Epicuro nacque nell’isola greca di Samo nel 341 a. C. Dopo aver intrapreso gli studi filosofici nella scuola di Mensifane ,egli fondò nel 310 una sua prima scuola di filosofia a Mitilene , sull’isola di Lesbo . Nel 306 dopo essersi trasferito ad Atene fondò una nuova scuola di filosofia che si teneva in un giardino che si trovava accanto alla casa dove viveva.
In questa scuola chiamata appunto ” il giardino ” ( Kepos ) , venivano continuamente ospitati i suoi discepoli e persone di ogni ceto sociale , livello culturale , nazionalità diverse e perfino donne e schiavi , giacché essa era fondata sulla solidarietà e sull’amicizia dei suoi membri . Egli infatti in un attuale moderna visione di accoglienza e solidarietà , non faceva alcuna distinzione tra Greci e Barbari, uomini liberi e schiavi, ma rivolgeva il suo pensiero ed apriva la sua casa a tutti i cittadini appartenenti alla polis.
Per primo quindi egli stabilisce un regime di vita comune basato sulla solidarietà e amicizia tra gli adepti e cosa rara in filosofia , nessuno dei discepoli ha poi mai apportato modifiche alla sua dottrina , che si mantenne fedele per tutta la sua durata per giungere così integra e pura nel suo epicurismo a noi napoletani nelle due scuole di Ercolano e Posillipo .
La sua scuola di pensiero fu una delle maggiori scuole filosofiche dell’età ellenistica e romana. Essa ebbe grande fama in quell’ epoca ma, avversata dai Padri della Chiesa, subì un rapido declino con l’affermarsi del Cristianesimo.
Il primo concetto filosofico di Epicuro era indirizzato agli dei . Egli sosteneva che non vi era alcuna ragione perchè un uomo debba aver paura degli dei : egli infatti , non escludeva l’esistenza della divinità, ma affermava che ciò che è divino non agisce, né patisce: la beatitudine degli dèi consiste in uno stato di imperturbabilità e di totale indifferenza rispetto alle vicende umane.
Invitava e sosteneva inoltre , a non aver paura neanche della morte , poiché l’anima, formata di atomi di aria e di fuoco, si disgrega anch’essa con la morte del corpo.
Su questi presupposti Epicuro fonda una morale della serenità, in cui la felicità e il piacere sono concepiti come controllo del dolore fisico e morale.
“Quando diciamo che il fine è il piacere – scrive Epicuro – non intendiamo i piaceri dei dissoluti e dei gaudenti, ma il non soffrire quanto al corpo e il non essere turbati nell’anima». E poiché le azioni umane non sono determinate dagli dèi o dal fato, dalla necessità, ma dalla volontà e dalle passioni, è possibile soddisfare i bisogni necessari e naturali ed eliminare i bisogni e i desideri superflui “.
Assenza di turbamento (apátheia) e assenza di dolore (aponía) sono obiettivi morali da conseguire attraverso la conoscenza ed il dominio interiore .
Se ben riflettete su questo concetto filosofico immediatamente capirete quando esso sia più che mai un pensiero attuale , anzi , forse piu di tanti secoli fa , l’uomo di oggi ha bisogno di Epicuro e del suo modo di intendere la vita.
L’epicurismo quindi più attuale che mai per allontanarci dal consumismo , cioè da quel modo di fare che ci hanno fatto credere negli ultimi decenni essere la sola maniera di far crescere economicamente un paese . Il consumo secondo una logica comune produce benessere : senza consumi non c’è produzione, senza produzione disoccupazione e quindi disastro economico.
Presi da questo assurdo modo di fare consumiamo , sprechiamo cibo e acquistiamo spesso insensati superflui oggetti .
In maniera frenetica compriamo e basta. Ci fidiamo dei mezzi pubblicitari e di Amazon e non più dei propri occhi, della propria mente, del proprio palato, delle proprie mani e del proprio denaro. In maniera nevrotica siamo tutti uguali, comprando le stesse cose per poi buttarle e ricomprare il nuovo modello e così via …
Il denaro non è più uno strumento economico, necessario a comprare o a vendere cose utili alla vita, uno strumento da usare con parsimonia ma è qualcosa di astratto e di religioso al tempo stesso, un fine, una investitura, come dire: ho denaro, per comprare roba, come sono bravo, come è riuscita la mia vita, questo denaro deve aumentare, deve cascare dal cielo o dalle banche che fino a ieri lo prestavano in un vortice di mutui (un tempo chiamati debiti) che danno l’illusione della ricchezza e invece sono schiavitù. Il nostro paese è pieno di gente tutta contenta di contrarre debiti …
E per paura che tu il denaro lo usi con parsimonia e possa contarlo , conservarlo , ma sopratutto non spenderlo , lo stanno trasformando in una semplice carta da credito o peggio in una applicazione sul tuo nuovo telefonino di ultima generazione .Addrittura stanno pensando di mettere sotto controllo i conti correnti fermi in giacenza . E’ il mezzo per farti perdere il controllo del tuo danaro …. il mezzo per farti diventare CONSUMISTA .
