Le origini della piccola località di Arzano,  situata nella pianura campana centrale risalgono all’epoca romana, come suggeriscono le strade del centro antico allineate con la centuriazione del 133 a.C., che indicano  la presenza di un piccolo  insediamento urbano di dimensioni contenute ma di antica datazione.

Il toponimo “Arzano” potrebbe infatti derivare da “praedium artianum” o “actianum”, riferendosi a proprietà di una famiglia Artia o di un individuo di nome Actius vissuto in epoca romana , oppure come  un’altra teoria suggerisce ,  il nome potrebbe derivare invece  dagli archi dell’acquedotto romano che attraversava la zona.

La cittadina , anche se oggi vedendola appare difficile immaginarlo , conserva nel suo DNA tracce di un antico passato .

Nel corso dei secoli, successivamente il territorio arzanese ha poi  ospitato almeno tre villaggi: Porziano, Squillace e Lanzasino, la cui memoria è conservata in antiche carte e nelle piccole cappelle superstiti.

N.B. Porziano è visibile tra i palazzoni al confine con Casoria e Casavatore; Squillace si trova in una traversa anonima che costeggia il cimitero; Lanzasino, ormai in rovina, si estende lungo via del Cassano, al confine con Secondigliano.

Durante il periodo altomedievale, le informazioni su Arzano sono scarse. Tuttavia, è stato individuato il confine tra il Ducato Napoletano e quello Longobardo in una località tra Arzano e Grumo chiamata Terminillo.

La prima menzione documentata del nome “Arzano” risale comunqua  al 1110, quando il territorio venne associato al diacono Pietro Caracciolo, esponente di una delle famiglie più antiche di Napoli.

CURIOSITA’: I Caracciolo e altri nobili napoletani mantennero per secoli i loro possedimenti in questa zona, limitandone lo sviluppo.

Alla fine del Duecento, gli abitanti di Arzano indirizzarono una petizione a Carlo II d’Angiò, lamentando che una recente epidemia li aveva ridotti a tale povertà da non poter pagare le imposte e costringendoli ad abbandonare le loro abitazioni.

Nel Trecento, Arzano fu assegnata in feudo a Rostaing Cantelmo, un militare francese di origini provenzali, e nel 1335 passò a suo figlio Giovanni.

Verso la fine del secolo, il feudo tornò nelle mani del patriziato napoletano: fu prima feudo di Bartolomeo del Doce detto Zezza, uomo di fiducia di re Ladislao d’Angiò, e poi nel 1392 fu acquistata da Carlo Carafa, un discendente dei Caracciolo.

Per secoli, l’attività principale degli arzanesi è stata la pettinatura del lino e della canapa, coltivati per lo più nei territori dei paesi vicini. Per favorire la coltivazione e la macerazione anche ad Arzano, a cavallo tra Sei e Settecento furono creati quattro lagni, ma non si raggiunse mai il livello della vicina area frattese, probabilmente per la mancanza di adeguati capitali. La popolazione del paese restò infatti abbastanza povera.

Alla massa di contadini si affiancavano in quel periodo e fino alla seconda guerra mondiale molti dediti al mestiere ambulante di ciabattino, che giravano il circondario “dando la voce” per le strade dell’hinterland.

Con il boom economico, le industrie arrivarono poi direttamente in provincia. Complici anche le agevolazioni statali e gli investimenti della Cassa per il Mezzogiorno, dalla fine degli anni Cinquanta nel triangolo Arzano-Frattamaggiore-Casoria si andò sviluppando infatti un considerevole distretto industriale. E se con la crisi degli anni Settanta scomparvero i primi grandi insediamenti di Casoria, resistette invece l’area arzanese, che aveva beneficiato della più razionale (per quanto lenta) pianificazione del nuovo Consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Napoli.

N.B. Ai  primi del Novecento la nuova linea tranviaria Arzano-Napoli (inaugurata nel 1902) facilitò certamente l’impiego degli operai nelle piccole e grandi industrie cittadine.

Particolarmente attivo resta ancora il settore cartario: scatolifici e cartotecniche, aziende specializzate nella lavorazione della carta per uso igienico, sanitario, alimentare. Imprese che rispondono tuttavia solo parzialmente alle richieste di lavoro della popolazione locale, quasi raddoppiata negli anni Ottanta (i 24mila abitanti del 1971 sono diventati 40mila nel 1991).

