Un tempo la nostra città era circondata da imponenti alte inespugnabili mura difensive che resistettero persino agli attacchi di Annibale . Per poter accedere in città si doveva passare attraverso dei varchi ( ben 27 inizialmente ) la maggior parte dei quali erano ornati da monumentali mastodontiche porte .In pratica esistevano ben 26 porte e 28 torri.
Le principali porte si trovavano ai lati dei decumani.
Il decumano superiore ( Anticaglia ) aveva come due porte , quella posta tra l’angolo della chiesa della Sapienza e via Costantinopoli chiamata PORTA ROMANA e PORTA SOFIA poi divenuta PORTA CARBONARA .
Il decumano maggiore ( via tribunali ) aveva invece PORTA PUTEOLANA , situata dove si trova l’attuale chiesa della croce di Lucca , subito dopo piazzetta Miraglia , e PORTA CAPUANA poi avanzata dopo il castello.
Il decumano inferiore ( spaccanapoli ) aveva invece PORTA CUMANA in piazza San Domenico e PORTA FURCILLENSE successivamente divenuta PORTA NOLANA .
L’unica porta che in epoca antica portava verso il mare era la PORTA VENTOSA che si trovava in via Mezzocannone .
Molte di queste nel corso dei secoli per subentrate nuove esigenze edilizie sono state abbattute , addossate ai palazzi, o addirittura smembrate nel corso del tempo e di alcune di esse ne abbiamo addirittura perso la memoria
Tra questa ricordiamo :
Porta del Mercato Situata tra il castello del Carmine e via Sopramuro, ristrutturata con l’integrazione all’interno della cinta muraria aragonese di Piazza Mercato, è stata costruita nel XIV secolo.-
Porta di Massa: così chiamata perchè antistante all’approdo delle navi mercantili cariche di frutta, vino e latticini che provenivano da Massa Lubrense, oggi una via porta ancora il suo nome.
Porta della Conceria: così chiamata poiché dava sull’attuale Vico Vacche alla Conceria, nei pressi di piazza Mercato. Il nome suggerisce la presenza, anticamente, di un luogo dove si lavoravano le pelli.
Porta di Santa Maria a Parete: si trovava nei pressi di Vico Santa Maria Apparente al Mercato, oggi non più esistente. C’è una strada omonima nei pressi di Corso Vittorio Emanuele II.
Porta della Mandra: nei pressi del non più esistente Vico Mandrone, probabilmente in questo punto venivano fatte sbarcare le mandrie da navi mercantili per indirizzarle a dei vicini macelli.
Porta del Pesce: probabilmente era il luogo di scarico del pescato del giorno ed era situata nei pressi delle risorgimentali via Carlo Troya e via Antonio Scialoja, in prossimità del Borgo degli Orefici.
Porta Caputo: una famiglia della Costiera amalfitana divenne tanto importante da avere una porta con il proprio nome, probabilmente correlata ad un proprio molo per traffici commerciali.
Porta d’Olivares: la sua storia è simile a quella di Porta Caputo, poichè fu fatta costruire da Arrigo Gusman, conte d’Olivares, durante la reggenza di Don Pedro. E’ ancora presente una Via Conte Olivares a ricordarla, nei pressi di Corso Umberto.
Vi erano anche altre porte: dello sperone del sale, di mezzo, di sant’Andrea, della Marina del vino, del molo piccolo (o di Portosalvo), della calce e delle pulci.
Tra le porte marine, oltre a Porta del Carmine, ne è rimasta anche un’altra, inutilizzata da secoli, poichè integrata in un edificio: Porta dei Tornieri, il cui arco in piperno oggi è l’ingresso di un bar su Via Marina, ad angolo con Via Duomo.
Buona parte di queste porte di Napoli vide la propria demolizione per mancata utilità nell’ottica della modernizzazione della città su volontà di Carlo III di Borbone, nella prima metà del ‘700.
Fino al 1782 erano presenti ancora 10 porte tutte poi demolite tra il Risanamento ed i periodi antecedenti che hanno visto il porto e la costa della città subire innumerevoli ristrutturazioni. Nonostante la cinta muraria sia stata completamente abbattuta entro l’inizio del 1900, i riferimenti toponomastici che rimandavano alle antiche porte hanno terminato di sparire negli anni della ricostruzione postbellica.
