Per ammirare quello che resta di questo bellissimo palazzo appartenuto ad una delle più potenti famiglie di Napoli bisogna recarsi nel centro storico della città ed esattamente in Piazza del Gesù.
Nella splendida Piazza del Gesù Nuovo veniamo subito colpiti ed attratti dall’omonima chiesa di epoca rinascimentale con il suo bugnato a punta di diamante. Si tratta della facciata dell’antico palazzo Sanseverino e purtroppo anche dell’unica cosa rimasta del palazzo.
I sanseverino furono una delle famiglie nobili più potenti e prestigiose del regno ed uno dei suoi maggiori esponenti della prestigiosa dinastia, fu Roberto Sanseverino che a lungo combattè al fianco del re Ferrante nella guerra tra Aragonesi e Angioini. Dopo aver conquistato Salerno (reduce dalla vittoriosa campagna in Calabria), ottenne dal re l’investitura ufficiale del principato di Salerno e il privilegio addirittura di battere moneta nonchè la nomina di grande Ammiraglio del Regno.
I Sanseverino da allora furono sempre tenuti in gran considerazione dai sovrani del Regno ottenendo un trattamento semi-sovrano, sempre riconfermato da tutti i sovrani succedutesi su quel trono. A dimostrazione, il fatto che forse sono state una delle poche famiglie nobiliari se non addirittura l’unica ad ottenere con un decreto l’eccezionale ed unico privilegio nel Regno di Napoli, di salvaguardare il titolo nobiliare.
Il decreto affermava che in mancanza dell’erede maschio al titolo i feudi non si dovevano mai disperdere per successione femminile, dovendo essi passare al parente maschio più vicino.
E fu prorio Roberto Sansevrino che nel 1470 intraprese la costruzione del magnifico palazzo Sanseverino in stile rinascimentale con facciata a bugnato ( ora chiesa del Gesù Nuovo) afffidando l’opera all’importante architetto e compositore musicale Noviello da San Lucano ,
Alla sua morte il plazzo passò poi al figlio Antonello Sanseverino, il quale invece di proseguire l’opera paterna, entrò in contrasto con la corte aragonese, organizzando e capeggiando una rivolta dei baroni locali contro Ferdinando I d’Aragona. Il re, una volta scoperta la congiura, soffocò la stessa nel sangue con la famosa ” congiura ” tenutasi nella Sala Grande di Castel Nuovo, e punì pesantemente i suoi avversari dando loro la caccia uno ad uno.
Antonello Sanseverino, subì la confisca dei beni e fu costretto a fuggire da Napoli per non cadere in mano al re. Fuggì dal Regno travestito da mulattiere e si rifugiò in Francia, dove meditò la sua vendetta, spingendo successivamente il re francese Carlo VIII alla conquista del Regno di Napoli.
Nel 1495 quando Carlo VIII entrò in Italia con un grosso esercito, aveva, difatti all’entrata in Napoli, al suo fianco Antonello Sanseverino nella qualifica di grande ammiraglio e consigliere del re. Il Sanseverino, mostrandosi uomo di gran valore e potenza, sostenne i francesi combattendo per mare e per terra soprattutto il 6 giugno 1496 nell’assalto dell’isola d’Ischia, dove si era rifugiato il nuovo re di Napoli, il giovane Ferdinando II.
Successivamente, una volta occupato molti paesi in Puglia con un suo piccolo esercito, Roberto si ritirò nel suo castello di Agropoli.
Alla morte del re Ferdinando successe al trono il principe Federico che cercò in ogni modo di attirarsi l’amicizia del principe di Salerno ( il cui valore e la cui potenza erano presso la corte in grande considerazione e rispetto). Antonello però, memore delle recenti sciagure dei Baroni, non si lasciò vincere dalle offerte reali e si chiuse nel suo castello di Teggiano, le cui fortificazioni gli offrivano un asilo saldo e quasi inespugnabile.
Federico allora riunì un esercito di ventimila tra fanti e cavalli e dopo aver sottomesso la città di Salerno e pose assedio al castello di Teggiano.
Antonello per due mesi e mezzo tenne salda la difesa della terra, ma fu alla fine costretto alla resa a patti onorati. Antonello Sanseverino cedette al re tutti i suoi possedimenti e si rifugiò a Senigallia, nelle terre della moglie, dove morì.
