La nostra città fondata dai greci e per lungo tempo indottrinata dai suoi culti e dal loro modo filosofico e sociale di pensare ha da sempre adottato quella benevola  filosofia che il mondo ellenico aveva  con la morte.

Per loro  il regno dei morti non si estendeva nello spazio compreso tra la terra e la luna .Esso era inteso come ubicato in quel punto dove  il sole al tramonto scomparendo sotto l’ orizzonte sembrava scendere sottoterra e diventare quindi invisibile a tutti . Esso non era quindi collocato realmente nelle visceri della terra , ma considerato sotterraneo solo perché invisibile agli occhi .

Per l’antico mondo greco, le anime , una volta lasciato il corpo tendono a raggiungere la Luna , Signora della vita e della morte , ma prima di poter giungere sulla superficie lunare sono destinate a vagare nelle spazio fra la terra e la luna e solo in occasione delle eclissi quando l’ombra della terra tocca quella della luna , esse , oramai purificate possono essere accolte sulla luna . Dopo un’ulteriore purificazione le anime elette , possono finalmente poi proseguire il loro viaggio verso il cielo attraverso la via lattea che appare appunto come un cerchio di uno splendore abbagliante perché e’ il luogo dove soggiornano le anime beate .
Questo tipo di culto relativo ala morte conteneva alla sua base la certezza  che l’essere umano con la sua morte non cessi di esistere .Egli perde solo la sua parte materiale terrena , cioè il corpo ma non la sua anima che e’ al contrario immortale .
Il corpo, in questo modo rappresenta il solo contenitore di  qualcosa di astrale ed invisibile che sopravvive alla sua morte e al suo deterioramento .
L’esistenza di queste  dottrine per secoli ha tolto alla morte la sua drammaticità consentendo di affrontare con maggiore serenità agli uomini il momento del distacco dalla vita terrena al proprio corpo ed i vari culti misterici susseguitisi avevano quasi tutti in comune la certezza dell’immortalità dell’anima , che si prodigavano di trasmettere agli iniziati .
Tutto questo ha portato nel corso dei secoli in molte civiltà  , sopratutto quella ellenica , la convinzione che l’esistenza di un individuo possa proseguire dopo la sua morte e addirittura esserci la possibilità di instaurare un contatto ed  un rapporto tra il mondo dei vivi e quello dei morti . Al regno dei morti  vi si poteva infatti anche accedere da vivi e il suo ingresso  si trovava nei pressi del nostro Lago d’Averno ,come ci racconta Omero a proposito di Enea che giunto finalmente in Italia, a Cuma, si recò nell’antro della Sibilla, profetessa del dio Apollo e custode degli Inferi, alla quale chiese il permesso di scendere nelle profondità dell’Averno, per incontrare il padre Anchise. Egli una volta ottenuto il consenso della Sibilla e aver compiuto i sacrifici in onore degli dèi inferi, Enea intraprende finalmente la sua catabasi sotto la scorta della profetessa.

N.B.Su una delle rive dell’Averno, inoltre, vi era anche un boschetto consacrato ad Ecate, dove le persone si recavano per interrogare gli spiriti dei defunti sul proprio futuro.

Tutto questo rappresenta la base e la vera unica spiegazione di quella devozione popolare che da sempre ha caratterizzato il popolo napoletano per le anime del purgatorio. Esse rappresentano infatti ancora oggi per molte persone del popolo  quelle anime che dovendosi ancora purificare si trovano ancora in uno stato intermedio ( definito purgatorio dalla religione cristiana ) perché prigioniere del peso delle loro colpe , dei loro rimorsi e dei loro rimpianti .Esse sono ancora in attesa di distaccarsi da ciò che ancora le tiene legate alla materia e alla passata esperienza terrena .

La citta’ ha quindi come vedete sempre avuto un forte rapporto con i morti e in particolare con le anime del Purgatorio ed il loro culto , grazie sopratutto a quella cultura a noi tramandato dal mondo ellenico.