Di quelle importanti alcune son ancora oggi presenti come quella collocata nei pressi di Castel Capuano chiamata da sempre Porta Puteolana in quanto indirizzava verso la strada per Pozzuoli mentre altre come la Porta Furcillensis che invece si trovava dentro la zona di Forcella sono andate demolite . Quest’ultima aveva al suo opposto nella zona del decumano inferiore presso il largo San Domenico Maggiore ,la porta Cumana . Le notizie su questa porta sono veramente scarse e sappiamo solo che i suoi resti furono scoperti intorno al seicento quando, in occasione dei lavori per la realizzazione delle fondamenta della guglia al centro della piazza , il Picchiatti, allora architetto responsabile dell’opera, scoprì i resti d’un tratto murario greco-romano appartenente all’antica porta . La scoperta costrinse ad interrompere i lavori per la costruzione della guglia che furono poi ripresi i nel settecento ad opera di Domenico Antonio Vaccaro.
La Porta di Santa Maria di Costantinopoli costruita nel XIV secolo, anche lei demolita , si trovava in linea con l’attuale Conservatorio di San Pietro a Majella ( chiamato allora monastero dei celestini ) in luogo della vecchia porta Puteolana che di epoca romane , si trovava precedentemente come già detto all’angolo della Croce di Lucca . In epoca ducale fu avanzata e messa di fianco al conservatorio della Majella e prese il nome dalla nobile famiglia del duca d’Orso ( porta Donnorso da una strana italianizzazione ) che come tante altre nobili famiglie vennero a prendere domicilio nel periodo ducale nel quartiere .
Al tempo di Carlo II d’Angiò la porta fu rinominata porta di Santo Antonello, mentre durante il viceregno spagnolo fu collocata all’inizio di Via Costantinopoli, di fronte all’attuale Museo Archeologico ( all’epoca Palazzo degli studi ) dalla quale assunse il nome definitivo. In seguito alla demolizione avvenuta nel 1852 fu posta una lapide, che oggi purtroppo è andata perduta.
Un vecchio dipinto dell ‘artista Antonio Joli ci ricorda dove si trovava la porta e sopratutto come doveva essere la zona nel solo lontano 1756\58
In fondo alla strada notiamo la vecchia demolita Porta di costantinopoli , sulla destra il palazzo Conca ed il convento di Sant’Antoniello a Port’Alba mentra a sinistra dapprima in primo piano il palazzo Firrao ed in seguito le chiese di San Giovanni Battista delle monache e di Santa Maria di Costantinopoli . Come possiamo vedere la statua del Bellini non era ancora presente .
Porta Carbonare , anch’essa oggi non più esistente , era invece presente presso la chiesa dei Ss. Apostoli e chiudeva ad est il decumano superiore, che ad ovest era invece ben chiuso da porta Romana secondo uno schema in uso presso i greci e i romani, che organizzavano la città con tre grosse strade principali chiamate decumani chiuse da porte e tagliate da vicoli stretti detti in latino cardini . All’incrocio di queste direttrici si trovava poi il forum , ossia il centro della polis , dove normalmente si trovava la piazza principale della città (oggi corrisponderebbe a piazza San Gaetano ).
A Napoli I decumani erano in numero di tre ( forse quattro ) mentre i cardini erano diciotto ed erano tutti uguali nelle loro dimensioni : circa 6 metri per i decumani e 3 per i cardini ( forse anche meno ). Ai lati opposti dei tre decumani vi erano delle porte .
La Porta Carbonara (o Porta di Santa Sofia) aveva un nome derivante dal fatto che nelle sue vicinanze, vi era un luogodetto “il carbonarius”, corrispondente all’attuale via Carbonara dove in genere venivano inceneriti i rifiuti.
Inizialmente essa era situata molto più interna, e collocata dove oggi c’è il palazzo Arcivescovile in largo Donnaregina; sotto l’imperatore Costantino la si portò presso la chiesa di Santa Sofia di fronte al carbonarius o carbonetum. La porta fu abbattuta quando Don Pedro di Toledo promosse l’allargamento delle mura e al suo posto si costruì un ponte per superare il fossato: chiamato Pontenuovo.
La porta che sorgeva alla fine del Decumano Superiore è passata alla storia come il luogo da cui sono entrati attraverso un vicino pozzo in città due diversi eserciti conquistatori in due differenti epoche storiche peraltro molto distanti fra loro.
