A Napoli la liturgia  pasquale prevede  per tradizione che i fedeli vadano a visitare in occasione della settimana santa determinati sepolcri presenti in alcune sue specifiche chiese.

I sepolcri da visitare per antica tradizione dovevano essere almeno tre e sempre in numero dispari .

Questa antica pratica veniva eseguita in passato soprattutto nel tardo pomeriggio del Giovedì, venerdì e sabato  santo,  e rappresentava  uno dei pochi momenti in cui poteva essere presente tutta la famiglia, che all’unisono si dedicava a brevi visite delle chiese.

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La visita  finalizzata alla visita ai sepolcri, presenti in chiese per lo più  raggruppate  lungo il  principale corso cittadino  divenne  con il tempo anche l’occasione per una lunga  passeggiata in cui sfoggiare i migliori abiti  e fare lustro di se in un percoso che venne  detto ‘O struscio.sruscio3

Il termine struscio, risale agli anni del viceregno, quando a Napoli, durante la settimana santa fu imposto, così come era già tradizione in Spagna, il divieto di circolare con cavalli e carri (divieto confinato successivamente poi alla sola via Toledo).
Strusciare letteralmente significa strofinare o trascinare qualcosa per terra, ma può anche significare lisciare, adulare. Di qui si pensa che struscio possa significare adulare i santi, in riferimento alle adorazioni .
Il rituale prevedeva di intrattenersi a pronunciare orazioni in ciascuna di queste chiese, nelle quali per l’occasione i “sepolcri” erano adornati di fiori bianchi e di candele accese.
Secondo un’antica credenza, occorreva fà ‘e ssette chiesielle, cioè visitare sette tra le principali chiese cittadine. In verità, le sette chiese, a cui si fa riferimento, sono: Spirito Santo, San Nicola alla Carità, San Liborio alla Pignasecca, Madonna delle Grazie, Santa Brigida, San Ferdinando di Palazzo e infine San Francesco di Paola; tutte localizzate lungo il tragitto che va da Piazza Dante ( un tempo Largo Mercatello ) fino a Piazza del Plebiscito( gia’ Largo di Palazzo).

Da questo rituale deriva l ‘espressione dialettale “Fà ‘e sette cchiesielle ” che si usa per far riferimento a chi, non avendo altro da fare, ha l’abitudine di gironzolare per le case altrui, per ammazzare il tempo, per inciuciare e per accaparrarsi gratuitamente un caffè.
L’elevato numero di chiese e sepolcri da visitare indusse nei più pigri con il tempo , ad instaurare la consuetudine che i sepolcri da visitare potessero essere pure meno, purché in numero dispari.

