico intentato all’epoca dai borbone per le classi meno abbienti.
Il re, non solo affido’ l’opera di costruzione al grande architetto ma addirittura collaboro’ ‘economicamente alla sua realizzazione con un contributo personale di 4500 ducati .
Il 31 dicembre del 1736 venne finalmente quindi aperto il Cimitero di Santa Maria del Popolo, detto anche “Cimitero delle 366 Fosse”, che per l’epoca fu considerata una vera e propria opera rivoluzionaria d’ingegneria, a metà tra struttura Sanitaria e centro di Smaltimento che restato in funzione fino al 1890, si calcola che abbia ospitato circa due milioni e mezzo di salme delle classi meno abbienti .
La caratteristica di questo cimitero erano proprio le sue 366 fosse fatte per precauzioni sanitarie in un periodo in cui carestia e peste affliggevano la città’.
Perché così tante? . La risposta la ritroviamo in una antica relazione della segreteria dove possiamo leggere ‘«Seppellendosi i cadaveri ogni giorno in una fossa nuova non viene prima di un intiero anno a riaprirsi quella fossa».
Ovviamente questo per motivi sanitari era un gran vantaggio perché’ permetteva l’inumazione ordinata dei morti secondo un criterio cronologico e questo non permetteva di riaprire quella determinata buca se non prima di un anno riducendo cosi’ il rischio di infezioni .
Le 366 fosse ( come i giorni dell’anno bisestile ) secondo un criterio logico , consentivano di gestire tutte le sepolture durante tutto l’anno, e la procedura prevedeva che ogni giorno venisse aperta una sola fossa diversa in cui venivano deposti tutti i defunti di quella giornata e che poi la sera questa venisse richiusa e sigillata.
Le fosse erano profonde circa sette metri, ed erano allineate diciannove per file.
La sequenza procedeva da sinistra a destra, ( da un muro all’altro ) ma cambiando file la progressione cambiava andamento, da destra e sinistra, e così via.
Le lapidi di basalto, che sigillavano le fosse, furono disposte in modo che i becchini si trovassero a lavorare ogni giorno su una fila differente da quella del giorno precedente. I corpi erano lasciati cadere nelle fosse senza cura né attenzione, fino a quando, nel 1875, una baronessa inglese che aveva perduto la figlia in seguito a un’epidemia di colera, decise di donare al cimitero un macchinario, realizzato da una fonderia napoletana, che calasse con calma e precisione le salme all’interno delle sepolture.
Su ciascuna lapide , secondo un rigido ordine cronologico veniva apposta una lastra con sopra un numero inscritto in un cerchio . Questo consentiva conoscendo solamente il giorno del decesso, di poter almeno individuare, in quella fossa comune” riposava il proprio caro ed individuare il punto preciso in cui pregare .
Il sistema permetteva in tal modo di risolvere da un lato il problema sanitario e dall’altro di non abbandonare delle povere anime senza dedicare loro una degna sepoltura ( cosa improponibile a Napoli, dove il culto dei morti è sempre stato molto diffuso
L’unicità di questo Cimitero consiste a differenza delle Terre Sante, o delle Cave di Tufo, nella possibilità di determinare con assoluta certezza la collocazione della Salma, anche per i poveri che da allora venivano registrati.
Altre opere pubbliche di rilievo volute da Carlo di Borbone, furono: la sistemazione del Molo, l’apertura della strada di Mergellina, la costruzione dell’edificio dell’Immacolatella ed infine nel 1757 fu iniziata la costruzione dell’emiciclo al largo Mercatiello (attuale Piazza Dante) dove, alcuni giorni della settimana, c’era il mercato.
La piazza prevedeva nel nicchione centrale la statua equestre di Carlo (il modello in gesso esistente all’epoca fu poi distrutta dai giacobini nel 1799) e sul cornicione dell’emiciclo possiamo ancora oggi vedere le 26 statue allegoriche delle virtu’ del sovrano.
