I Quartieri Spagnoli furono costruiti per acquartierare l’esercito spagnolo di stanza nella Regione, in una posizione strategica vicino al Palazzo del Viceré e di fronte al porto.
Appaiono come un meraviglioso dedalo di vicoli e gradoni, dove palazzi e chiese spesso sono una sola cosa e gli edifici si accavallano e si stratificano tra loro tra ragnatele di strade avvolti talvolta da poca luce .
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Un luogo dove i panni “spasi ” fanno da cornice al quartiere in cui le traverse sono chiamate vichi e questi se sono molto stretti sono chiamati vicoletti e strettoie se sono veramente piccoli e soffocanti. Le vie erte sono dette salite se menano verso l’esterno della città, calate se conducono alla citta’ vecchia, gradoni se hanno scaglioni, rampe se hanno branche.

Si tratta di un piccolo mondo che talvolta sei capace di detestare per la decadenza che l’avvolge, dove puoi vedere le volte sorrette ancora dai tubi di ferro dei terremoti oppure sei capace di amare per i suoi colori, i rumori, le voci, gli odori di frittura in alcune ore, i panzarotti, la pizza, la luce, il buio, i bambini per strada, i palazzi del seicento, i fregi sulle porte, i balconi bombati, le pietre, le lapidi, le porte inchiodate, le iscrizioni, le cappelle votive di alluminio anodizzato, le maioliche lucenti dei chiostri, e i giardini di aranci che si aprono come oasi sfinite nell’affollato deserto di pietra dei vicoli.
Questi vicoli hanno una loro vita, che ruota intorno a mestieri vecchi e nuovi, alle tante botteghe artigiane, agli ambulanti, alle bancarelle, che insieme costituiscono la cosiddetta “economia del vicolo”. Un’economia che si adatta velocemente alla realtà circostante e cambia secondo le necessità o le stagioni.
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Si tratta di un luogo molto suggestivo e caratteristico dove di fatto puoi incontrare dal vivo la cultura napoletana, assaporare il profumo dei suoi cibi, calarsi nella sua lingua e nella sua musica. Puoi sentire qui come in nessun altro luogo la tipica sfumatura linguistica napoletana con una cadenza forte, marcata, teatrale e sempre colorita.
Può anche capitarti di incrociare sguardi e rispondere a saluti (perché qui ci si saluta sempre anche se non ci si conosce).
Un luogo vitale, energico, caotico ricco di di storia, cultura, musica e sapori dove i bassi s’intervallano a palazzi nobiliari e chiese monumentali, capaci di far salire le lacrime agli occhi per la sua bellezza.
Tra costruzioni fatiscenti o deturpate dalle sovrapposizioni e dagli sventramenti, possiamo notare palazzi con maestosi portali, mascheroni, soffitti affrescati e stemmi nobiliari.
Come ad esempio quello che sorge al civico 46 di Via Santa Teresella degli Spagnoli ovvero il Palazzo Sifola con la sorprendente e splendida facciata in bugnato adornata di stucchi. Secondo alcune fonti Eleonora Pimentel Fonseca prese in affitto un appartamento in questo palazzo, dove avrebbe ospitato i rivoluzionari della Repubblica Partenopea del 99 e redatto il “Monitore Napoletano”.
I Quartieri spagnoli si estendono su una superficie di 765.016 mq. e sono compresi tra il C. Vittorio Emanuele e Via Toledo. Quest’ultima strada prende il nome dal suo fondatore, il viceré Don Pedro di Toledo, il quale decise la costruzione dei noti “quartieri spagnoli” verso il 1536, al fine di ospitare le abitazioni per i suoi soldati e le truppe spagnole dirette su altri fronti di guerra, che facevano tappa a Napoli.
Nei quartieri spagnoli i soldati andavano in cerca di divertimento, e di conseguenza ben presto si sviluppò rapidamente il grave fenomeno della la prostituzione. La povertà e la miseria del popolo era alta e spesso alcune povere fanciulle napoletane, per motivi economici, erano costrette a vendere il proprio corpo in cambio di denaro.
I quartieri si popolarono quindi di abitazioni per le guarnigioni ma anche di case di prostitute e taverne malfamate . In essi si affermo più che ogni altro luogo della città, lo stile di vita e il carattere dello spagnolo: litigioso, arrogante, spaccone, donnaiolo.
In questi luoghi il popolo subì la negativa influenza del dominatore, assimilandone gli aspetti maggiori come i “bravi” o “sgherri” ( personaggi che a pagamento compivano la azioni più nefande).

A dire il vero, i primi rapporti tra il popolo e i soldati non furono facili poichè questi ultimi con la mentalità propria dei conquistatori, si comportavano con arroganza e spesso con violenza per cui non era raro trovare al mattino, per le strade, cadaveri di militi uccisi durante la notte da mariti offesi o da persone depredate.

Eppure di tutte le dominazioni succedutesi doveva essere quella spagnola nel tempo a lasciare un’impronta indelebile nell’aspetto della citta, perchè, anche se modificata da demolizioni e da nuove costruzioni, Napoli, nelle sue linee essenziali, e’ quella venuta a crearsi durante i due secoli del regime vicereale. Ancora oggi molti nomi di strade e vicoli ricordano la Napoli spagnola. L’impronta lasciata da quella dominazione resterà per sempre una cicatrice indelebile. Quello che  non scomparirà mai e’ il segno impresso al carattere dei napoletani dagli usi e dai costumi dei spagnoli, i quali non trascuravano mai la forma, il che comportava spesso il sacrificio del benessere materiale a vantaggio dell’esteriorita’ (la forma sulla sostanza) che aveva un ruolo determinante per quella che loro consideravano la propria dignità.

Ancora oggi per definire la vanagloria, la boria, la mania di grandezza vengono definiti con attributi quali: spagnolismo, spagnolesco o spagnolata.

Un dato dimostrativo dell’assimilazione delle usanze spagnole da parte dei napoletani e’ il “don” così largamente usato, specie tra il popolo, ma, purtroppo ben altre eredita’ lasciarono gli spagnoli tra le quali si evidenziano il gioco, la menzogna e il turpiloquio.

I napoletani da sempre e sopratutto prima della dominazione spagnola, usavano un linguaggio corretto e raramente ricorrevano all’inganno e alla menzogna; furono i soldati spagnuoli ad importare insieme al gioco, l’ imbroglio, la falsita’ e il linguaggio scurrile.

