Vi siete mai chiesti chi erano Giovanni Balsamo conte di Cagliostro, Luigi D’Aquino dei Caramanico, Giovanbattista della Porta , Raimondo Di Sangro VII Principe di San Severo , Tommaso d’Aquino ,Sant’Alberto Magno, Giordano Bruno e Tommaso Campanella ?
Sapete del vero significato della Fenice ?
Sapete cosa rappresenta il Caduceo ?
Che cosa è l’Uroboro ? …. ma sopratutto cosa rappresenta la leggendaria Pietra filosofale ?
Dottrine e scienze che nel corso dei secoli hanno contribuito ad alimentare movimenti di pensiero e la costituzione di cenacoli filosofici raggiungendo l’apice, nel XVIII grazie alla diffusione dell’Illuminismo.
Il termine da lui coniato , medicina spagirica , deriva dall’unione di due parole greche : spao che significa separare e Ageiro che invece significa ricombinare. La sua alchimia medica è qualcosa , possiamo definire a metà strada tra la odierna fitoterapia e l’omeopatia poichè univa i vantaggi di questi due sistemi terapeutici.
La Spagirica si basava infatti sulla convinzione che nell’uomo sano le forze dense e sottili sono in perfetto equilibrio e che la malattia interviene quando tale equilibrio è spezzato. La malattia dipenderebbe dunque da squilibri energetici che si manifestano solo in un secondo momento anche sul piano fisico. Il medico, riconoscendo la causa della malattia, può trovare il giusto percorso di guarigione e ricondurre il paziente alla sua armonia. La vera guarigione però non può venire che dal paziente stesso; i metodi terapeutici si limitano a fornire gli impulsi necessari all’ auto-guarigione. Il rimedio spagirico è quindi sopratutto olistico perché concentra in sé le forze di guarigione del corpo, dell’anima e dello spirito.
Tra le altre numerose Accademie che animarono Napoli ed il Regno , in particolare tra il XVI e il XVII secolo , non possiamo dimenticare di far almeno un cenno all’Accademia degli Investiganti , detta anche Accademia Chimica , fondata e diretta da Andrea Conclubet, marchese di Arena ( Clabria ) , pronipote di quel Conclubet che fu tra i difensori di Tommaso Campanella a tal punto da essere accusato di complicità e che morì ucciso vicino Portici in circostanze rimaste oscure .
I principali animatori di questa Accademia furono tre medici : il calabrese Tommaso Cornelio , l’irpino Leonardo di Capua e lo spagnolo Juan Caramuel Lobkowicz che fu pure teologo e vescovo a Campagna e a Satriano . Accanto a loro , ovviamente anche una lunga nutrita pattuglia di intellettuali partenopei come Luca Antonio Porzio , Marzio Carafa duca di Maddaloni , Gennaro e Francesco d’Andrea , Niccolò Amenta , Carlo Buragna e tanti altri .
Una piccola citazione la la merita anche l’Accademia dei Discordanti fondata dal medico Carlo Pignataro.
A Napoli , a praticare le scienze alchemiche non vi furono comunque solo Accademie letterarie e scientifiche , corti reali e dimore aristocratiche ma , almeno inizialmente anche numerosi complessi religiosi presenti in città i cui monaci , raccogliendo gli insegnamenti e le conoscenze alchemiche di quei medici templari confluiti nell’ordine , avevano avuto modo di sperimentare nuove formule e nuovi straordinari preparati che gli ex cavalieri avevano appreso grazie ai contatti avuti con quei medici arabi a loro volta eredi della sapienza mesopotamica , egiziane e greca .
Questi monaci furono una straordinaria fucina di grandi studiosi di botanica , farmacia , , medicina e alchimia che portarono a trovare altri e ben più efficaci rimedi naturali per i malanni del tempo , dando luogo ad una nuova medicina alchemico- templare che ancora oggi possiamo talvolta osservare in alcuni simboli , a cominciare proprio dall’immagine del vecchio barbuto con il bastone ( l’abacus degli antichi iniziati ) con in mano il libro ( il grimoire) della sapienza , sormontato dalla fiamma dell’adepto , senza dimenticare tra l’altro anche il famoso ” tau ” che appare sulla tonaca dei monaci .
