Nel 1808 Napoleone, dopo aver sottratto il trono ai Borbone, nominò re di Napoli il fratello Giuseppe Bonaparte e dopo il passaggio dello stesso a re di Spagna, nominò nuovo re di Napoli, Gioacchino Murat, generale e cognato di Napoleone Bonaparte avendo sposato sua sorella minore Carolina Bonaparte.
Il fratello Giuseppe regnò per soli due anni mentre il cognato Murat, invece regnò per solo otto anni, fin quando cioè non avvenne la sconfitta di Napoleone a Lipsia ed il suo esilio all’isola d’Elba.
Murat, di origini non nobili, fu ben accolto a Napoli per il suo carattere, il suo coraggio, la presenza, il gusto e molti aspetti del suo governare.
Gioacchino Murat, di origini borghesi, fu un ottimo generale e una grande spalla di Napoleone, sposandone alla fine perfino la sorella. Egli da semplice militare dell’esercito francese fece una tale rapida carriera da divenire addirittura Re di Napoli su cui regnò per circa otto anni.
Figlio di un modesto albergatore in un piccolo villaggio a pochi chilometri da Cahors, Murat fin da piccolo fu un grande appassionato di cavalli che lo portò a divenire un abile ed esperto cavallerizzo.
La madre desiderava vederlo prete e venne pertanto inviato all’età di 20 anni, nel seminario di Tolosa da dove egli alla prima occasione fuggì per arruolarsi nel corpo dei cacciatori delle Ardenne.
Licenziato dal corpo per insubordinazione, ritornò ad occuparsi di cavalli ma scoppiata la rivoluzione si arruolò nuovamente nell’esercito dove stavolta grazie al suo coraggio ed alla sua abilità di cavaliere incominciò una rapida carriera.
Nominato brigadiere e poi maresciallo fu promosso capitano ed infine colonnello durante la campagna d’Italia dove fu aiutante di campo di Napoleone dal quale non si discostò mai più.
In Egitto comandava una brigata e per l’abilità ed il valore dimostrato fu promosso generale di divisione ( aveva solo 31 anni ).
Ebbe parte attiva nel famoso colpo di stato che a Parigi abbatte il Direttorio e nomina Napoleone Primo Console, comandando le truppe che scacciarono dalla sala il Consiglio dei cinquecento.
Ottenne in cambio il comando della Guardia Consolare e la mano della sorella di Napoleone, Carolina Bonaparte.
Continuò a partecipare alle varie campagne di guerra di Napoleone non mancando mai di stare al suo fianco. Napoleone apprezzava molto il suo coraggio e la sua abilità. Nessuno come lui sapeva manovrare e dirigere la cavalleria durante una carica. Galoppava davanti a tutti trascinando con l’esempio gli uomini alla battaglia contro il nemico e contemporaneamente riusciva a calcolare in un lampo ogni cosa o errore di manovra che poteva favorire la sua azione. Le sue manovre erano sempre pronte a sfruttare ogni minimo errore dell’avversario.
Era un uomo molto ambizioso e vanitoso che amava vestire con tuniche sfarzose dai colori vivaci guarnite con alamari d’oro e fermagli di pietre preziose, portava cappelli gallonati carichi di piume e con alti pennacchi.
Vestiva in questo modo anche in battaglia ed era ovviamente anche il più riconoscibile.
Aitante, bello e fiero, sorse così intorno a lui un mito: le pallottole sembravano volessero risparmiarlo ed i nemici evitarlo.
Venne soprannominato dai suoi uomini “Apollo della guerra ” ed egli ripagò questa fama nella famosa battaglia di Moscowa, quando già Re di Napoli, il suo folle coraggio non ebbe limiti. Sotto l’incessante fuoco dei nemici che provocavano numerose vittime nelle sue file, egli impavido, indomito ed instancabile, guidò sempre in prima fila ripetutamente cariche su cariche, fino a quando non riuscì a fiaccare la resistenza del nemico.