La prima volta accadde nel 537, quando il Generale bizantino Bellisario, intenzionato a riconquistare Napoli oramai nelle mani dei barbari goti si accampò di fronte alla Porta di Santa Sofia, determinato a prendere la città, per fame e per sete. Il suo lungo assedio, non riuscì a scalfire la forte determinazione della popolazione, fino a quando alcuni suoi soldati e forse qualche napoletano non trovarono la via sotterranea: un ramo dell’antico acquedotto greco della Bolla. Vi scesero da un pozzo fuori le mura e riemersero da un altro pozzo dentro le mura, oggi sepolte sotto la cortina di palazzi fra via San Giovanni a Carbonara e via Cesare Rosaroll. Una volta aperta la porta di Santa Sofia, l’esercito di Belisario entrò e sconfitto il nemico riuscì finalmenta a riconquistare la città .
Nel 1442 toccò invece ad Alfonso V d’Aragona conquistare Napoli, passando per lo stesso pozzo vicino alla porta. Alfonso anch’egli logoro della lunga resistenza offerta dalle alte mura della città e della tenacia resistenza del nemico sul punto di mollare dopo aver perso molti uomini ( tra cui anche il fratello ) venne a conoscenza dell’esistenza di un vecchio acquedotto in disuso attraverso il cui condotto si diceva era entrato il bizantino Belisario nove secoli prima. Il suo esercito guidato quindi da due pozzari che ben conoscevano l ‘antico acquedotto greco sotterraneo detto ” della bolla ” sboccarono in una casa nei pressi della porta di Santa Sofia. A quel punto una volta aperta la porta , gli fu facile prendere la città, facendo entrare il resto delle truppe per la porta stessa .
La porta fu abbattuta nel 1537, quando Don Pedro di Toledo, vicerè di Napoli dal 1532 al 1553 per conto di Carlo V d’Asburgo, promosse l’allargamento delle mura ad occidente.
La Porta del Carmine, detta Portanova o Porta del Mercato, era posta nei pressi del sedile di Portanova, da cui derivava il nome ed aveva due torri , chiamate Fedelissima e Vittoria . Un affresco di Mattia Preti ornava la porta, con raffigurazione della peste e la Vergine con i santi e la Gloria degli angeli. Il bassorilievo è oggi conservato al Museo di San Martino.
Questa porta è quella più misteriosa perchè è quella di cui maggiormente si sono perse le tracce insieme al vicino castello e attiguo convento di Santa Maria del Carmine . Oggi infatti a causa della perdita di tutto il materiale cartaceo che era conservato nel convento, avvenuto nel corso della seconda guerra mondiale non abbiamo più molte notizie riguardanti sia il castello, sia del convento attiguo di Santa Maria del Carmine, sia della Porta del Carmine che insieme a quella del Molo piccolo erano quelle più famose dal lato del mare.
Sappiamo solo che questo castello fu fatto costruire nel 1382 da Carlo III di Durazzo e che per la sua forma fu denominato lo Sperone.
Il Castello che fu chiamato del Carmine fu costruito volutamente in prossimità di uno degli arsenali della città come rafforzamento militare in una zona vicino al mare che permetteva così di mantenere una guarnigione in prossimità dei quartieri popolosi che gravitavano intorno al porto. Castel Capuano infatti non aveva la possibilità di difendere la fascia costiera e la zona portuale che veniva controllata dal solo Castel Nuovo, che era anche residenza reale.
Il castello che era caratterizzato da due torri cilindriche, un elevato torrione e di grosse mura merlate costituite da robusti blocchi di piperno fu teatro non appena quattro anni dopo la sua costruzione della famosa battaglia che vide contrapposti Luigi II d’Angiò e Ladislao di Durazzo e divenne inoltre In seguito, durante l’assedio di Alfonso d’Aragona, un importante baluardo di difesa per gli angioini .
Nel 1484, re Ferrante d’Aragona, pensando ad un allargamento delle mura cittadine decise di costruire presso la chiesa del Carmine anche la nostra Porta che appunto fu chiamata del Carmine .
Il castello ebbe un importante ruolo durante la rivolta di Masaniello in quanto una volta occupato divenne la roccaforte dei rivoltosi .Ma fu il luogo dove avvenne anche la proclamazione della “Serenissima Real Repubblica Napolitana” ( che purtroppo durò solo pochi giorni ) la congiura di Macchia, che nel 1707 anticipò l’arrivo degli Austriaci; l’occupazione delle truppe francesi di Championnet nel 1799 ed infine lo strenuo tentativo di resistenza del contingente borbonico ai Mille di Garibaldi.