Bisogna  dire pero’, ad onor del vero, che il popolo si adatto’ presto a tali maniere e tanto bene da superare gli stessi iniziatori che sovente erano raggirati con gli stessi metodi da loro importati ma dai napoletani perfezionati.
Nei quartieri spagnoli quindi il popolo imparo’a vivere nel bene e nel male tramandando nel tempo atteggiamenti e costumi talvolta tuttora tristemente attuali.  Supponenza , pressapochismo , esibizionismo, prepotenza, e la presunzione di essere sempre comunque superiore al prossimo furono la ciliegina sulla torta  degli  ostentati lussi e  spettacolo della magnificenza spagnola e la feccia giunta al seguito della soldataglia iberica bene si amalgamo’ in questi luoghi con quella indigena esaltandone  le reciproche caratteristiche .
Qui, forse, ha avuto origine il frutto di un’altra pesante eredita’ lasciataci dagli spagnoli: la camorra.
Un altro grave problema che caratterizzò i quartieri spagnoli fu appunto la criminalità. Piccole bande criminali, infatti, giravano tra i vicoli commettendo furti e ogni genere di soprusi ai danni della popolazione. Inevitabilmente scoppiavano risse che spesso finivano nel sangue.
Ad un certo punto ci si accorse che era veramente difficile mantenere un ordine in questi quartieri e tutto questo fini’ per favorire i “camorristi” i quali con i loro sistemi se non altro mantenevano una sorta di controllo sul territorio e arrivavano dove il governo non riusciva ad arrivare (un po’ come oggi).
I camorristi furono quindi tollerati dagli spagnoli (e successivamente dai piemontesi) in quanto si servivano di essi, quasi come di poliziotti, per mantenere l’ordine tra il popolo.
I loro sistemi per mantenere ordine erano la violenza, le armi, l’estorsione e la paura.
La parola ‘camorra’ infatti, etimologicamente, significa rissa, prepotenza e sta ad indicate anche una cortissima giacca di tela che i loschi figuri indossavano.
Questo incredibile patto tra stato e camorra a Napoli e’ sempre stato appannaggio di chi ha governato questa città. La camorra ha sempre fatto comodo a tutti questi governi perché’ era la via più’ semplice per governare una difficile situazione locale venutasi a creare per inefficienza e superficialità di chi ha dovuto gestire il potere governativo nel corso degli anni.
La stessa unificazione d’Italia avvenuta circa 150 anni fa e’ avvenuta grazie ad un patto avvenuto tra piemontesi e camorra.
A sostegno di quest’ultima tesi le carte che dimostrano che il 26 ottobre 1860 Garibaldi pagò una pensione vitalizia di 12 ducati mensili a nome di Antonietta Pace, Carmela Faucitano, Costanza Leipnecher, Pasquarella Proto e Marianna De Crescenzo, le principali esponenti femminili della Camorra napoletana. Quest’ultima era sorella proprio di quel Salvatore De Crescenzo che aveva camminato accanto a Garibaldi al suo ingresso a Napoli.
Il losco personaggio aveva acquistato il ruolo di intermediario tra politica e camorra quando Liborio Romano per contrastare le sommosse nate sulla scia di quella siciliana del 1848 lo chiamò per chiedergli di radunare tutti i capi-quartieri della città e stipulare un patto di aiuto reciproco.
Lo stesso signor Garibaldi quando fece il suo ingresso nella città partenopea aveva al suo fianco, in testa al corteo di persone che l’accompagnava, sia Liborio Romano Ministro di Polizia che Salvatore De Crescenzo, capo della camorra dell’epoca, detto “Tore ‘e Criscienzo”, i cui uomini mantennero l’ordine pubblico.
Liborio Romano non reclutò solo “Tore”, ma tanti altri camorristi che furono poi tutti nominati funzionari di polizia.
Liborio Romano era il corrispondente di Camillo Benso di Cavour e ovviamente appena Garibaldi entro’ a Napoli, formò immediatamente un governo con a capo proprio Liberio Romano che come primo atto ufficiale cedette al Piemonte la potente flotta da guerra borbonica.
Tornando ai quartieri spagnoli, bisogna comunque dire che inizialmente, Don Pedro de Toledo, tento’ di emarginare il fenomeno della prostituzione emanando nuove leggi, tra cui l’editto che stabiliva pene severe per le prostitute e i loro “amici” colti in flagranza di reato. Queste leggi, però, non vennero rispettate anzi fu subito trovato il modo di violarle. Infatti, tra le stradine dei quartieri, là dove lo spazio lo permetteva, vennero sistemate varie baracche di legno che servivano per gli incontri tra i soldati e le loro “compagne di piacere”.
Nacquero in conseguenza a tale fenomeno molti conventi che le nobildonne dell’epoca si diedero a fondare per accogliere e aiutare le ragazze dedite alla prostituzione. I resti di molti di questi antichi complessi conventuali oggi sono in gran parte inglobati in altre strutture o destinati ad altri usi.

La religiosità, dei Quartieri, e’ comunque sempre stata viva, come testimonia la presenza di numerose chiese e tante cappelle votive che trovi in ogni vicolo.

A Napoli l’edificazione di una cappella votiva non trova la sua giustificazione in un evento miracoloso. Qui le immagini sacre non piangono e non sanguinano. Ogni individuo o una qualsiasi associazione ne può edificare una, perché la cappella votiva è realmente della gente, è una forma di culto che potremmo dire parte dal basso. Accanto all’immagine della Vergine o del Santo di turno, foto di defunti, qualche dedica, fiori ed ex-voto.

La presenza delle edicole votive si associa all’attività religiosa di Padre Rocco, un “missionario cittadino” che dedicò la sua vita alla cura delle classi più povere.
Ai tempi, nel ‘700, la città di notte era buia e pericolosa e non esisteva un impianto di illuminazione. I nobili venivano scortati da servi con lanterne e la povera gente, onde evitare brutti incontri, la sera si rintanava in casa. I delinquenti, ed erano molti, la facevano da padroni: essi si appostavano al buio tendendo una corda nella quale il malcapitato che inciampava, veniva immediatamente sopraffatto (da qui nacque il detto “e che te cride ca’ vaco a mettere ‘a fune ‘a notte“, per dire: non vado mica a rubare).
Il governo di allora, perdeva tempo nello studiare i vari piani atti a risolvere il problema, e allora Padre Rocco, che teneva molto a cuore i problemi della povera gente, escogitò un suo personale ma geniale piano.
Dopo un primo tentativo, di far mettere delle lanterne ad olio, che venivano prontamente distrutte dai ladri, al Domenicano venne l’idea vincente. Approfittando del fatto che il sentimento religioso nei napoletani, anche nei ladri, é sempre stato molto forte, egli ogni 5 o 6 case penso’ di consegnare ai fedeli più devoti delle immagini sacre, invitando loro ad appenderle fuori casa ed ad accendervi un lume ogni sera.

Individuo’ contemporaneamente, lui stesso i luoghi più a rischio dove fece costruire Croci di legno con affisse copie di un quadro della Vergine e vi costruì intorno nicchie e piedistalli. L’ intuizione fu di affidare poi alla gente del luogo il compito e l’ onore di tenere sempre accese le lanterne.
Le lampade non furono più distrutte e Napoli grazie a questa idea del padre Domenicano riuscì a garantire la prima forma d’illuminazione pubblica della città e nel contempo anche a diffondere la sua opera religiosa.
La città di Napoli, così, conobbe le sue luci notturne e fu senza dubbio sempre più sicura, a mano a mano che le edicole votive si estesero a tutto il territorio abitato.
Questo retaggio dei Santi e delle Madonne di Padre Rocco è tutt’ora esistente ed e’ costituito dalle tante edicole religiose che, appunto, si vedono sui muri.
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Le tante chiese, sono spesso veri e propri scrigni d’arte, come la barocca Concezione a Montecalvario, opera di Domenico Antonio Vaccaro o la Chiesa di Santa Caterina da Siena che custodisce opere del Fischetti e di Giacinto Diana o la Chiesa di Sant’Anna di Palazzo la cui cupola domina i vicoli mentre l’interno custodisce opere d’arte e tanta storia Qui, infatti, fu battezzato il pittore Luca Giordano e qui si sposò la rivoluzionaria Eleonora Pimentel Fonseca che visse in affitto in un appartamento al civico 46 di Via Santa Teresella degli Spagnoli nel Palazzo Sifola (da notare la sorprendente e splendida facciata in bugnato adornata di stucchi).
Alcune chiese sono addirittura diventate meta di pellegrinaggio.
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In Vico Tre Re a Toledo c’è un piccolo santuario, dedicato a Santa Maria Francesca delle cinque piaghe, prima santa napoletana della Chiesa e Compatrona di Napoli. La Santa, al secolo Anna Maria Rosa Nicoletta Gallo, nacque e visse nei “Quartieri Spagnoli”. Tra i molti carismi di Suor Maria Francesca c’era il dono della profezia e ancora vivente si verificarono fatti prodigiosi che il popolo considerò come miracoli. Pare infatti che molti anni prima che accadesse, essa profetizzò anche l’evento della rivoluzione francese.
Annessa alla piccolissima chiesa, vi è la casa dove S. Maria Francesca visse per molti anni della sua vita e dove si recano numerosi fedeli. Soprattutto giovani coppie che affidano alla speranza e alla fede la possibilità di procreare. Infatti, la casa custodisce ancora la sedia sulla quale la Santa pativa sul suo corpo i dolori della passione di Cristo e sulla quale oggi siedono le donne desiderose di avere un figlio.
La suora che oggi le accoglie, ascolta i loro problemi e le loro preghiere e sfiora il loro ventre con un reliquario contenente una ciocca di capelli e alcuni resti ossei della Santa.
Un grande ospedale occupa il cuore dei quartieri : si tratta dell’Ospedale dei Pellegrini che venne fondato nel 1578 da sei artigiani napoletani , i quali volevano creare una congregazione religiosa che affiancasse, all’esercizio del culto, un’opera di soccorso per i bisognosi e per i poveri. Loro intenzione era quella di ospitare ed assistere i pellegrini in transito a Napoli. Infatti, tutti coloro che venivano a Napoli spinti dalla fede non sempre avevano la possibilità di trovare a poco prezzo un alloggio in città, inoltre alcuni fedeli, per lo strapazzo del viaggio, talvolta, si ammalavano e avevano bisogno di cure. Si propose, così, di creare una casa ospitale ( ospedale) dove i pellegrini potessero essere accolti per tre giorni interi.
“L’arciconfraternita e l’ospedale S.S. Trinità di Pellegrini e Convalescenti”, grazie anche ai fondi di molti generosi benefattori, accolse nel tempo un numero sempre maggiore di pellegrini e ben presto furono accolte anche persone convalescenti di gravi malattie che, dimesse troppo presto dagli ospedali, non potevano curarsi a casa .
La struttura iniziale divenne quindi insufficiente e nel 1852 si trasferi’ alla Pignasecca dove don Fabrizio Pignatelli dei duchi Monteleone aveva fatto costruire una casa e una chiesa a cui affiancare un ospedale che lascio’ alla sua morte in eredita’all’arciconfraternita dei Pellegrini .
L’ospedale poi completato nel 1591 continuava ad accogliere sempre piu’pellegrini convalescenti e bisognosi , basta pensare che, durante il Giubileo del 1600, furono accolti ben ottantamila pellegrini.

