La chiesa di Sant’Agostino alla Zecca o Sant’Agostino Maggiore , originaria del 1300 è tra le più grandi chiese di Napoli , oggi purtroppo chiusa perché versa in uno stato di grave degrado per mancanza di fondi .
Il complesso di Sant’Agostino alla Zecca e’ uno degli esempi lampanti di come trattiamo male la nostra citta’ e l’arte italiana in generale . La chiesa e’ chiusa da decenni , e a causa della lentezza dei lavori di ristrutturazione , parecchie delle sue opere nel mentre sono state rubate , trasferite o perdute .
Fu costruita, nel trecento , nel centro antico di Napoli ( nel quartiere di Forcella ) in Via S. Agostino della Zecca, da cui la chiesa prende nome, tra i vicoli del corso Umberto I e di Forcella e ricostruita nel XVII secolo .
La chiesa presenta una grandiosa facciata con un robusto campanile.
La costruzione della struttura venne iniziata da Carlo I d’Angiò e, successivamente, continuata da Carlo II d’Angiò e terminata da Roberto d’Angiò nel 1287, in sostituzione del convento di San Vincenzo appartenuto alle monache basiliane, per volere dell’ordine degli agostiniani.
In seguito venne riedificata in stile rinascimentale a causa dei crolli susseguitisi dopo il terremoto del 1456 e, poi, venne rifatta ( tra il 1641 e il 1770 ) da Bartolomeo Picchiati, Francesco Antonio Picchiati, Giuseppe De Vita e Giuseppe Astarita. Il primo insieme al figlio Francesco Antonio,progettò il campanile e decorò il chiostro e la navata centrale; il de Vita, invece, progettò la crociera mentre l’Astarita realizzò la cupola .
Tra le opere dell’interno, una Madonna del Laurana, un bel pulpito decorato da Annibale Caccavello e notevoli pitture di Giacinto Diano. La chiesa fu gravemente danneggiata dal terremoto del 1456. Di quella vecchia costruzione tutto ciò che resta è una stampa della città di Napoli di Alessandro Baratta del 1629, in cui la chiesa ed il campanile sono raffigurati ancora con le antiche forme gotiche. Vi si si può riconoscere anche la bella struttura della Sala capitolare.
La chiesa di Sant’Agostino alla Zecca, chiusa dopo il sisma del 1980, oggi vive separata dal vecchio monastero al quale vi si accede dal Corso Umberto I ( ai rispettivi numeri civici 174 e 190 ) ad almeno dieci metri più in basso rispetto all’ingresso della chiesa che resta al suo posto originario, e cioé immediatamente sullo slargo di fronte all’edificio della Zecca.
Il monastero venne soppresso nel 1865: nei lavori di ristrutturazione buona parte del complesso conventuale venne distrutto. Gli unici ambienti che si sono conservati sono il chiostro maggiore, e la sala capitolare che risale all’età angioina.
Dei due chiostri allora realizzati durante la prima metà del XVII secolo ne rimane a noi uno solo a pianta quadrata e circondato da 16 colonne . Ad esso vi si accede dallo stesso Corso Umberto I ( rettifilo ) da un normale palazzo ( palazzo Ascarelli ) e da un secondo piano .
Quel che rimase del chiostro centrale, durante i primi anni Venti del Novecento col contributo della famiglia ebraica degli Ascarelli, è stato chiuso con una copertura in ferro visibilissima dall’alto e dall’esterno. Assieme alla chiesa di San Pietro Martire divenne un deposito per le macchine di lavorazione del Tabacco di Stato e completamente militiarizzato nel 1808. Restituito poi alla chiesa venne infine , una volta conclusa l’attivita’ monastica , smembrato alla fine dell’800 , prima per le leggi sull ‘esproprio dei beni ecclesiastici e poi per la costruzione di Corso Umberto.
Il chiostro dopo i lavori per la costruzione del corso Umberto e ‘ diventato parte integrante del palazzo Ascarelli da cui si accede.
Negli ultimi anni i e’ stato sede sede di uffici pubblici e privati , università , tribunali , scuole e non ultimo la bella associazione culturale Mario Casolaro .
A proposito di palazzo Ascarelli , mi sembra giusto ricordare l’ imprenditore ebreo Giorgio Ascarelli, mecenate dello sport, che fondò il Napoli Calcio nel 1926 e commisiono’ totalmente a sue spese la costruzione di un campo sportivo di proprieta’ privata del club , nei pressi della ferrovia , chiamato ‘Vesuvio ‘ e successivamente ribattezzato ‘stadio partenopeo ‘che ospito ‘ addirittura due partite del campionato mondiale del 1934 , prima di finire distrutto dai bombardamenti abbattutisi sulla citta’ nel corso della II guerra mondiale .
Il chiostro su colonne di marmo, tradizionalmente attribuito a Bartolomeo Picchiatti e a suo figlio Francesco Antonio, cinto da balaustra, è formato da una discreta policromia di diversi materiali. Sugli archi offre una inconsueta decorazione, mentre sul lato orientale del chiostro si apre una porta ogivale di età angioina che dà accesso alla Sala capitolare. Quest’ultima è un vero e proprio ambiente duecentesco carico di memorie storiche .
Nel suggestivo scenario dell’antico Chiostro di Sant’Agostino alla Zecca partì la ribellione all’inquisizione spagnola e fu celebrato il processo postumo a Masaniello.
La sala del chostro è a pianta rettangolare coperta da sei volte a crociera i cui costoloni si reggono al centro su due alte colonne marmoree. Ai lati sono sostenuti da dieci capitelli pensili che presentano forme vegetali ma anche umane (figura di telamone) o animali (l’aquila). Due dei capitelli, ornati agli angoli da figure di aquile ad ali spiegate, sono stilisticamente di origine sveva.