Le statue delle allegorie presenti sulle terrazze dell’ emiciclo vanvitelliano del foro carolingio ,non rappresentano solo le virtù del sovrano nel senso classico della parola. Molte riflettono lo stile di vita del monarca, le sue politiche illuministiche, il suo desiderio di promuovere la cultura e il benessere sociale dei suoi sudditi, il suo interesse per le arti e le scienze. Esse rappresentano quindi un “unicum” di virtù, belle arti e qualità di buon governo.
L’emiciclo fu commissionato dai Borbone al Vanvitelli per far risaltare la grandezza e la lungimiranza di questo sovrano illuminato, un re profondamente legato ai suoi sudditi e al suo regno, un sovrano che avrebbe voluto emancipare il suo popolo e la nazione napoletana. Certamente non fu solo un opera pubblica edificata per spirito di servizio, ma bensì un monumento per la gloria del re e della sua dinastia. Le sculture vennero poste sulle terrazze dell’ emiciclo tra il luglio del 1763 e l’agosto del 1764.
Se ora vi ponete di fronte alle statue e al nicchione centrale del convitto , partendo dal lato sinistro,( quello vicino a PortìAlba per intenderci)vediamo di capire quali statue rapprentavano nella loro icinografia le virtù di re Carlo.
Emiciclo di sinistra: 1) La Fortezza. 2) L’ Agricoltura. 3) L’Astronomia. 4) La Prudenza. 5) La Sanità. 6) La Concordia. 7) La Vittoria. 8) La Sincerità. 9) La Felicità pubblica. 10) La Vigilanza. 11) La Filosofia. 12) La Musica. 13) La Matematica.
Continando verso l’emiciclo di sinistra troviamo invece 14) L’Architettura militare. 15) La Speranza. 16) Lo Studio. 17) Il Valore. 18) La Pace. 19) La Meditazione. 20) La Nobiltà. 21) Il Merito. 22) La Costanza. 23) La Verità. 24) Le Belle arti liberali. 25) L’Abbondanza. 26) Il Riparo dal tradimento.
Tratto da un bellissimo articolo scritto da Antonio Colecchia ( whipart 28 febbraio 2020 )intitolato ” le 26 virtù di Carlo di Borbone, passamo ora a cercare di capire il significato iconologico di ogni singola opera.
1) La Fortezza:
Questa opera di ispirazione classica è rappresentata da una possente donna vestita da guerriera con un elmo con cimiero; nella mano sinistra regge uno scettro simbolo del potere e della sovranità del re mentre nella mano destra un globo sormontato dalla croce che rappresenta il sovrano che “domina sul mondo in virtù della sua fede nella croce . Questa statua non è di certa attribuzione ma per la mediocre e semplice la fattura è attribuibile al gruppo di statue carraresi fornite dal De Medici . Nonostante sia una scultura di prevalente ispirazione barocca si a nota nell’ esecuzione la presenza delle nuove influenze neoclassiche.
“La fortezza assicura, nelle difficoltà, la fermezza e la costanza nella ricerca del bene.”
La fortezza è la capacità di resistere alle avversità, di non scoraggiarsi dinanzi ai contrattempi, di perseverare nel cammino di perfezione, cioè di andare avanti ad ogni costo, senza lasciarsi vincere dalla pigrizia, dalla viltà, dalla paura. La fortezza si oppone alla pusillanimità che è il difetto di chi non si esprime nella pienezza delle proprie potenzialità, facendosi cullare dalla pigrizia o accontentandosi di condurre un’esistenza vuota. La fortezza è una delle quattro Virtù Cardinali ( prudenza, giustizia, fortezza e temperanza ), e riunisce forza e coraggio. “Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare le prove e le persecuzioni. Dà il coraggio di giungere fino alla rinuncia e al sacrificio della propria vita per difendere una giusta causa.”