Nato nel 1225 a Roccasecca, un piccolo paesino del Lazio , Tommaso d’Aquino , dopo essere stato dapprima educato nell’abbazia di Montecassino si trasferì poi a Napoli per frequentare l’Università fondata pochi anni prima da Federico II. All’età di 18 anni , entrò nell’ordine dei domenicani e, dopo un soggiorno nel suo castello di Roccasecca, dove si dedicò allo studio delle Sentenze e dei testi aristotelici (tradotti da Michele Scoto), lasciò l’Italia per divenire poi nel 1246 divenne allievo di Alberto Magno, seguendolo dapprima nella sua docenza a Parigi e poi a Colonia. Tornato a Parigi nel 1252 iniziò il suo magistero all’Università dove ottenne un notevole successo, venendo nominato nel 1257 magister, maestro .
Negli anni successivi alternò periodi di permanenza in Italia, dove tra l’altro si occupò di riorganizzare gli studi dell’ordine domenicano, a soggiorni parigini dove insegnava teologia. Nel 1272 rientrò definitivamente in Italia assumendo la docenza all’Università di Napoli.
Inviato da Papa Gregorio X al concilio di Lione nel 1274, si ammalò durante il viaggio e morì a soli 49 anni nel convento di Fossombrone. Il suo corpo, come non era infrequente, venne presto bollito per favorirne una migliore conservazione.
Nonostante una vita non particolarmente longeva egli produsse comunque una mole considerevole di scritti. A lui sono attribuite 36 opere e 25 opuscoli. Le sue opere maggiori son la Somma della verità della fede cattolica contro i Gentili, il Secondo commentario delle Sentenza e il suo capolavoro: la Somma teologica. Altra opera importante sono le Questioni, in cui Tommaso argomenta teologicamente le posizioni degli averroisti e degli agostiniani.
CURIOSITA’ : Nel suo aspetto fisico era un uomo grande e grosso, bruno, un po’ calvo ed aveva l’aria pacifica e mite dello studioso. Nel corso dei suoi studi a Parigi molti avevano ribattezzato Tommaso d’Aquino il “bue muto”, sia per la sua corporatura imponente ma pacifica, sia per il suo carattere taciturno.e silenzioso . Il suo maestro Alberto Magno diceva: «Questi, che noi chiamiamo bue muto, un giorno muggirà così forte da farsi sentire nel mondo intero».
Tommaso d’Aquino è stato sicuramente uno dei più ferdenti rappresentanti del mondo cattolico , immerso nella preghiere e dotato di forte amore verso il prossimo . Di lui si racconta che spesso durante la Messa si commuoveva addirittura fino alle lacrime , ma si racconta anche della sua generosità verso gli altri , sempre disposto ad aiutare i più deboli e dispensare buoni consigli verso chi ne aveva bisogno Era un uomo molto sereno , di spirito forte, previdente nel giudicare, dotato di tenace memoria, e libero da ogni sensualità che era capace di tenere a bada .
Giovanni XXII lo dichiarò santo nel 1323 mentre Pio X lo proclamò “Dottore della Chiesa”, raccomandandone lo studio come autore particolarmente affidabile.
Curiosita’: La sua famiglia provò a lungo a farlo desistere dalla sua vocazione, ma senza successo. Affascinato dal nuovo Ordine dei domenicani a Napoli, egli volle entrarvi a tutti i costi nonostante il parere contrario dei parenti . Fu infatti da questi osteggiato in tutti i modi possibili : i suoi fratelli arrivarono addirittura a provare a trascinarlo via con la forza sequestrandolo o addirittura distrarlo dalla sua missione tentando inutilmente di farlo “cadere” con una donnina di facili costumi da loro ingaggiata .
I Monasteri come dicevamo , furono quindi i primi grandi centri di assistenza sanitaria in città ed i loro orti dedicati alle erbe medicinali , divennero sede delle prime spezierie , dove gli stessi monaci creavano farmaci che poi , sopratutto i benedettini , somministravano agli ammalati : le loro sedi erano infatti sempre fornite di spazi destinati al ricovero e alla cura degli infermi .
Essi oltre che curare le anime curavano quindi anche il corpo , ma quest’ultimo , dopo una prima fase di alta generosità , finì poi nel trasformarsi in un un vero business di alto lucro . I farmaci infatti mentre inizialmente venivano distribuiti gratuitamente in cambio della sola elemosina in uno spirito altamente caritevole e all’insegna del solo aiuto verso gli infermi , vennero poi lentamente distribuiti spesso al solo pagamento di danaro o beni preziosi .