La strada  prescelta per la passeggiata nella settimana santa dello struscio era quindi , un tempo, la Via Toledo che  gia di per se , durante l’anno , era una sorta di gigantesco teatro sul quale sfilavano carrozze di tutti i tipi . Era quella strada , in quei tempi  il luogo di una costante gara che vedeva impegnati nobilta’e alta borghesia nell’aggiudicarsi il primato della vettura più bella .
Un bando del vicere’ , stabili’ tuttavia che tre giorni all’anno , dal giovedi’ santo al sabato santo , non si poteva circolare ne in carrozza , ne in galessio , da Porta dello Spirito Santo a Largo Palazzo. Lo scopo era quello di andare a visitare almeno tre chiese e recitare preghiere davanti al sepolcro di Gesu’ che era stato allestito con devoti apparati ( drappi , fiori etc. ) , ovviamente a piedi in un lungo passeggio ‘ lo struscio ‘.
La stessa famiglia reale in pompa magna, con l’intera compagnia delle Real Guardie del Corpo e un corteo di cortigiani al seguito, dopo il vespro del Giovedì Santo, si recava a piedi nelle chiese limitrofe per fare visita ai sepolcri. Presto i napoletani, non solo nobili ma anche borghesi e popolani, cominciarono a imitare la tradizione spagnola importata dal viceré; tuttavia, visto il divieto di circolazione con i carri i , fedeli, che in gran numero osservavano il rito dei sepolcri, erano costretti a circolare a piedi lungo la principale arteria cittadina e visto il gran numero di persone, si procedeva a piedi lentamente quindi strusciando (strisciando) le suole al fondo stradale provocando un rumore detto struscio ed anche le stoffe ancora rigide dei vestiti nuovi indossati per l’occasione, strusciavano tra di loro producendo un suono sommesso.
Le cronache dell’epoca testimoniano che ‘o struscio, oltre ad essere un fenomeno religioso, divenne occasione per mettersi in mostra e farsi vanto del proprio stato sociale
I napoletani , infatti , abili nel trasformare il sacro in profano , conferirono allo struscio un valore mondano.
La nobilta’ tutta sfoggiava in quella circostanza sfarzosi costumi e ricche uniformi ed erano soliti vestirsi pomposamente di velluto nero col soprabito ricco di bottoni d’oro e d’argento
La processione del Giovedì Santo si trasformò presto in un momento dell’anno assai atteso soprattutto dai giovani e dalle donne, poiché cominciò a rappresentare l’occasione per sfoggiare l’abito nuovo; Le Dame adornate con somma gala, portate dentro ricche sedie indorate a mano (essendo vietate le carrozze) giravano quasi tutte le chiese della città con volanti, servi, paggi, e tutta la loro corte, vestiti con le più ricche livree, con estremo lusso, e con le teste artificiosamente accomodate. Ed in tal maniera camminavano la città e visitavano i sepolcri in giorni cotanto sacrosanti, dando qualche scandalo piuttosto che edificazione.
I napoletani seguendo l’esempio , concepirono lo struscio come la festa della primavera , durante la quale non solo la nobiltà’ , ma anche la borghesia , sfoggiava i migliori abiti ; insomma una vera e propria gara di sfarzo ed eleganza .
Lo struscio divenne allora una sorta di gara di sfarzo, al punto tale che, nel 1781, Ferdinando IV di Borbone intervenne per rendere la festività religiosa più austera e mettere freno allo sfaggio di tanta ricchezza ed eleganza ed alle donne fu sovranamente ordinato che andassero semplicemente ornate di veli, e senza dare scandalo .
Durante il regno di Ferdinando , lo struscio assunse dimensioni piu’ modeste ma tuttavia con un certo tono .
Quando la dinastia Borbone cesso’ di regnare la consuetudine decadde , ma il rito resto’.
In quest’epoca si soleva fare una certa distinzione tra quello del giovedi’ e quello del venerdi’ santo .
Il giovedi’ santo vedeva affluire in Via Toledo anche gli abitanti dei quartieri popolari , portando quella nota di gaiezza tipica del popolino.
Il venerdi’ santo invece era riservato alla piu’ raffinata rappresentanza della citta’ , la nobiltà’ autentica .
Altra curiosita’ di quei giorni era la comparsa della paglietta , copricapo estivo fatto di fili di paglia intrecciati . Gli uomini coglievano l’occasione per deporre in quel giorno la bombetta o il cilindro per indossare il cappello estivo che con gesto affettato , veniva tolto al passaggio di una bella donna .
Aitanti ed impettiti gentiluomini indossavano la paglietta, prontamente tolta per ossequiare una bella dama che avanzava strusciando le vesti e i piedi . Le instancabili e “nferrùte” (tremende) mammà partenopee, di ogni estrazione sociale, agghindavano le figliole in età da marito e le accompagnavano in un interminabile struscio nella speranza di accasarle.Quella via si trasformava cosi’ in un salotto dove gli innamorati erano certi di incontrarsi e le dame incrociando i vari cavalieri mostravano tutta la loro maestria nello ‘ strusciare ‘ sul lastricato di Via Toledo , i loro delicati piedini .

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