La Porta del Carmine fu abbattuta nel 1864, mentre il castello nel corso delle opere di Risanamento , agli inizi del 1900 «per ragioni di rettifilo» venne per gran parte demolito
Oggi, della struttura sono rimasti visibili due torri e una parte di cinta muraria lungo via Nuova Marina.
La Porta Medina sorgeva invece all’inizio di Piazza Montesanto; dalla demolizione si salvarono gli stemmi e l’epigrafe dedicatoria, conservati prima al Museo Archeologico Nazionale e poi al Museo di San Martino. Il busto di San Gaetano di Thiene e l’iscrizione che ne ricordava l’opera di purificazione a difesa dall’epidemia di peste furono conservati nella sacrestia della chiesa di Santa Maria delle Grazie in Montesanto.
Essa fu l’ultima fra le porte di Napoli per ordine di costruzione: fu infatti edificata nel 1640 per poi essere demolita nel 1873. L’ultima traccia che rimane di quest’ultima è una targa su un palazzo antistante alla stazione della cumana di Montesanto, che recita “Fu in questo luogo porta medina, costruita dal vicerè di quel nome, nell’ anno MDCXL. Distrutta per pubblica utilità nell’anno MDCCCLXXIII“.
Nei pressi della porta sorgeva anche la trecentesca Porta Pertuccia, poi spostata in occasione di un’espansione delle mura, presumibilmente vicino al palazzo reale, rinominata Porta Santo Spirito, per poi esserer demolita nel 1563, in occasione di un’altra espansione muraria e della costruzione della Porta di Chiaia, nei pressi dell’attuale Via Gaetano Filangieri. Fu demolita nel 1782.
La Porta dello Spirito Santo che si trovava all’inizio dell’attuale Via Toledo partendo da largo Mercatello ( attuale Piazza Dante ) fu costruita nel XIII secolo con il nome di Porta Cumana nei pressi dell’attuale Via Benedetto Croce, e fu solo successivamente spostata nel 1536 nei pressi di Piazza del Gesù e ribattezzata Porta Reale . Fu poi ulteriormente spostata per ordine di Don Pedro di Toledo per fare da ingresso alla nuova via costruita Toledo . Fu demolita nel 1775 poichè non più utile e d’intralcio con la costruzione di strade più larghe. Vi sono due targhe che la ricordano su via Toledo, subito dopo piazza Dante:
La porta fu chiamata ufficialmente porta Reale Nuova, ma veniva raramente chiamata porta di Toledo o porta dell’Olio, quest’ultima denominazione giustificabile per la presenza in zona di cisterne per la conservazione dell’olio che oggi viene ricordata dall’omonima via.
Fu demolita nel 1775 poichè non più utile e d’intralcio con la costruzione di strade più larghe. Vi sono due targhe che la ricordano su via Toledo, subito dopo piazza Dante:
“Pietro Toledo, marchese di Villafranca, vicerè dell’imperatore Carlo v, di questa illustre città ampliatore delle mura.
Trasferita qui la Porta Reale dal quartiere del Nilo (l’area circostante Piazzetta Nilo), spostata più tardi a Porta Donnorso. Costruita Via Toledo, da qui alla vista del mare.
Restituita la Grotta Puteolana ad un aspetto più decoroso, costruita l’aual per i vicerè e il pretorio per i magistrati per la tutela dei cittadini sulla somma vetta del colle. Trascorse 22 anni come vicerè. Ad Antonio Toledo, duca d’Alba, vicerè del re Filippo IV, emulo delle virtù del grande zio da parte di padre, gli edili, memori di così grandi benefici, posero. Anno 1628.“
In seguito alla costruzione della basilica dello Spirito Santo fu successivamente chiamata comunemente Porta dello Spirito Santo. Oggi purtroppo non esiste più. Alla sua sommità era posta la statua bronzea di san Gaetano che fu poi posta su Port’Alba quando fu deciso di demolirla per dare maggiore spazio alle manovre delle sempre più frequenti carrozze che affollavano via Toledo .
Piazza Dante , un tempo chiamata Piazza Mercatello , durante la peste del 1656 divenne uno dei centri di raccolta degli infermi ; un quadro di Gargiulo Domenico detto ” Micco Spadaro ( Micco diminutivo di Domenico e spadaro perchè era questo il mestiere del padre ) custodito nella certosa di san Martino , ne dà una sconcertante rappresentazione e ci mostra tra l ‘altro in alto a destra anche la demolita porta Reale che purtroppo oggi non esiste più.