Durante la seconda guerra mondiale l’ospedale fu gravemente danneggiato dalle bombe, tuttavia l’arciconfraternita continuò coraggiosamente la sua opera di soccorso , non esitando a trasformare la sua chiesa della S. S. Trinità in corsia ospedaliera.

La zona della Pignasecca , luogo popolare e popolosa della città, dove si trova ancora attualmente l’antico ospedale con le sue due chiese è anche la sede del più noto mercato alimentare della città. Essa deve il nome a una pineta che sorgeva proprio nel luogo in cui si trova il mercato. Il termine”Pignasecca” si rifà, in particolare, ad un’antica credenza popolare: si racconta, infatti, che un vescovo napoletano fece affiggere sul tronco di un pino una bolla di scomunica e, appena il foglio fu appoggiato all’albero, questo si seccò di colpo. Da allora la “Pignasecca” ha questo nome che ancora oggi la caratterizza.quartieri-15

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Una delle più famose strade dei Quartieri Spagnoli , prende il nome dalla chiesa di San Liborio, situata in Piazza Carità, costruita nel 1694 e destinata ad un conservatorio di suore.

La notorietà di Via S.Liborio è dovuta alla famosissima commedia “Filumena Maturano” di Eduardo De Filippo nella quale è rievocata la storia di una ragazza diventata prostituta per necessità. Filumena, infatti, abitava in un “basso” insieme a tanti altri componenti della sua famiglia.

I famosi bassi oggi non sono più quelli descritti in passato da cronisti e viaggiatori che ne evidenziavano lo squallore, la miseria, e le condizioni di vita al limite estremo del decoro umano. Essi attraverso ingegnose opere edilizie hanno acquistato nel tempo una certa dignità senza per questo snaturarsi.
Nei tanti bassi palpita il grande cuore di Napoli , tutti accoglienti , lindi e profumati. Teatri di storia , letteratura e commedie rappresentano un vero spettacolo dell’arte di arrangiarsi : soppalco, tanto di verandina fiorita, una grande camera con l’angolo cottura e una cucina sempre avviata con un bagno ricavato in un angolo . Tutto tenuto a meraviglia, magari con un arredamento un po’ chiassoso con al centro un bel televisore al plasma e un vaso pieno di fiori, poggiato su un centrino al centro del tavolo. In camera da letto, sul letto una vecchia bambola con il vestito di pizzo, sul comò qualche fotografia di chi non c’è più. Nell’aria, intorno al basso, di buon mattino un odore di detersivo che si spande nell’aria pronto a trasformarsi in quello di un buon caffè in tarda mattinata ed in quello dei tipici piatti napoletani verso l’ora di pranzo.
Spesso la più svariata mercanzia è esposta tra fotografie e “figurelle” in bella mostra sul comò, perché il basso può essere anche una casa-bottega poiché tutto è ammesso quando serve per “arrangiarsi”.
Accanto ai ‘ bassi ‘ nei negozietti che si affacciano sui vicoli si lavorano oggi borse, cinture, scarpe, e tipiche trattorie dove si possono gustare specialità napoletane in ambienti molto semplici, ma anche molto puliti.Queste trattorie negli ultimi anni sono divenute sempre più numerose e caratteristiche cedendo però al lato turistco quell’aspetto caratteristico che caratterizzava l’antico quartiere .In esse potrete comunque degustare dei tipici piatti napoletani . mangiando bene e spendendo poco come per esempio nella famosissima trattoria NennellaOggi piccolo luogo  non manca comunque ancora oggi , nonostante la nuova devozione turistica del luogo ad essere  ricco di botteghe dove potreste  trovare qualcosa di caratterstico .
Nel tempo i Quartieri sono cresciuti a dismisura fino ad occupare l’intero Poggio delle Mortelle (dalla gran quantità di mirto che vi cresceva). Ai primi del Seicento, questo luogo era così ameno che numerosi ordini religiosi decisero di costruirvi le loro dimore tra il verde che saliva ininterrotto verso la collina del Vomero.
Di quell’abbondanza di verde e della natura rurale del luogo, vi sono ancora tracce nella toponomastica attuale, come Vico Nocelle, Vico Giardinetto, Vico Lungo Gelso e nella presenza di lunghi tratti di Pedementine che rappresentavano l’unico collegamento con la parte alta della città. Le sue scale si arrampicano lungo il versante della collina del Vomero fino alla Certosa di San Martino in uno scenario di suggestiva bellezza.

A tal proposto e’ giusto ricordare il rilevante numero di salite e discese utili in tempi passati (ma ancora oggi) per collegare la parte alta della città alta con quella bassa. ‘

Noi siamo abituati a pensare a Napoli solo come a una citta’ di mare ma il suo territorio è invece legato ad una morfologia collinare, con alture più’ o meno elevate su cui nel tempo si e’ sviluppata la citta’. Difatti con lo sviluppo della città sul versante collinare si sono venuti a creare dei collegamenti naturali fatti di gradinate e scale che sono di divenuti poi i due prevalenti sistemi di percorso pedonale distinguendosi le prime per il loro carattere lungo ed articolato che intervalla gradini piu o meno ampi e comodi al passo, a tratti stradali; le seconde, piu’ brevi e ripide, la cui etimologia deriva dal latino scando, cioe’ salgo, per la loro riconosciuta funzione di accorciatoia.
Le salite, le discese, i gradoni, le rampe, e le scale, hanno assunto quindi un importante ruolo di collegamento urbano per la gente che si doveva spostare nell’ambito della citta’.
La Pedamentina, che dal Castel S.Elmo, porta al Corso Vittorio Emanuele rappresenta il tipico esempio di questo sistema di comunicazione, proseguendo fino al decumano minore, ovvero alla famosissima “Spaccanapoli” ( storicamente il più importante antico tracciato greco della città).
Altro grande, maestoso edificio della zona e’ quello che fino a qualche anno fa ha ospitato ” l’Ospedale Militare”, che risale al 1536. Si trattava precedentemente di un convento chiamato “Trinità delle Monache” che nel 1806 diventò l’Ospedale militare di Napoli, oggi trasferito altrove.
Il convento, di grande bellezza architettonica e circondato da lussuosi giardini, accoglieva spesso famiglie aristocratiche. La chiesa fu commissionata a uno dei migliori architetti del tempo, il Grimaldi, e la spesa fu di circa centocinquantamila ducati. La meravigliosa scala d’accesso della Chiesa è anch’essa opera dello stesso architetto.