Successivamente, suo figlio Roberto II ottenne il perdono dal re di Spagna e la famiglia Sanseverino , sotto il regno di re Ferdinando il Cattolico, poté tornare nel palazzo dove tenne in seguito le celebri “accademie”, che ne furono vanto.
CURIOSITA’:Ai tempi di Ferrante e della moglie Isabellq Villamarina il palazzo , celebre per la bellezza dei suoi interni, le sale affrescate e lo splendido giardinoraggiunse il suo maggir apice di gloria . Esso era ritenuto un punto di riferimento per la cultura napoletana rinascimentale e suoi grandi ospiti furono persona di elevato spessore come Bernardo Tasso ( cortigiano di corte di re Ferrante e padre del del più celebrato Torquato Tasso ) il poeta e scruttore Pietro Aretino e letterati napoletani come Scipione Capece e Antonio Mariconda.
Pensate solo a questo proposito , che qundo nel 1536 Carlo V venne a Napoli, reduce dalle sue imprese d’Africa (conquista di Tunisi ) Ferrante, che aveva partecipato alla spedizione, lo accolse nel suo palazzo, organizzando in suo onore una festa sfarzosissima rimasta celebre nelle cronache dell’epoca
Per un lungo periodo saranno quindi ancora i Sanseverino a governare il principato salernitano e a possedere il bel palazzo in piazza del Gesù , ed esattamente fino al 1535 quando a Salerno, Ferdinando Sanseverino riceve la visita di Carlo V di Spagna (quello del “sul suo impero non tramontava mai il sole”). Egli era in quel momento il più potente rappresentante della più antica casata nobiliare europea ed Ii Sanseverino, indispettito dalle attenzioni di Carlo V per la propria consorte, dopo qualche anno, ripetendo le gesta di suo nonno Antonello, organizzò e capeggiò, nel 1547, una rivolta anti-spagnola, prendendo spunto dalla ribellione scoppiata nel Regno contro l’introduzione dei Tribunali dell’Inquisizione. La nobile famiglia appoggiò la rivolta popolare contro l’Inquisizione e il risultato fu che nel 1552 Ferdinando “Ferrante” Sanseverino venne dichiarato ribelle, bandito dal Regno , privato delle proprietà e condannato a morte. Carlo V con un decreto trasferisce la città di Salerno al demanio spagnolo e il vicerè Pedro de Toledo per conto del re, confiscò il palazzo che fu messo in vendita.
CURIOSITA’. Sotto il viceregno di don Pedro di Toledo , nel 1547 fu tentato di introdurre a Napoli l’inquisizione spagnola . Il popolo si ribellò e Ferrante Sanseverino sostenne l’opposizione popolare. Pur riuscendo ad impedire questa grave iattura per Napoli, tuttavia egli non poté evitare la vendetta degli spagnoli, che gli confiscarono tutti i beni e lo obbligarono nel 1552 ad andare in esilio.
Il risultato fu che nel 1552 Ferdinando “Ferrante” Sanseverino venne dichiarato ribelle, bandito dal Regno , privato delle proprietà e condannato a morte. Carlo V con un decreto trasferisce la città di Salerno al demanio spagnolo e il vicerè Pedro de Toledo per conto del re, confiscò il palazzo che fu messo in vendita.
I beni dei Sanseverino (almeno riguardo al ramo dei principi di Salerno), passarono allora al fisco e furono messi in vendita per volontà di Filippo II . Nel 1584 il palazzo con i suoi giardini, una volta messo in vendita fu poi acquistato dai gesuiti , grazie anche all’interessamento del nuovo viceré spagnolo, don Pedro Girón, duca di Osuna. I gesuiti, tra il 1584 ed il 1601, riadattarono l’edificio civile a chiesa, istituendo poi, in quell’area, la cosiddetta “insula gesuitica”, cioè il complesso di edifici ospitanti la compagnia di Gesù , composta, oltre che dalla chiesa, anche dal Palazzo delle Congregazioni e dalla Casa Professa dei Padri Gesuiti.