N.B, Nella nostra città i luoghi emblemi di questo speciale rapporto sono il celebre cimitero delle fontanelle , situato nel Rione Sanita’,  e le cripte di alcune chiese cittadine come la Chiesa di S. Maria del Purgatorio in via Tribunali, la chiesa diSan Pietro ad Aram , quella di Sant’Agostino alla Zecca  o quella di San Gaudioso. In questi luoghi da sempre si è praticato per secoli  il culto delle anime del purgatorio rivolto sopratutto alle anima abbandonate o pezzentelle , ovvero a dei morti la cui identità e’ sconosciuta. Questo culto e’ è una porta rituale tra il mondo dei vivi e dei morti: i morti chiedono ai vivi una preghiera e i vivi, perlopiù donne, si rivolgono alle anime abbandonate che fanno da tramite tra la vita terrena e quella ultraterrena

 

Il limite tra la fede e la superstizione è ovviamente molto sottile, ma i devoti sentono più vicini a loro le anime pezzentelle di umili origini nelle quali ritrovano comuni miserie, sofferenze e solitudini. L’adottante sceglieva una capuzzella, la puliva e la lucidava, la poneva su un fazzoletto ricamato ed infine, durante visite periodiche, le offriva lumini, fiori e preghiere “A refrische ‘e ll’anime d’o priatorio”. Poi la circondava con un rosario e la adagiava su un cuscino, ornato di pizzi e ricami . Solo dopo questo rituale pare che l’anima purgante apparisse in sogno , richiedendo “refrisco” ( cioè preghiere e cure per essere sollevata dalla sofferenza) e svelando la sua storia personale. Se la capuzzella iniziava a sudare, significava che si stava adoprando per intercessioni a favore del devoto o per concedergli la grazia . In realtà l’alto tasso di umidità della cava ancor oggi provoca la formazione di gocce di condensa sui teschi, facendoli sembrare sudati. A questo punto l’animella entrava a fare parte della famiglia e veniva custodita in un tempietto di marmo o di legno, in una teca di vetro, a volte pure in una semplice scatola metallica di biscotti , sui quali si incidevano il nome dell’adottante e l’anno di ricevimento della grazia. Se però non venivano esaudite le richieste, quali guarigioni, matrimoni, vincite al lotto, il devoto poteva rimpiazzare la capuzzella con un’altra, nella speranza che si rivelasse più benevola. Se il teschio non sudava, significava che l’anima pezzentella era in uno stato di sofferenza ed impossibilitata ad elargire grazie, quindi bisognava confidare in entità celesti più potenti.
A queste anime pezzentelle , bisognose di cure e preghiere si poteva chiedere di tutto anche cose piccole piccole e poco “mistiche” come vincere una lotteria .

Ma e’ proprio la grazia la vera grande filosofia napoletana , poichè nella sua concezione egli ritiene che le anime dei morti svolgono un ruolo importante in quanto possono influire sull’ esistenza dei vivi .

Tutto questo rientra nella grande filosofia del popolo napoletano che con pari disinvoltura mostra una esuberante confidenza con la vita e una grande familiarità con la morte e con l’Aldila .
Le anime dei morti , infatti ,vengono viste come entità spirituali a cui potersi rivolgere con familiarità ma anche con dovuto rispetto per chiedere grazie ed intercessioni , nonchè per ottenere guarigioni , vincite al lotto ed altri favori , per cui esse vanno venerate quasi allo stesso modo dei santi ( la chiesa ad un certo punto preoccupata scese in campo e ne abolì il culto ).

Visitare i luoghi di culto popolare consente di esplorare il mistero, ove si confondono riti sacri e profani, religione e magia. L’iniziale incredulità o scetticismo svaniscono man mano che nel rituale delle anime pezzentelle si riconoscono un generale bisogno di essere ascoltati per ricevere conforto e sollievo, di ascoltarsi nel raccoglimento di una preghiera, per gli altri e per se stessi, di trovare conferme di protezione nei meandri della fede o della suggestione superstiziosa.

cimitero-2Questo culto così particolare non solo è una sorta di misericordiosa alleanza e complice intesa tra i poveri vivi e i poveri morti per un aiuto reciproco, ma anche un’occasione per riflettere sull’aldilà attraverso il simbolo dei teschi.cimitero-7

Ma vi siete chiesti perche mai adottare solo il teschio invece di un’altra qualsiasi ossa? cimitero

