Oggi vi portiamo a conoscere uno dei luoghi  più misteriori e affascinanti della nostra città . Un  luogo perfuso da un icredibile aura di fascino che appare nascosto tra palazzi antichi, vicoli tortuosi  e strette scale  che come vedrete sonocaratterizzate lungo il suo percorso da tipici vasci napoletani e antiche edicole votive .

N.B. Le strette scale risalenti al medioevo sono note con il nome di ” Pendino di Santa Barbara “(così’ denominate perché’ nel luogo un tempo esisteva una chiesa dedicata a Santa Barbara che nella credenza popolare proteggeva dai tuoni e dalle saette nonché dalle morti improvvise ).La ripida gradinata che  collega il quartiere San Giuseppe al quartiere Porto è un antico luogo risalente al medioevo che  trasuda di storia su cui si affaccino vecchi e grigi palazzi .

N.B. Il termine  “ Pendino” deriva dal fatto che tutte le strade in discesa che anticamente portavano al mare partendo dalla zona collinare erano chiamate “pendini”, proprio in virtù della loro pendenza.

Ci troviamo come avete certamente già capito nel cosidetto cuore del nostro centro storico e precisamente alle spalle di quella famosa Piazza del Porto ( oggi Piazza Bovio ) sfuggita per miracolo alla feroci ruspe del risanamento ,ottocentesco . Il tratto di strada  chiamata Via Sedile del Porto, è molto antico e ricco di tradizioni e viene così denominato per l’omonimo Seggio Nobile , ubicato un tempo ad angolo con via Mezzocannone.

Il luogo quindi è molto antico e la zona molto popolare ma spratutto molto famosa per la presenza di una vecchia taverna a cui è lgato il nome di un certo Michelangelo Merisi. in arte Caravaggio, uno dei pittori più grandi e influenti della storia dell’arte.

Le scale partono da Piazzetta Monticelli, dove si trova lo storico Palazzo Penne , costruito da Antonio Penne, segretario di Ladislao, nel 1406,  e raggiungono l’odierna Via Sedile di Porto, zona che un tempo conduceva al mare. Esse nella storia napoletana rappresentano l’emblema della resistenza del nostra città in quelle famose Quattro Giornate di Napoli .

La scalinata è stata infatti  lo sfondo di una scena emblematica  di Napoli che in quei giorni da sola cacciavia via l’esercito tedesco. : mentre i nazisti erano impegnati a salire questa scalinata, i ribelli napoletani scagliavano dai balconi sovrastanti oggetti di ogni tipo, letti, mobili, sulle loro teste.

LA STORIA SONO LORO- Da oggi il ricordo delle 4 giornate di Napoli - MediaNews24

Le suggestive  Scale di Santa Barbara hanno anche ispirato registi, poeti e scrittori.

Percorrendo per un breve tratto la Via sedile del porto rechiamoci ora nella vicina via del Cerriglio che, secondo il Celano,  si trovava sulla mano manca di chi scendesse pe’ così detti Gradini di S. Giuseppe. Essa era situata tra il complesso di Santa Maria la Nova e piazzetta di Porto.

CURIOSITA’:  I  suo toponimo ha origini incerte , Secondo alcuni pare  abbia origine da cierro (ciuffo di capelli) , secondo altri invece sembra che esso derivi  da querceto,un’antica quercia, simbolo di forza e longevità, che un tempo dominava il vicolo.  Altri sostengono che il nome derivi da una deformazione dialettale di “cerchio”, a indicare la forma curva del vicolo. 

Qualunque sia l’origine del nome di questo vicolo , considerato da tutti come il vicolo piu stretto della nostra città ( la sua larghezza è appena sufficiente per due persone) di certo si può affermare che ne derivò il nome spagnolo chorilleros, a testimonianza dei perditempo e imbroglioni (scapigliati) che frequentavano la taverna del Cerriglio (situata nei pressi del querceto).

Il Vico  intorno al quale  si sono intrecciate nel tempo numerose leggende e misteri , ospita infatti dal XIII secolo, ,la storica Locanda del Cerriglio, un’osteria che nel corso dei secoli è diventata un punto di riferimento per intellettuali e artisti. Le sue mura hanno accolto personaggi illustri come Giambattista Basile, autore del “Pentamerone”, e Benedetto Croce, filosofo e storico.

N.B. Si dice che tra le mura della locanda siano nate alcune delle più belle pagine della letteratura italiana, grazie alle animate discussioni e ai brindisi che si svolgevano tra i suoi tavoli.