Sull’altare maggiore si trovano due splendidi quadri:”La S.S.Trinità che incorona la Vergine ” e “I Santi della Santa Fede”. In una delle cappelline laterali è, inoltre, rappresentata una “Immacolata con i S.S.Francesco e Antonio”di Battistello Caracciolo.

L ‘origine spagnola dei Quartieri vive ancora nel nome di molte strade, nelle chiese (come ad esempio la Trinità degli Spagnoli), in alcuni santi venerati (come S. Maria del Pilar),o ancora nei resti di antichi complessi conventuali oggi in gran parte inglobati in altre strutture o destinati ad altri usi.

Essi  rappresentano uno dei tanti luoghi della città dalla “doppia anima“, quella antica e storica e quella moderna; un’ambiguità che, però, soprattutto negli ultimi anni si è fusa in un unico concetto più grande e positivo: l’appartenenza.

Perché è proprio qui che si concentra una parte inesauribile e impossibile da non considerare della metropoli odierna, quella parte che fa combaciare il vecchio e il nuovo, il bene ed il male, gli inciuci sparsi per i vasci e le iniziative culturali come “Cuore di Napoli“.

D’altro canto, è sempre qui che è ubicato il famosissimo Vico Santa Maria delle Grazie, ribattezzato come Vicolo dell’Amore grazie all’iniziativa di residenti e negozianti di sommergerlo letteralmente di decorazioni, striscioni, frasi e versi di canzoni tutti ispirati proprio all’amore in tutte le sue forme. Questa sua peculiarità lo ha reso talmente celebre in tutto il mondo, anche grazie al tam tam sui social network, che turisti e stilisti ci fanno tappa obbligatoria ogni anno, soprattutto durante il giorno di San Valentino e nelle festività natalizie.

La rabbia per chi ama questa citta’ talvolta aumenta quando vedi che la decadenza si è impadronita di questo posto (molto tempo fà) e non sembra mollare la sua stretta, capace di corrodere e sgretolare anche le persone ma oggi, finalmente, e’ in atto una riqualificazione ambientale dei luoghi che restano comunque bellissimi.

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Da qualche anno infatti  nei quartieri spagnoli  la Street Art, l’arte di strada  è di casa e non è raro girando per i suoi stretti vicoli   imbattersi improvvisamente  in  veri e propri capolavori d’arte.

Queste  opere di numerosi street artist  non solo colorano l’intero  quartiere , ma sono nel tempo  diventate anche una grande attrattiva turistica.

Tra i murales  comunque in assoluto più amati dei Quartieri Spagnoli di Napoli, vi sono  quelli che ritraggono alcune delle personalità del cinema, del teatro, della letteratura e della musica che hanno contribuito a rendere la città ancora più affascinante agli occhi del mondo.

In Largo Barracche, ad esempio, Mario Casti Farina, ha dedicato un murale a Bud Spencer e Sophia Loren intitolato: E scugnizz de’ quartier.

L’opera risale al 2019 e rientra di un progetto di riqualificazione di un’antica galleria sotterranea, utilizzata come rifugio antiaereo durante la Seconda Guerra Mondiale.

Tra i volti dei due grandissimi attori napoletani, celebri in tutto il mondo, spicca il Vesuvio, uno dei simboli indiscussi di Napoli.

Ovviamente tra i personaggi famosi dello spettacolo non poteva mancare ol celebre Totò ,

Le opere di street art dedicate al principe della risata, Antonio de Curtis, in arte Totò, sono talmente tante che il vicolo che le ospita, Via Portacarrese a Montecalvario, viene ormai soprannominato Vico Totò.

Il celebre attore, poeta e commediografo italiano, protagonista di centinaia di pellicole cinematografiche, trascorse la sua infanzia come tutti sappiamo nel Rione Sanità di Napoli. Ciononostante, la sua figura si lega indissolubilmente ai Quartieri Spagnoli, che a lui hanno dedicato più di venti opere.

Accanto a Totò, non mancano alcuni degli attori che lo hanno affiancato nei suoi film più celebri, come Nino Taranto Peppino De Filippo.

Potrete ammirare persino la riproduzione della tipografia Lo Turco, del film La banda degli onesti!

Il primo artista ad omaggiare l’attore partenopeo è stato Lino Ozon, che lo ha ritratto con il celebre travestimento da donna, sfoggiato in Totò truffa ’62.

Luca Carnevale con i suoi Humanheroes invece, ha trasformato Totò nei supereroi pop più amati del mondo dei fumetti.

Tra i vari murale dei quartieri speagnoli  non poteva certo mancare  il volto di un napoletano considerato almeno dal sottoscrtitto uno dei più grandi intellettuali del panorama italiano .

Parliamo ovviamente di Luciano De Crescenzo il cui murale nei quartieri spegnoli è stato riprodotto  da Michele Quercia e Francesco Avolio , ad un anno esatto dalla sua morte, avvenuta il 18 Luglio 2019.

L’opera si intitola O pallone miez ‘e machine e ritrae, rigorosamente in bianco e nero, Luciano De Crescenzo da un lato e un gruppo di ragazzini intenti a recuperare un pallone finito sulla sommità di un’edicola votiva, dall’altro.

Il murales, situato in vico Tre Regine, all’incrocio con Via De Deo, mostra De Crescenzo che guarda divertito un gruppo di ragazzini che cercano di recuperare un pallone perso tra le macchine usando una scopa vera.

Al centro dell’opera, accanto al suo sorriso è stata riportato uno dei suoi piu celebri aforismi  u dedicata alla città di Napoli :

Io penso che Napoli sia ancora l’ultima speranza che ha l’umanità per sopravvivere.

Questo tipo di arte si chiama Street Art  è indubbiamente un modo per riqualificare il territorio facendo parlare le mura dei Quartieri Spagnoli,  per attirare un nuovo tipo di turismo, quello del tour murales Napoli.

Girando infatti tra i vicoli e vicarielli dei Quartieri è facile imbattersi in graffiti e disegni davvero sorprendenti, che richiamano alla mente i grandi artisti del passato che hanno reso Napoli celebre nel mondo.

Sta quindi nascendo in questo modo  nel cuore della città un interesse crescente di turisti e curiosi che non sono più terrorizzati dalla cronaca del passato legata ai quartieri spagnoli

I visitatori sono completamente affascinati e rapiti dagli angoli di strada in cui fanno capolino tra scritte e colori il volto del cantautore Lucio Dalla, il sorriso di Pino Daniele e del suo caro amico, l’attore Massimo Troisi, o la simpatia inconfondibile di Totò.

Non  mancano ovviamente , tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli, anche esempi di sticker street art.

Si tratta di una tipologia di arte urbana che spopolava negli anni Ottanta e Novanta e che di recente è tornata a far parlare di sé, grazie all’utilizzo di adesivi e stencil al posto degli spray.

Un esempio di questa forma di arte la troviamo nei pressi dell’uscita della stazione metropolitana Toledo, dove  a pochi metri dalla Chiesa di Santa Maria delle Mercede a Montecalvario, è stata riprodotta la celebre scritta Napoli di John McConnell, caratterizzata da lettere quasi cadenti e instabili.

Lo stencil è stato firmato da due artisti, Zeal Off e They Live come una sorta di omaggio non autorizzato, in occasione del trentacinquesimo anniversario dell’opera di McConnell.