Il codice appartenne al letterato napoletano Antonio Seripando, fratello del più famoso cardinale Girolamo, generale degli agostiniani, tra i protagonisti del Concilio di Trento, già dai primi anni del 1500, ricevuto in dono dall’amico Girolamo Carbone, dottissimo umanista della corte aragonese. La proprietà del Carbone sembra che debba legarsi al dono fattogli dal filologo e bibliofilo cosentino, Aulo Giano Parrasio, di rientro a Napoli da Milano. Quest’ultimo l’avrebbe ereditato da Demetrio Calcondila, di cui aveva sposato la figlia Teodora.
Il codice, quindi, già a Napoli sicuramente fin dal primo ventennio del 1500, presso la biblioteca del convento agostiniano di S. Giovanni a Carbonara, fu poi portato a Vienna in Austria, nel periodo del viceregno austriaco, su ordine e volere di Carlo VI d’Asburgo, nel 1718, insieme ad altri testi di notevole pregio.
Restituito dopo la prima guerra mondiale nel 1919, dopo una breve sosta nella Biblioteca Marciana di Venezia, rientrò definitivamente a Napoli, per essere custodito definitivamente nella nostra Biblioteca Nazionale .
Virgilio era considerato il protettore della citta’ e questa operazione appariva agli occhi del popolo sacrilega , la profanazione del sepolcro mise in agitazione tutta la popolazione e sparsa la voce, l’ inquietudine comincio’ a circolare tra la gente.
La notizia si sparse per la citta’ ed una folla inferocita si riuni’ e circondo’ il luogo con aria minacciosa, preoccupata che venissero trafugate anche le ossa di Virgilio .
A quel punto per tranquillizzare il popolo , le ossa del poeta , raccolte in un sacco , furono tutte portate nel vecchio Castel dell’Ovo . Qui una volta arrivate vennero esposte dietro una grata a quanti volessero vederle e successivamente per ordine dello stesso re, vennero murate .
Dei libri magici e del misterioso straniero non si seppe piu’ nulla.
Numerose furono le voci sulla sorte dei manoscritti : c’e chi diceva che erano finiti nelle mani del papa a Roma che , spaventato dal contenuto aveva deciso di distruggerli ; chi invece narrava di incredibili prodigi che erano scaturiti da quelle formule . Persino il cardinale di Napoli affermo ‘ di aver potuto constatare personalmente la potenza di quelle formule magiche .
La città rimase per molto tempo sconvolta dall ‘evento . Virgilio era conosciuto come il protettore dei napoletani e la profanazione della sua tomba sembrava presagio di grande sventura. Quella stessa sventura , forse , che sembrera’ accanirsi attraverso i secoli contro Napoli ed i napoletani .
L’universo alchemico è quindi come vedremo pervaso di simboli, che, intrecciandosi in mutue relazioni, accompagnavano le varie operazioni e gli ingredienti costitutivi dei vari processi alchemici .
Nel linguaggio simbolico dell’alchimia lo zolfo era ritenuto l’elemento primordiale che insieme al mercurio poteva essere trasformato in qualsiasi altro metallo ( in special modo l’oro ) . Questi due composti erano quindi due essenze primordiali viste nel quadro di un sistema dualistico che riteneva qualsiasi materiale derivare dalla miscela di questi due componenti .
In Cina, India e Tibet si riteneva che il mercurio prolungasse la vita, curasse le fratture e aiutasse a conservare la buona salute; la parola indù per “alchimia” è rasavātam che significa letteralmente «la via del mercurio».
La trasmutazione dei metalli di base in oro (ad esempio con la pietra filosofale o grande elisir o quintessenza o pietra dei filosofi o tintura rossa) simboleggiava solo un tentativo di arrivare alla perfezione e superare gli ultimi confini dell’esistenza.
Sia i metalli che i corpi celesti venivano spesso messi in relazione con l’ anatomia umana e le sette viscere dell’uomo.
