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La Fontana di Nettuno è senza dubbio una delle opere più note e rappresentative del patrimonio monumentale napoletano. Essa è la fontana della città più nota a tutti i napoletani , ma è anche una delle più complesse sotto il profilo progettuale e simbolico, come dimostra la sua lunga e irregolare vicenda storica, segnata da numerosi spostamenti e trasformazioni. Inserita in una tradizione figurativa ampiamente diffusa nell’Italia della seconda metà del Cinquecento, la fontana si colloca accanto ai celebri esempi di Messina, Firenze, Bologna e Roma, dove la figura di Nettuno, divinità delle acque, assume un ruolo centrale nello spazio urbano, circondata da una ricca schiera di creature marine — tritoni, sirene, nereidi, ippocampi e mostri acquatici — che ne amplificano il valore iconografico e scenografico.
Con la realizzazione della Fontana del Nettuno, detta anche di Medina, Napoli inaugura la stagione seicentesca delle grandi fontane monumentali. Queste opere, oltre a rispondere a esigenze funzionali legate all’approvvigionamento idrico, diventano strumenti di rappresentazione urbana, elementi di ornamento pubblico capaci di ridefinire piazze e assi viari, conferendo loro decoro e riconoscibilità. In ambito vicereale, tali interventi assolvono anche a una funzione celebrativa e politica, legata alla volontà di lasciare una traccia duratura del governo, spesso breve, dei viceré spagnoli.
Dal punto di vista compositivo, la fontana si distingue per la complessa integrazione tra architettura e scultura. Realizzata in marmo bianco di Carrara, con elementi decorativi in bardiglio, presenta una struttura articolata che rimanda alle fontane tardomanieriste a pianta centrale. La tipologia è quella cosiddetta “a isola”, con impianto polilobato e suddivisione quadripartita. Il livello inferiore è costituito da ampie vasche curvilinee, intervallate da quattro gradinate radiali che conducono al bacino superiore. Otto sostegni accolgono sculture di leoni accovacciati, raffigurati nell’atto di trattenere tra le zampe gli emblemi della città di Napoli, alternati agli stemmi del duca di Medina e della famiglia Carafa; dalle loro fauci sgorga l’acqua che alimenta le vasche sottostanti.
La sezione mediana ospita una vasca circolare delimitata da quattro tratti di balaustra, ciascuno concluso da elementi sferici sostenuti da pilastri torniti in bardiglio. Su uno solo di questi lati è collocata una grande epigrafe latina, incisa su una lastra sagomata a pelle di leone, che celebra il viceré Ramiro Felipe Núñez de Guzmán e il suo legame dinastico con la famiglia degli Olivares, intrecciando riferimenti politici e metafore legate ai temi dell’acqua e del fuoco.
Il livello superiore è caratterizzato da una vasca mistilinea ornata da quattro coppie di delfini e da quattro mostri marini cavalcati da putti. I delfini riversano l’acqua in piccole conche laterali sormontate dagli stemmi della monarchia spagnola, mentre i mostri marini alimentano il bacino inferiore. Al centro si eleva uno scoglio rustico in pietra vulcanica, sul quale si dispongono cariatidi raffiguranti satiri e ninfe che sorreggono la conca terminale, decorata da mascheroni grotteschi dai quali sgorga l’acqua. Dal bordo emergono inoltre quattro ippocampi in bardiglio, mentre al vertice domina la figura di Nettuno, raffigurato in piedi con il tridente in bronzo, da cui scaturisce l’ultimo zampillo.
Nel corso dei secoli, la fontana ha subito numerose modifiche che ne hanno alterato in parte l’aspetto originario e il rapporto con lo spazio circostante. Voluta da Enrique de Guzmán y Ribera, conte di Olivares e viceré di Napoli dal 1595 al 1599, fu inizialmente collocata presso il nuovo Arsenale, in prossimità del Castel Nuovo. La progettazione dell’area è legata alla figura di Giovan Vincenzo Casali, architetto fiorentino e frate servita, attivo a Napoli negli ultimi decenni del Cinquecento, mentre la successiva sistemazione urbanistica passò sotto la direzione di Domenico Fontana.
Per lungo tempo l’opera fu attribuita a Giovan Domenico d’Auria, sulla base di una tradizione storiografica risalente al De Dominici; tale attribuzione è stata successivamente smentita da documenti d’archivio. Le ricerche hanno chiarito il ruolo determinante di Michelangelo Naccherino, autore della statua di Nettuno e dei satiri, nonché il contributo di altri scultori di formazione toscana. Ai mostri marini è attribuito Pietro Bernini, mentre la supervisione generale dei lavori fu esercitata, in fasi successive, da Domenico Fontana e da Cosimo Fanzago.
Già visibile nella veduta di Alessandro Baratta del 1627, la fontana fu completata in forma semplificata durante il governo del conte di Lemos.
A partire dal 1628 iniziò una lunga serie di trasferimenti: dapprima al Largo di Palazzo, poi verso l’area del Torrione d’Alcalà, quindi nel largo delle Corregge, lungo l’attuale via Medina. Ogni ricollocazione comportò modifiche strutturali e decorative, in particolare sotto la direzione di Cosimo Fanzago, che ampliò l’impianto e introdusse nuovi elementi scultorei, conferendo maggiore dinamismo all’insieme. A questa fase risalgono, tra l’altro, gli otto leoni, i delfini, gli stemmi e numerosi dettagli ornamentali, realizzati con la collaborazione di vari scultori.
Danneggiata durante le rivolte del 1647-48, la fontana fu restaurata negli anni successivi e subì ulteriori perdite e manomissioni nel corso del XVII secolo. Interventi di manutenzione e sostituzione di parti mancanti si susseguirono tra Settecento e Ottocento. Nel 1886 l’opera venne smontata e temporaneamente depositata sotto la collina di Pizzofalcone, in attesa di una nuova collocazione. Dopo un lungo dibattito, nel 1904 fu ricostruita in piazza Agostino Depretis, con un restauro curato da Raffaele Belliazzi che ne modificò parzialmente le proporzioni per esigenze prospettiche.
Ulteriori interventi conservativi si registrarono nel Novecento. Nel 2011, in occasione dei lavori per la metropolitana, la fontana fu nuovamente rimossa e restaurata; nel 2014 venne smontata ancora una volta e infine ricollocata in piazza Municipio, dove è stata inaugurata il 23 maggio 2015. Qui la Fontana di Nettuno continua a testimoniare, attraverso la sua forma e la sua storia, il complesso intreccio tra arte, potere e spazio urbano nella Napoli d’età moderna.