Partiamo con il dire che si tratta in genere di alcuni resti di anonime persone morte di epidemie e pestilenze che nel corso dei secoli ha sconvolto la nostra città ma che spesso nella fantasia popolare erano persone sconosciute morte in miseria o in maniera violenta giustiziati o meglio ancora se decapitati .
Il culto di adottare il cranio e non altre ossa del defunto nasce  come in tutte le culture arcaiche dal fatto che il cranio e’ sempre stato considerato il resto corporeo più importante . Esso infatti ha sempre rappresentato in queste culture la sede del pensiero , della memoria e del potere personale del defunto ovvero la sua vera personalità .
Non dimentichiamo infatti che molti popoli  usavano in passato conservare le teste dei nemici uccisi in battaglia non tanto per considerarle come semplici trofei ma piuttosto come strumento per accrescere il potere personale .Questo perché il possesso del teschio consentiva la capacità di assorbire il valore ed  il potere dell’anime di quell’individuo in vita .
Il culto di queste anime purganti a Napoli si esprimeva quindi proprio attraverso la parte più importante in vita di quell’individuo , quella che conservava ancora un certo potere e che addirittura era aumentato con il divenire della morte ,
Il defunto infatti , trovandosi in una condizione incorporea e non più limitato dalle leggi spazio-temporali proprie della realtà materiale e’ ora in grado anche di prevedere il futuro , di conoscere cose nascoste ed in qualche caso addirittura di intervenire nelle vicende umane .
E ‘ quindi in assoluto la parte migliore del corpo di un defunto con cui intrattenere un vero e proprio rapporto e a cui rivolgersi per un aiuto o sostegno ,
A lui e ‘ possibile chiedere ed  ottenere grazie e previsioni per il futuro e magari ottenere in sogno qualche numero vincente al lotto .
I sogni sono infatti sempre stati fin dai tempi degli oracoli una delle condizioni più idonee ad ottenere delle risposte e delle comunicazioni con figure  di altre dimensioni siano essi degli Dei , dei Santi o anime di defunti .
Rappresentando il principale tipo  di comunicazione fra i vivi ed i morti , questo sistema , nasconde comunque un altro tipo di problema . Accade infatti spesso che i messaggi avvenuti in sogno siano poco chiari , oscuri o espressi in forme criptiche e simboliche .
Nel mondo antico , questa interpretazione di messaggi e previsioni spettava per competenza a sacerdoti ed oracoli oppure a maghi ed indovini . Essi dotati di forte ispirazione erano in grado di decodificare strani sogni e simboli dando un senso logico e profetico al messaggio divino  .
I più autorevoli personaggi in tal senso furono per quasi oltre un millennio gli  oracoli greci e tra questi l’oracolo più famoso fu quello di Apollo a Delfi, che si trovava in prossimita’ di una struttura di forma grosso modo conica detta omphalos (ombelico) che si credeva segnasse il centro della Terra.

Esso era visitato da circa 35.000 persone al giorno che approdavano al sito da ogni parte del Mediterraneo . Questi si sottoponevano ai procedimenti di purificazione alla fonte Castalia facendo offerte ad Apollo ed ad altri Dei mentre salivano per la Via Sacra  (costeggiata da circa 4000 statuette votive ), il monte Parnaso sino al tempio dell’Oracolo.
In questo luogo presiedeva per tutti i giorni dell’anno, una sacerdotessa spesso seduta su un tripode aureo  ( considerato il sedile rituale di Apollo ) oppure semplicemente posizionata in piedi all’ingresso della caverna .
Essa posseduta dal  Dio , rappresentava la voce di Apollo che parlando attraverso la sua sacerdotessa era capace di dare responsi rispondendo alle domande di re o di uomini comuni impartendo ordini circa i siti dove stabilire nuove colonie (come fece per l’attuale Istambul e Napoli ), decretava quali nazioni fossero amiche, quali leggi imporre, quali fossero le cause di epidemie o di carestie, quali fossero i nuovi culti o le forme commerciali o musicali o artistiche migliori.La sacerdotessa prima di stabilire il contatto col Dio si bagnava in una fonte sacra, bevendo alla sua acqua limpida. Il contatto veniva poi stabilito  tenendo in mano un ramo di alloro .
Dopo aver inalato il fumo di foglie di alloro bruciate  o forse addirittura masticate , incominciavano a dare ininterrottamente  risposte alle varie domande  in maniera immediata e senza alcuna pausa  riflessiva parlando con la bocca delirante e con vari contorcimenti del corpo .
Le sacerdotesse erano in genere semplici ragazze di campagna senza alcun requisito particolare e le trances in cui cadevano , sarebbero secondo recenti studi state invece reali e indotte dai vapori che salivano da una sorta di solfatara al di sotto del pavimento della caverna.