Nelle illustrazioni dei trattati medievali e di epoca rinascimentale comparivano però spessoinvece ,fantasiose rappresentazioni alchemiche di fantastiche figure animali . Essi simboleggiavano i tre principali stadi attraverso i quali la materia si trasformava, la nigredo, l’albedo e la rubedo che erano infatti rispettivamente simboleggiati dal CORVO , DAL CIGNO E DALLA FENICE .
Quest’ultima, per la sua capacità di rinascere dalle proprie ceneri, incarnava il principio che «nulla si crea e nulla si distrugge», tema centrale della speculazione alchimistica. Era inoltre sempre la fenice a deporre l’uovo cosmico, che a sua volta raffigurava il contenitore in cui era posta la sostanza da trasformare.
L’Uroboro è l’immagine di un serpente che si morde la coda e la inghiotte. Questa diffusissima figura simbolica rappresenta, sotto forma animalesca, l’immagine del cerchio personificante l’ eterno ritorno. Esso sta ad indicare l’esistenza di un nuovo inizio che avviene tempestivamente dopo ogni fine. In simbologia, infatti, il cerchio è anche associato all’immagine del serpente che da sempre cambia pelle e quindi, in un certo senso, ringiovanisce. L’Uroboro rappresenta il circolo, la metafora espressiva di una riproduzione ciclica, come la morte e la rinascita, la fine del mondo e la creazione.
L’alchimia abbracciando alcune tradizioni filosofiche ha mantenuto quindi per millenni un suo speciale linguaggio criptico e simbolico che ha reso difficile nel tempo tracciare spesso il suo vero significato .
Sappiamo con certezza che l’opus alchemicum per ottenere la famosa pietra filosofale avveniva mediante sette procedimenti, divisi in quattro operazioni, PUTREFAZIONE , CALCINAZIONE, DISTILLAZIONE e SUBLIMAZIONE , e tre fasi chiamate, SOLUZIONE, COAGULAZIONE e TINTURA. ( il numero di queste fasi, variabile da tre a dodici a seconda degli autori di trattati alchimistici, è legato al magico significato dei numeri ) .
Attraverso queste operazioni la “materia prima”, mescolata con lo Zolfo ed il Mercurio e poi scaldata nella fornace ( Atonor ) ), nel cosiddetto processo di trasmutazione , andrebbe gradualmente trasformandosi ,cambiando ogni volta colore mentre passa attraverso i suoi vari stadi che sono fondamentalmente tre.
- NIGREDO o opera al nero, in cui la materia si dissolve, putrefacendosi;
- ALBEDO o opera al bianco, durante la quale la sostanza si purifica, sublimandosi;
- RUBEODO o opera al rosso, che rappresenta lo stadio in cui si ricompone, fissandosi.
A livello planetario la rubedo è associabile al Sole, simbolo del fuoco e dello Spirito, astro ritenuto governatore dell’oro, e nel quale la Terra sarebbe destinata a ricongiungersi in futuro al termine della sua evoluzione.Tradizionalmente, ognuno dei sette corpi celesti del sistema solare conosciuti dagli antichi era associato con un determinato metallo.
La lista del dominio dei corpi celesti sui metalli è la seguente :
- Il SOLE governa l’ ORO
- La LUNA è connessa con l’ARGENTO
- MERCURIO è connesso con il MERCURIO
- VENERE con il RAME
- MARTE con il FERRO
- GIOVE con lo STAGNO
- SATURNO con il PIOMBO
Essendo il rosso considerato dagli alchimisti il colore intermedio tra bianco e nero, tra luce e oscurità, la rubedo rappresentava il ricongiungimento degli opposti, la chiusura del cerchio, l’unione di spirito e materia, di maschile e femminile, o di Sole e Luna, in definitiva l’androgino o rebis; dopo che il piombo era stato trasmutato in argento, essa segnava dunque il passaggio finale all’oro.
Da non dimenticare anche la leggendaria figura del francese Nicolas Flamel , la cui reputazione come alchimista nacque comunque dopo la sua morte, quando venne collegato alla leggenda della Pietra filosofale da una serie di opere alchemiche, pubblicate nel XVII secolo e a lui attribuite.Flamel visse a Parigi nel XIV e XV secolo. Condusse due negozi come scrivano e libraio ed in vita al di là dei suoi testi apocrifi non ci sono altre testimonianze che lui abbia effettivamente esercitato l’alchimia, la medicina o la farmacia. La leggenda rche comunque aleggia da sempre intorno al suo nome , acconta comunque che egli fu uno dei pochi alchimisti che riuscì ad ottenere la famosa pietra filosofale con relativa conseguente ricchezza ed immortalità . Il tutto deriverebbe da una serie di pubblicazioni avvenute in Francia ed Inghilterra nel XVII secolo. L’opera centrale è Le livre des figures hiéroglyphiques (Libro delle figure geroglifiche), pubblicato a Parigi nel 1612; e Exposition of the Hieroglyphical Figures, pubblicato a Londra nel 1624.
