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Nato a Napoli nel 1959, cresciuto nel quartiere Vomero, Siani mostrò fin da giovane una forte attenzione per i temi sociali. Dopo il liceo classico al “Giovanbattista Vico” che  frequentò con ottimo profitto,  si iscrisse alla facoltà di Sociologia e iniziò a collaboare  per alcune testate giornalistiche locali, mostrando sempre spiccato interesse per le problematiche sociali del disagio e dell’emarginazione, individuando in quella fascia il principale serbatoio della manovalanza della criminalita’ organizzata, “la camorra”.

Egli inizio’ ad analizzare prima il fenomeno sociale della criminalita’ per interessarsi dell’evoluzione delinquenziale delle diverse “famiglie camorristiche”, calandosi nello specifico dei singoli individui. Fu questo periodo che contrassegno’ il suo passaggio dapprima al periodico “osservatorio sulla camorra” rivista a carattere socio-informativo, diretta da Amato Lamberti e successivamente al quotidiano “Il Mattino”, come corrispondente da Torre Annunziata presso la sede distaccata di Castellammare di Stabia, dove si occupò come corrispondente di cronaca nera e giudiziaria degli illeciti traffici della camorra.

In quel contesto, Siani scelse di non limitarsi alla superficie dei fatti, ma di andare a fondo, indagando le connessioni tra clan, appalti, amministrazione pubblica e malaffare. Una scelta scomoda, in un’epoca in cui parlare apertamente di camorra significava esporsi a rischi reali.

 Siani sottovalutando il rischio , continuò imperterrito a scrivere nella redazione che frequentava  i suoi taglienti articoli che narravano dei rapporti e delle  gerarchie delle famiglie camorristiche che controllavano Torre Annunziata e dintorni.
Lavorando come corrispondente da Torre Annunziata per “Il Mattino”,egli pur non essendo un corrispondente ufficilale ma solo  un precario  della famosa testata giornalistica napoletana   denunciava le attività criminali della camorra e la sua infiltrazione in politica.

I suoi scomodi articoli anti- camorra in redazione, nonostante il suo ruolo di precario,  erano ben  accettati, non soltanto perche’ si sapeva che di lì a qualche tempo il Direttore avrebbe firmato la lettera d’assunzione, ma perchè Giancarlo si faceva accettare per il suo modo di essere allegro, gioviale, sempre disponibile, sempre pronto ad avere una parola per chiunque, di conforto o di sprone, nella gioia come nella tristezza. Comunque le voci giravano: si sapeva che era soltanto questione di pochi mesi, un anno al massimo e Giancarlo sarebbe stato assunto.

Fu in questo lasso di tempo che Siani scese molto in profondita’ nella realta’ torrese senza tralasciare alcun aspetto, compreso e forse soprattutto quello criminale, che anzi approfondi’ con inchieste sul contrabbando di sigarette e sull’espansione dell’impero economico del boss locale, Valentino Gionta.
Un’esperienza che lo fece diventare fulcro dei primi e temerari movimenti del fronte anticamorra che sorgevano.

Occupa spesso di cronaca nera e di camorra, il giovane giornalista ,  ricostruì in poco tempo molte delle relazioni tra famiglie delleconsorterie criminali, i loro affari, i loro legami.

Come semplice” precario ”  giornalista del Mattino, egli  riescì a rintracciare gli interessi della camorra nella ricostruzione successiva al terremoto avvenuto in Irpinia nel 1980, irritando
significativamente i boss del clan Gionta.

Divenne in qualità di promotore di iniziative e firmatario di manifesti d’ impegno sia civile che democratico, una realta’ scomoda a Torre Annunziata per chi navigava nelle acque torbide del crimine organizzato e  d’incoraggiamento per chi aveva una coscienza civile, ma non aveva il coraggio per urlare.
Lui, invece, urlava con i suoi articoli, urlava con umilta’, ma paradossalmente riusciva ad insinuarsi. Aveva capito che la camorra s’era infiltrata nella vita politica, della quale riusciva a regolare ritmi decisionali ed elezioni.