CURIOSITA’: A raccontare uno spaccato di sottosviluppo ancora persistente negli anni Ottanta è stato il libro di Marcello d’Orta del 1990 “Lo speriamo che me la cavo”, divenuto un piccolo bestseller. L’autore è un maestro che ha raccolto 60 temi, nei quali gli studenti di una scuola elementare di Arzano raccontano in modo sgrammaticato la loro vita quotidiana. Nel 1992, Lina Wertmüller ha tratto dal libro anche un fortunato film interpretato da Paolo Villaggio.

In un angolo della piazza principale di Arzano, accanto al palazzo comunale, sorge la chiesa dedicata a Sant’Agrippino, protettore e patrono del paese.

Le notizie sulla sua fondazione sono scarse, ma è molto probabile che il culto del santo sia stato introdotto dalla Chiesa di Napoli, che fino alla fine del Duecento era ancora feudataria del villaggio di Lanzasino.

Dalla descrizione del  governo pastorale del Card. Francesco Carafa del 1542, la chiesa viene inizialmente descritta molto piccola e sobria con un’unica navata di forma rettangolare: vi erano, oltre all’altare maggiore, solo due altari. Nel 1560 viene costruita al posto della precedente, per meglio rispondente alle nuove esigenze della popolazione una struttura più ampia .

 

 

 

 

 

 

 

 

Sant’Agrippino, erroneamente confuso con un martire dei primi secoli, è stato infatti uno dei primi vescovi di Napoli (forse il sesto), che nell’alto medioevo era venerato quasi alla pari di San Gennaro. Era anzi uno dei patroni della città, come testimonia il Chronicon della chiesa napoletana che nel IX secolo lo definisce «amator patriae et defensor civitatis»: innamorato della patria e difensore della città.

N.B. Ad Agrippino è dedicata una chiesa antichissima nel cuore di Forcella, ricostruita dai nobili del quartiere a metà d el XIII secolo. Molto probabilmente, l’introduzione del culto ad Arzano è legata proprio ai possedimenti nell’entroterra di questa chiesa cittadina.

Le prime notizie sulla chiesa di Arzano sono relativamente recenti, risalendo alla visita pastorale del 1542. Qualche anno più tardi, nel 1560, la struttura fu ricostruita e ampliata, subendo nel corso dei secoli successivi ancora diversi interventi e trasformazioni. Attualmente si presenta con una facciata semplice, l’interno diviso in tre navate, e una cupola che sovrasta il presbiterio. Un grande cappellone costruito a metà del Settecento custodisce la statua del protettore, ma tra le cappelle spicca quella della Confraternita della Madonna del Rosario, fondata nel 1576 dal domenicano Beneconsuechi, un esempio di arte barocca, decorata con affreschi e stucchi.

 

Un’altra cappella ospita le spoglie di Santa Giustina, particolarmente venerata dagli arzanesi. Si tratta di una martire vissuta secondo la tradizione a Trieste o a Padova intorno al III secolo, ma il culto ad Arzano è abbastanza recente. Il corpo della santa giunse infatti nella chiesa di Sant’Agrippino il 25 aprile del 1858 per iniziativa dei Padri della Missione di San Vincenzo de’ Paoli, detti Missionari dei Vergini.

La presenza di questa congregazione ad Arzano risale alla fine del Seicento, precisamente al 1673, quando ottennero in donazione dal loro confratello arzanese Giovan Battista Balsamo la chiesa di Santa Maria delle Grazie e l’annesso palazzo di famiglia che sorgeva nella zona di Arzaniello.

Secondo la tradizione, il corpo della santa sarebbe stato portato qui da Trieste durante il trasporto verso la Sicilia. A causa di un miracolo, i buoi che trasportavano il carro si sarebbero fermati ad Arzano, rifiutando di proseguire. Da allora, Santa Giustina è considerata patrona e protettrice di Arzano. 