Oggi sono rimaste a noi solo quattro porte e di certo non passano inosservate : Porta Capuana, Porta Nolana, Porta San Gennaro e Port’Alba.
La prima che ci piace ricordare sopratutto per la sua magnificenza è la porta Campana, divenuta poi porta Capuana al tempo di Ferrante I d’Aragona (figlio illegittimo di Alfonso V), che occupava la zona di sedil Capuano presso il Castello e chiudeva ad est il decumano maggiore. Il castello inizialmente si trovava per metà dentro le mura della città e per metà fuori le mura e solo successivamente in periodo aragonese decidendo di allargare oltremodo la cinta difensiva della città fu definitivamente inglobato all’interno delle mura.
Porta Capuana rappresenta l’esempio più straordinario ed efficace non solo del gusto rinascimentale a Napoli, ma anche del simbolismo assunto per trasmettere la magnificenza della casa d’Aragona che la fece erigere. Divenne infatti rappresentando la porta principale della città ed il suo maggiore ingresso , sopratutto una struttura rappresentativa e celebrativa agli occhi dei numerosi viandanti che attraversavano il varco per accedere in città. Stemmi, epigrafi, archi , sculture, putti e vittorie, dovevano enunciare la vittoria di Ferrante sui baroni ribelli e celebrare la sua incoronazione di re.
Ferrante affidò la monumentale opera di costruzione della porta alta 25 metri a Giuliano da Maiano il quale, proveniente da Firenze, iniziò l’opera nel 1484 costruendola in splendido marmo bianco di Carrara, (di cui ancora è totalmente rivestita ), disegnandola come un vero e proprio arco di trionfo. In cima all’arco vi era il fregio con la scena dell’incoronazione di re Ferrante poi sostituito da Carlo V al suo ingresso (nel 1535 ) in città dal suo suo stemma dell’aquila bicipite ad ali piegate. Notate ai due estremi nelle nicchie laterali, le statue dei due più importanti santi di allora : Sant’Agnello e San Gennaro.
La porta è affiancata da bellissime torri dette dell’ Onore e della Virtù.
Un tempo essa come tutte le porte della nostra città era affrescata con dipinti fatti da Mattia Preti oggi purtroppo scomparsi che rappresentavano san Gennaro,Sant’Agnello Abate , San Michele e san Rocco nell’atto di pregare la Vergine affinchè intervenisse nel porre fine alla terribile peste che attanagliava la città e la sua gente .
Altra bella Porta sempre presente nella stessa zona è quella di Porta Nolana . Essa venne eretta sempre nel periodo aragonese lungo la via dei fossi (l’attuale corso Garibaldi) in sostituzione della Porta di Forcella. Era questa considerata un varco secondario (la Capuana rappresentava l’ingresso principale della città ), e come tale presentava pochi elementi decorativi, tra cui un bassorilievo su cui è scolpito re Ferdinando I in groppa ad un cavallo in tenuta d’armi con la spada sguainata nell’atto di colpire. Le sue insegne sono ancora oggi ben visibili sulla sua armatura.
Sulla parte superiore sono stati scolpiti tre stemmi che raffigurano le armi aragonesi e le armi angioine, le fasce di Francia e della casa d’Angiò, i gigli e la città di Gerusalemme e gli scudi sannitici. Fu chiamata così perché da lì partiva una via, che conduceva verso il borgo antico della città di Nola.
La porta, che si trova tra due belle torri chiamate Fede e Speranza appare purtroppo oggi abbandonata in un totale stato di degrado e inglobata in un vergognoso contesto di abusivismo edilizio . La sua bellezza appare durante il giorno nascosta tra chiassose bancarelle e confusi mercati rionali .
Anche questa porta era affrescata con una immagine della Vergine con in braccio il suo bambino supplicata da San Gennaro in compagnia di san Francesco e santa Rosalia sempre per porre fine alla peste . La stessa scena con i medesimi personaggi fu anche rappresentata sulla Porta di Chiaia, quella invece sulla Porta del Carmine rappresentava invece solo scene di persone morte, falcidiate dalla peste. In tutte le Porte l’elemento comune erano proprio i corpi senza vita dei cittadini che, o sullo sfondo, o in basso, sono portati al cimitero oppure sono dilaniati dagli animali.
La più antica delle porte invece è quella di San Gennaro .Essa era l’unico punto di accesso per chi proveniva dalla parte settentrionale della città . Il nome di Porta San Gennaro deriva dal fatto che di qui partiva anche l’unica strada che portava alle catacombe dell’omonimo santo nella zona di Capodimonte ma veniva anche detta “del tufo”, perché da lì entravano i grandi blocchi di tufo provenienti dalle cave del vallone della Sanità.