Anche l’artista toscano Exit/Enter  celebre per tappezzare le strade delle città italiane con adesivi che raffigurano degli omini bianchi, spesso accompagnati da cuori o palloncini colorati, ha lasciato la sua firma nei quartieri spagnoli .  La sua opera Utopia, presente nel Vicolo Lungo Teatro Nuovo raffigura un antico bastimento con la bandiera italiana, carico di migranti e di valigie di cartone.

Per sensibilizzare la comunità al tema attualissimo dell’emigrazione, l’autore ha adoperato un’immagine che nella sua semplicità, riesce a veicolare un messaggio forte e immediato.

L’arte urbana nei quartieri spagnoli , fondendo antico e moderno, sacro e profano e si rivolge a quelli che sono i punti di riferimento di un popolo dalle mille tradizioni.

Un altro artista  che ha trasformato  un muro qualsiasi in  un elemento di bellezza di cui prendersi cura, ma anche  da visitare. nei quartieri spagnoli è  quello di una  scenografa, illustratrice, animatrice e fumettista italiana residente a Roma ma nata a Napoli. e artisticamente  denominata MP5 .

Essa nata a Napoli ma vissuta tra Roma e Bologna, MP5 considera Partenope la sua città e ha scelto il centro studi donna del Comune di Napoli  presente nel cuore dei Quartieri Spagnoli per esprimere con un suo murales le sue incredibili doti artistiche .

Il suo capolavoro di street arti spirato alla figura di Ipazia, una donna di scienza, astronoma e filosofa vissuta nel quarto secolo e considerata una martire della libertà di pensiero, poiché uccisa a causa delle sua conoscenza scientifica , lo ha chiamato “La cura della conoscenza” (“Care of knowledge”

Esso simbolicamente segnala la presenza di un luogo importante presente in città che molti non sanno. Il Centro Studi Donna del Comune di Napoli con una biblioteca di genere, un archivio donna e un Centro Antiviolenza, offre da anni nei quatieri spagnoli ,In Via Concezione a Montecalvario , servizi e cultura i per le donne del quartiere e di tutta la città , ma quasi nessuno  ne è a conoscenza .

La street artist Mp5, da sempre legata alle istanze del movimento  femminista,dopo aver visitato  gli archivi del centro e lo sportello antiviolenza che sono una ricchezza per la comunità, cercando di dare risalto a questo centro , nel tentativo di  di  far divenire finalmente lo stesso un elemento attivo della comunità, ha  pensato di associare a questo luogo  a Ipazia, colei che si prende cura della conoscenza e paga con la sua vita ma al tempo stesso diventa ispirazione per tutte le donne. Come Ipazia, infatti l’archivio conserva scritti e documenti femministi per la ricchezza della città di Napoli e lo sportello antiviolenza si prende cura delle donne vittime di violenze di genere».

IPAZIA, dipinta sulla facciata del Palazzetto Urban fu una donna, matematica, astronoma, filosofa, fatta a piccoli pezzi e poi bruciata da un gruppo di cristiani inferociti.
Questo murales coniuga sacro e profano, libertà di pensiero e religione, fanatismo religioso e giudizio scientifico, arte, creatività e integralismo, laicità, illuminismo e tormento, morte e vita.

Una storia, quella di Ipazia,  che dovrebbe far riflettere su come i dogmi in generale, di tipo religioso ma anche ideologico, siano stati troppe volte nella storia nemici della libertà di pensiero e della sete di conoscenza del genere umano, oltre che fonte di assurde discriminazioni del genere femminile.

Le donne comunque , se osservate bene , sono   le protagoniste di molti dei murales che colorano i vicoli dei Quartieri Spagnoli.

A pochissima distanza dal murale dedicato ad Ipazia, è impossibile non accorgersi del coloratissimo volto della Tarantina, realizzato da Vittorio Valiante.

L’opera raffigura Carmelo Cosma ed è stata eseguita dall’artista sulla base di una fotografia, scattata da Renato Esposito.

Cosma è soprannominato la Tarantina poiché le sue origini non sono napoletane ma per l’appunto, tarantine (nacque ad Avetrana, nello specifico).

Viene considerato l’ultimo” femminiello “napoletano e tuttora vive all’interno dei Quartieri Spagnoli.

Pensate: a soli 11 anni lasciò il suo paese d’origine a causa delle continue umiliazioni subite dai suoi concittadini. Giunse prima a Roma, dove visse gli anni della Dolce Vita e conobbe Fellini, Moravia e Pasolini, solo per citarne alcuni.

Quindi si trasferì a Napoli, città che lo adottò fin da subito.

Nonostante l’affetto della maggioranza dei napoletani però, il murale che ritrae la Tarantina è stato imbrattato più di una volta.

Si è quindi dovuti procedere a diversi restauri e attualmente, l’opera è protetta da una teca di plexiglass.

Una curiosità: se osservate bene il murale, noterete che la protagonista stringe tra le mani il cosiddetto panariello, che contiene i numeri della tombola napoletana.

Dovete sapere che i femminielli sono da sempre collegati alla tombola scostumata, una versione più colorita della tombola tradizionale.

L’arte urbana nei quartieri spagnoli , fondendo antico e moderno, sacro e profano e si rivolge ain alcuni murales anche a  quelli che sono i punti di riferimento di un popolo dalle mille tradizioni.

Sempre nei quartieri spagnoli infatti sulla  facciata dell’ex mercato di Sant’Anna da Palazzo spicca il murales che ritrae Eleonora Pimentel Fonseca, realizzato dalla street artist italo-spagnola, Leticia Mandragora, che ritrae la nobildonna portoghese, eroina della rivoluzione napoletana del 1799 che visse nei Quartieri Spagnoli. 

Lo sguardo della nobildonna portoghese,che visse nei quartieri spagnoli ,  che come tutti sappiamo fu una  protagonista della Rivoluzione Napoletana del 1799 è profondo, malinconico e allo stesso tempo diretto, proprio come la donna che non ebbe paura di sfidare i poteri forti, pur di non rinunciare mai alla sua libertà.

Per rafforzare il grido di speranza che, dal blu del volto di Eleonora, sembra liberarsi verso il cielo, vi è una scritta:

Forse un giorno gioverà ricordare tutto ciò

Queste parole, riprese dall’Eneide di Virgilio, sono state pronunciate da Eleonora il 20 Agosto 1799, mentre veniva scortata al patibolo allestito, dopo essere stata  giudicata per direttissima dal famigerato giudice Speciale . Si trattò di n un processo approsimativo in cui venne accusata di aver parlato e scritto contro il re . 

L’eroina Eleonora Pimentel Fonseca venne giustiziata in Piazza Mercato , con altri otto patrioti dei quali Giuliano Colonna e Gennaro Sessa decapitati perche’ nobili , gli altri con Eleonora ( che richiese invano essere decapitata) vennero invece impiccati .
Prima di salire sul patibolo, sembra che la rivoluzionaria abbia bevuto il caffè e pronunciato il famoso verso di Virgilio: “”Forsan et haec olim meminisse juvabit” (Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo).
Sembra che il popolo abbia cercato, invano, di convincere la donna a gridare “Viva il re”. Degli otto condannati, la Pimentel fu l’ultima e, prima di porgere il collo al boia .

Il corpo della Pimentel fu sepolto, nei pressi del luogo dell’esecuzione in Piazza Mercato, nella piccola chiesa di S. Maria di Costantinopoli, nella Sala del Capitolo Maggiore. Purtroppo si ritiene che questa Chiesetta sia stata demolita e s’ignora se poi, quando e dove le salme sepolte siano state trasferite.
Ma, prima della sepoltura, il cadavere venne, per una giornata intera, lasciato penzoloni, a ludibrio del popolo. Fu questa l’ultima ed atroce offesa recata ad una delle donne più intelligenti, vive e colte del XVIII secolo.

Ma nei quartieri spagnoli il murales oggi più famoso è quello  dedicato a Diego Armando Maradona.