Nessuno compra più per emozioni legate alla qualità della materia, ma solo per ” moda ” Nessuno compre solo ciò che è più utile ma il superflo generosamente griffato con tanto di etichetta . Come se un pantalone , o un telefonino senza etichetta non svolgesse in pieno il suo dovere .
Nessuno gode oramai più dei beni minimi e necessari, quali il cibo necessario , il vestiario necessario, la casa necessaria e non superflua , Nessuno usa i mezzi pubblici per spostarsi , e tutti comprano l’automobile superflua , la motocicletta superflua , la barca da utilizzare paradossalmente una sola stagione ( forse ) all’anno e la bicicletta di marca , ma nessuno cammina a piedi per far del bene alla propria salute .
La filosofia di Epicuro fu subito guardata con sospetto, perché considerata pericolosa per gli equilibri sociali e politici della res publica: la ricerca del piacere , l’indifferenza verso la pubblica considerazione e tutto ciò che serviva a procurarsela (cariche politiche, successi militari ecc.), e la necessità di liberarsi da false credenze, erano insegnamenti che entravano in conflitto con il mos maiorum , cioè le usanze , i costumi , e la morale della tradizionale della civiltà romana.
L’epicureismo , nonostante la forte opposizione di grandi personaggi dell’epoca come Orazio e Cicerone , riuscì comunque a sopravivvere e sopratutto a diffondersi in larga misura tra il II e il I secolo a.C.
Le maggiori contestazioni al pensiero filosofico di Epicuro erano rivolte alle sue facili promesse di felicità e al suo inneggiare disimpegno sociale verso la politica . La loro teorizzata vita serena e ritirata non piaceva a politici e preti che trasformarono l’auspicato necessario desiderio epicureo da parte dell’uomo di soddisfare i propri bisogni necessari , a peccato , conferendogli una distorta visione . Misero a punto una loro cattiva interpretazione del concetto a tal punto che per tutto il medioevo Epicuro fu sinonimo di ateo e di libertino . Ovviamento questo comportò la forte opposizione dei vari filosofi cristiani che si scagliarono con violenza contro l’epicurismo che venne spesso associato all’Edonismo con cui nulla esso a che fare.
La filosofia epicurea si distingue al contrario per una notevole carica illuministica e morale, insegna a rifiutare ogni superstizione o pregiudizio in una serena accettazione dei propri limiti e delle proprie potenzialità.
La via per raggiungere la felicità , intesa come liberazione dalle paure e dalle passioni per recupare un equilibrio interiore e valido strumento per risolvere questioni esistenziali ( cura dell’anima ) venne ovviamente mal vista dalla chiesa cattolica che si ergeva ad un’unico strumento con la sua fede per risolvere tali questioni .
Epicuro riteneva che il sommo bene fosse il piacere e per far ben comprendere il suo concetto distinse due fondamentali tipologie di piacere: quello statico ( catastematico ) e quello cinetico ( dinamico ).
Quello cinetico dura per un istante e lascia poi l’uomo più insoddisfatto di prima (sono piaceri cinetici quelli legati al corpo, alla soddisfazione dei sensi ) . Quello statico è invece durevole, e consta della capacità di sapersi accontentare della propria vita, di godersi ogni momento come se fosse l’ultimo, senza preoccupazioni per l’avvenire. La condotta, quindi, deve essere improntata verso una grande moderazione: meno si possiede, meno si teme di perdere.
A tal proposito commette lo sbaglio (ma solo per il mondo cattolico )di fare una sorta di catalogazione del piacere così composta :
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Bisogni naturali e necessari, come ad esempio bere acqua per dissetarsi: questi soddisfano interamente poiché essendo limitati possono essere completamente colmati.
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Bisogni naturali ma non necessari: come ad esempio per dissetarsi bere vino, certo non avrò più sete ma desidererò bere vini sempre più raffinati e quindi il bisogno rimarrà in parte insoddisfatto.
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Bisogni né naturali né necessari, come ad esempio il desiderio di gloria e di ricchezze: questi non sono naturali, non hanno limite e quindi non potranno mai essere soddisfatti.