2) L’Agricoltura
Anche essa è di stile classico e rappresenta una giovane e riccioluta fanciulla che regge una cornucopia, simbolo di abbondanza, e una falce, auspicio di ottimi raccolti. Il monarca illuminato incentivò molto l’agricoltura che era fonte di ricchezza delle popolazioni locali. Privilegiò in modo particolare la coltivazioni di prodotti del territorio, di alta qualità, e incentivò l’allevamento di bufale e cavalli. Le specialità campane specie le mozzarelle e i pomodori già da allora erano conosciuti e apprezzati in tutta Europa. I pastifici del regno già esportavano in tutta Europa. Il sovrano fece costruire molte masserie con coloni specializzati e allevatori dando lavoro e con prodotti di ottima qualità. Fra le più avviate e importanti masserie che fungevano anche da casini di caccia dei siti reali ricordiamo quella di “Carditello” dove si producevano le migliori mozzarelle del regno e vi era uno dei migliori allevamenti di cavalli d’Europa.
3) L’ Astronomia
Un’ altra opera di fattura classica. Questa scultura rappresenta una giovane donna avvolta in un ampio mantello che regge nella mano destra un compasso e nella sinistra un globo con i segni dello zodiaco, strumenti essenziali per lo studio dell’universo. Re Carlo incentiva molto lo studio e la cultura nel regno. Costruisce il palazzo degli studi, l’attuale museo archeologico, dove ubica l’ università e istituisce nuove cattedre; favorisce lo studio di numerose nuove e innovative materie fra cui l’astronomia. Nello stesso palazzo, dopo la partenza di Carlo per la Spagna, il figlio Ferdinando IV avrebbe voluto costruire un osservatorio astronomico. I lavori iniziarono nell’ala nord est dell’attuale museo archeologico nazionale. Si riesce anche a realizzare una innovativa e spettacolare meridiana solare ( che possiamo ancora oggi ammirare nel salone dell’ Atlante) ma la costruzione delle successive opere è interrotta per la inidoneità dei luoghi. Un vero e proprio osservatorio astronomico a livello europeo si edificherà solo durante regno murattiano agli inizi dell’800 sulla collina di Capodimonte.
4) La Prudenza
E’ una delle quattro virtù cardinali, propria dell’anima razionale. E’ qui rappresentata da una figura femminile con il braccio sinistro rivolto verso l’alto. Stringe tra il pollice e l’indice una piccola freccia piatta come volesse indicare la via. La mano destra regge uno specchio di forma ovale, forse rappresenta la capacità di potersi specchiare senza remore. Anche questa scultura è di dubbia attribuzione ma è di buona fattura e di stile classico. La prudenza dispone la ragione pratica a discernere, in ogni circostanza, il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per attuarlo. Da un punto di vista strettamente biblico la prudenza evoca essenzialmente il dono della sapienza cioè la capacità di vedere ogni cosa alla luce di Dio. Si fa istruire da Lui circa le decisioni da prendere. Concretamente la prudenza consiste nel discernimento, cioè nella capacità di distinguere il vero dal falso e il bene dal male, smascherando attraverso questa stessa virtù le false verità (a volte difficilmente identificabili) approfondendo ciò che si vede. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali senza sbagliare. L’uomo prudente allora non è tanto l’indeciso, il cauto, il titubante, ma al contrario è uno che sa decidere con sano realismo, non si fa trascinare dai facili entusiasmi, non tentenna e non ha paura di osare e di andare contro una cultura lontana dalla legge di Dio.
Auriga virtutum
La prudenza in epoca classica è considerata il cocchiere delle virtù: essa dirige le altre virtù indicando loro regola e misura. È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L’uomo « accorto controlla i suoi passi » è moderato e sobrio. E’ una virtù che «valuta ciò che è bene per l’uomo» . La prudenza è ” la retta norma dell’azione” e non va confusa con la timidezza o la paura. In conclusione la prudenza è il saper agire rettamente.