Secondo un’altra ipotesi invece nell’alloro potrebbero essere presenti sostanze allucinogene .
In altri oracoli , le pizie per allucinazione , sentivano invece la voce degli Dei nel vento che frusciava fra le sue foglie di un’ enorme quercia sacra ( oracolo di Zeus a Dodona ) .
Altri oracoli  ,certamente in possesso di doti eccezionali ma sprovvisti di qualsiasi veste istituzionale,  sentendo di essere possedute da un dio , vivevano in solitudine, in venerati santuari di montagna che erano stati costruiti appositamente per loro, o in caverne tufacee sotterranee in prossimita’ del mare o laghi , come la grande Sibilla Cumana.
Ad esse come agli oracoli di famose sacerdotesse , veniva chiesto di prendere decisioni su questioni di varia importanza . Le loro risposte erano cosi’ pervase di fervore morale che persino i primi Padri della Chiesa e gli ebrei ellenistici si inchinarono ad esse come a profetesse di livello pari a quello dei profeti dell’Antico Testamento. La Chiesa cristiana antica, in particolare, ne uso’ le profezie (spesso dei falsi) per dare un sostegno alla propria autenticita’ divina. Ancora un millennio dopo, in Vaticano, quattro sibille furono dipinte in posizioni prominenti, sul soffitto della Cappella Sistina, da Michelangelo.