Costruita nella prima metà del X secolo, la sua posizione non è tuttavia sempre stata la stessa: con l’espansione delle mura, nel corso dei secoli e delle varie dominazioni del Regno, la porta è stata posizionata più avanti rispetto alla disposizione originaria..
Inizialmente sorgeva tra Caponapoli ed il vallone di Foria ( nei pressi del Monastero di Santa Maria del Gesù delle Monache) ed aveva al suo fianco due magnifiche torri .Successivamente per volere del Vicerè di Toledo fu poi spostata nell’attuale sede in via Foria, di fronte a piazza Cavour, dove possiamo ancora ammirarla anche se appare oggi inglobata nel complesso edilizio che gli è stato costruito intorno.
Sul suo grande riquadro che sorge sopra un arco in piperno a sopravvivere al tempo vi troviamo San Gennaro raffigurato in ginocchio in compagnia della Vergine e di San Francesco Saverio implorante la Vergine affinchè scacci da Napoli la peste del 1656. Un terribile flagello che produsse numerosissime vittime le quali transitavano proprio sotto la porta provenienti da vico Limoncelli ( qui le salme venivano spogliate affinchè gli averi dei defunti fossero rivenduti al mercato ) per essere poi sepolte negli ossari che si trovavano di fronte ad essa nella zona dette della ” sanità “. Un ’antico vallone (posto al di fuori della cinta muraria della città ), dove venivano raccolte le numerose vittime dell’ epidemia che in quel periodo sconvolgeva la città . Questo era un vallone utilizzato gia’ dall’ epoca greco romana come luogo di sepoltura dei defunti e grazie al ritrovamento di miracolose catacombe paleocristiane ( San Gennaro e San gaudioso oggi visitabili ) veniva ritenuto un posto salubre ( naturale ) e miracoloso (sovrannaturale ) .
In questo luogo era presente secoli prima una comunità di frati votata alla castità ( eunostidi ) che si riunivano in un tempio dedicato ad Eunostio con il compito principale di seppellire i defunti . Si racconta che Eunostio era un giovane di bell’aspetto che suo malgrado fece innamorare Ocna , una giovane ragazza figlia di un magistrato di allora . Egli non degnava di un solo sguardo la giovane fanciulla e nonostante non si adoperò mai ed in alcun modo per incentivare tale sentimento Ocna si innamorò follemente di lui e corteggiò a lungo il ragazzo senza mai ottenere risposta. Infine travolta dalla passione tentò di sedurlo con una vera e propria aggressione, ma Eunosto reagì bruscamente e si difese con la forza. Ferita nell’orgoglio oltre che nel corpo Ocna raccontò ai fratelli di essere stata vittima di un tentativo di stupro e i due la vendicarono uccidendo il ragazzo. Quando, poco dopo, si seppe la verità, gli assassini furono incarcerati e la ragazza si uccise, mentre i cittadini vollero tributare un omaggio a Eunosto dedicandogli un tempio. L’intera zona da quel momento in omaggio al giovane ragazzo vergine e dalla fratria religiosa greca dedita alla temperanza ma sopratutto alla castità che gestiva il tempio , venne chiamata dei ” VERGINI “.
Il sepolcreto di questa fratia con tanto di iscrizioni e oggetti funebri fu rinvenuto nel 1878 nei pressi della chiesa di Santa Maria dei Vergini e conferma il profondo collegamento da sempre esistito in questa zona con la sua sacralità e l’argomento della morte. Sono tanti gli ipogei presenti in zona ed i valloni in cui venivano raccolti i defunti , il più famoso dei quali è certamente il cimitero delle fontanelle ma non dimenticatevi anche di un altro famoso ipogeo funerario di origini elleniche che si estende nelle visceri della sanità .Una necropoli greca che è difficile trovare altrove nel resto d’Europa ( per ritrovare tombe di questo genere occorre andare in Asia Minore ). Si tratta dell ‘ipogeo dei Cristallini , risalente tra la fine del IV secolo e gli inizi del III secolo riservato alle classi dominanti e alle famiglie più ricche e degne di memoria dove troviamo scolpita in rilievo nel tufo una testa di Medusa . La gente comune veniva invece sepolta in una fosse comune rinvenuta sotto Castel Capuano .