Entrati in possesso del palazzo, i gesuiti incaricarono della ristrutturazione di tutto il complesso i loro confratelli Giuseppe Valeriano e Pietro Provvedi.
Essi sventrarono completamente il sontuoso palazzo, non risparmiando né le splendide saleaffrescate, né i giardini; le uniche parti che si salvarono furono la facciata a bugne (riadattata alla chiesa) ed il portale marmoreo rinascimentale che ancora oggi appartiene al vecchio palazzo, Esso risale agli inizi del XVI secolo Ad esso i gesuiti apportarono piccole modifiche solo nel 1695 aggiungendo lateralmente al portale due colonne corinzie di granito rosso e, sopra, un frontone spezzato sormontato dallo stemma della Compagnia di Gesù – con due cherubini in marmo nell’atto di sorreggere lo stemma – e altri due angeli più grandi, sempre in marmo, uno su ciascun lato del frontone. Ciascuno di questi due angeli tiene un braccio alzato e poggia l’altro braccio sul frontone. L’angelo di sinistra tiene alzato il braccio sinistro con la mano aperta, quasi in segno di saluto, mentre l’angelo di destra tiene alzato il braccio destro, indicando con l’indice lo stemma dei gesuiti.
Gli angeli e il frontone furono realizzati da Pietro e Bartolomeo Ghetti . L’emblema dei gesuiti all’interno di uno scudo ovale, comprende la croce con la famosa abbreviazione “HIS ” del nome di Gesù[ e, al di sotto di essa, i tre chiodi della crocifissione di Cristo.
Nella bella facciata rinascimentale oggi rimasta a noi , sulla sua sommità , appena sopra il grande finestrone centrale, si trova un riquadro con la scritta “NON EST IN ALIO ALIQUO SALUS” (“Non c’è salvezza in nessun altro [all’infuori di Gesù Cristo]”)
Quei finestroni così come le porte minori furono disegnati da un altro architetto gesuita, il Provedi.
La consacrazione della chiesa avvenne invece il 7 ottobre 1601 ed essa fu intitolata alla Madonna Immacolata, patrona del casato del viceré don Pedro Girón, come riconoscimento per la sua mediazione nella vendita dell’antico palazzo ai gesuiti. Tuttavia, la nuova chiesa fu fin da subito chiamata correntemente “del Gesù Nuovo”, per distinguerla dall’altra già esistente, divenuta ormai “del Gesù Vecchio ”
Tra 1629 e il 1634 fu eretta una prima cupola con lavori diretti dal gesuita Agatio Stoia mentre Giovanni Lanfranco affrescò la cupola con uno stupefacente Paradiso da tutti ammirato. Nel 1639 la chiesa, a causa di un incendio, fu sottoposta a lavori di restauro che furono diretti da Cosimo Ganzago . Nel 1652 Aniello Falcone fu incaricato di affrescare la volta della grande sacrestia.
Nel 1688 un terremoto causò il crollo della cupola ed il danneggiamento degli interni. Tra il 1693 e il 1695 si procedette così ai lavori di ricostruzione e completamento della chiesa: la cupola fu ricostruita da Arcangelo Guglielmelli
Nel 1717 tutto il complesso fu rinforzato su progetto di Ferdinando Fuga con l’erezione di contropilastri e sottarchi. Paolo De Matteis inoltre dipinse nell’intradosso della cupola ricostruita una Gloria della Vergine, affresco che, tuttavia, fece rimpiangere il perduto Paradiso del Lanfranco.
Nel 1767, dopo che i gesuiti furono banditi dal regno di Napoli la chiesa passò ai francescani riformati provenienti dai conventi di Santa Croce e della Trinità di Palazzo , che diedero alla chiesa il nome di Trinità Maggiore.
I francescani, però, rimasero poco a causa dell’incerta statica dell’edificio. Infatti, nel 1774, in seguito ad un secondo parziale crollo della cupola , questa fu totalmente abbattuta, mentre la chiesa rimase chiusa per circa trent’anni. Nel 1786 l’ingegnere Ignazio di Nardo si dedicò alla nuova copertura della chiesa: la cupola fu sostituita con una falsa cupola a calotta schiacciata (“scodella”) che oggi si presenta dipinta con un trompe l’oeuil a cassettonato prospettico. Le navate ed il transetto invece furono provviste di un tetto a capriate.