Da qui nacque l’accusa dei padri della Chiesa cristiani che scagliandosi contro Epicuro affermarono con forza che egli suggerisse alle persone uno stile di vita rozzo e materiale che andava considerato indegno per l’uomo.
In realtà Epicuro non ha mai indicato quali debbano essere i bisogni naturali e necessari da soddisfare poiché è demandato alla ragione dell’uomo stabilire quali per lui siano i bisogni essenziali, naturali da soddisfare.
Come se non bastasse Epicuro propose addirittura la sua filosofia come farmaco per l’anima con quattro funzioni ben precise (“tetra- farmaco”) :
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liberare gli uomini dal timore degli dei;
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liberare gli uomini dal timore della morte;
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dimostrare quale piacere bisogna essere perseguito;
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dimostrare la provvisorietà e la brevità del dolore.
Impensabile per il mondo cattolico di allora che qualcun’altro si occupasse di problemi dell’anima e sopratutto che nessuno avesse più paura della morte.
La dottrina di Epicuro sulla morte era semplice ed immediata. Il problema non era il fatto del morire, ma la paura della morte, quel sentimento che tanto ci turba e ci impedisce di raggiungere la serenità interiore. Come combatterla? La soluzione di Epicuro era questa: “Quando ci siamo noi, non c’è la morte”. E viceversa.
La salvezza dell’anima per la religione cattolica doveva , al contrario , passare proprio attraveso la paura della morte .
Essa , come quasi tutte le religioni , basano e hanno basato , la loro forza sulla paura della morte da parte dell’uomo e promettono , anche se in modo diverso la vita eterna , assicurando così la possibilità di ritrovare un domani coloro che amiamo : genitori , amici, fratelli , sorelle, mariti , mogli o figli , da cui ineluttabilmente l’esistenza terrena nel tempo ci separerà.
La resurrezione di Lazzaro è il più grande messaggio che il cattolicesimo come religione invia all’uomo impaurito di fronte alla morte . E’ il messaggio di salvezza : la morte , per coloro che amano e credono nella parola di Cristo , è solo un’apparenza , un passaggio . Con l’amore e con la fede , possiamo ottenere l’immortalità.
Epicuro voleva liberare l’uomo dalla paura della morte e questo stava stetto , molto stretto alla chiesa . Epicuro sosteneva che l’anima, formata di atomi di aria e di fuoco, si disgrega anch’essa con la morte del corpo. Ed anche questo stava stretto , molto stretto alla chiesa cattolica . Epicuro voleva liberare l’uomo dal timore degli dei ….
Insomma … che personaggio scomodo ….
Un uomo a misura di Epicuro non avrebbe mai avuto paura dell’inferno e mai avrebbe avuto paura della scomunica papale se non partecipava ad una crociata e mai e poi mai , avebbe ottenuto l’assoluzione dei suoi peccati confessati e poi assolti con un’opera meritevole come un pellegrinaggio o altre opere di mortificazione come digiunare o dormire su un letto di ortiche .
Un uomo indottrinato di filosofia epicurea mai in vita sua avrebbe usufruito dell’indulgenza attraverso la quale otteneva la totale remissione dei suoi peccati in vita mediante forte offerte di danaro o lasciti e donazioni di terreni , casali , proprietà , opere d’arte e cosi via .
Il commercio dell’anima e della sua salvezza attenuava la paura della morte e garantiva un eterno riposo senza sofferenze in paradiso .
Solo nel tardo Umanesimo , dove si andava affermando un ideale laico di saggezza , basato su una concezione ottimistica della natura e dell’uomo e sull’equilibrio tra razionalità e piacere dei sensi , si incominciò finalmente a vedere un maggior atteggiamento di simpatia per l’etica epicurea.
Ma ora vi starete chiedendo perchè parliamo di Epicuro e addirittura lo inseriamo nelle ” COSE DI NAPOLI ” .
Sapete perchè?
Perchè Epicuro nella sua filosofia ne ha combinato una grossa ….
Ci ha lasciato , a noi tutti napoletani , in eredità la sua filosofia … il suo modo di pensare … vedere la vita .. e sopratutto il modo di affrontare la vita quotidiana . .
UN MALE ? UN BENE ?
Posso solo dirvi che per lunghi secoli siamo stati felicemente ingabbiati dal pensiero ellenico di Epicuro e delle sue due scuole che egli teneva nella nostra città ( Posillipo ed Ercolano ) , mantenendo immutati valori importanti come amore ,amicizia e solidarietà.