Anche nella nostra città, nella tradizione popolare napoletana molte persone hanno da sempre  avuto  un rapporto privilegiato nel contatto con gli spiriti deli defunti ed altre entità del mondo invisibile .
In primo luogo i cosiddetti “ assistiti “ variamente definiti come “ Santoni o Diavulilli “ a seconda della natura degli spiriti con cui sono in contatto o dai quali sono posseduti .
Questi assistiti a Napoli per tradizione devono essere sempre e soli 72 , un numero molto importante nelle tradizioni esoteriche sopratutto se rapportato alla dottrina dei cicli Cosmici .
Il numero 72 e ‘ infatti l’ unità di misura per i calcoli relativi alla precessione degli equinozi e , quindi , al succedersi dei Cicli dell’ umanità .
Nella cabala ebraica esistono 72 nomi divini e 72 nomi angelici e 72 sono gli spiriti elencati in un famoso gesto di magia in circolazione gin dal medioevo  chiamato  Clavicole di Salomone .
Ma il numero 72 e’ anche uno dei simboli fondamentali della tradizione esoterica magica che appare ben presente anche nella composizione del Pentagono stellato .
Il numero 72 divide infatti la circonferenza in cinque parti uguali e gli angoli del pentagono regolare che si viene a formare misurano giusto 72 gradi .
Questi “ assistiti “ sono persone che in genere fin dalla loro adolescenza , manifestano una marcata “ diversità “ , un aspetto emaciato , un singolare modo di esprimersi  e degli atteggiamenti eccentrici e bizzarri .
Questa diversità e’ il segno di una sorta di vocazione che viene a svilupparsi dopo la pubertà  in seguito ad una malattia o in seguito ad una profonda crisi .
Esse in seguito a questo evento , sembra che sviluppino secondo credenza popolare , dei poteri magici entrando in contatto con delle entità sovrannaturali .
Nel caso degli ‘ assistiti “ napoletani , questi poteri acquisiti sono sopratutto di preveggenza , e sono volti in genere , quasi esclusivamente ad indovinare i numeri al lotto.
A tal proposito mi sembra giusto ricordare che il numero 72 al lotto secondo la cabala numerica significa “ la meraviglia “ che esprime proprio l’ attonito stupore di chi si trovi improvvisamente in contatto con una manifestazione soprannaturale .
Oltre che agli assistiti , una certa familiarità con i numeri ed eventualmente anche con il mondo degli spiriti a Napoli e’ sempre stata attribuita anche a personaggi come il Monaco , l’eremita , il venditore ambulante della smorfia ed infine ai cosiddetti “ Femminielli “ , persone caratterizzate da una natura “ ambivalente o intermedia “  e quindi particolarmente adatta alla mediazione fra livelli di realtà diversi .
Egli assumendo un ruolo quasi sacerdotale , ha rappresentato nel corso dei secoli la voce degli Dei e degli spiriti a noi vicini .
Non a caso  i sacerdoti di Cibele, così come i ministri del culto della Madre nell’area mediterranea, erano eunuchi. In loro e solo in loro, gli dei trovavano il tramite per far ascoltare ai devoti la loro voce. E quei riti, finalizzati alla fecondità e alla sua celebrazione, erano sottratti a ogni regola del vivere quotidiano secondo la regola del tempo di ferie relativo alla celebrazione dei Saturnalia il cui esempio e’ ancora vivo nel  pellegrinaggio in Irpinia della muta dei femmineilli  a Montevergine .
I Saturnalia era un periodo di feste che ai tempi degli antichi  romani si tenevano alla
fine di ogni dicembre per una settimana ( tra il 17 ed il 24 dicembre ) ,
Essi festeggiavano la figura di Saturno, il dio dell’Età dell’Oro la cui ultima dimora secondo la leggenda fu proprio il Lazio.
Per onorare il dio, poi sovrapposto sincreticamente al ‘greco’ Crono, padre e nemico di Zeus-Giove, si svolgevano le feste a lui dedicate secondo lo strano copione  di svolgere durante tutto il periodo della ferie il contrario di quanto fatto in maniera ordinaria .
Durante quei giorni, la gente si scambiava i ruoli: ad esempio i padroni servivano gli schiavi.
A capo di tutto il senso della festa, vi era la sospensione del tempo ordinario e l’entrata in un tempo diverso, differente e, sopratutto capovolto rispetto a quello quotidiano. Perciò si onorava il dio lasciando la consueta dimensione umana, entrando nel tempo di ferie.
La continenza nel mangiare e nel bere, perciò, poteva (e doveva) essere accantonata. Il rispetto delle convenzioni sociali andava immediatamente sospeso, capovolgendo i diritti e doveri di casta: un modo eccezionale, questo, per lasciar sfiatare e decantare l’otre delle tensioni e curare l’armonia tra le componenti delle comunità.
Tra le cose vietate che rientravano in quelle lecite al tempo dei Saturnalia c’era il gioco d’azzardo. Perciò a dicembre si poteva, onorando piamente il dio, facendo quello   che in altri mesi era considerato quantomeno disdiscevole.
Il gioco d’azzardo fortemente proibito durante il resto dell’anno, era originariamente un atto rituale in stretta connessione con la funzione rinnovatrice di Saturno il quale distribuiva le sorti agli uomini per il nuovo anno; sicché la fortuna del giocatore non era dovuta al caso ma al volere della divinità”.
Ma non è tutto perché il gioco, come in (quasi) tutte le culture della storia, nasce come pratica religiosa se non addirittura magica e finisce, poi, per diventare una pratica (quando non un vizio) umana come accaduto a Napoli dove la tradizione  che, oggi, sopravvive legata alla divinizzazione e al culto della Cabala nella tombola di ogni natale napoletano viene vista come la rievocazione delle  antiche feste  dedicate a Saturno .