Nel giugno del 1985, in un articolo, egli alza il tiro e nelle sue  righe, il giornalista decise di rivelare a tutti  i retroscena dell’arresto del boss Valentino Gionta, suggerendo che fosse stato tradito dagli stessi alleati per interessi interni ai clan.. Nel suo articolo Siani affermò che il clan dei Nuvoletta, alleato dei Corleonesi di Totò Riina, e il clan Bardellino, esponenti della “Nuova Famiglia”, avevano deciso di  spodestare e vendere alla polizia il boss Valentino Gionta, divenuto un personaggio scomodo.

N.B. Secondo quanto scritto da Siani, i carabinieri erano riusciti ad arrestare Valentino Gionta, boss di Torre Annunziata e  alleato del potente boss Lorenzo Nuvoletta  , amico e referente in Campania della mafia vincente di Toto’ Riina solo per volere dello stesso 
Nuvoletta che al fine di far scoppiare una guerra senza quartiere per soddisfare le richieste di un altro potente boss camorristico con il quale Gionta era entrato in contrasto , decise di eliminare quest’ultimo ma poichè  Nuvoletta  non voleva tradire l’onore di mafioso, facendo uccidere un alleato, lo fece arrestare, facendo arrivare da un suo affiliato una soffiata ai carabinieri. Siani venne a conoscenza di questo particolare da un suo amico capitano dei carabinieri e lo scrisse, provocando le ire dei camorristi di Torre Annunziata.

CURIOSITA’:Secondo quanto successivamente rivelato dai collaboratori di giustizia, l’arresto di Gionta è stato il prezzo che i Nuvoletta hanno pagato al boss Bardellino per ottenerne un patto di non belligeranza.

A questo punto per  non perdere la faccia con i suoi alleati di Torre Annunziata, Lorenzo Nuvoletta, con il beneplacito di Riina, decretò la morte di Siani.
L’ organizzazione del delitto richiese circa tre mesi, durante i quali Siani continuo’ con sempre maggior vigore la propria attivita’ giornalistica di denuncia delle malefatte dei camorristi e dei politici loro alleati, proprio nel momento in cui piovevano in Campania i miliardi per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto del 1980.

N.B. Questa e’ la verita’ giudiziaria dimostrata dagli inquirenti 8 anni dopo il delitto, con la collaborazione di alcuni pentiti e confermata per tutti gli imputati, (con la sola eccezione del boss Valentino Gionta,) nei tre gradi di giudizio con una serie d’ergastoli.

Le rivelazioni ottenute dal giovane giornalista inducono la camorra a sbarazzarsi di lui. I capiclan Lorenzo ed Angelo Nuvoletta tengono, allora, numerosi summit per decidere in che modo eliminarlo. La sentenza: Siani deve essere ucciso lontano da Torre Annunziata per depistare le indagini.

Accade così che la sera del 23 settembre, a soli 26 anni, Giancarlo Siani venne  ucciso con dieci colpi di pistola , sotto casa sua, mentre stava rientrando a casa a bordo della sua Citroën Méhari, nel quartiere Vomero. L’agguato fu ordinato da esponenti dei clan Nuvoletta e Gionta, con l’obiettivo di “dare una lezione” a chi osa raccontare troppo.

N.B.Il giorno della sua morte Giancarlo telefona all’ex-direttore dell’Osservatorio, Amato Lamberti, chiedendogli un incontro per parlare di cose che “è meglio dire a voce”. Non si è però mai saputo di cosa si trattasse e se Giancarlo avesse iniziato a temere per la sua incolumità.

Aveva da poco presentato domanda per diventare giornalista professionista. Non fece in tempo a ricevere il tesserino.

Per anni, l’omicidio restò impunito. Solo nel 1997, grazie alle testimonianze di collaboratori di giustizia, si arrivò a identificare mandanti ed esecutori, poi condannati all’ergastolo.

N.B. :Per chiarire i motivi che hanno determinato la sua morte e identificare mandanti ed esecutori materiali sono stati necessari 12 anni e 3 pentiti.

Ma il significato storico di quel delitto andava ben oltre le responsabilità individuali: segnava un punto di non ritorno nel rapporto tra informazione e potere criminale in Italia.