5) La Sanità
Questa scultura di mediocre valore artistico è di certa attribuzione carrarese. Rappresenta una matura donna con il braccio sinistro che regge una coppa (La medicina) mentre col braccio destro tiene il bastone di Esculapio, una verga nodosa su cui si avvolge un serpente (iconografia che ancora oggi è usata per i medici e farmacisti)scelto come simbolo per la sua difficoltà ad ammalarsi. Questa “virtù” è attribuita al sovrano per la sua attenzione alla salute dei suoi sudditi infatti sotto il suo regno si finanziarono e si costruirono strutture sanitarie e di profilassi . Fra queste è doveroso ricordare la deputazione marittima, un’ opera architettonica commissionata ad Antonio Vaccaro. La struttura è stata il primo presidio sanitario in un porto italiano. Tutti i passeggeri che sbarcavano in città venivano controllati per evitare che potessero portare il contagio di malattie infettive. La deputazione marittima è detta ” l’ Immacolatella” in quanto è sormontata da una statua dell’ Immacolata. Oltre ad essere un opera di estrema utilità per la profilassi è anche una pregevole opera di architettura civile barocca.
6) La Concordia
La concordia è l’allegoria del buon governo. E’ rappresentata da una giovane figura con i capelli sciolti con un seno scoperto e a piedi nudi che regge una coppa sul bordo della quale vi sono degli uccelletti che beccano il cibo contenuto all’ interno. Alla destra della donna è raffigurato un gallo che rappresenta “la vigilanza”. Gli uccelli mangiano con abbondanza e la donna sembra essere spensierata e felice come una fanciulla su un prato circondata da uccellini. Il gallo dovrebbe raffigurare la vigilanza del sovrano affinché regnino concordia e abbondanza nel suo regno. Anche questa scultura sembra di fattura toscana, ma non esistono documenti certi a riguardo.
7) La Vittoria
La virtù è qui rappresentata da una donna dallo sguardo severo. Una donna decisa ma serena, col capo sormontato da un diadema. La sua mano sinistra è poggiata su di un elmo con cimiero. La mano destra invece regge una melagrana, il frutto che rappresenta l’energia vitale. Secondo Giacomo Ripa per conseguire la vittoria sono necessarie due cose: la concordia e la forza. La forza si esprime con un elmo che è atto a sopportare e subire i colpi. Quest ‘allegoria della vittoria è riferita a Re Carlo non tanto come vincitore di guerre e di battaglie ma bensì come difensore del suo regno da attacchi esterni. La vittoria in questo caso si riferisce ai primi anni del suo regno in cui ne consolidò l’autonomia e bloccò le ingerenze straniere. La melagrana è tra i sette frutti indicati nel Deuteronomio come prodotti in abbondanza nella Terra Promessa. Rappresenta la terra donata da Dio, per questo fertile e ricca…”terra di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; terra di ulivi, di olio e di miele”. La melagrana rappresenta anche l’unità fra il popolo perché i grani sono stretti fra loro. Carlo è vincitore nel suo regno per l’ abbondanza derivante dalla fertilità delle terre e per l’ unità e il bene del suo popolo . Il re quindi è pronto a difendere con le armi la felicità e l’unità dei suoi sudditi.
8) La Sincerità
L’ allegoria della sincerità è qui espressa da una giovane figura femminile con un volto sereno. Anche questa opera è di ispirazione classica. La scultura presenta il braccio destro piegato che regge con delicatezza una colomba con le ali spiegate e pronte al volo. Il braccio sinistro sorregge il mantello e un cuore. Il cuore è il simbolo dell’ animo puro mostrato a tutti e la colomba è simbolo dell’ integrità. La sincerità è l’opposto della falsità, dell’inganno o dell’imbroglio. E’ quindi una nobile virtù da cui emergono tutta la purezza e la limpidezza dell’animo del sovrano.