Esso è il murales che oggi viene considerata una delle opere di street art più famose d’Italia.

CURIOSITA’ : Questo murales  lo si può dire, è oramai diventato nella storia , una vera e propria icona della nostra città :  ancora oggi tanti turisti si recano appositamente nei Quartieri Spagnoli, in via De Deo, per ammirarlo. E non sono soltanto tifosi o appassionati di calcio, dal momento che l’immagine di Maradona è ormai indissolubilmente legata a Napoli e  per tanti è quasi impossibile scindere la città dal più grande calciatore che si sia mai visto da queste parti (e per molti è addirittura il più grande giocatore della storia).

Il  murales dedicato al Pibe de oro  fu realizzato nel 1990 e ritrae l’amato calciatore con la maglia numero 10 del Napoli (la storica maglia degli anni Ottanta, con lo sponsor Mars), che porta al braccio la fascia di capitano e sul petto lo scudetto appena vinto. Esso venne realizzato  per festeggiare il secondo scudetto del Napoli, per il quale il contributo di Maradona fu decisivo.

Autore dell’opera fu un artista di soli ventitré anni, Mario Filardi, poi scomparso nel 2010 a Zurigo in circostanze ancora da chiarire. Egli, artista per passione, nella vita faceva tutt’altro mestiere, dal momento che per tutta la vita girò il mondo per fare il cameriere. La Svizzera, Londra, Madrid, l’Australia, Francoforte. Veniva da una famiglia in difficoltà economiche e fin da giovanissimo volle evitare di pesare sui familiari: tuttavia, quando tornava a Napoli, amava armarsi di colori per dipingere. E lo ha fatto anche nella tarda primavera del 1990, quando Napoli era in festa per la vittoria del suo secondo scudetto.

Quando infatti il Napoli vinse il suo secondo scudetto , tutti i ragazzi tifosi del Napoli presenti nei quartieri spagnoli ,  conoscendo la bravura di Mario , lo andarono  a chiamare per chidergli  di fare un  disegno in  cui era raffigurato Maradona . Avevano deciso di onorare con un murales , colui che aveva fatto vincese in quegli anni , al Napoli , ben due scudetti . Egli  , una volta convinto , decise di affidarsi per la raffigurazione di Diego , di servirsi di una sua piccola fotografia .

Per realizzare quella che oggi viene considerata una delle opere di street art più famose d’Italia, egli lavorò  per due notti e tre giorni su di una impalcatura precaria mentre tutti i ragazzi lo  aiutarono tenendo i fari delle macchine accese per illuminare il muro mentre lui disegnava. Si  si trattò di un’opera collettiva, perché alla realizzazione partecipò tutto il rione., passando di volta in volta a Mario , mentre lui dipingeva , il materiale necessario ..

Al termine dell’opera , nel murales di Mario Filardi, Maradona venne  ritratto in corsa, stilizzato, quasi fosse un eroe dei fumetti e  terminata l’opera, il cielo di Napoli fu illuminato da alcuni fuochi d’artificio che, com’è tradizione a Napoli, si usano per festeggiare un evento.

Negli anni l’opera purtroppo si è cominciata a deteriorare e verso la fine degli anni novanata , fu addirittura aperta sul muro una finestra abusiva che cancellò il volto del pibe .

Il sogno di Mario era quello di ridipingere l’opera, sopra alla tapparella della finestra, in modo che l’equilibrio estetico del murale rimanesse il più integro possibile. Un sogno destinato a rimanere tale, perché il lavoro non gli fece trovare il tempo di portarlo a termine e, come anticipato, l’artista scomparve nel 2010, e perché il restauro aveva dei costi che Mario non poteva sostenere da solo.

Abbandonata al più bieco degrado, l’opera, nel 2016, era quasi completamente sbiadita e si cercò quindi di restaurarla. Anche in accordo col nuovo proprietario dell’appartamento della famigerata finestra: un altro tifosissimo di Maradona che acconsentì a far dipingere la tapparella in modo da ricostruire il volto del campione.

L’iniziativa di restaurare il dipinto arrivò da un artista, Salvatore Iodice, anche lui un ragazzo dei Quartieri Spagnoli (la sua bottega di falegname si trova proprio nel rione), che si propose alla famiglia Filardi per ridipingere il murale che ormai era quasi completamente svanito: Iodice raccolse la somma necessaria per l’intervento (tremila euro), si fece aiutare anche dal Comune (che fornì un carrello elevatore), ottenne tutti i permessi del caso, e mantenne la struttura compositiva del murale di Mario Filardi, ma decise di reinterpretare la figura dell’attaccante argentino. Iodice aveva cercato di essere il più rispettoso possibile nei confronti dell’originale di Filardi, riproponendo il Maradona in chiave fumettistica dell’opera originale. Per Iodice si trattava di una sorta di omaggio, anche se gli abitanti dei Quartieri Spagnoli avrebbero preferito quello che si chiama “restauro artistico”, per donare al calciatore un volto più realistico: di conseguenza, si arrivò nel 2017 a un nuovo intervento, quello del noto street artist argentino Francisco Bosoletti, già autore di diverse importanti opere di arte urbana in alcune delle aree più problematiche del capoluogo campano.

Bosoletti  che in quel periodo si trovava  in via De Deo per eseguire un murale in omaggio alla Pudicizia di Antonio Corradini, la statua dell’artista veneto che adornò la Cappella Sansevero. Inizialmente ebbe qualche titubanza a intervenire sul murale di un collega, ma poi Salvatore Iodice acconsentì, in rispetto ai desideri degli abitanti del rione, e fu così, nell’autunno del 2017, l’artista argentino donò  a Maradona un viso dall’aspetto più naturale, lasciando inalterato però il resto del corpo. 

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Oggi il murale del Maradona dei Quartieri Spagnoli è una sorta di attrazione, di icona, compare anche in diverse guide turistiche della città. Il riconoscimento al suo autore è arrivato postumo: nel 2016 il Comune di Napoli ha apposto una targa in via De Deo per ricordare l’artista che omaggiò Maradona con un’opera diventata famosa in tutto il mondo. Mario Filardi aveva preso a realizzare anche altre opere, sempre sui muri della sua città, e sempre quando le pause del lavoro glielo consentivano. Purtroppo non è mai riuscito a intraprendere una carriera “ufficiale” o blasonata, ma poco importa. Nella storia della street art italiana c’è un posto anche per lui.

N.B. Durante i lavori di restauro è stato anche ritrovato il brillante di Swarovski che a suo tempo era stato usato come orecchino del Pibe de Oro e che è stato ricollocato sul murales. Maradona indossa la maglia della squadra con lo sponsor di allora e, naturalmente, il suo irrinunciabile numero 10.

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Diego Armando Maradona nato a Lanús, Argentina, il 30 ottobre 1960 , soprannominato El Pibe de Oro (“il ragazzo d’oro”), è stato , come tutti sanno, non solo  il più grande calciatore che abbia militato nella  nostra squadra di calcio cittadina , ma anche quello che tutto il mondo sportivo considera il miglior calciatore in assoluto  di tutti i tempi.

Amichevolmente chiamato Diego da tutti i napoletani , nei suoi otto  anni trascorsi a Napoli come calciatore , egli è stato certamente uno degli uomini più amati dal popolo napoletano .  Con il suo talento , ma anche con la sua  personalità eccentrica dentro e fuori il campo, attraverso i due scudetti conquistati con la squadra di calcio in cui lui era il vero e proprio leader ,  seppe unire  , senza distinzioni  ( cosa rara in queta città ) ,negli anni ottanta , borghesia ,  plebe, ,  onesti , corrotti, ambulanti , ricchi e  poveri , occupati e disoccupati ,  padroni e  operai, ultrà e  professionisti seduti in tribuna, .