I fedeli di Arzano, devoti a Sant’Agrippino, svilupparono una forte devozione anche per Santa Giustina, tanto da dedicarle la strada principale del paese e componendo inni in suo onore. La festa di Santa Giustina ad Arzano è un evento significativo, celebrato con riti religiosi, processioni, rappresentazioni teatrali e altre manifestazioni culturali. 

N.B. Tra i religiosi di Arzano ha percorso una brillante carriera ecclesiastica Luigi Diligenza (1921-2011), arcivescovo di Capua dal 1978 al 1997: un ventennio in cui il colto presule ha incoraggiato gli studi storici e religiosi, riaprendo tra l’altro al pubblico l’archivio storico dell’antica e prestigiosa sede vescovile.

Sorge invece completamente abbandonata, nella più estrema periferia del paese,  la più antica cappella del territorio di Arzano, i cui ruderi si incontrano su via del Cassano, al confine con Secondigliano nei pressi della Rotonda di Arzano,nel luogo dove nel  1500  esisteva l’antico Casale di Lanciasino.

Si tratta dell’antichissima cappella della Madonna di Lanzasino, nome che rinvia all’immagine dell’Addolorata: Lanciasino, la Madonna dal seno trafitto.

La cappella – documentata già all’alba del Mille ma certamente più antica – era il centro di un omonimo villaggio medievale, feudo della Chiesa di Napoli, dove a metà del Cinquecento sorgeva anche un’altra cappella nota col titolo di San Gennariello.

N.B. La  Chiesa, come accadeva in tutti gli antichi borghi, rappresentava il fulcro del villaggio e il punto di riferimento per tutti gli abitanti. Dagli atti risulta che il Casale di Lanciasino, il cui nome poteva significare dal dialetto “Lancia in seno”, e quindi legato alla Madonna addolorata, il 23 novembre 1555 era ancora un Casale indipendente, ma poi, successivamente, essendo troppo piccolo, fu aggregato al Casale di Secondigliano.

La chiesa di Santa Maria la Bruna, fu eretta quasi certamente su un più vecchio luogo di culto cristiano che già nel I sec. aveva preso il posto di un antico tempietto pagano. Essa fu  il centro di culto per i fedeli di questo piccolo villaggio, che si dedicavano all’agricoltura e alla raccolta e alla lavorazione del lino e del cotone. Nel 1978 la Curia di Napoli, dopo averla sconsacrata come di norma, vendette per 10 milioni di lire l’immobile ad un privato che lo utilizzò come deposito. Nell’aprile del 1997 , a seguito di denunce e di articoli sui principali quotidiani locali, l’ufficio centrale per i beni archeologici, artistici e storici intervenne decretando che il rudere fosse protetto ai sensi della legge 1939 n° 1029 sulla tutela delle cose di interesse storico – artistico.

La chiesa  è in pietra e presenta un bellissimo rosone  ormai decaduto. Il campanile in stile rinascimentale è ancora in piedi, nonostante segni di cedimento strutturale. All’interno i pavimenti policromi, sono stati orribilmente deturpati, così come l’immagine della Madonna, gli angeli e il  pulpito  in marmo sono anneriti dalla fuliggine e dall’umidità che ha reso quasi irriconoscibili le opere d’arte in essa contenute. Giacciono ancora a terra capitelli in marmo, e numerose altre parti delle decorazioni del soffitto. Dalle finestre monofore   continua a entrare acqua piovana.

Si perdono invece nel buio del medioevo le origini di un’altra cappella che sorge al confine con Casoria, dedicata a Santa Maria di Squillace, nome che rinvia ad uno dei più famosi monasteri bizantini calabresi (Vivarium, fondato nel lontano 540 da Cassiodoro). Ai primi del Seicento la cappella era un romitorio per il riparo degli eremiti e vi si celebrava ogni anno, con una buona partecipazione, la festa della Madonna il 12 settembre.

La cappella risale al periodo ducale di Napoli, ( Secolo X ) proprio quando i comuni di Casoria e Arzano iniziavano a sorgere come attestano i primi documenti.

Oggi purtroppo è abbandonata a se stessa, diventando spesso una discarica a cielo aperto, nonostante due cartelli, di cui uno, ormai sbiadito, ricordi che l’area sia videosorvegliata.