9) La Felicità pubblica
L’ allegoria è costituita da una figura femminile con in capo una corona di alloro che regge col braccio sinistro uncaduceo, appoggiandolo sulla spalla. Il braccio destro è rivolto verso il basso ed è poggiato su di una cornucopia piena di frutti. Il caduceo è un bastone magico che permetteva al suo proprietario di passare in ogni luogo indisturbato. E’ un bastone alato con due serpenti attorcigliati intorno. Nella iconografia classica era il bastone di Mercurio, il messaggero degli dei che garantiva il passaggio ovunque. Il caduceo è anche segno di pace e di sapienza.La cornucopia è il frutto del lavoro e segno di abbondanza che ci permette di raggiungere la felicità. Il caduceo è il simbolo di pace e prosperità, da non confondere con il bastone di Esculapio (con un serpente solo), simbolo della medicina. Quest’opera è grossolana, di non buona fattura e risulta anche notevolmente sproporzionata e tozza. Nella Grecia antica Aristotele aveva considerato la felicità come effetto dell’esercizio delle virtù pubbliche. Eudamonia la chiamavano i greci, “ovvero condizione buona dello spirito, soddisfazione di svolgere correttamente, anzi onorevolmente e virtuosamente, il proprio ruolo sociale nella comunità”. Le comunità antiche erano comunità totalitarie, in cui il singolo era sempre asservito, in ogni sua azione, allo stato sociale a cui apparteneva. Aristotele riconosceva anche il ruolo del benessere privato nella sua eudamonia, ma non si sarebbe sognato di elevarla a virtù pubblica.
10) La Vigilanza
La virtù della Vigilanza è rappresentata da una donna che regge una lucerna nella mano sinistra e sullo stesso lato accanto vi è un cane con un atteggiamento aggressivo con le orecchie basse. La bestia sembra quasi ringhiare. La lucerna garantisce la luce e il cane, fedele amico dell’ uomo, è un guardiano e un avvisatore di pericolo. Un buon re è sempre vigile per il benessere e la sicurezza dei suoi sudditi. La vigilanza è la virtù della fermezza , è la capacità di restare fermi davanti a “quella porta” sempre e nonostante tutto; è la capacità di sostare e vigilare nonostante il buio. Sulla sinistra della scultura è posta una massiccia cancellata che divide una casa di proprietà del convento, affittata a privati, dalla terrazza delle monache di clausura di San Sebastiano.
11) La Filosofia o sapienza
In questa scultura la Filosofia o la sapienza è raffigurata da una giovane donna dal volto sereno. Ha il piede sinistro poggiato su di un piccolo piedistallo e sulla sua gamba poggia, retto dalla mano sinistra, un libro le cui pagine sono rivolte all’ esterno come lo si volesse far leggere all’osservatore. Con la mano destra protesa verso l’alto la giovane regge una specie di calice o una antica lampada, luce dell’intelletto, mentre il libro è la Bibbia, il libro dei libri. La filosofia è la regina di tutte le arti liberali in quanto permette ai sovrani di governare con coscienza. Dai filosofi presocratici fino a Platone per sapienza si intendeva non solo il possesso di conoscenze razionali ma anche la connessa abilità tecnica nel mettere in opera quelle conoscenze ed assieme la virtù della prudenza nel distinguere il bene dal male e l’utile dal dannoso. Anche quest’ opera è di sicura attribuzione al consorzio di scultori napoletani.
12) La Musica
Questa figura femminile è coronata di alloro, di fattura classica, in posa come se volesse danzare a piedi nudi. Nella mano destra regge una tromba simile ad un antica tuba mentre nella mano sinistra solleva in alto una specie di tamburello. Re Carlo era un amante della musica, non dimentichiamo che nel 1737 in soli due anni fece costruire il teatro San Carlo, uno dei più grandi teatri lirici del mondo e sicuramente fra i più belli . Il San Carlo è stato e sotto certi aspetti lo è ancora, la culla della musica e del melodramma italiano. Su questo palco si sono esibiti i più prestigiosi musicisti e cantanti dell’ epoca. E’ stato la passerella di quelli che furono i più prestigiosi musicisti e compositori di scuola napoletana fra cui Giovanni Paisiello, Nicola Jommelli, Nicolò Piccinni. E’ stato un faro di richiamo dei più grandi geni della musica mondiale fra cui J.S. Bach, G.F. Hendel, F.J. Haydn e A.Mozart.