La sacralità di questi luoghi sacri e il volere vivere accanto a posti dove erano stati sepolti miracolosi santi , porto’ alla costruzione di sempre più’ dimore in questo luogo di importanti famiglie nobiliari e facoltosi borghesi della citta’ ( vedi i maestosi Palazzo Sanfelice e Palazzo dello Spagnolo ).
L’intera zona si sviluppò del tutto urbanisticamente dal XVII secolo, diventando l’area prescelta da nobili e borghesi napoletani per le proprie dimore. Le sue strade vedevano, spesso, il passaggio dei reali, che dal centro della città si spostavano verso la Reggia di Capodimonte e le carrozze di numerosi nobili aristocratici raggiungere le loro dimore .
L’area miracolosa del luogo portò anche alla costruzione di un famoso lazzaretto collocato presso la basilica di San Gennaro dove portare gli ammalati più gravi nella speranza di essere salvati dall’ influsso benefico del santo . Tale lazzaretto dopo la peste fu ampliato e divenne poi l’ attuale ospedale di San Gennaro dei poveri .Sulla porta di San Gennaro che faceva da confine con questi lazzaretti venne quindi apposta allora la figura di San Gennaro, protettore dei deboli, che guardava nella direzione di coloro che erano stati sfortunati nella vita terrena ma che sarebbero stati accolti nel regno dei cieli.
Il percorso per raggiungere l’ospedale e la stessa reggia di Capodimonte , pero’ risultava particolarmente tortuoso, e per questo si ritenne necessaria in epoca francese la creazione di un collegamento diretto, costruendo il Ponte della Sanità.
I lavori per il Corso Napoleone , la strada che avrebbe unito la Reggia di Capodimonte e il centro di Napoli, cominciarono a inizio Ottocento con Giuseppe Bonaparte e continuarono con Gioacchino Murat.
La costruzione della strada e la costruzione di un ponte ( oggi intitolato alla partigiana “Maddalena Cerasuolo” che lo salvò dalla distruzione ) di fatto isolò l’area dal resto della città favorendo il proliferare della malavita e dei traffici illeciti.
Il risultato in termini di viabilità fu notevole, ma fu disastroso per il quartiere, che iniziò via via ad essere tagliato fuori dalla vita della città. Ma non fu il solo danno , in quanto la costruzione del ponte provocò l’abbattimento del chiostro principale della Basilica di Santa Maria della Sanità e ne deturpò anche il chiostro minore.
La porta di San Gennaro era già esistente nel 928 in quanto , menzionata già in documenti risalenti all’anno 928, quando era dilagata in città la paura dei Saraceni che avevano già distrutto la città di Taranto e ci si accingeva a difendersi da essi fortificando le mura e proteggendo le porti.
Dopo l’epidemia di peste del 1656, come ex voto, vi fu aggiunta un’edicola affrescata da Mattia Preti e non certo per sua volontà. . Egli infatti si ritrovò nella nostra città solo perchè in fuga da Roma ( come il Caravaggio ) e nell’ intento di avere salva la vita dovette venire a patti con il vicerè di Napoli e affrescare contro la sua volontà le porte della nostra città.
Il pittore era un abile spadaccino dal carattere irruento ed a Roma l’aveva combinata grossa. Aveva infatti sfidato a duello un uomo che vantandosi di essere il miglior schermitore di Roma aveva apposto vari cartelli in città di sfida verso chiunque volesse metterlo alla prova. Mattia Preti fu l’unico a cogliere la sfida e nel corso del combattimento colmo di ira a causa della tracotanza del suo avversario finì per ferirlo a morte .Costretto a fuggire inseguito dalle guardie papaline che volevano impiccarlo fuggì verso Napoli e quando finalmente giunse alle porte della nostra città , venne fermato dalle milizie armate napoletane che messe a guardia delle porte impedivano a chiunque di entrare nel regno. Imperversava infatti a quei tempi la terribile peste mietendo migliaia di morti ed era stato pertanto organizzato un cordone sanitario armato che vietava l’accesso in città a chiunque arrivasse da fuori . Preti cercò nonostante il divieto in tutti i modi di superare l’ostacolo . Egli era inseguito dalle guardie papali che di li a poco lo avrebbero raggiunto e dinanzi a lui una guardia ostacolava la sua fuga . Divampò una grossa discussione ed infine dopo l ‘ennesimo alterco non riuscendo ad aggirare in alcun modo il divieto , preso da un insano gesto ,non esitò a sgainare la spada ed uccidere la guardia . Riuscì a fuggire in città e a nascondersi facendola franca dalle guardie papali che intimoriti dal morbo ben si guardarono di sostare oltre in città ma venne comunque trovato ed infine arrestato dalle guardie napoletani che lo portarono prigioniero nelle carceri della Vicaria .Implorò il vicerè di non condannarlo a morte in quanto valente artista e pittore . Questi una volta informatosi decise di fargli salva la vita al solo patto di affrescare tutte le otto porte allora presenti in città come ex voto per la scampata peste che nel frattempo per intercessioni di vari santi e della Vergine Maria si era oramai placata. Dipinse così avendo salva la vita tutte le allora esistenti porte della città avendo come elemento comune la Vergine Maria supplicata da vari santi ed i corpi senza vita dei cittadini che, o sullo sfondo, o in basso, sono portati al cimitero oppure sono dilaniati dagli animali .