In questa città ha da sempre regnato grazie ad Epicuro e alla sua filosofia , il culto della felicità , che era considerato da tutti un bene primario e naturale .
Sentiamo ancora oggi , ogni mattina un bisogno impellente di socializzare con gli altri . Ne siamo quasi dipendenti ma non andiamo mai in overdose . Per noi è un valore importante se non addirittura indispensabile.
La forza del popolo napoletano per secoli è stata proprio quella dettata da Epicuro , cioè quella di concepire l’esistenza come tesa alla ricerca del piacere sia del corpo che dello spirito.
Ora penso vi stiate chiedendo : < ma da dove origina tutto questo ? >
Come accennato , vi erano due scuole Epicuree in città dalle quali si diffuse enormemente il pensiero del filosofo greco : : una ad Ercolano , gestita tra il 70 ed il 40 a.C. dal maestro Filodemo di Gadara ( di origine siriana ) e la seconda a Posillipo gestita invece da Sirone .
Filodemo visse nella Villa dei Pisoni ( meglio conosciuta come villa dei papiri ) , protetto da Calpurnio Pisone Cesomino , suocero di Giulio Cesare (nella villa sono stati trovati numerosi papiri che contengono alcuni frammenti delle sue opere ).
La scuola di Posillipo invece , fondata da Sirone , si trovava in una piccola villa circondata dal mare nei pressi della Gaiola e della famosa Villa Pausjlipon.
La villa chiamata Catalepton, passò poi alla morte del maestro in eredità al suo miglior allievo Virgilio che fece di questo posto la sede della sua famosa scuola .
Virgilio divenne noto in città , oltre che per le sue capacità artistiche, sopratutto per i suoi poteri magici che utilizzava secondo molti sopratutto per proteggere la sua amata Partenope che lo aveva adottato. Egli , sopratutto in epoca medioevale acquistò grande fama in città e nell’intera penisola , di potente mago e dopo dopo la vergine Partenope divenne con il tempo per i napoletani il patrone della citta’ , tanto che ai suoi resti fu attribuito il potere di proteggere la citta’ .
Il nostro , grazie alla presenza di queste due scuole epicuree e alla dottrina che per secoli hanno diffuso , era un modo diverso di ricordare, di socializzare e di amare diverso da tutti gli altri . Era un modo per ricordarsi che i piaceri della vita vanno condivisi lontani dallo stress ed in un’atmosfera soft e rilassante , era un modo di vivere dove prevaleva l’amore per i contatti umani.
Per secoli indottrinati da tale filosofia di vita , abbiamo dato poca importanza a cose che da altre parti sarebbero vitali e tantissima rilevanza a cose invece superflue per alcuni e molti non hanno capito che questo non era un pregio e nemmeno un difetto ma solo un modo diverso di vivere e vedere la vita dove ancora certamente contava tantissimo la solidarità e l’amicizia.
Fin dal periodo greco/ romano la vita di Neapolis era improntata sopratutto al ben vivere , e indirizzata in tal senso dalla filosofia epicurea che vi dominava.
Gli antichi romani conquistati dal fascino di tale impostazione di vita , scelsero Neapolis come luogo di educazione e di perfezionamento negli studi , attratti anche dalla natura lussureggiante e dal clima temperato . Essi venivano a Neapolis a riposarsi dalle fatiche di Roma e a preparsi agli studi trasferendo immense biblioteche con se.
Neapolis era detta ” otiosa e docta “, ed i napoletani concepivano l’esistenza come tesa alla ricerca del piacere sia del corpo che dello spirito,e al risparmio di energie per tutelare la propria liberta’ dagli stress della vita quotidiana.
Geneticamente siamo quindi figli di Epicuro ed il suo modo di intendere la vita. Oggi potremmo chiamarla napoletanità ma un tempo era solo e semplice epicurismo.Un semplice modo di stare al mondo in maniera diversa dagli altri . Un diverso modo di raccontare , ricordare , amare , conversare , sorridere e chiacchierare .
Il nostro carattere non a caso è riconosciuto in tutto il mondo come amichevole ed ospitale .
I napoletani , ancora oggi vivono di cose semplici e come tali ti fanno sentire subito a tuo agio . Non importa da quale posto del mondo si provenga , il napoletano” ti stringe subito la mano e ti sorride “.
E come Epicuro anche noi siamo stati da sempre additati di essere persone con uno stile di vita rozzo e materiale . Anche noi con il nostro modo semplice di vivere diamo fastidio al sistema .