Si tratta di una collezione di disegni per un timpano del Cimetière des Innocents, presumibilmente recuperata dopo una lunga scomparsa. Nell’introduzione l’editore descrive gli sforzi di Flamel per venire a capo dei contenuti di un misterioso libretto di 21 pagine da lui acquistato dopo un sogno in cui gli avrebbe fatto visita un angelo, indicandoglielo. Flamel attorno al 1378 si sarebbe recato in Spagna per cercare aiuto, incontrando sulla via del ritorno un sapiente che avrebbe riconosciuto nel libro una copia del famoso grimorio «la magia sacra di Abramelin il mago». Flamel e la moglie negli anni successivi, anche tramite lo studio di testi cabalistici sarebbero poi riusciti a decifrarne il contenuto, ottenendo così la Pietra filosofale ,cioè la materia capace di tramutare i metalli comuni in oro e di fornire l’Elisir di lunga vita .
Nonostante la sua grande fama acquisita nel seicento pari a quella di altri grandi personaggi dell’epoca a lui contemporanei come Galileo, Keplero, e Gilbert , il nostro Giovan Battista Della Porta è oggi purtroppo un personaggio quasi da tutti dimenticato . Egli fu un uomo di grande rilievo nella storia del Rinascimento e merita forse più di tanti altri personaggi della nostra città di essere almeno ricordato con una statua , una grande piazza o una grande strada ( magari al posto di una di quelle dedicate ai Savoia ) .
Il nostro auspicio è che l’articolata quanto affascinante figura del grande intellettuale partenopeo cinquecentesco venga adeguatamente riproposta almeno agli allievi che frequentano la scuola a lui dedicata, un prestigioso istituto tecnico (che fu il primo e per molto tempo l’unico a Napoli) fondato nel 1862 come parte integrante della Reale Società di Incoraggiamento alle Scienze Naturali (voluta dal Bonaparte nel 1806) e collocato in un ex convento di via Foria, dove peraltro sono conservate antiche e rare attrezzature didattico-scientifiche (e si conserva la memoria storica della partecipazione all’Expo internazionale di Parigi, nel 1900).
Giovan Battista Della Porta non frequentò nessuna scuola o università ma grazie allo zio materno ebbe una formazione di altissimo livello, con maestri come il calabrese Domenico Pizzimenti (traduttore di Democrito e noto alchimista), Donato Antonio Altomare e Giovanni Antonio Pisano (medici di Corte), oltre a celebri musici, poeti e filosofi.
La casa napoletana di via Toledo – ma anche quella della nativa Vico Equense – fu quindi una superba “palestra” per la mente del precoce e talentuoso Giovan Battista (a 15 anni comincerà a scrivere la prima versione del “Magiae Naturalis, sive de miraculis rerum naturalium”, tre libri che poi diventeranno venti) e in seguito si trasformò in un cenacolo di eruditi (compreso il fratello medico, Gianvincenzo).
Anni dopo, sarà lui stesso a riunire l’elite della cultura prima sotto le insegne della “Accademia secretorum naturae” (l’Accademia dei Segreti, che fonderà intorno al 1560) e poi nelle fila dell’Accademia degli Oziosi (che nascerà nel 1611 tra i chiostri di Santa Maria delle Grazie, a Caponapoli, con il motto latino “Non pigra quies”). Tra i frequentatori del consesso che diverrà leggenda: Ferrante Imperato (speziale, alchimista e botanico); Giulio Cesare Capaccio (teologo e storico, autore dell’“Historia neapolitana”); Giambattista Basile (l’autore della madre di tutte le fiabe d’Europa: “Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille”); oltre naturalmente al co-fondatore dell’Accademia: il marchese Giovanni Battista Manso, apprezzato scrittore e poeta dell’epoca.