Sfortunatamente tutte queste opere d’arte sono andate perse, l’unica a essersi salvata è stata proprio quella dipinta sulla Porta di San Gennaro dove ancora una volta la Madonna, con in braccio Gesù, è protagonista dell’affresco al centro e nella parte superiore della scena . Ai lati vi sono san Gennaro, con la fiala di sangue in mano, Santa Rosalia e san Francesco Saverio con il dito puntato verso un’altra pergamena che presenta la frase “S. Franciscus xave… patronus”. I tre santi protettori della città supplicano la Vergine affinchè liberi i cittadini dal flagello della peste.In basso al riquadro invece vedute della città fanno da sfondo alla sofferenza dei suoi abitanti rappresentati dalla maggior parte come pallidi cadaveri .
Due bozzetti di questa incredibile opera son oggi conservati presso il Museo di Capodimonte
Nel 1659 , sulla porta ,fu aggiunto il busto di San Gaetano (realizzato in pietra da Bartolomeo Mori), su richiesta dei padri teatini. Questi stavano allora portando avanti una campagna per fare in modo che il l fondatore del loro ordine Gaetano Thiene diventasse patrono della città ma la sua assenza nei vari dipinti sulle porte della città fatti da Mattia Preti eliminava del tutto questa possibilità e per cercare di rimediare commissionarono a Bartolomeo Mori un busto di pietra del santo da posizionare sul retro della porta .
L’ultima porta delle quattro che ci sono rimaste è quella di Port’Alba che prende nome dal nome del vicerè Don Antonio Alvarez di Toledo, duca d’Alba, che la fece erigere dietro le insistenze di Paolo di Sangro.
Essa era la porta di mezzo tra quella Reale e quella di Costantinopoli e come quella di porta Medina , ( questa fu aperta nell’antica muraglia angioina, in sostituzione di un torrione) fu esclusivamente fatta per per agevolare il passaggio della popolazione che nel frattempo in quel luogo aveva praticato un grosso “pertugio” abusivo ( cioè un grosso buco ) perché stanco di fare lunghi giri per entrare in città.
Nel 1625 il vicerè Antonio de Toledo , duca d ‘ alba , su sollecitazione di Paolo di Sangro , principe di Sansevero , che accolse la petizione dei napoletani e la presentò al vicerè , acconsentì alla trasformazione del “pertigium” in porta , a condizioni che le spese fossero sopportate dalla popolazione locale
La Porta che si trova sul lato sinistro dell’emiciclo di Piazza Dante fu decorata con tre stemmi regali: uno di Filippo III, uno della città di Napoli e uno del Viceré Don Pedro de Toledo.
I napoletani per lungo tempo ( ed ancora oggi di tanto in tanto ), hanno continuato a chiamarla “porta sciuscella ” dal nome dei frutti di carrubo , che sospinti dal vento , dal giardino del vicino convento di san Sebastiano piovevano in strada e venivano raccolti dalla gente del popolo.
La porta che ora si vede , non è quella originale , in quanto nel 1797 fu ristrutturata e fu posta sopra di essa la statua bronzea di san Gaetano che prima sormontava la vicina demolita Porta Reale
Un tempo ovviamente anche qui alla sommità della porta vi era un bellissimo affresco anch’esso realizzato da Mattia Preti andato purtroppo anche lui completamente perduto nel tempo.Si trattava di un ‘ opera votiva in cui i personaggi principali della composizione erano come al solito la vergine , S. Gennaro e S. Gaetano posti tra una massa di moribondi colpiti dal terribile morbo .
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