Nel 1804 i gesuiti furono riammessi nel Regno, ma nuovamente espulsi durante il periodo napoleonico, dal 1806 al 1814. Rientrati iBorbone nel 1821 la chiesa tornò in possesso dellaCompagnia di Gesù . Tuttavia, nel 1848 e 1860 i gesuiti furono nuovamente allontanati. per poter rientrare definitivamente solo nel 1900 .
La chiesa subì gravi danni durante gli attacchi aerei su Napoli della seconda guerra mondiale Durante uno di questi bombardamenti, una bomba cadde proprio sul soffitto della navata centrale rimanendo miracolosamente inesplosa. Oggi la bomba, resa inerte, è esposta nei locali attigui alla navata destra della chiesa, dedicati a san Giuseppe Moscati.
Nel 1975 la chiesa è stata nuovamente restaurata sotto la direzione di Paolo Martuscielli. I lavori sono stati seguiti anche dal padre gesuita Antonio Volino che ha provveduto, tra l’altro, all’ennesima riparazione della pseudocupola.
La facciata è caratterizzata da bugne di piperno di forma piramidale con la punta rivolta verso chi guarda. Le bugne presentano sui lati delle incisioni particolari simili ad ideogrammi di un misterioso alfabeto.
Sembra che sull’edificio gravava un maleficio che perseguitò i suoi occupanti e che trovava origine nei poteri della corporazione segrete dei maestri pipernai, i quali erano gli unici a saper lavorare il piperno (pietra durissima).
Si racconta che i segni sulle buglie rappresentano una formula negativa voluta dal primo proprietario e le punte rivolte verso l’esterno per tenere lontane le forze malefiche abbiano poi rivoltato queste ultime all’interno perchè le bugne stesse furono malemente disposte dal maestro pipernaio.
L’imperizia degli operai che lavorarono alla realizzazione delle bugne a punta di diamante avrebbe fatto collocare le pietre in modo scorretto. Per questo le energie positive si sarebbero trasformate in negative, attirando sul palazzo numerose sciagure (l’ultima, durante la seconda guerra mondiale, con la caduta di una bomba proprio sul soffitto della navata che però, miracolosamente, non esplose).
I maestri pipernai sfruttavano le conoscenze iniziatico-esoteriche tramandate dagli antichi costruttori da migliaia di anni ed erano gli unici a trattare il piperno ( spesso tramandando tale arte da padre a figlio e da generazione in generazione). “Bugnato” sta per costruzione di pietra, spesso muraglia, in cui i blocchi sono posti l’uno sopra e di fianco l’altro, con cadenza ripetuta, sporgendo a punta di diamante. Una costruzione messa in opera anche ai tempi del Medioevo, tipica del Veneto Rinascimentale ma poco conosciuta nel Meridione.
Il bugnato della Chiesa del Gesù Nuovo, di forte spicco barocco, però, a dispetto di tutti gli altri, presenta una particolarità: i simboli sulle pietre di dieci centimetri circa di lunghezza, sembrano lettere (inequivocabile, per esempio, è la A), somigliano ad antichi simboli alchemici (la A stava a significare “magnesio”, per i pionieri della chimica), probabile è che ricordino simboli astrali (la stessa A, vista meglio, potrebbe significare “leone”).
Una teoria poco accreditata afferma che ogni pietra del bugnato sia stata “marchiata” per ricordare da quale cava di tufo fosse stata raccolta e trasportata.
La leggenda più insistente vuole che i simboli incisi sulle pietre siano “canali di flusso” per incamerare energie positive e ricacciare quelle negative: qualcosa che riguardava l’alchimia.
Roberto Sanseverino, principe di Salerno, nel 1470 ordinò a Novellino di San Lucano la costruzione della Trinità Maggiore, cioè la Chiesa del Gesù Nuovo.
Avrebbe indicato nei dettagli dove posizionare le pietre che, prima di essere lavorate, venivano “irrorate” di magia positiva dal lato utile. Un’interpretazione tipicamente rinascimentale che trascinava con sé una leggenda.