Ancora oggi veniamo insultati nei piu disparati stadi dove come si conviene a dei vigliaccchi ci si può nascondere tra la folla ed ancora oggi vediamo spesso striscioni inneggianti al Vesuvio perchè ci distrugga .
La nostra immagine spesso appare distorta perchè il mondo intero ha più volte dai mass- media , sentito associare la parola camorra alla nostra gente e alla nostra città , e questo ha sporcato in senso negativo la nostra napoletanità , dimenticando che la criminalità organizzata è frutto solo di chi ha voluto intenzionalmente sporcare la nostra terra.
La storia ufficiale non racconta infatti che quando Garibaldi si affacciò dal balcone di Palazzo Doria in Largo dello Spirito Santo il il 7 settembre del 1860 , aveva al suo fianco da un lato Liborio Romano, Ministro di Polizia e dall’altro Salvatore De Crescenzo, capo della camorra dell’epoca, detto “Tore ‘e Criscienzo”, i cui uomini mantennero l’ordine pubblico.
Garibaldi quel giorno , da quel i balcone proclamò l’annessione delle province meridionali al Regno sabaudo ma proclamò anche l’inizio del patto tra Stato e Camorra a Napoli.
A sostegno di quest’ultima tesi le carte che dimostrano che il 26 ottobre 1860 Garibaldi pagò una pensione vitalizia di 12 ducati mensili a nome di Antonietta Pace, Carmela Faucitano, Costanza Leipnecher, Pasquarella Proto e Marianna De Crescenzo, le principali esponenti femminili della Camorra napoletana. Quest’ultima era sorella proprio di quel De Crescenzo che aveva camminato accanto a Garibaldi al suo ingresso a Napoli. Il losco personaggio aveva acquistato il ruolo di intermediario tra politica e camorra quando Liborio Romano per contrastare le sommosse nate sulla scia di quella siciliana del 1848 lo chiamò per chiedergli di radunare tutti i capi-quartieri della città e stipulare un patto di aiuto reciproco.
Liborio Romano non reclutò solo “Tore”, già nel luglio 1860 altri camorristi furono nominati funzionari di polizia.Ricordo a tutti che Liborio Romano era ovviamente il corrispondente di Camillo Benso Conte di Cavour.
Più che un difetto quindi come vedete , la criminalità organizzata è fenomeno voluto in questa città ed oggi come unica consolazione rimane il fatto che evolutosi si è poi diffuso ovunque divendo un fenomeno comune a tutti ( una sorta di boomerang a chi il fenomeno lo ha istituzionalizzato ). Insomma come vedete è un problema politico-sociale comune a tutti .
E ancora una volta aveva ragione Epicuro …. che rifiutava la politica .
Il pensiero di Epicuro nelle sue caratteristico aveva infatti il rifiuto della politica, in quanto vantaggiosa certamente per l’utile ed il bene sociale, ma fonte di turbamento nella vita del singolo e fonte di allontanamento dal piacere ( infatti come avrete certamente capito … mi sono arrabbiato .. )
Potreste oggi mai dargli torto ?
Meglio subito ritornare quindi ad Epicuro e pensare in modo diverso , lontano dallo stress ed in un’atmosfera soft e rilassante .
La NAPOLETANITA’ presto, se vi capiterà di venire Napoli , scoprirete che essa rappresenta una vera diversa filosofia di vita.
Il nostro è un modo di intendere la vita che risulta giungerci da tempi antichi . Un modo diverso di ricordare, di socializzare e di amare , dando grossa importamza ai contatti umani. È un’attitudine allo stare al mondo in un modo che è diverso da altri.
La napoletanità , come l’epicurismo non è un pregio e non è un difetto è solo un modo diverso di vivere e vedere la vita dove ancora certamente conta tantissimo la solidarità , l’amore e l’amicizia . Un modo di vivere che privilegia la felicità ed il piacere .
Eravamo in questo senso un popolo unico e per questo invidiato e ovviamente criticato.
Gli altri non riuscivano proprio a capacitarsi del come un popolo non avendo nulla , potesse poi nonostante tutto , essere così felice . Essi non riuscivano a capire come il solo paesaggio e le bellezze del luogo potessero in miseria , rendere felice un intero popolo .
Essi gurdavano solo le cose materiali ed ottusamente non guardavano il nostro pensiero con cui affrontare le questioni della vita .
Ci invidiavano e continuanano ad invidiarci e per giustificare la loro incapacità ad essere come noi , devono necessariamente disturuggere il nostro modo di fare ed essere .
