Molti dei grandi dolci tipici di Napoli (escludendo il babà) affondano le loro radici nei conventi, spesso di clausura. In questi luoghi isolati, dove il contatto con l’esterno era ridotto al minimo, gli ingredienti venivano introdotti attraverso le celebri “ruote” all’ingresso e da quelle stesse ruote uscivano veri e propri capolavori di pasticceria.

È in questo contesto che nasce la celebre pastiera, frutto dell’ingegno delle monache del convento di San Gregorio Armeno, nel cuore della città. Gli struffoli sono invece legati al convento della Croce di Lucca, in via Tribunali; i Divinamore al convento omonimo; le sapienze a quello della Sapienza; la monachina ancora alla Croce di Lucca, e così via.

Anche la sfogliatella ha origini conventuali, ma risale al Seicento e nasce lontano da Napoli, nel convento di Santa Rosa a Conca dei Marini, affacciato su uno dei panorami più incantevoli della Costiera Amalfitana.

N.B. Oggi quel luogo è un resort di lusso con vista sul mare

In quel luogo sacro si pregava tanto, trattandosi di un convento di clausura, non sipoteva andare da nessuna parte e quindi di tempo libero ce n’era in abbondanza e quindi una parte di esso veniva spesi in cucina .

Un giorno di 400 anni fa (siamo nel 600) la suora addetta alla cucina si accorse che era avanzata un po’ di semola cotta nel latte dal pranzo delle suore  Buttarla, non se ne parlava proprio. Fu così che, ispirata dall’Alto, la cuoca ci buttò dentro un po’ di frutta candita ricotta , uova ,  zucchero e un po di liquore al limone.

Ne nacque una crema squisita.

Ma cosa poteva metterci sopra e sotto? Preparò allora due sfoglie di pasta fatte  con  farina, acqua, sale e sugna , che dopo diversi tentativi – si dice proseguiti per anni – vennero arrotolate, tagliate e trasformate in tasche nelle quali ci sistemò in mezzo il ripieno creato,

Poi sicccome  anche in un convento l’occhio vuole la sua parte , sollevò un pò la sfoglia superiore , dandole la forma di un cappuccio di monaco r informò il tutto .

Nacque così la Santa Rosa, ( nome della santa a cui era dedicato il convento ) raccolta con entusiasmo dapprima nel convento e poi anche tra gli abitanti del borgo, che la scambiavano con beni alimentari.

La santarosa ci mise circa centocinquant’anni per percorrere i sessanta chilometri tra Amalfi e Napoli. Qui arrivò ai primi dell’800, per merito dell’oste Pasquale Pintauro, che nipote di una badessa  venne a conoscenza di questa delizia conventuale. Egli in quel periodo aveva un’ osteria in via Toledo, proprio di fronte a Santa Brigida. Che rimase un’osteria

Entrato in possesso della ricetta, trasformò la sua osteria in una pasticceria e lui da oste divvenne pasticciere.  di oste per dedicarsi alla pasticceria.

Correva l’anno 1818 e nacque così in via Toledo , quello che fu per lungo tempo, il più ricercato  laboratorio di dolcezze in città (si racconta che nell’Ottocento le file fossero interminabili )

Pintauro non si limitò a diffondere la santarosa: la modificò, eliminando la crema pasticciera e l’amarena, e sopprimendo la protuberanza superiore a cappuccio di monaco. Era nata la sfogliatella nella  sua varietà più famosa, la cosiddetta “riccia” a forla di conchiglia

Tuttavia, non tutti gradivano la crosta così dura: per loro fu quindi creata la sfogliatella frolla, dalla consistenza morbida e tondeggiante, con lo stesso ripieno ma racchiuso in un guscio di pastafrolla.

Questa seconda variante è attribuita alle suore di Santa Maria Regina Coeli, nel quartiere dell’Anticaglia, ma sarà ancora Pintauro a riconoscerne il valore e a farla conoscere a tutta Napoli.

N.B. Pintauro, imprenditore instancabile, ottenne anche la ricetta di uno gnocco fritto aromatizzato con un elisir del convento di Santa Chiara. Nacque così la zeppola di San Giuseppe nella sua forma moderna. A lui si attribuisce anche l’invenzione della coda d’aragosta, ottenuta allungando la forma della sfogliatella.

Per molto tempo Pintauro non ebbe rivali, ma con il tempo la ricetta si diffuse e altri artigiani iniziarono a produrla. Oggi infatti la sfogliatella si può assaggiare in tutte la pasticcerie di Napoli, con soddisfazione.

Purtroppo la nota la bottega di Pintauro oggi  osserva una chiusura stagionale estiva per garantire la qualità dei suoi prodotti e quindi da fine luglio fino ad inizio settemtre chiuse le sarcinesche,  ma in città comunque esistono dei luogi dove si possono trovare delle  ottime sfogliatelle :  c’è una zona in particolare che si distingue: quella intorno a Porta Capuana, dove sorgono pasticcerie come Sorella, Carraturo,  Ferrieri, Tizzano, Capriccio, Lauri e Attanasio alla stazione ferroviaria, oggi è meta fissa per i viaggiatori in partenza, desiderosi di portare con sé un ricordo dolce di Napoli.

Il motto del negozio? “Napule tre cose tene ’e belle: ’o mare, ’o Vesuvio e ’e sfugliatelle”.

Per i napoletani la sfogliatella è dolce, punto. Riccia o frolla, affonda le sue radici nella tradizione conventuale. Tuttavia, la cucina partenopea è nota per le sue contaminazioni: basti pensare al gattò rustico o al danubio salato, originariamente dolci.

E così, oggi, si incontrano anche sfogliatelle rustiche, farcite con salsiccia e friarielli, scarole, peperoni, zucchine o persino sugo del soffritto. Veri e propri piatti completi, che si concludono – come si deve – con una bella sfogliatella dolce riccia. Quella vera.

CURIOSITA’:Tempo dopo , il pasticciere Pintauro , gia’ famoso per le sfogliatelle , ebbe poi l’idea di friggere davanti alla sua bottega , un altro tipico dolce napoletano ” le zeppole” .
Era la mattina di San Giuseppe ; da allora il 19 marzo , tutte la pasticcerie napoletane presero l’abitudine di offrire ai propri clienti questa specialita’ che nella versione antica erano piccole ciambelline di acqua e farina ricoperte di cannella in polvere e zucchero .

  • 3647
  • 0