La leggenda si divide in due parti: la prima gioca sull’ignoranza dei maestri pipernieri, i quali avrebbero malauguratamente costruito il bugnato impilando le rocce al contrario. In tal modo gli influssi negativi sarebbero entrati nell’edificio e quelli positivi sarebbero sfociati all’esterno.
La seconda pare sia quella più accreditata: si è parlato di maestri pipernieri, coloro che ricevevano la conoscenza dell’antica arte del taglio della pietra campana (fin dai tempi dell’Antica Roma) da una potente quanto segreta corporazione che li obbligava al “giuramento degli apprendisti”. Molti di essi erano anche abili conoscitori dell’alchimia e dell’esoterismo. Quindi avrebbero compreso come disporre le pietre magiche (si sospetta che lo stesso Roberto Sanseverino li avesse chiamati a corte perché anch’egli conoscitore della magia) e quindi non si sarebbe trattato di un errore così grossolano (si sospetta che questi furono corrotti dai nemici del nobile).
Non ci è dato saperlo, almeno non ancora. Sta di fatto che nei secoli il Gesù Nuovo sarebbe stato afflitto da numerosi malefici. I problemi di proprietà, ad esempio: il figlio di Roberto Sanseverino, Antonello, ricevuto il palazzo in eredità, fu allontanato dal regno a causa di contrasti con gli Aragonesi; anche Ferrante Sanseverino, l’ultimo principe di Salerno, fu allontanato dal re Filippo II; la Compagnia dei Gesuiti, che acquistò il palazzo dallo stesso Filippo II, fu successivamente allontanata come Ordine.
Ma anche le numerose confische dei beni ai Sanseverino, la completa distruzione di un’ala del palazzo, gli innumerevoli crolli della cupola e il successivo incendio della chiesa.
Dell’originario palazzo resta oggi solo la struttura del basamento e la facciata in bugnato a punta di diamante.
Lo storico dell’arte, appassionato di rinascimento napoletano e musicofilo, Vincenzo De Pasquale ha decifrato un nuovo significato dei simboli sul bugnato: non si tratterebbe di magia, ma più semplicemente e profanamente di musica, sebbene travestita in lettere semitiche; sono solo sette segni e ognuno corrisponde a una delle note.
Si tratterebbe di uno spartito musicale scritto in lettere aramaiche, in totale sette lettere, da leggersi al contrario: dal basso verso l’alto, da destra verso sinistra. Un pentagramma sulla facciata del Gesù Nuovo scritto in aramaico ( l’aramaico era la lingua parlata da Gesù). L’uso di segni che componevano una musica non era inusuale negli anni del tardo umanesimo e gli stessi Sanseverino fecero incidere dei simboli musicali nel loro palazzo a Lauro di Nola
Durante una cena in Ungheria nel 2005, anno di inizio dello studio, De Pasquale mostrò questi strani simboli a Lòrant Réz, suo amico musicologo che davanti a un piatto di gulasch e un bicchiere di tokai cominciò a far concordare lettere e note, abbozzando lo spartito, scrivendolo sul retro del menù di un ristorante.
De Pasquale fu poi aiutato da un padre gesuita esperto in aramaico, Csar Dors, che tradusse le lettere dall’aramaico al latino.
E così vennero alla luce le prime note di quello che sarebbe diventata “Enigma”, partitura di un concerto per strumenti a plettro della durata di tre quarti d’ora circa. Si tratta di musica rinascimentale che segue i canoni gregoriani la cui riscrittura è oramai realtà e il cui sogno è quello di eseguirla in pubblico proprio al Gesù Nuovo, restituendo a Napoli un frammento della sua storia infinita.
Il concerto è stato intitolato «Enigma», ed è stato trascritto per organo, invece che per strumenti a plettro.
Gli studi proseguono, anche perché il prof. Réz dichiara che lo spartito si possa leggere in altri nove modi diversi e che lo stesso spartito abbia delle assonanze addirittura con l’ “Herr Jesu Christ, dich zu uns wend, BWV 655” di Johann Sebastian Bach, che fu un massone e che fu a Napoli e che, a questo punto, è ipotizzabile sia stato influenzato dall’opera occulta.
ARTICOLO SCRITTO DA ANTONIO CIVETTA