Un po come nella favola di Esopo (tradotta in greco ) o quella di Fedro ( tradotta in latino ) dove la volpe vuole l’uva succosa e dall’aspetto invitante, e prova inutilmente a raggiungerla. Ci prova e ci riprova, ma nulla. A quel punto, pur di non manifestare il malcontento, la sofferenza per quello che è un suo fallimento , comincia a disprezzarla .
Non la riesce ad avere e, piuttosto che ammettere l’insuccesso, nega di averla mai voluta e, addirittura, la disprezza.
Coloro che ci disprezzano , sono solo persone che, non raggiungendo qualcosa che desiderano, poi cominciano a dire che non è poi così buono.
La loro è solo pura invidia . Abbiamo tutto quello che loro non hanno . Si dibattono tra produzione e consumismo ma hanno perso il valore delle cose semplici e vere , chiusi dalla mattina alla sera nei loro uffici a produrre guadagni . Vivono oramai solo per lavorare e non hanno capito che invece bisogna lavorare per poi essere liberi di vivere felici .
Ci invidiano il nostro modo di vedere la vita , la nostra felicità raggiungibile attraverso poco . Noi abbiamo arte , storia , mare e sole e possiamo uscire continuamente di casa perchè ad attenderci c’è sempre del bel tempo per strada che ci invita continuamente a sorridere al contario dei loro lunghi intristiti musoni mai abbronzati e illuminati da fredde lampade di ufficio . Nel tempo libero si sono inventati l’apericena che non è ne un aperitivo e ne una cena e addirittura mangiano come piatto preferito il sushi , un cibo giapponese . Non lo sanno ancora ma …stanno perdendo la loro identità.
Noi , al contrario abbiamo il dovere di non perdere questa nostra identità .Siamo gli unici depositari di una filosofia che rende l’uomo felice. Abbiamo il dovere di preservarla per tramandarla ai nostri figli .Siamogli unici depositari di una filosofia che rende l’uomo felice .
E’ questa la più grande eredità che possiamo lasciare ai posteri !!! Non soldi o proprietà ma sapere amare ed essere felici.
Nel resto del mondo occidentale tutto questo non c’è più .
Oggi , purtroppo tutti siamo prossimi a diventare uguali a tutti gli altri , massificati dai social e attaccati allo smartphone , ed incredibilmente schiacciati da una vita passata di fretta tesa alla sola massima produzione .Non abbiamo più tempo e …. siamo sempre più soli , chiusi nella stessa casa , sotto lo stesso tetto , con tanti like , tanti amici virtuali ma … nessun amico vero .
Esattamente il contrario di ciò di cui ci ha lasciato in eredità con la sua scuola di pensiero Epicuro . La sua dottrina poggiava infatti le sue principali fondamenta proprio sulla solidarietà e sull’amicizia .
Per lui mangiare senza amico è “divorare di leone o di lupo”. Cioè possiamo trovare tutto quello che vogliamo, ma se non abbiamo qualche amico con cui condividerlo non ce lo godremo appieno.
L’amicizia è il fucro del suo pensiero ed insieme ai piaceri è la cosa più importante di un’intera esistenza . Per lui e per noi napoletani essa non nasce per utilità reciproca, ma non disdegna neanche di trarne dei benefici concreti, in caso di necessità. Non è tanto dell’aiuto degli amici , infatti, che noi abbiamo bisogno, quanto della fiducia che essi ci aiuterebbero nel caso ne avessimo bisogno.
Il piacere per Epicureo è un bene primario e naturale per noi , ma a questo egli ha fatto seguire un particolare calcolo . Se vogliamo semplificarlo al massimo possiamo riassumerlo così:
“prima di compiere una qualunque azione domandati quali saranno le conseguenze, nel bene e nel male, valuta il piacere che ne trarrai ed eventuali effetti collaterali negativi. Infine trai le tue conclusioni”
Questo è il motivo per cui noi non dobbiamo scegliere ogni tipo di piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci più male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi se un piacere più grande possiamo provare dopo averle sopportate a lungo.
Dall’esperienza del calcolo dei piaceri quindi Epicuro trova un altro elemento fondamentale per la vita felice: la sobrietà. Se vuoi rendere ricco tuo figlio, non aggiungere qualcosa a ciò che possiede ma sottrai qualcosa a ciò che desidera.
Così vedrai che un domani , anche niente basta a quel futuro uomo per il quale ciò che basta sembra poco.
Per essere veramente felici bisogna imparare ad apprezzare quello che si ha, con semplicità e a non lasciarsi andare ai desideri che, se lasciati liberi, non hanno limite.
