La piccola chiesa di Santa Marta si trova tra via Benedetto Croce e via San Sebastiano nel centro storico di Napoli. La chiesa fu costruita per volere di Margherita di Durazzo (madre di re Ladislao) sul finire del Trecento su progetto dell’architetto Andrea Ciccone.

All’epoca era regnante a Napoli Carlo di Durazzo che aveva strappato la corona alla regina Giovanna I d’Angiò. Questi era inizialmente impegnato nella difesa del Regno combattendo tenacemente  contro Luigi d’Angiò che, adottato dalla regina Giovanna, si proclamava suo legittimo erede. Alla morte di Luigi d’Angiò (che fu colpito dalla peste che si diffondeva nel suo esercito), liberatosi del suo primo nemico (il secondo era il papa Urbano VI che lo scomunicò fino alla quarta generazione) egli spostò la sua attenzione su quanto avveniva in Ungheria, la terra dove aveva vissuto tanto tempo e che considerava la sua seconda patria.

Luigi “il grande” era morto lasciando la corona ad una delle sue figlie (Maria) la quale era regina solo di nome in quanto il potere era esercitato dalla vedova Elisabetta, reggente, e dal suo favorito Nicolò di Gara il quale era mal visto e poco sopportato dal popolo e dalla nobiltà. Il vescovo di Zagabria radunò a questo punto la maggior parte della nobiltà e propose di offrire la corona a Carlo di Durazzo che educato e vissuto alla corte ungherese era l’unico in grado di continuare le gesta di Luigi il Grande. La proposta fu approvata e Carlo, affascinato di cingere la corona ungherese, partì per l’Ungheria lasciando la moglie Margherita a curare l’andamento del regno, in qualità di Vicario Generale.

Giunto a Buda obbligò la regina a cedergli il trono e subito dopo cinse la sua fronte con la corona di Santo Stefano realizzando il sogno della sua vita. Purtroppo più tardi Elisabetta assoldò dei sicari che avvelenarono l’ambizioso Carlo.

Alcuni cavalieri del re assassinato portarono la notizia a Napoli proprio mentre si festeggiava l’incoronazione di Carlo a re d’Ungheria. Per Margherita di Durazzo fu un duro colpo. Rimasta vedova, fu costretta a difendere da sola la corona (che apparteneva per eredità al figlio Ladislao ancora minorenne) contro le pretese di Luigi d’Angiò. La  situazione era delicatissima e la notizia diede nuova linfa agli angioini che portarono Luigi II d’Angiò ad attaccare e  conquistare la città.

All’insediarsi di Luigi d’Angiò  nella capitale,  Margherita fu costretta ad imbarcarsi e rifugiarsi a Gaeta.

Ma nemmeno Gaeta risultò essere un luogo sicuro perché,  presso la corte di Gaeta un coppiere, durante un convito, fu persuaso dal vescovo ad avvelenare il bicchiere di Ladislao, erede al trono di Napoli. Fortunatamente il veleno fu somministrato solo in piccole dosi, e il giovane re fu salvo, anche se soffrì di balbuzie tutta la vita. Margherita era allo stremo delle sue forze. I nervi iniziavano a cedere e non aiutò il lugubre dono dei cavalieri fedeli al consorte, gli stessi che portarono la notizia della morte di Carlo: le teste mozzate dei sicari regicidi.

La situazione si capovolse in favore di Margherita quando salì al soglio pontificio Bonifacio IX, che si schierò al fianco della causa della Regina. Ladislao, ormai adulto, in pochi anni riaffermò i suoi diritti al Trono d’Ungheria e nel 1399 rientrò a Napoli, da dove costringeva alla fuga Luigi d’Angiò.

Una volta riconquistato il reame dopo anni di lotte, la regina volle quindi  edificare un luogo sacro in segno di ringraziamento e lo dedicò all’eroina Santa Marta, sorella di Lazzaro la cui vita travagliata le era stata di esempio nelle avversità; inoltre la Santa era molto venerata nella terra natale della sovrana di Napoli, la Provenza, dove secondo la leggenda era giunta miracolosamente su una barca senza timone ed aveva operato vari prodigi.

Inizialmente fu sede di una Confraternita di nobili napoletani che fu in passato, per molto tempo , un punto di riferimento religioso e di mutua assistenza, soprattutto per le classi meno abbienti del popolo napoletano.
La Confraternita nel periodo di maggiore splendore (XV-XVII secolo) annoverò tra i suoi membri i sovrani di Napoli e i nobili di alto rango. Di essa ci rimane il famoso Codice di Santa Marta, oggi nell’Archivio di Stato di Napoli che contiene gli stemmi degli iscritti, tra cui re e regine, finemente miniati su pergamena.