13) La Matematica
La matematica è una delle sette arti liberali ed in questa scultura è rappresentata da una figura femminile con un vistoso collare di un ordine cavalleresco. Col braccio destro regge una coppa mentre con la sinistra sostiene un compasso. Ha il viso proteso verso l’alto come fosse assorta in contemplazione di cose astratte. Nel centro del collare è rappresentato un occhio che è simbolo della conoscenza. Il compasso indica la conoscenza della geometria. Nell’ occhio e nel compasso si potrebbe ravvisare una simbologia massonica ma conoscendo l’alto sentimento religioso del sovrano è da escludere. Il re, seppur religioso, non favorì anzi contrastò i privilegi ecclesiastici tassando gli utili ed espropriando beni della chiesa . Pur essendo una scultura semplice è ben equilibrata ed è di buona fattura. Sicuramente fa parte di quelle commissionate agli artisti toscani in quanto esiste la ricevuta di pagamento negli archivi storici del Banco di Napoli.
14) L ‘Architettura militare
Anche quest allegoria è di sicura attribuzione al consorzio di scultori napoletani come risulta da una fede di credito del Banco di Napoli. Quest’ altra virtù è rappresentata da un’ imponente figura femminile di chiara impronta classica con il volto fiero e severo. La sua testa è cinta da una corona turrita, il braccio sinistro disteso lungo il corpo regge uno scudo ovale. Lo scudo e le torri sono evidenti riferimenti alla fortificazioni e alla opere di difesa del regno. Sotto il governo di Carlo iniziarono le fortificazioni e le opere di difesa di molte città: per la realizzazione di queste opere il re si avvalse della collaborazione dei più valenti architetti dell’ epoca fra cui Ferdinando Fuga e Luigi Vanvitelli.
15) La Speranza
La scultura che rappresenta questa allegoria è una donna con il seno sinistro scoperto e con lo sguardo rivolto al cielo. La mano sinistra tiene un cartiglio in parte svolto e la mano destra invece è appoggiata su di un timone sulla cui parte superiore è rappresentato il volto di un uomo. La speranza insieme alla fede e alla carità fa parte delle tre virtù teologali. La presenza di una delle tre virtù teologali fra quelle di re Carlo fa presupporre che il suo regno sia protetto da Dio. Anche quest’ opera è di chiara ispirazione classica.
16) Lo Studio
E’ una delle poche figure maschili rappresentate nelle statue esposte sull’ emiciclo. Essendo di ottima fattura, secondo lo studioso Borrelli è attribuibile al Sammartino. La scultura rappresenta un giovane con una gamba appoggiata su di una pietra, sulla coscia il giovane poggia un libro tenuto con entrambe le mani. E’ una figura tutta assorta nella lettura. Secondo Cesare Ripa nel suo trattato delle iconografie lo studio è stato sempre rappresentato con un giovane. I giovani sono gli unici a potersi applicare con impegno per superare le fatiche dello studio. Già abbiamo accennato come re Carlo tenesse agli studi finanziando e costituendo scuole e università. Egli incentivò la cultura classica finanziando gli scavi di Pompei ed Ercolano e la conservazione della storia della civiltà classica e romana.
17) Il Valore
Attribuita al Sammartino solo dal Borrelli per l’eleganza e la raffinatezza della sua finitura, l’ opera è di sicura attribuzione al consorzio di scultori napoletani. Anche questa virtù, come lo studio, è una delle poche impersonata da una giovane figura maschile, a corpo nudo, solo con un mantello attorcigliato lungo i fianchi. La sua mano destra è rivolta verso l’alto e regge uno scettro, simbolo dell’autorità regale, ed una corona d’alloro. L’alloro è un sempreverde che simboleggia la fama e la gloria imperitura attribuibili al sovrano. Il braccio sinistro è poggiato su di un fianco con un gesto interpretato come volontà di autoaffermazione. Questa postura ricorda quelle delle matrone popolari durante qualche litigio o discussione in cui si vuol affermare la propria superiorità con forza e autorevolezza. Sempre sul lato sinistro si può ammirare una pelle di leone che copre una clava . Questa chiaramente è una simbologia riferita alla forza e al valore di Ercole.