Il luogo dove si riunivano gli adepti, sono stati riscoperti , dopo secoli di oblio , nel 1985 , durante una perlustrazione eseguita da alcuni geleologi laddove un tempo si trovava un terzo dimicilio del Della Porta , cioè una villa alle Due Porte, un villaggio molto piccolo che portava alle colline dei Camaldoli ( oggi Via Domenico Fontana ) attualmente denominato quartiere Arenella .
Oltrepassando un anfratto presente nel muro in un garage sotterraneo di un palazzo in Via Cattaneo , all’angolo con piazzetta Due Porte , sono state infatti scoperte diverse stanze collegate tra loro con nicchie , lapidi , capitelli dorici, colonne intagliate nella roccia , tratti di finto opus reticulatum e affreschi raffiguranti scene dell’antico Egitto che in particolare rappresentavano Iside, , la dea della magia e del sapere , che allatta il figlio Horus al cospetto di Anubi.
Su altre pareti dell’anfratto che gli anziani del luogo chiamano “Teatrino ” , sono inoltre presenti simboli chiaramente esoterici come serpenti, incroci magici e strani numeri a forma di otto allungato . Ma il pezzo forte è rappresentato da una porta a forma di teschio con un’ orrenda bocca in cui pare che entrasse il maestro fondatore dell’Accademia .
Oggi purtroppo il sito , ovvero i resti di una villa rinascimentale di Giambattista della Porta, dove lo scienziato napoletano radunò attorno a sé diverse intelligenze per sperimentare l’alchimia, già due secoli prima del Principe di Sansevero, poichè resta di proprietà privata è interdetto al pubblico e ridotto a deposito di materiale edile .
Della Porta , come spesso accadeva agli studiosi in quei secoli, dovette fare i conti con un nemico assai pericoloso come il Sant’Uffizio – nel 1592, ad esempio, gli impedirà di stampare la versione in volgare del “De humana physiognomonia” (a Napoli uscirà con lo pseudonimo Giovanni de Rosa solo nel 1598) – d’altro canto potrà invece fruire della vicinanza e dell’amicizia del principe Federico Cesi, il fondatore e mecenate dell’Accademia dei Lincei, che sarà conquistato dal vulcanico studioso partenopeo (e in generale dalle tematiche alchemiche) e lo arruolerà nel suo consesso di fuoriclasse delle lettere (nel 1612 sarà nominato Vice-Principe del Liceo di Napoli, la prima e unica sede distaccata dell’Accademia). Della Porta gli dedicherà i quattro libri del celebre “De aëris transmutationibus”.
Tra gli altri suoi studi più noti ricorderemo solo le ricerche relative alla fisiognomica, l’inserimento di un obiettivo nell’apertura dell’obscura della macchina fotografica (che contribuirà allo sviluppo della fotografia), e le prime elaborazioni intorno al cannocchiale, per la cui paternità avrà poi qualche frizione con Galileo .
Scrisse a tal proposito un piccolo trattato dal titolo De telescopio, in cui descrisse le fasi di costruzione dello strumento, soffermandosi particolareggiatamente sulle sue caratteristiche tecniche allo scopo di mostrare a tutti la sua paternità sull’invenzione . Lui fu sicuramente il primo ad inventare lo strumento , ma non ebbe la percezione del corretto uso del nuovo apparecchio e delle novità che la sua invenzione implicava, merito che, alla fine, lo stesso Della Porta riconobbe a Galileo.
Come autore teatrale scrisse 3 tragedie e 14 commedie (più volte stampate e ristampate), recentemente raccolte nella Edizione nazionale delle opere di G. B. Porta, lodevole iniziativa delle Edizioni scientifiche italiane.
Il suo lavoro più noto è invece il “Magiae Naturalis” (1579), una sorta di antologia nella quale il filosofo-mago (nell’accezione rinascimentale ovviamente) spazia tra argomenti solo apparentemente eterogenei, dagli esperimenti magico-alchemici agli studi sull’ottica, passando per la botanica e per mille altre questioni che in qualche caso, oggi (ma un po’ anche allora) risultano di difficile interpretazione ai più. Tra i titoli dei paragrafi troviamo: “Della repulsione e dell’attrazione delle piante”; “Del modo di rendere più pesanti i metalli”; “Dell’amore e del segreto arcano degli afrodisiaci”; Delle straordinarie possibilità dei suoni”; “Dei sogni e dei mezzi infallibili per dominarli”; “Dei segreti dei mostri e delle virtù magiche della putrefazione”.