Tutti insieme uniti nell’unico  colore azzurro della maglia della squadra del cuore , tutte queste persone vissero in quegli anni , giusto o sbagliato che sia  ,il riscatto sociale e politico di una città abbandonata ed emarginata da un contesto che vedeva i maggiori interessi economici spostati tutti principalmente nel  nord Italia .

Il perno centrale di questa meravigliosa unione fu certamente lui : Diego Armando Maradona . Egli ebbe il grande merito con le sue giocate e la sua classe sopraffine di mettere tutti d’accordo .  Lui era il riferimento a cui guardare , a cui affidare la riscossa di una squadra e di una città  da decenni mortificata e seppure avesse solo  un pallone tra i piedi , mostrò ben presto a tutti che quando uno vuole o sogna ardentemente una cosa ,la può certamente ottenere , se decide di impegnarsi con il massimo sforzo  di guardare  sempre avanti .

Oggi nei  quartieri spagnoli il murales dedicato a Diego Armando Maradona, è diventato una sorta di icona della nostra città .

Il murales forse più famoso d’Italia, compare oramai infatti in tutte le guide turistiche della nostra  città e rappresenta una delle tappe  fondamentali   per i tanti turisti che sempre in numero maggiore  decidono di fare un viaggio a Napoli.

Ogni giorno ed in numero sempre maggiore assistiamo al fenomeno dei  tanti turisti che si recano in massa ad ammirare in Via De Deo, questo murales

Peccato però che nelle stesse guide turistiche non sia  nemmeno lontanamente citato il fatto che  questi oramai noti quartieri sono stati anche luogo di residenza  del celebre  pittore  Caravaggio ( pseudonomino di Michelangelo Merisi ) e addirittura del più importante poeta italiano di sempre, Giacomo Leopardi .

Del grande Caravaggio  non sappiamo ancora con precisione in quale preciso posto egli abbia alloggiato , ma sappiamo invece con estrema certezza che i  luoghi  di questo quartiere sono  il tema del suo  dipinto “Le sette opere di Misericordia ” .

Il famoso dipinto su tela che oggi si trova esposto nella bellissima pinacoteca  al Pio Monte della Misericordia, in Via dei Tribunali ,  appare infatti ambientato  in un vicolo semibuio dove si affollano personaggi e storie di miserie quotidiane, alleviate da opere di bene ispirate dai vangeli .

La  tragica umanità che il grande artista osservava nei vicoli di questi luoghi sono diventati i protagonisti del suo grande  dipinto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CURIOSITA’. Caravaggio a Napoli venne per ben due volte per cercare rifiugio dalla condanna  alla decapitazione  eseguibile da chiunque lo riconoscesse per strada, e dalla stessa città e dalla stessa città  partenopea scappò via imbarcandosi segretamente su un traghetto diretto a Porto Ercole, in Toscana , appena saputo della possibilità che la sua condanna a morte fosse revocata dal Papa Paolo V ,

Egli portò con se alcuni suoi quadri che intendeva usare come merce di scambio per la sua libertà.

Finalmente intravedeva  speranza del perdono e di vedere finalmente la fine del suo travagliato esilio  e per non correre rischi  pensò di arrivare  a Palo,  in territorio papale. Ma, per errore, venne arrestato. Rilasciato, tornò a Porto Ercole nel tentativo di recuperare i suoi beni, compresa la tela che gli era necessaria come merce di scambio per la sua libertà.
Ma purtroppo la sua nave era già ripartita. In preda alla febbre e alla disperazione per veder svanire le sue speranze di salvezza, Caravaggio vagò delirante sulla spiaggia di Porto Ercole dove morì, a soli 39 anni, il 18 luglio del 1610.
Pochi giorni dopo, giunse a Napoli la lettera che lo sollevava dalla condanna.

L’ultimo periodo della vita di Caravaggio ed in particolare il suo ultimo anno di vita trascorso a Napoli  fu alquanto rocambolesco, in linea, del resto, con tutta la sua vita.  Visse nel genio della sua arte tra vino , donne e gioco e addirittura sfigurato al volto da un taglio di coltello in una lite .

Egli quindi  nella nostra città , grazie al suo carattere difficile e litigioso rischio addirittura la vita ( in città si diffuse dopo la lite la notizia che avesse addirittura perso al vita), mentre il grande poeta Giacomo Leopardi, nato a Recanati, nelle Marche, vi venne a  trascorrere gli ultimi quattro anni della sua vita per cercare di salvare la sua vita ,

Quando infatti egli giunse a Napoli, insieme al suo amico Antonio Ranieri , nel1833 all’età di  35 anni, aveva  uno stato di salute estremamente  malfermo e assai compromesso  ,

Alle pendici del Vesuvio Leopardi con un’aria migliore  proveniente dal golfo,  e godendo di un clima certamente più temperato , egli sperava di migliorare il suo stato precario stato di salute a cui lo costringeva la tubercolosi .

Fino ad allora insieme al suo fidato amico Ranieri, egli si spostava  a seconda della stagione, d’inverno a Roma e d’estate a Firenze. Gli inverni fiorentini erano considerati dai medici  troppo rigidi per la costituzione fisica del conte marchigiano.

Napoli aveva per i medici  un clima molto più favorevole ma Ranieri era precedentemente  bandito dal Regno, perché in odore di carboneria, e solo quando  finalmente per gli esuli politici napoletani, si aprì la possibilità di tornare nel Regno , i due potettero finalmente  recarsi a Napoli .

N,B. Ranieri prima di decidere di trasferirsi i a Napoli ,si recò nella città partenopea per chiedere  di persona il permesso al Re Ferdinando dopo che questi gli aveva concesso  udienza. Lo stesso Ranieri ci racconta quell’udienza del 7 dicembre 1832:

L’accoglienza fu assai umana anzi ospitale. Esposi, con giovanile affetto e verità, e però con persuasiva eloquenza, il caso mio. Ferdinando (di cui i cortigiani potevano fare il migliore degli uomini e ne fecero il peggiore), negli inizi, allora, non punto spregevoli del suo regno, ne fu non leggermente commosso; e ruppe in queste sacramentali parole:

Ella è libera, da questo momento, e di godersi in villa le gioie della famiglia, e dell’andare a riprendere a Firenze il suo amico, e del menarlo qui a rifarsi di quest’aria; e n’abbia per pegno la mia parola. E parole sacramentali furono veramente; poiché la sera stessa ne corsero i più recisi ordini al ministro di polizia  Del carretto. 

Il poeta ed il suo amico quindi finalmente possono recarsi a Napoli dove Leopardi meglio poteva vivere e forse curare i suoi affanni che da tempo lo affligevano e dopo ben sette giorni di viaggio in carrozza trainata da cavalli , dopo aver fatto tappa a Levane,  Cortona,  Perugia,  Spoleto, Terni  Civita Castellana, e  Roma, finalmente giune a Napoli .

Le aspettative del Leopardi quando giunse  in città, insieme all’amico Antonio Ranieri, il 3 ottobre del 1883  erano sono molto alte. Egli era molto fiducioso di poter migliorare il suo stato di salute ma era contemporaneamente anche infervorato all’idea dei vantaggi che poteva  ricavare  anche sotto il profilo professionale dal suo soggiorno  nella nostra città. All’epoca Napoli era la quarta città d’Europa per numero di abitanti dopo LondraParigi e San Pietroburgo e potenzialmente era un centro artistico e letterario di prim’ordine.

La primissima impressione generale del poeta su Napoli  fu certamente favorevole,. Egli infatti solo dopo tre giorni  il suo arrivo, scrisse al padre …la dolcezza del clima, la bellezza della città e l’indole amabile e benevola degli abitanti mi riescono assai piacevoli”.

I due amici ,provenienti da Firenze, avendo entrambi scarse finanze a disposizione , visti i fitti delle abitazioni a Napoli  molto cari , scelsero come prima abitazione proprio i quartieri spagnoli . Qui infatti essi trovarono in un  palazzo ben tenuto, ma non lussuoso un appartamento  comunque molto decoroso  dove alloggiare . Esso si trovava in via Speranzella al numero 22 .