Noi napoletani dobbiamo capire che siamo stati impregnati di amore da tempi antichi . Epicuro ci ha lasciato in eredità la sua l’umanità , e noi abbiamo il dovere di lasciare questo testimone alle nuove generazioni in maniera integra e pulita .
L’amicizia , la solidarietà , la felicità ed il piacere , in poche parole l’epicureismo , sono un bene di cui gli uomini oggi più che mai , non possono proprio privarsi .
Epicuro morì ad Atene per complicanze dovute a calcoli renali quando aveva l’età di settantadue anni circa. Morì in maniera coerente con il suo concetto filosofico , senza lamentarsi e con pacifica serenità .
«Morì di calcoli renali dopo quattordici giorni di malattia, come scrive Ermarco nelle lettere. Ermippo riferisce che Epicuro in punto di morte, entrato in una tinozza di bronzo piena di acqua calda, chiese del vino puro e lo bevve d’un fiato. Dopo aver raccomandato agli amici di non dimenticare il suo pensiero, spirò.
Noi abbiamo scritto per lui questo epigramma: «”Siate felici e memori del mio pensiero”, furono le ultime parole di Epicuro agli amici. Entrato nel calore della tinozza, con uno stesso sorso bevve vino puro e il freddo della morte. Tale fu la sua vita e tale la sua fine.»
Mi piace concludere consegnandovi alcune famose frasi lasciate a noi dal famoso filosofo greco :
“Non è tanto dell’aiuto degli amici che noi abbiamo bisogno , quanto della fiducia che essi ci aiuterebbero nel caso ne avessimo bisogno”
“Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un’ esistenza felice , la più grande è l’amicizia “
“Non si deve invidiare nessuno ; i buoni non meritano invidia ; per quanto riguarda i cattivi , più hanno fortuna e più si rovinano “
“Dobbiamo trovare qualcuno con cui mangiare e bere prima di cercare qualcosa da mangiare e da bere , perchè mangiare da solo significa fare la vita di un leone o di un lupo “
“Siamo nati una sola volta, e non potremo essere nati una seconda volta ; dovremo non essere più per l’eternità . Ma tu , benchè non abbia padronanza del domani , stai rinviando la tua felicità . La vita si perde nei rinvii ed ognuno di noi muore senza aver goduto una sola giornata “
“Nessuno sceglie un male capendo che è un male, ma ne resta intrappolato se, per sbaglio, lo considera un bene rispetto a un male maggiore “
“Il supremo frutto dell’autosufficienza è la libertà “
“Non è un buon amico nè chi lo è per interesse , ma nemmeno chi non riesce ad unire l’ interesse all’amicizia ; l’uno mercanteggia l’affetto con una contropartita , l’altro si taglia ogni speranza per il futuro “
“Niente basta a quell’uomo per il quale ciò che basta sembra poco “
“Nasciamo una sola volta, due non è concesso; tu, che non sei padrone del tuo domani , rinvvi l’occasione di oggi ; così la vita se ne va nell’attesa , e ciascuno di noi giunge alla morte senza pace.
Per concludere voglio pree alla vostra attenzione una bellissima lettera scrttta da Epicuro ed indirizzata a Meneceo.
Il grande filosofo affronta in quetsa lettera temi centrali della sua filosofia per quanto riguarda l’etica e la metafisica : la ricerca della felicità , la paura della morte , la natura degli dei e la classificazione dei piaceri.
Ovviamente in questa lettera troverete come Epicuro analizza le cause della felicità e come egli ribadisce le quattro massime che compongono il cosiddetto tetrafarmaco.
1 Non bisogna temere gli dèi. Epicuro precisa di non negare l’esistenza delle divinità, bensì di rifiutare l’opinione che ne ha il volgo, in quanto «presunzione fallace». Gli dèi sono eterni e beati, e ciò è possibile perché abitano nell’intermundia, cioè lo spazio tra i mondi reali. Avendo sede in un luogo nettamente separato da quello occupato dagli uomini, essi non possono averne esperienza, e quindi non possono agire sulla nostra vita con punizioni o benefici.
2 La morte è nulla per noi. Non vi è ragione di temere la morte , poiché con la vita scompare anche la capacità di percepire piacere o dolore: «quando noi siamo, la morte non c’è, e quando la morte c’è, allora noi non siamo più». La morte non riguarda né i vivi né i morti poiché essa rappresenta la fine di ogni esperienza. Il saggio è chi non desidera la vita né teme la morte; non disprezza, dunque, la vita, né considera un male la morte.
3 Il bene è facile a procurarsi.
4 È facile sopportare il male. Se questo affligge duramente dura per poco; se invece affligge per tanto tempo, allora è sopportabile perché di poca entità.