Il fatto che sia stata costruita nel  900 d.crende questa Chiesa una tesimonianza dei primi insediamenti demografici dei due comuni, i quali hanno formato insieme a Casavatore (prima frazione casoriana e poi  dal 1946 comune a se ) il triangolo industriale a Nord di Napoli tra gli anni ’60 e ’80.

Ciò ha cambiato profondamente la conformazione urbanistica dell’area, complice anche un boom demografico straordinario che ha comportato altresì un’edilizia selvaggia fino ai primi anni ’90. Quando poi la crisi industriale  da un lato e il crollo delle nascite dall’altro, ha bloccato il processo. Non a caso, Casavatore oggi è il comune più densamente popolato d’Italia, con 11.958 abitanti per chilometro quadrato.

La Chiesa è da tempo sconsacrata e vive in uno stato di completo abbandono. Del vecchio edificio religioso resta ormai poco: gli intonaci sono ormai spariti, lasciando i preziosi mattoni di tufo esposti alle intemperie. All’interno, oltre ad essere vuota  presenta chiaramente segni di combustione . Segno che, molto probabilmente, in passato sia stata utilizzato come riparo per la notte e al suo interno sia stato anche acceso del fuoco.

Alle principali feste del casale sono invece legate le sacre rappresentazioni documentate nella seconda metà dell’Ottocento. Si tratta di drammi popolari organizzati dalla chiesa del paese e finanziati dagli stessi attori, giovani dilettanti che si presentavano in scena spesso per far colpo sulle ragazze. Legate alle ricorrenze dei santi sono le rappresentazioni del martirio di Santa Giustina e di San Sebastiano, scritte nel 1879. Ma più antiche sono forse le tradizionali rappresentazioni che si recitavano nell’ottava di Pasqua, alcune delle quali molto brevi. Quattro drammi erano fissi: San Michele, Abramo, Tobiolo e L’Angelo custode; completati da un repertorio a scelta di altri sei che comprendeva La scala di Giacobbe, Saulle, Davide pentito, Mosè e Faraone, Giuseppe riconosciuto, Caino e Abele e Tobia vecchio.

Ad Arzano è legata anche la  scoperta della penicillina grazie ad un giovane ufficiale medico che si chiamava Vincenzo Tiberio,che trent’anni prima di  Alexander Fleming,pubblicò i  risultati dei suoi studi e delle sue osservazioni  in un lavoro intitolato Sugli estratti di alcune muffe, pubblicato negli Annali di igiene sperimentale del 1895 e poi anche in opuscolo l’anno seguente.

Egli viveva ad Arzano e  fu il primo a notare chiaramente che «nella sostanza cellulare delle muffe esaminate sono contenuti dei principi solubili in acqua forniti di azione battericida». Nei suoi documenti sono dettagliatamente descritte le condizioni di crescita delle varie muffe isolate, il metodo di estrazione acquoso delle muffe e il loro potere battericida, sia in vitro che in vivo. Viene evidenziato il potere chemiotattico degli estratti delle muffe nelle infezioni del bacillo del tifo e del vibrione del colera – utilizzando conigli come cavie – e la tecnica delle infusioni sottocutanea e intraperitoneale. Si trattava  di un lavoro molto meticoloso, con dettagli sperimentali e una serie di tabelle che riportano l’azione degli estratti sulle cavie.

A differenza di Fleming, i cui esperimenti furono deludenti (la penicillina sarà perfezionata solo nel 1939 nei laboratori dell’Università di Oxford), Tiberio ottenne interessantissimi risultati. Ma purtroppo la scarsa diffusione degli Annali e la limitata comprensione della lingua italiana negli ambienti scientifici internazionali non diedero un’adeguata eco alla sua eccezionale scoperta. I casi della vita, inoltre, lo portarono ad abbandonare gli studi. Nonostante le sue sollecitazioni alle autorità sanitarie militari, la Regia Marina lo inviò infatti in Africa per la disastrosa campagna coloniale. Al ritorno a Napoli, nel 1915, fu stroncato da un infarto. Della sua silenziosa impresa non parlò più nessuno per molti anni, fin quando fu lentamente riscoperta nel secondo dopoguerra. Anche se ormai era tardi: per la storia lo scopritore della penicillina era già ufficialmente Fleming.

 

 

 

 

 

 

 

 

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