Il funzionamento del gioco è noto a tutti . Chi tiene il banco, anzi il cartellone, estrae dal panariello i numeri che i giocatori cercano sulle cartelle che hanno acquistato prima che l’estrazione abbia inizio.
Chi sarà fortunato, centrerà i premi: l’ambo (due numeri usciti tra quelli segnati sulla stessa riga), il terno, la quaterna, la cinquina fino all’ambitissima tombola. Nella versione che si è imposta nel corso del tempo, chi regge il tabellone partecipa egli stesso al gioco.
Ma ogni numero ha sempre avuto un suo misterioso significato ad esso correlato e per svelare questi misteri  serviva un interprete . Qualcuno che proprio perché “ ambivalente o intermedia “  avesse una mano guidata dagli Dei ed essere nello stesso tempo  capace di parlare con persone defunte .
Un sacerdote di antichi oracoli …. capace al momento stesso di svelare significati nascosti dietro a eventi accaduti nella vita quotidiana o legati ad episodi particolari .. ma anche capace , su richiesta , di trarre dai vari sogni i corrispondenti numeri da giocare al lotto .
Il  “femminéllo”, in quanto maschio omosessuale con espressività marcatamente femminile era ed e’ ancora oggi , la figura che meglio si adattava a questo ruolo divenendo in questo modo un’identità culturale e sociale molto peculiare e storicamente ancorata nel tessuto urbano napoletano.
’Il ruolo sacerdotale del “femminiello”, quale voce degli dei o del mondo ultraterreno divenne quindi sacra e rispettabile . Essa era ed e’ ancora oggi la figura che che distruibisce le sorti per l’anno nuovo tramite le famose tombole “scostumate”, che punteggiano il Natale culturale a Napoli e dintorni.
La sua figura ha infatti sempre goduto nella tradizione campana, una posizione relativamente privilegiata grazie alla anche alla sua partecipazione ad alcune manifestazioni folkloristiche a volte anche di ambito religioso come la “Candelora al Santuario di Montevergine ad Avellino” oppure la “Tammurriata” alla festa della Madonna dell’Arco.
In queste si celebra una famosa  leggenda, risalente al XIII secolo, che racconta dell’ intervento miracoloso della  Madonna per liberare due amanti omosessuali, legati a un albero tra lastre di ghiaccio.
Da allora essi si recano in pellegrinaggio per chiedere la benedizione di Mamma Schiavona.
Il  “femminéllo”, nonostante il trucco pesante, l’abbigliamento non propriamente raffinato, le movenze e le tonalità caricaturali,  è una figura molto rispettata nella nostra città , sopratutto nei quartieri popolari ,  dove il terzo sesso è sempre stato non solo tollerato ma rispettato nel suo ruolo e mostrato senza pudore.
Egli facendo parte del tessuto sociale cittadino e’ addirittura considerato una persona che porta fortuna. Per questa ragione è invalso l’uso (sempre nei quartieri popolari) di mettergli in braccio il bimbo appena nato e scattargli la foto; oppure farlo partecipare a giochi di società quali la tombola.
La popolarità di cui gode ha sempre fatto sì che la sua presenza fosse necessaria in alcune manifestazioni tradizionali, tra queste, la più conosciuta è la tombola Vajassa (detta scostumata) in cui la figura del Femminiello è deputata all’estrazione del numero come portafortuna nella buona riuscita del gioco natalizio.
La  rituale estrazione dei numeri della Tombola costituisce senz’altro una delle più caratteristica espressioni della tradizione popolare napoletana . In questa , Il panariello spinto dalla mano degli dei  o chi per esso , esprime attraverso la figura del femminiello che, a sua volta, utilizza il codice della Smorfia, e la storie dai numeri che escono .
Nei quartieri popolari di Napoli esiste addirittura la tradizione che ad alcune tombolate  , chiamate  “ Tombola Vajassa” , possano partecipare esclusivamente donne e/o femminielli.
Il gioco avviene generalmente in un “basso”, e possono assistervi degli uomini purché essi restino rigorosamente alla porta o a guardare dalla finestra senza accedere in alcun modo nella stanza dove si svolge la tombola ( oggi comunque in alcune Tombole Vajassa possono partecipare anche gli uomini ).
Il gioco procede in modo rumoroso, sboccato, canzonatorio.
Generalmente è il femminiello che tira a sorte i numeri proclamandoli ad alta voce secondo il significato della smorfia napoletana .
Il numero sorteggiato può anche non essere annunciato in modo palese; infatti, basandosi sulla smorfia napoletana, al posto del numero egli può semplicemente dire il suo significato più diffuso e risaputo, che i presenti immancabilmente conoscono ed intendono.
Il divertimento della tombolata con i femminielli è dato proprio dalla “smorfia”: infatti, man mano che i numeri escono, il femmenèlla concatena in una sequenza logica e cronologica i relativi significati, creando una storia che si forma dalla casualità del sorteggio e dalla sua fantasia : è un “evento” che il femmenèlla ricorda man mano che esso si sviluppa e che viene commentato rumorosamente con divertimento o con finto scalpore dagli stessi femminielli e soprattutto dalle donne presenti al gioco.
Il linguaggio utilizzato in questa spettacolarizzazione del gioco della tombola , è quanto di più fantasioso e colorito si riesce a immaginare, senza alcun pelo sulla lingua e ovviamente senza limiti alla fantasia ma soprattutto alla volgarità …. ma  i doppi sensi e le continue allusioni sessuali rimangono .
Il bravo  Femminiello riesce comunque a farlo senza mai scadere nel volgare esprimendosi in un dialetto napoletano che risulta comprensibile a tutti, perfino dai tanti stranieri oggi sempre più presenti .