Per spiegare le ultime due massime, che riguardano piacere e dolore, Epicuro deve prima analizzare i diversi tipi di desideri e piaceri.
Epicuro
Lettera sulla felicità
Meneceo,
Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’anima. Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di essere felice, o che ormai è passata l’età. Da giovani come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a non temere l’avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la felicità, perché quando essa c’è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per averla.
Pratica e medita le cose che ti ho sempre raccomandato: sono fondamentali per una vita felice. Prima di tutto considera l’essenza del divino materia eterna e felice, come rettamente suggerisce la nozione di divinità che ci è innata. Non attribuire alla divinità niente che sia diverso dal sempre vivente o contrario a tutto ciò che è felice, vedi sempre in essa lo stato eterno congiunto alla felicità. Gli dei esistono, è evidente a tutti, ma non sono come crede la gente comune, la quale è portata a tradire sempre la nozione innata che ne ha. Perciò non è irreligioso chi rifiuta la religione popolare, ma colui che i giudizi del popolo attribuisce alla divinità.
Tali giudizi, che non ascoltano le nozioni ancestrali, innate, sono opinioni false. A seconda di come si pensa che gli dei siano, possono venire da loro le più grandi sofferenze come i beni più splendidi. Ma noi sappiamo che essi sono perfettamente felici, riconoscono i loro simili, e chi non è tale lo considerano estraneo. Poi abituati a pensare che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza. L’esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, togliendo l’ingannevole desiderio dell’immortalità.
Non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c’è da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi sostiene di aver paura della morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà soffrire, ma in quanto l’affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta presente non ci turba, stoltamente atteso ci fa impazzire. La morte, il più atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i morti. Per i vivi non c’è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive.
Il vero saggio, come non gli dispiace vivere, così non teme di non vivere più. La vita per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce. Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire è stolto non solo per la dolcezza che c’è sempre nella vita, anche da vecchi, ma perché una sola è l’arte del ben vivere e del ben morire. Ancora peggio chi va dicendo: bello non essere mai nato, ma, nato, al più presto varcare la porta dell’ Ade.
Se è così convinto perché non se ne va da questo mondo? Nessuno glielo vieta se è veramente il suo desiderio. Invece se lo dice così per dire fa meglio a cambiare argomento. Ricordiamoci poi che il futuro non è del tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro. Solo così possiamo non aspettarci che assolutamente s’avveri, né allo stesso modo disperare del contrario. Così pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita.
Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell’animo, perché questo è il compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall’ansia. Una volta raggiunto questo stato ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell’animo e del corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno.
Per questo noi riteniamo il piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere e del dolore. E’ bene primario e naturale per noi, per questo non scegliamo ogni piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci più male che bene, e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi se un piacere più grande possiamo provare dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura, ma noi non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni dolore è male, ma non tutti sono sempre da fuggire.
Bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Consideriamo inoltre una gran cosa l’indipendenza dai bisogni non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che l’abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi, l’inutile è difficile.
I sapori semplici danno lo stesso piacere dei più raffinati, l’acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno a chi ne manca. Saper vivere di poco non solo porta salute e ci fa privi d’apprensione verso i bisogni della vita ma anche, quando ad intervalli ci capita di menare un’esistenza ricca, ci fa apprezzare meglio questa condizione e indifferenti verso gli scherzi della sorte. Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l’animo a essere sereno.
Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l’animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è la saggezza , perciò questa è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili.
Chi suscita più ammirazione di colui che ha un’opinione corretta e reverente riguardo agli dei, nessun timore della morte, chiara coscienza del senso della natura, che tutti i beni che realmente servono sono facilmente procacciabili, che i mali se affliggono duramente affliggono per poco, altrimenti se lo fanno a lungo vuol dire che si possono sopportare ? Questo genere d’uomo sa anche che è vana opinione credere il fato padrone di tutto, come fanno alcuni, perché le cose accadono o per necessità, o per arbitrio della fortuna, o per arbitrio nostro. La necessità è irresponsabile, la fortuna instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi biasimo o lode.
Piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici, era meglio allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le preghiere, invece dell’atroce, inflessibile necessità. La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa – la divinità non fa nulla a caso – e neppure qualcosa priva di consistenza. Non crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita felice, ma sa che può offrire l’avvio a grandi beni o mali.
Però è meglio essere senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell’ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l’uomo che vive fra beni immortali.
ARTICOLO SCRITTO DA ANTONIO CIVETTA