18) La Pace
E’raffigurata in questa scultura una giovane, elegante donna che, a piedi nudi e con passo fermo ed elegante, è nell’atto di seminare. Sparge il seme con la mano destra e con la mano sinistra regge una coppa a forma di piccola cornucopia piena di spighe. Il suo capo è cinto da un diadema. E’ un’ opera che ritrae bene il movimento di questa figura. La pace di solito è espressa con la cornucopia che è simbolo del raccolto e dell’ abbondanza che si creano in tempo di pace. La donna coronata di oro rappresenta la monarchia che semina grano e ricchezza nei periodi di pace. Per questo è intesa anche come allegoria della speranza delle fatiche che producono frutti nei periodi di pace. Con la venuta di Carlo di Borbone la città ritrova la sua identità di capitale ma anche quel fervore di opere e quelle certezze economiche che procurano benessere per tutti grazie ad un governo che garantisce la pace. Carlo avvia grandi opere di urbanizzazione della città e favorisce commercio e scambi costruendo tra l’altro i ” granili ” . Anche in quest’ opera si riconosce l’ ispirazione classica.
19) La Meditazione
Anche questa è una figura femminile con il volto sereno ed il seno destro scoperto. Il corpo è appoggiato su un tronco tagliato all’ altezza del braccio destro che a sua volte sorregge il proprio capo, intento e assorto nella lettura di un voluminoso libro; è un opera di pregevole fattura napoletana per cui sia il Borrelli che il Fittipaldi l’ attribuiscono al solo scalpello di Giuseppe Sammartino “per l’impronta personalissima del suo stile e le notevoli qualità formali”.
20) La Nobiltà
La Nobiltà è qui espressa con una figura di una giovane donna con un lungo abito (presso i romani solo alle donne nobili era consentito portare una veste lunga). Si ha l’impressione che la statua sia in movimento con un incedere elegante. Con la mano sinistra sorregge il lembo del suo mantello e con la sinistra impugna uno scettro. Anche questa elegante e suggestiva scultura è opera del consorzio di scultori napoletani ed è stata attribuita al Sammartino solo dal Fittipaldi.
21) Il Merito
Il merito è una delle virtù, attribuita al Sammartino solo dal Fittipaldi. E’ una scultura particolare essendo posta nell’ angolo fra la parte curva dell’ emiciclo e la parte frontale. E’ fruibile e ben visibile da entrambi i lati. Rappresenta un giovanotto dal volto sereno e con in testa una corona di alloro. Indossa una corazza e un mantello, la mano destra è appoggiata su di uno scudo. Porta come calzari i coturni. Secondo il Ripa: “Il Merito è la disposizione mercè del quale l’ uomo fa azioni degne di onore e di gloria”. Il Vanvitelli, che ha progettato l’emiciclo e commissionato e scelto le statue che dovevano ornalo, aveva una precisa concezione del Merito, che ritroviamo anche in alcuni stucchi della reggia di Caserta. Doveva essere raffigurato come un guerriero coronato d’alloro con l’arma rinfoderata e un libro “Il merito si doveva esprimere nel servire il re o nelle cose civili o in quelle militari…” E’ una statua di ottima fattura e ben rifinita.
22) La Costanza
Solo il Fittipaldi attribuisce quest’ opera al Sammartino; è l’ultima dell’emiciclo circolare destro prima che inizi l’ultima parte della costruzione.Trovandosi sull’apice di un angolo e ben visibile da entrambi i lati. La costanza è la virtù con la quale tutte le cose danno il loro frutto. La costanza è l’esercizio continuo di una virtù. E’ la successione ininterrotta di opere buone. E’ la convinzione profonda della verità e la indefettibile volontà di bene. La costanza si esprime nelle opere, si fonda e costruisce nell’essere. La costanza di qualsiasi virtù ha le sue origini nella vita divina, che è principio e fonte di ogni opera buona. Questa scultura è caratterizzata da una piacente fanciulla appoggiata ad una colonna su cui arde una fiamma su cui ella pone la mano destra, aperta e sospesa a mezza altezza “una mano graziosa quasi infantile”. La costanza è una delle virtù minori. La colonna indica la sua fermezza e la fiamma ardente rappresenta la determinazione e la pazienza .