Nel 1647, durante la rivolta di Masaniello, la chiesa fu teatro di violenti tumulti riportando gravi danni; gli spagnoli la occuparono per stanare i rivoltosi, derubandola e distruggendola dandogli fuoco.

Una parte del popolo napoletano, inseguito dalle truppe spagnole  che sotto il comando  di Masaniello  lottava contro le gabelle degli spagnoli  venne infatti a rifugiarsi proprio nella chiesa di Santa Marta .                                                                        La chiesa  divenne la loro roccaforte  e così gli spagnoli furono costretti a salire sul campanile di Santa Chiara per averli a tiro e colpirli .Molti morirono e vennero seppelliti nella chiesa .Poi gli spagnoli forzarono il portone e completarono lo sterminio  .In quella circostanza , durante il conflitto la chiesa venne data alle fiamme  .                                                                                Nella chiesa sono ancora oggi conservati le ossa ed i teschi dei poveri uomini che osarono ribellarsi ai spagnoli . questi vennero messi al muro e brutalmente ammazzati proprio qui dentro la chiesa .                                                                                   Le ossa mostrano i segni di  una avvenuta  violenza con  la presenza di crani spaccati da colpi di bastone e tempie forate da armi posizionate vicino alla testa mentre le pareti intorno ad esse appaiono costellate da fori provocati dai proiettili .           Nel saccheggio e nell’incendio, molte opere purtroppo furono distrutte: andarono in cenere il quadro di S.Lazzaro di Cesare Turco quello della Vergine di Bartolomeo Guelfo di Pistoia, nonché i ritratti della Regina Margherita e Ladislao.                   Dopo l’incendio il Principe della Rocca, cardinale Filomarino, in parte con i propri fondi ed in parte con i fondi dell’Arciconfraternita e di alcuni benefattori, provvide alla sua  ristrutturazione: in tale circostanza fu  decorata da vari pittori tra cui Andrea Vaccaro.
Nel 1715 si ebbe un nuovo restauro ed un altro ancora nel 1800 che cancellarono ogni traccia del periodo barocco di cui ci rimangono solo alcuni dipinti del seicento e settecento.

La facciata risale al XV secolo e presenta delle monofore gotiche e un arco ribassato di stile catalano . All’interno, di grande suggestione, appaiono le numerose teche con statue di santi che popolano la navata. Gli altari e le decorazioni risalgono rispettivamente al XVIII e al XIX secolo.
Sempre all’interno, tra le varie opere, possiamo ammirare il dipinto di San Luca, attribuito a Luca Giordano , il Santa Marta (sull’altare), iniziato da Andrea Vaccaro e terminato dal figlio Nicola, La vergine con Sant’Antonio e il Calvario ( nella cappella) attribuiti alla scuola di Massimo Stanzione, la Vergine con San Giuseppe e San Gennaro, di Ferdinando Sanfelice, la Nascita della Vergine, di Salvatore Giusti, e il piccolo quadro con la Vergine e il Bambino, di Pacecco De Rosa.
Attualmente la chiesa è sede dall’Arciconfraternita degli albergatori di cui la Santa ne è protettrice.

Marta, insieme ai suoi  due fratelli,Maria e Lazzaro, viveva in un piccolo villaggio vicino a Gerusalemme chiamato Betania. Conobbe Gesù in occasione del famoso miracolo operato sul fratello Lazzaro (alzati.. e cammina) che si rialzò dal suo sepolcro.

La leggenda vuole che, dopo la morte e la resurrezione di Gesù, Marta, Maria e Lazzaro lasciassero la loro terra d’origine perché perseguitati per rifugiarsi in Provenza dove raccontando quello che avevano visto e vissuto iniziarono  una convinta opera di evangelizzazione.

Marta, secondo una leggenda medioevale, fu successivamente protagonista di un episodio che la vide sconfiggere un terribile mostro dalla testa di leone e il corpo di tartaruga chiamato Tarasque che devastava seminando terrore numerosi villaggi in Provenza. Con la sola fede e la forza delle preghiere affrontò la terribile creatura che ad ogni Ave Maria recitata diventava sempre più piccola fino a diventare una lucertola.

Santa Marta e il mostro. Alatare con dipinto di Andrea e Nicola Vaccaro.

 

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