Alla fine della battaglia, il campo era coperto di cadaveri (rimasero sul terreno 60 mila russi) tra i quali giacevano dodici generali francesi. Altri trenta generali avevano riportato gravi ferite mentre il solo Murat incolume non aveva riportato neppure un graffio.
La sua fama tra i soldati fu altissima divenendone un vero e proprio mito.
Anche in patria ebbe un notevole successo che continuò a produrgli una rapida ascesa di carriera: maresciallo di Francia, governatore di Parigi, grande ammiraglio, Granduca di Berg, Luogotenente Imperiale di Spagna ed infine Re di Napoli.
Quando Napoleone conquistò la Spagna allontanando i suoi reali, egli decise di chiamare al trono di Spagna proprio suo fratello Giuseppe inviando al suo posto a Napoli Gioacchino Murat, marito di sua sorella Carolina.
Ad attendere Gioacchino Murat accorse una folla numerosa di persone che erano curiose di vederlo e conoscerlo. La sua fama lo aveva preceduto ed in molti erano ad attenderlo al suo ingresso in città. Egli non deluse coloro che l’attendevano. Di carattere spiccatamente teatrale, entrò in Napoli splendidamente vestito di una sfolgorante uniforme di generale francese. La sua bellezza, illuminata da un sorriso cordiale accompagnato da un comportamento fiero ma disinvolto gli valse subito la simpatia del popolo che venuti a conoscenza delle sue avventure e della sua meritata rapida carriera, l’applaudi festosamente e con molto calore.
Egli piacque subito ai napoletani che si rispecchiavano anch’essi in quell’estroso personaggio, molto simile a loro.
I suoi primi atti di governo furono clementi e benevoli, come il perdono accordato ai disertori, il sussidio ai militari in ritiro per inabilità o ferite ed il soccorso alle vedove e agli orfani dei caduti in guerra.
Da buon militare subito provvide a riorganizzare l’esercito con il quale appena 40 giorni dopo il suo arrivo riconquistò l’isola di Capri fino ad allora in mano agli Inglesi.
Murat, era un uomo di guerra e non poteva tollerare il nemico a così breve distanza dalla capitale e la stessa cosa fece con il brigantaggio che affliggeva la Calabria ed entro due anni provvide, a volte anche con mezzi duri e crudeli, a debellare il fenomeno.
Provvide a portare a termine le riforme iniziate da Giuseppe Bonaparte e sotto il suo Regno la macchina burocratica statale divenne più moderna e democratica snellendosi notevolmente. I licei divennero centri di cultura e si cercò di creare un sistema di educazione comune a tutti. La biblioteca venne ingrandita, si creò una facoltà di agraria e si allargarono i mezzi alle università e sopratutto furono abolite le prestazioni dei contadini a favore dei feudatari e tolto il divieto di utilizzare le acque dei fiumi per l’irrigazione delle terre ed il funzionamento dei mulini.
Si adoperò anche nel campo delle opere pubbliche.
Fece costruire il colonnato di Piazza Plebiscito ed il vicino slargo per mettere in comunicazione la Piazza con Via Chiaia, che in onore della moglie fece chiamare Largo Carolina.
Il progetto del colonnato prevedeva un vero e proprio FORO da chiamarsi ” FORO MURAT ” ma questo non potè essere completato e alla fine del suo regno era stato solo finito il porticato.
Quando Ferdinando IV rientrò a Napoli pensò bene di sfruttare l’opera del suo predecessore e volle che nel centro del portico sorgesse la chiesa che aveva promesso in voto se avesse riavuto il trono. Nacque cosi la chiesa di San Francesco di Paola.
L’emiciclo della chiesa fu poi ulteriormente abbellito nel 1822-16, dall’artista Pietro Bianchi realizzando otto statue di leoni egizi.
Fece costruire una strada che potesse collegare il Museo con Capodimonte che chiamò ” Corso Napoleone ” ( attuale Via Santa Teresa ) e per fare questo dovette creare un ponte per superare il vallone della Sanità.