A portargli grossi grattacapi con la Santa Inquisizione fu un suo libro in cui raccontava di aver assistito alla cerimonia di preparazione d’una strega diretta al Sabba. La dettagliata descrizione dell’evento – e in particolare della ricetta usata da una vecchia megera – lo misero letteralmente nei guai finendo per essere coinvolto suo malgrado , al centro di una querelle internazionale sulla stregoneria (i roghi di donne erano cominciati da oltre un secolo).
A scatenare la bufera è il riferimento a uno degli ingredienti della pomata usata dalle streghe (il primo dell’elenco), la “pinguedo puerorum”, cioè il grasso di neonato. Lui riporta la ricetta senza nessun particolare commento, limitandosi a chiarirne la funzione: serve a dilatare i pori della pelle e attenuare l’azione irritante sulla pelle di alcune sostanze, come il sangue di pipistrello. In realtà, lo studioso napoletano vuole confermare che il volo delle streghe non è reale, ma si tratta solo di allucinazioni provocate dalle sostanze psicotrope naturali assorbite con gli unguenti e quindi il diavolo non c’entra nulla: “…solo allora esse (le streghe, ) credono di volare, di banchettare, di incontrarsi con bellissimi giovani, dei quali desiderano ardentemente gli abbracci”.
Questo episodio macchiò per sempre ed in maniera definitiva la sua immagine e per molti anni nei secoli a venire egli rimase per molti un personaggio in odore di stregoneria e negromanzia.
Negli ultimi anni il maestro napoletano fu corteggiato da Rodolfo II d’Asburgo, imperatore del Sacro romano impero germanico, famoso per la sua passione per l’alchimia; il sovrano lo volle a Praga, dove trasferito la capitale (era a Vienna) ne fece una capitale mondiale dell’ermetismo riunendo in un solo luogo , un gran numero di astrologhi, scienziati, filosofi e artisti, e tutti grandi esperti di cose occulte (tra i tanti: John Dee, Edward Kelley; Tycho Brahe, Keplero, Giordano Bruno, Michael Sendivogius, Giuseppe Arcimboldo).
L’imperatore , la cui collezione di oggetti esoterici era la più vasta del mondo , era rimasto molto colpito dalle ricerche sulla trasmutazione dei metalli e in generale dal “De Distillationibus”(che riprendeva e ampliava le parti più alchemiche del “Magia Naturalis”) e quel “De Aeris transmutationibus” che è considerato il suo “testamento ermetico”.
Colantonio Stigliola (o Stelliola) da Nola, fu invece un un grande pitagorico, un esperto botanico ed un bravo tipografo, che ebbe una grande fama nel XVI secolo sopratutto nel campo farmacologico-spagirico.
Di Filippo Imparato sappiamo che ricoprì diverse cariche pubbliche come quella di Capitano del Popolo dell’Ottina di Nido,( uno dei sedili della città ) e non è improbabile che fosse coinvolto, nel 1585, nelle trattative relative alla rivolta contro l’aumento del pane provocato dalle speculazioni nobiliari.
La sua carica più importante in città fu comunque certamente quella di governatore di una delle più antiche ed importanti istituzioni sanitarie del Regno , la Real Casa dell’Annunziata , un enorme complesso che comprendeva bek cinque strutture ospedaliere , un’importante spezieria , un Monte di Pietà ed un grande collegio . Nel 1597 fu anche nominato protettore del Sacro Monte di Pietà , per il quale acquistò una nuova sede : Palazzo Carafa.
L’Imperato fu in contatto epistolare con i maggiori naturalisti e scienziati dell’epoca, come l’Aldrovandi, Ippolito Agostini , il Mattioli, il Cisalpino, il Clusio. Intorno al lui e al Della Porta che ebbe modo di frequentare si riunirono in quel periodo alcune delle più grandi menti scientifiche e culturali del momento in città come lo studioso naturalista , botanico e accademico Fabio Colonna , il grande bibliofilo Gian Battista Pinelli ,e lo stesso Stigliola, senza domenticare il suo fedele allievo lucano Bartolomeo Maranta .