N.B.Tra gli altri riti celebrati dai femminielli, famosi sono anche quelli dello Spusalizio mascolino, la Covata dei femminielli e la Figliata dei femminielli.
Nel primo, due femminielli si uniscono a nozze in forma privata, poi i novelli consorti si ritiravano in camera dove consumavano il matrimonio.
Con la Covata, mentre la donna partorisce, il marito mima a sua volta il parto, imitando le doglie con pianti e grida e ricevendo per questo tutte le attenzioni normalmente riservate alla partoriente. Col tempo il femminiello sostituisce il marito e, con la sua presunta carica di positività, è di buon auspicio alla neo mamma e al neonato.
Il cosiddetto rito della “figliata dei femmenelli”  invece consiste nella simulazione, dietro un velo, del parto da parte dei femmenelli, con tanto di doglie ed è oggi considerato un rito apotropaico di buon auspicio.

Avete notato quanti modi esistono nella nostra città di  esorcizzare il dolore, la disperazione,e  la paura ? Fin dalle nostre otigini greche  ci  tramandiamo  il culto del pianto durante i funerali, piangere fino a quando le salme non si distaccano totalmente da noi anche se sappiamo che i nostri cari  non ci lasciano mai da soli, e siamo pronti  accoglierli nel miglior modo possibile quando vengono a farci visita nella notte tra il 1 e il 2 novembre con l’usanza  di imbandire la tavola e lasciare un posto vuoto riservato a loro.

Il rapporto speciale che i napoletani hanno con la morte  come notate non si limita quindi al solo culto delle  anime pezzentelle tanto è vero che la famosa festa americana di Halloween a Napoli è sempre esistito.  Essa è sopratutto una festa che ha origine nella nostra città anche se pochi lo sanno .

A tal proposito  la giornalista e scrittrice Matilde Serao nel 1904 su “Il Giorno”ci parlava amche della “ccascettelle d”e muorte” e così scriveva :

“Domani mattina, a Dio piacendo, saremo svegliati da un’orchestrina originale di strumenti non molto melodiosi, ma per compenso sufficientemente assordanti. Centomila scatolette di cartone, debitamente segnate col teschio tradizionale e le immancabili ossa incrociate, faranno risuonare per tutte le vie di Napoli, per tutti i vicoli, per tutti i cortili, per i pianerottoli delle nostre scale, i soldini che vi sono piovuti dentro, attraverso la sottile fenditura, ed il rullo di questo strano tamburino ci accompagnerà da per tutto, e, dovunque, un bambino, due bambini, dieci bambini ci affronteranno, ci stringeranno in mezzo, ci sgusceranno tra i piedi, agitando la cascettella e strillando in tutti i toni: “Signurì, ‘e muorte!”.

Da sempre il culto dei morti è stato quindi nella nostra città un dei più uno sentiti e praticati. Il 31 ottobre, infatti, era usanza che i giovani scugnizzi, nel nome dei morti, chiedessero, agitando le loro cascetelle, un’offerta di confetti e soldini per accendere le candele delle anime pezzentelle.
Dolcetto o scherzetto? No, “Cicci muorti!”.
Per le strade la gente si aggirava con “o tavutiello”, cassetta di cartone a forma di bara, pronunciando questa invocazione: “Fate bene ai Santi morti” e cantando una filastrocca che recita così: “Famme bene, pe’ li muorte: dint’a ‘sta péttula che ‘ce puórte? Passe e ficusecche ‘nce puórte e famme bene, pe’ li muorte” (traduzione: Fammi del bene per i morti: in questo grembiule che ci porti? Uva passa e fichi secchi porti e fammi del bene, per i morti).
Delle cascettelle parla anche Eduardo De Flippo in Filumena Marturano: “…ambo due e con tre figli da crescere, andai ad abitare al vicolo San Liborio, basso numero 80, e mi misi a vendere sciosciamosche, cascettelle p’’e muorte e cappielle ‘e Piererotta”.