Iniziò i lavori per la costruzione dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte ( che fu portato a termine poi dai Borbone ) e dell’Orto Botanico.
Si crearono nuove strade come quella di Foria e Bagnoli e di Posillipo.
Nel 1812 , Murat, lasciata la moglie come reggente del Regno partì per raggiungere Napoleone che si apprestava alla campagna di Russia.
I rapporti tra i due non erano più cordiali come in passato, in quanto Napoleone aveva mal gradito una certa tendenza autonomistica di Murat e dato credito ad alcune voci sempre più consistenti che raccontavano l’intenzione di Murat di estendere la sua autorità su tutta l’Italia.
Napoleone pur dispensando regni ai propri familiari ne pretendeva comunque sempre il controllo e già più volte Murat, entrando in contrasto con Napoleone aveva ignorato le sue direttive. Erano nel corso degli anni subentrate una serie divergenti di opinioni, come la invasione della Sicilia che lui voleva ma che il potente cognato invece non gli consentì.
Murat, in aperto contrasto e incurante del veto di suo cognato ( Napoleone ) nel settembre del 1810 tentò di conquistare la Sicilia ma fu immediatamente bloccato dagli inglesi.
Comunque nonostante tutto questo, Murat, fino a quando quella disastrosa campagna non ebbe termine fece tutto il suo dovere e fu fedele alleato e supremo generale di Napoleone, nonchè impareggiabile ed eroico condottiero come si dimostrò nella sanguinosa battaglia di Moscowa di cui abbiamo già raccontato.
Tornò a Napoli nel 1813 deponendo nelle mani del figliastro di Napoleone ( vicerè d’Italia Eugenio Beauharnais) il comando supremo dell’esercito.
Intanto si andava compiendo il destino dell’Imperatore e dopo la sconfitta di Lipsia del 1813, Napoleone fu deposto ed arrestato. In seguito alle decisioni prese al Congresso di Vienna, il regno delle due Sicilie fu restituito ai Borbone e quindi Murat fu costretto a fuggire da Napoli per rifugiarsi dapprima a Ischia, poi in Francia a Tolone ed infine in Corsica.
La Regina Carolina, con i quattro figli trovò asilo sopra una nave della flotta inglese comparsa nel golfo di Napoli per poi stabilirsi in Austria ( su autorizzazione dall’Imperatrice d’Austria ) con il nome di Contessa di Lipona ( anagramma di Napoli ).
La stessa offerta fu fatta dall’Imperatrice a Murat inviandogli anche il passaporto, ma questi rifiutò considerando l’esilio come una prigione volontaria ma sopratutto perchè da uomo ambizioso e di guerra pensava solo a come riconquistare il suo Regno.
Forte di uno sparuto drappello di fedelissimi, senza ascoltare chi tentava di dissuaderlo da quell’assurda avventura, progettò a questo punto un folle ed infelice tentativo di ritorno a Napoli per la riconquista del regno.
Salpò dalla Corsica con sei barche e circa trecento uomini, convinto che molti altri al suo arrivo si sarebbero poi uniti a loro e raggiunge la costa calabra.
Una buona parte della flotta si disperse durante il viaggio ma egli ostinatamente continuò la sua impresa e una volta sbarcato a Pizzo Calabro, cercò contatti amici e uomini da arruolare. Ma la gente fuggiva spaventata al suo arrivo, temendo la vendetta borbonica.
Una volta capita l’indifferenza delle popolazioni, tentò di tornare alle barche per fuggire, ma scoprì che le stesse erano salpate lasciandolo solo sul litorale.
La sua presenza fu segnalata, ed egli una volta individuato fu catturato, processato per direttissima e quindi fucilato.
Morì con dignità rifiutando la benda sugli occhi e comandando il suo plotone di esecuzione avendo tra le mani i ritratti della moglie e dei figli.