23) La Verità
La figura allegorica è rappresentata da una leggiadra fanciulla, coperta solo da un sottile velo di cui si può notare “la trasparenza“. Il suo seno sinistro è scoperto. Il braccio sinistro è posto in alto e regge una specie di disco solare “antropomorfo”; con l’altra mano con grazia solleva un lembo della leggiadra veste. Il piede sinistro è sollevato e posto su di una sfera . Il sole indica la luce, caratteristica peculiare della verità. La luce ci mostra ciò che è ; il buio lo nasconde. La sfera sotto i piedi della giovane rappresenta la tera. Per questa ragione la Verità è superiore a tutte le altre cose del mondo. Anche quest’opera è una scultura molto elegante e suggestiva, di ispirazione classica.
24) Le Belle arti liberali
Le belle arti liberali è una delle sculture di sicura attribuzione al consorzio di scultori napoletani.
Rappresenta l’ arte della pittura e della scultura che Carlo, grande mecenate, ha sempre favorito e finanziato. E’ doveroso ricordare la preziosissima collezione Farnese che il sovrano ha donato alla città prima dell’ abdicazione per il trono di Spagna e le numerose collezioni provenienti dagli scavi di Ercolano. La Virtù è rappresenta da un’ imponente figura femminile di ispirazione classica. La mano destra è rivolta verso l’alto e sorregge uno scalpello e un pennello. Nella mano sinistra si scorge un bastone conficcato nel terreno su cui si avvolge uno stelo di pianta. Questa allegoria con questi strumenti indica l’abilità degli artisti nel riprodurre la natura esprimendola a volte meglio di quello che appare.
25) L’Abbondanza
Dalla prudenza viene la pace e dalla pace viene l’abbondanza. Anche questa scultura è di sicura attribuzione al consorzio di scultori napoletani. L’opera rappresenta una giovane figura femminile con un lungo abito di velo. Il capo è cinto da una corona di fiori con grosse corolle. Il braccio destro sorregge un fascio di spighe di grano capovolto mentre il sinistro, rivolto verso l’alto, sorregge un fascio di fiori simili a quelli che cingono la corona. La figura allegorica del buon governo spesso è presente nell’ iconografia settecentesca insieme alle allegorie del buon governo e della pace.
26) Il Riparo dal tradimento
Opera rappresentata da una figura maschile con una barba riccia, con il volto fiero e severo. Il braccio destro è disteso lungo il corpo con la mano aperta con il palmo verso il corpo. Il braccio sinistro è piegato al gomito e trattiene un uccello dal collo lungo e dal becco sottile, sicuramente una cicogna; con la mano sostiene un ramoscello di platano. La cicogna è il nemico naturale della civetta, uccello infido e subdolo,(non per nulla è visto come uccello del cattivo augurio). La civetta non ama nidificare sulle piante di platano anzi lo evita. Platano e cicogna sono i migliori antagonisti di questo uccello quindi sono i migliori guardiani dalle insidie della civetta. Anche qui si sono volute evidenziare le doti personali del sovrano che con la sua politica e il buon governo aveva messo il regno al sicuro da insidie e tradimenti.
CURIOSITA’: Le statue sono rifinite solo nella parte anteriore, visibile dalla piazza. Il loro retro, visibile solo dalle terrazze delle monache domenicane di clausura, che abitarono il monastero di San Sebasiano per oltre quatro secoli dai tempi della regina Giovanna II (1400), risulta grezzo e solo abbozzato.
Nel 1807 furono “cacciate” dai francesi. Da allora il monastero fu prima trasformato in conservatorio musicale, poi nel 1820 fu la sede del Parlamento. Dopo l’abolizione del parlamento fu assegnato ai gesuiti che dal 1826 lo trasformarono in liceo “del Salvatore” detto pure “Collegio dei Nobili”. Con l’ unità dì Italia nel 1861 fu requisito ai religiosi ed è divenuto il primo liceo classico statale della città : il ” Vittorio Emanuele “.
La bella descrizione della iconografia delle statue presenti sull’emiciclo di Piazza Dante che abbiamo letteralmente estrapolato dallo scritto fatto dal bravo Antonio Colecchia, la dice lunga sulle ardite idde liberali ed illuministche di un sovrano che fu molto amato dal popolo.