Qui il poeta e l’inseparabile amico abitarono comunque  solo un mese, proprio perché l’affitto era comunque caro per le loro tasche .

N.B. All’epoca non era facile trovare alloggi a Napoli  se non con contratti per lunghi periodi.

Secondo quanto scritto da Ranieri  quarant’anni dopo la  scomparsa di Leopardi, nel suo libro Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi  , che come sappiamo ,consacrò la sua fama fino ai nostri giorni, la primissima abitazione dei due amici era, si al secondo piano di un edificio ma questo si trovava in Via San Mattia 88  e affacciava  sulla così detta Loggia di Berio,  a pochissimi passi da Toledo, e dal  palazzo Reale. 

Se ora andate alla ricerca di questa abitazione domandando in giro molto vi diranno che  essa si trova alle spalle della Funicolare Centrale e certamente qualcuno sosterrà che si trovava  dentro Palazzo Berio,cioè quel   palazzo con la testa di cervo nel cortile che ha l’ingresso principale su via Toledo.

Ma non è così, a trarre in inganno chi racconta questo, è stata forse la frase: “dava sulla così detta Loggia di Berio” citata dal Ranieri. Bene, Palazzo Berio all’inizio del 1800 aveva alle spalle, sul lato opposto a via Toledo, un giardino e un loggiato. Ecco, la casa in cui abitò Leopardi affacciava su quel loggiato ma faceva parte di un edificio diverso.

Molto probabilmente l’abitazione si trovava quindi poco distante da Palazzo Berio e per raggiungerlo dobbiamo salire  dai gradini che si trovano a sinistra della Funicolare Centrale, e poi   giriare  a sinistra . Solo pochi metri dopo e siete a destinazione .

La padrona di casa secondo molti era una certa Rosa Lang, la quale vedeva di mal grado il povero poeta . Ella vedendo lo stato malacico del poeta sospettava che egli fosse malato di una malattia contagiosa e non vedeva l’ora di cacciarlo di casa. 

Ogni giorno che passava introfulandosi nell’appartamento era alla continua ricerca di farmaci che mostrassero la vericidicità dei suoi sospetti e non nutrendo grande simpatia per quell’uomo dall’aspetto talvolta rannicchiato, cominicò presto al Ranieri di liberare l’appartamento .

“… tanta premura suscitò i sospetti della padrona di casa che mi dichiarò ch’io le aveva introdotto un tisico in casa; che, amandolo tanto da fargli le nottate, non altra poteva essere la cagione onde non gliele facessi in casa mia [non c’era ragione per non fargliele a casa mia]; ch’essa voleva, ad ogni costo, essere sciolta dall’affitto’…”

 Ranieri , non avendo subito disponibile un altro alloggio riuscì comunque a inventarsi qualcosa per rimanere almeno un altro poco. Andò subito a prendere a casa il dottor Nicola Mannella , medico di Leopoldo di Borbone, zio del re ,il quale  abitava a largo di Palazzo (l’attuale piazza Plebiscito) “nel Palazzo del vecchio Principe, cioè l ‘attuale Palazzo Salerno. Questi  aveva già visitato il poeta due volte in passato, e conosceva bene già la realtà della malattia , Egli era uomo troppo onesto per dire il falso ma per non tradire il suo paziente , dopo aver  visitato il poeta in casa con una formuma degna di un grande diplomatico,  assicurò la proprietaria, con questa frase :  quale che fosse potuta essere l’indole della malattia, essa non sarebbe mai potuta entrare ancora in un periodo contagioso”.

I due amici riesciro così  a strappare alla signora Lang, di poter restare solo fino allo scadere del mese di fitto,.

Erano passati solo due mesi ed i due amici erano di nuovo senza casa e così si misero di nuovo a cercare un’altra abitazione .

Grazie all’interessamento del Margàris, fraterno amico di origini greche di Ranieri, essi comunque riuscirono a trovare  dal 10 dicembre, una nuova sistemazione al secondo piano del civico 52 in via Nuova Santa Maria Ogni Bene.

L’appartamento er amolto bello ed arioso in quanto godeva  di un diritto speciale appartenente a pochi prestigioso immobili:  si trattava dellaltius non tollendi”, cioè il diritto di non avere vicino, davanti, palazzi così alti da ostruire il panorama.

Esso si trovava alle pendici della collina del Vomero,e affaciando sul golfo godeva di un bellissimo  panorama . Era lì quindi quello il giusto appartamento per il nostro poeta in quanto raggruppava nello stesso tempo ambiente e clima ideale per la  sua salute. 

N.B. Ranieri nel suo famoso libro riferendosi all’appartamento così scrive : “le più vaste e belle stanze ch’io vedessi al mondo, le quali a poca distanza da Toledo, dominavano tutto il Golfo”.

L’appartamento al  cui palazzo si puo accedere o scendendo da Corso Vittorio Emanuele per la scala di San Pasquale o meglio ancora da via Toledo percorrendo via Portacarrese a Montecalvario, di fronte allo slargo di via Ponte di Tappia,( dove oggi si trova  la libreria Feltrinelli,)  e poi  alla nona traversa girare sulla destra, lo riconoscete dalla presenza  al fianco del  portone da un un cartello che ci ricorda in esso la presenza del piu grande poeta italiano :  “Palazzo Cammarota, residenza di Giacomo Leopardi”

 Una volta superto  il portone  una iscrizione in marmo ci racconta la presenza, in ben due abitazioni dello stesso palazzo, del poeta marchigiano. I due amici in questo edificio hanno infatti  abitato addirittura in due diversi appartamenti: dal 10 dicembre 1833 al 4 maggio 1834 al secondo piano e dal 4 maggio 1834 al 4 maggio 1835 al primo piano nobile, nella stessa verticale, quella di sinistra salendo la scala principale.

Quando infatti Leopardi e Ranieri si trasferirono nel primo appartamento presente al secondo piano, questo era condiviso con altri inquilini , Essi avevano a disposizione di quell’appartamento solo tre stanze , mentre avevano in comune con gli altri inquilini  una sala, l’anticamera e la cucina.  Dopo alcuni mesi , appena liberatosi un altro immobole passarono quindi subito al primo piano avendo a disposizione l’intero appartamento

L’avventura napoletana dei due amici in fatto di immobili non finisce però certo in questo palazzo . Essi il 9 maggio del 1835 si traferirono infatti  in vico Pero 2, lungo via Santa Teresa degli Scalzi. A ricordacelo anche se in pieno degrado ci pensa una targa posta all’ingresso dell’edificio.

CURIOSITA’ Giacomo Leopardi amava molto  i gelati, ed era particolarmente goloso di gelati ,granite, sgogliate frolle e dolciumi in genere come testimonia anche il curioso episodio dove si sarebbe mangiato da solo un chilo di confetti il giorno prima di morire.
Si racconta che l‘ultima sera della sua vita , il 13 giugno 1837, mentre si festeggiava in casa a vico del Pero l’onomastico di Ranieri,  per l’occasione  furono portati a tavola svariati cartocci di confetti cannellini di Sulmona, e Leopardi pare che ne mangiò un chilo e mezzo.
Egli  morì la mattina successiva e secondo molti storiografi per coma diabetico ( soffrriva di diabete ) fu solo questo il motivo della suo decesso e non tanto per le complicanza legate al colera.
Si racconta in particolare  che egli  fosse particolarmente goloso in  particolare degli insuperabili gelati di Vito Pinto  dove seduto ad un tavolino era solito ordinare tre grossi gelati per volta e quando il cameriere li portava, gli diceva di metterli l’uno sull’altro. Egli era solito ingurgitarli in una coppa uno dietro all’altro.
Egl tra l’ìaltro non disdegnava neanche  frutti di mare, crostacei, cozze  e, in particolare, i “cannolicchi”.
Articolo scritto da Antonio Civetta

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