Se quindi qualcuno di voi pensa , che l’usanza di chiedere i dolci il giorno di Halloween sia una contaminazione americana che si è diffusa nella nostra città ,  si sbaglia di grosso. Da sempre a Napoli durante la celebrazione della festa dei morti ci si scambiano dolci, per simboleggiare i doni che i defunti portano dal cielo e contemporaneamente l’offerta di ristoro dei vivi per il loro viaggio.
Era infatti anche questo un  modo per esorcizzare la paura dell’ignoto e della morte, .

In particolare, a Napoli si consumava in questa cicostanza  il torrone e non uno qualsiasi: in origine il Murticiello o Morticino era un bianco, a base di cioccolato e trapezoidale a forma di bara. Il dolce, inoltre, era molto soffice affinché il morto, ormai senza denti, potesse mangiarlo in tranquillità. Così i napoletani cercavano di addolcire il viaggio del morto verso l’aldilà. Per scaramanzia, come sempre a Napoli, i pasticceri decisero di cambiare la forma del torrone passando da quella trapezoidale a una semisferica.
Secondo l’usanza, inoltre, la sera prima della festa di Ognissanti, si allestivano tavole imbandite per dare ristoro ai defunti che andavano in visita per le case.
Anche quella  antica  tradizioni popolari che considera  la zucca un contenitore soprannaturale delle anime dei defunti trova in uncerto senso una sua origine dalle nostre parti

Di questa antica credenza, com’è noto, Halloween è la massima espressione. Zucche da mille forme e colori vengono intagliate da grandi e piccini in smorfie paurose e di terrore.

Ma questa tradizione, però, ha una vecchia antenata anchhe a Somme Vesuciana dove negli ambienti contadini tagliare zucche e riempirle con le luci era largamente diffuso , In questa località  infatti si organizzava la Festa delle Lucerne in cui i morti si manifestavano sotto forma di teste di zucca che brillavano nelle tenebre.

Una poesia del 1875: così i bambini partenopei festeggiavano i morti
Chi vò accattarese na cascettella, pe sta a arrecogliere la mmarennella?
Nce staje ccà a spennere no tornesiello, Sta a contentarese lo guaglìonciello!
Cheste le ffraveca Ciccella mia, pe starle a ‘bbennere mmiezo a la via!
Co ccarte scevote da le quaranta, cheste t’azzeccano chi se nne vanta!..
Nc’è l’asso, crideme, Nce sta no Rre, Sett’oro, ed autra Carta ccà nc’è!..
Ncoppa se spaccano pe le ggranelle, addo s’accostano Mane e mmanelle!..
E fanno sentere Pò lo rommore, chille che frisole danno de core!
E tutte diceno: Li muorte! Li muorte! Sotto a la pettola ‘cca che nce puorte
E tutte a smestere stanno lli ggente, lo ricco suggeco co lo pezzente!
E ognuno jenghere sta cascia fà! De rane e prubbeche senza contà!
E quann’è a ll’urdemo Ste ccascetlelle tutte te stracciano ninne e nennelle!
Zzò ch’arrecoglieno stanno a mmagnarse, torrune ed autro poje p’accattarse!
E piezze fauze stanno a trovare, de chi, pe rridere, L’è state a ddare!..
Sà comme ròseca lo guaglionciello !.. Non lo ‘bbo credere lo poveriello!..
Ma, tutto è ‘nnutele, Accussì bbà, Sempe no truvolo ‘nce àve da stà!.

L’Halloween partenopeo , le anime pezzentelle ,’e cap e mort , il cimitero delle fontanelle, i santoni, gli assistiti,  A refrische, a preghiera  ‘e ll’anime d’o priatorio”.sono in fondo solo solo parte di quella consapevolezza dei napoletani che nel loro speciale rapporto con la morte hanno capito  che  in fondo “all’ àutro munno simm tutte eguale” e “Simm tutt cape ‘e morte”, cioè che “la morte è la completa uguaglianza degli ineguali”, è “una livella” a detta di Totò: ciò che era visibile e rilevante in vita diviene invisibile ed irrilevante nella dimensione sospesa (“queste pagliacciate le fanno solo i vivi: noi siamo seri…apparteniamo alla morte”, proclama l’ombra del netturbino a quella del marchese che disdegnava di essere sepolto accanto a lui.

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ARTICOLO SCRITTO DA ANTONIO CIVETTA

 

 

 

 

 

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