Giancarlo,pur essendo un giovane giornalista precario, pagato a pezzo,  e senza ancora nessuna garanzia reale di occupazione futura a tempo indetrminato,  sapeva che l’unico modo per diventare giornalista era lavorare sodo, studiare, informarsi, andare sul
posto…

Giancarlo rappresenta il simbolo di tutti i giovani precari di oggi e sopratutto di quelli legati
all’informazione… egli era una voce fuori dal coro, che allora come oggi, senza nessuna tutela e garanzie , raccontano le notizie più scomode e scarpinano per trovarle…

Egli  rappresenta un caso emblematico di giornalismo civile: un lavoro fatto senza tutele, ma con precisione, metodo e responsabilità. Il suo contributo resta oggi un riferimento per chiunque creda che informare non sia solo un mestiere, ma un dovere pubblico, anche — e soprattutto — nei contesti più esposti a rischio.

Egli era uno che si muoveva con rigore professionale e spirito critico. I suoi articoli non erano retorici né militanti: erano frutto di indagini, verifica delle fonti e ricostruzione dei fatti. Aveva compreso  in tempi in cui parlarne era considerato pericoloso  che camorra, politica e impresa non erano mondi separati, ma convergenti.

Giancarlo Siani riusciva ad andare, nei suoi articoli, al di là del dato di cronaca e provava a ricostruire gli scenari di camorra, gli equilibri di potere.  Il suo era un giornalismo fondato sull’analisi della camorra come fenomenologia di potere e non come fenomeno criminale. Fare congetture,

Con strumenti limitati ma metodo solido, aveva toccato nodi strutturali dell’economia criminale campana, ben prima che questi diventassero oggetto di attenzione mediatica o giudiziaria.

Oggi, il nome di Giancarlo Siani è sinonimo di giornalismo etico, impegno civile, coraggio. A lui sono intitolate scuole, strade, associazioni e premi dedicati alla libertà di stampa.

l valore di questo giovane giornalista, non è solo nella memoria: è nella pratica quotidiana di chi continua a credere che il giornalismo debba andare oltre la superficie, anche in contesti difficili. È nella scelta di non voltarsi dall’altra parte, anche quando raccontare significa esporsi.

Un grande esempio per tutti in un’epoca in cui l’informazione è spesso rapida, superficiale e omologata, la figura di Giancarlo Siani rappresenta un monito e un modello. Non era un eroe solitario, ma un professionista serio, curioso, determinato. Credeva che il giornalismo dovesse essere servizio pubblico. E per questo ha pagato con la vita.

Ricordare Giancarlo Siani significa ricordare che la verità ha un prezzo, ma anche che esistono persone disposte a pagarlo. A distanza di quarant’anni, la sua storia ci riguarda ancora. Perché ogni società democratica ha bisogno di voci libere. E perché il silenzio, da solo, non protegge nessuno.

La sua morte fu un segnale chiaro di quanto la libertà d’informazione potesse rappresentare una minaccia per il sistema di potere territoriale basato sul silenzio e sulla complicità.

A Giancarlo Siani sono oggi intitolate scuole, strade, biblioteche e addirittura un enorme Murales a Casoria reakizzati da Jorit.

Il film “Fortapàsc” di Marco Risi ne ha raccontato la vicenda con rigore cinematografico, e numerose pubblicazioni  tra ci piace ricordare  il volume “Fatti di camorra” che raccoglie molti dei  suoi articoli più significativi. Ma la sua memoria non deve essere confinata a un racconto commemorativo, perchè Siani nelle nostre coscienza deve sopratutto rapprentare qualcosa di attuale.

Nel corso della prima edizione del Festival Internazionale di Giornalismo
Civile…Efraim Medina Reyes, scrittore colombiano, ha detto: “Colui che ordinò
di uccidere Siani voleva cancellare il suo volto e la sua voce per sempre.
L’unica risposta che possiamo dare a questo crimine atroce è mantenere vivo
il suo ricordo. Dimenticandolo diventiamo il suo assassino”.
Noi non dimentichiamo e ci siamo battuti con tutte le nostre forze…per tenere
vivo il ricordo di Giancarlo…
…Noi vi chiediamo di non dimenticare e di provare, come Giancarlo…a
cambiare questa città, questa Italia. Dipende anche da noi…dalla nostra
capacità di rispettare le regole, tutte le regole…In fondo non ci vuole molto…

 

 

 

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