Percorrere il Vico del Cerriglio come poete notare da questo racconto è quindi come fare un tuffo nel passato …  come fare un viaggio nel tempo. Le antiche pietre, i portoni in legno massiccio e le piccole finestre che si affacciano sul vicolo sembrano raccontare storie di un passato lontano. È un luogo dove il tempo sembra essersi fermato…

Perdersi tra i suoi vicoli, immaginare la vita che si svolgeva un tempo in queste case, e respirare l’atmosfera magica di questo luogo è un’emozione che difficilmente si dimentica.

N.B. Alcuni sostengono che il vicolo sia attraversato da antiche linee energetiche, che conferiscono al luogo un’atmosfera particolare. Altri raccontano di fantasmi e apparizioni, che si aggirano tra le ombre dei palazzi antichi. Queste storie, tramandate di generazione in generazione, hanno contribuito a creare un’aura di mistero attorno a questo piccolo angolo di Napoli.

Se ci addentriamo  nella stretta  stradina, troviamo ancora li presente l’antica Taverna del Cerriglio, uno dei più celebri ritrovi della storia e della cultura di Napoli, come suggerisce l’antica scritta che troviamo riportata sul muro,

In questo luogo  che dal dicembre 2014  ha riaperto i battenti grazie all’impegno della famiglia Follari,  si mangiava e ci si sollazzava fin dal Trecento, tanto da divenire, anche nei secoli successivi, punto di raccolta di nobili e plebei, artisti e uomini di malaffare poco raccomandabili. ; tutti lì per ristorare gli stomaci e, se volevano, a lasciarsi sedurre dalle donne che si concedevano al piano superiore. Tra queste mura, che conservano ancora l’originaria struttura e le inferriate, transitarono personaggi come Giambattista Della Porta, Giulio Cesare Cortese, Giambattista Basile, il canonico Carlo Celano, Antonio Genovesi, Benedetto Croce, ma soprattutto il Caravaggio, nel suo secondo soggiorno a Napoli.

Egli aveva abbandonato le sponde napoletane per quelle di Malte nel 1607 dove, per intercessione degli amici partenopei, fu accolto dal gran maestro dell’ordine dei cavalieri di San Giovanni. Il suo burrascoso carattere, però, gli procurò un’espulsione con disonore, ed eccolo quindi  tornare due anni dopo nuovamente a Napoli, trovando “rifugio”nel vino, nelle donne e nel gioco.

Ed ecco quindi venir fuori quel legame tra Caravaggio e il Vico del Cerriglio di cui prima vi ho accennato.  Proprio in questo luogo infatti ,  il 24 ottobre del 1609, Michelangelo Merisi , uscendo dalla locanda del Cerriglio fu aggredito e sfregiato al volto da quattro persone, rischiando la vita.

Non sono chiari  ancora oggi i motivi dell’agguato nei suoi confronti; forse un debito, forse una banale lite, forse sicari che erano stati mandati dal cavaliere di Malta da lui offeso l’anno precedente m acertamente in  città si sparse addirittura la notizia della sua morte.

Caravaggio invece  continuava a nascondersi regalandoci altri capolavori come Il martirio di Sant’ Orsola, oggi conservato a palazzo Zevallos di Stigliano in via Toledo. Terminerà i suoi giorni, come sappiamo, il 18 luglio 1810 sulla spiaggia di Porto Ercole, proprio quando giunse al cospetto della marchesa Costanza Carafa Colonna il condono papale nei suoi confronti”.
Non poteva che essere dedicato al pittore delle luci e delle ombre il nuovo corso della taverna, attraverso riproduzioni dei suoi capolavori tra un tavolo e l’altro. Si sente la presenza del Merisi già varcando la soglia, un arco di piperno con tanto di data: 1609, quella dello sfregio al pittore. Probabilmente avrà visto anche lui l’arredamento che vediamo oggi: una grossa botte in legno, lucerne, un bancone composto da riggiole – coloratissime mattonelle smaltate sulla scia degli azulejos iberici – trecce d’aglio e cipolle, mandolini e fisarmoniche. Stesso discorso per gli ambienti sotterranei, dove spicca una fontana rimasta intatta dal Seicento, sgorgante acqua che finisce su brocche appartenenti a varie epoche storiche. La descrisse in una delle sue opere anche il Basile, che di una cosa era certo, tanto da metterlo nero su bianco nel suo Muse napoletane.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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