Il dialetto napoletano  dopo essere stato  riconosciuto  lingua ufficiale dall’UNESCO, ha ultimamente  ottenuto dagli studiosi del settore il titolo di seconda lingua ufficiale in Italia.

 

Il napoletano, così come l’italiano  è una lingua che deriva  innanzitutto dal latino e dal greco. L’idioma da cui deriva è  quello latino dal momento che in molti casi , come vedremo la parola napoletana ha relazioni  con il latino medievale  e non poteva essere differente dal momento che I greci ed i romani  sono stati i primi popoli che hanno colonizzato, governato  ed influenzato con usi , costumi e lingua le nostre terre . Ricordiamoci infatti  che l’antica Parthenope era una antica città insediata sull’isolotto di Megaride sede definitiva di una colonia  greca che partita da Eubea si fermo’ prima a  Pithecusa ( Ischia , isola delle scimmie ) e poi a Cuma . Essa divenne una delle più importanti  citta’ della Magna Grecia ed  era  di conseguenza totalmente impregnata della  civilta’, e cultura greca  pur essendo del tutto autonoma sia amministrativamente che politicamente.  Ci furono grandi traffici commerciali tra le due citta’ e questi continui contatti fecero in modo che essa risentì  fortemente dell’influenza ateniese.. Quando poi questi antichi greci decisero di espandersi e quindi edificare una città più grande, fondarono  a poca distanza, sulla collina di Pizzofalcone , un’altra città  che fu chiamata Neapolis , ” la città nuova  e la  piccola Partenope ( Palepolis ) divenne  di conseguenza la città vecchia .
Si tratto’ in effetti di una nuova zona urbana , a poca distanza dalla prima costituendo con questa una sola polis ( il cui confine era il fiume Sebeto ).

 

Neapolis come dicevamo divenne una delle maggiori città della Magna Grecia e per lungo tempo conservò il suo “greco” dorico. Dopo il periodo greco che duro’ circa 350 anni ,arrivo’ poi quello romano che duro’ circa sette secoli , durante il quale la lingua greca fu via via sopraffatta e smantellata nel tempo , dal “latino parlato” di militari, commercianti, coloni,e  amministratori. vari anche se la città conservò tutto il carattere greco , ( in particolare ateniese)  ,mantenendo degli stessi la civilta’ , e la raffinatezza  .Si costituì lentamente  quindi un “latino popolare”  che fu parlato a Napoli fino  all’Alto Medioevo, anche se ci fu una parziale ripresa del “greco” durante il periodo bizantino (specie nei secoli VI-VII-VIII d.C.).

 

 

I romani  rimasero molto conquistati dal fascino dell’ impostazione di vita greca presente in città , e scelsero Neapolis come luogo di educazione e di perfezionamento negli studi , attratti anche dalla natura lussureggiante e dal clima temperato . Essi venivano a Neapolis a riposarsi dalle fatiche di Roma , mutando le vesti in quelle greche e interessandosi alle manifestazioni culturali e spettacolari ( Claudio e Nerone vennero per prodursi in esibizioni filodrammatiche e canore nel teatro situato lungo i decumani ).
La tradizione greca fu a lungo conservata , e gli uomini di cultura ebbero una grande predilizione per Neapolis e per il suo ellenismo , riempendo di opere d’arte e libri greci le loro ville disseminate nella citta’. La più famosa fu quella di Vedio Pollione , amico di Augusto , che passò poi in eredità allo stesso imperatore .La villa che poi diede il nome all’intera collina ,si chiamava Pausilypon e alludeva alla sua funzione di luogo di riposo ( “fine degli affanni “).    Durante l ‘impero romano si ebbe quindi  una voluta esaltazione dei caratteri ellenici della città che mantenne  ancora prevalente  l’uso della lingua greca come utilizzata da Nerone in visita a Neapolis raggiungendo  il suo apice in epoca augustea per la presenza di poeti e scrittori come Virgilio , Lucrezio, Stazio, Papinio etc.

Molte espressioni napoletane, derivano dal latino e talune addirittura dal greco antico come per esempio Pazzià  cioè giocare che in greco classico si dice pàizein o ” crisommola ”  ( albicocca ) che in greco si dice crysomelon ( pomo aureo )  o infine  ‘Nzallanuto  che deriva dal greco seleniao . Quest’ultimo termine attribuito in passato (  a persone lunatiche  (deriva da sele’ne’ (luna) oggi ha esteso il suo significato venendo applicato a persone confuse , stordite , e spesso anziane (viecchio ‘nzallanuto).

La parola Calimma  è invece un esempio di derivazione latina.  . Esso è  un  termine napoletano storpiato dal latino calina (calore) che pero’ ha conservato lo stesso significato: chi per esempio non ricorda il grande Eduardo quando nella celebre “Natale in casa Cupiello” dice di aver passato una nottata sveglio perche’ non riusciva a prendere calimma? “

Anche la parola Chiattìllo deriva dal latino “Plattillum” ed indica in genere una persona arrogante e presuntuosa  .  Essa rappresenta  la classica piattola che  si attacca addosso e produce fastidiosi pruriti. Il termine chiattillo è molto in uso in ambito scolastico per indicare  il secchione che vuole assolutamente partecipare alle lezioni anche nel caso in cui l’istituto scolastico vada deserto.

Il termine“arteteca” deriva invece dal latino “arthritica ”, che deriva a sua volta  da “arthron” (giuntura). La parola indica irrequietezza, agitazione, movimenti continui, e  derivando  dal tardo latino arthritica  è traducibile con “artrite” che  indica una conosciutissima malattia  infiammatoria delle articolazioni . Nel corso del tempo però il termine, discostandosi dal suo significato originario, è adoperato ormai per indicare una persona iperattiva. Il riferimento alla irrequietezza e’ tutto partenopeo.
Per cui di un bambino in continuo movimento si dice: sta criatura tene arteteca.

E ancora :

Cerasa  cioè Ciliegia  in latino si dice  Cerasum 

Cucuzziello :  deriva dal latino cucutiam  e rappresenta    le zucchine . Questo ortaggio visto che ha un sapore sapido , per traslato gioco indica una persona sciocca , stupida inetta e stolta e scema .

Lassá  cioè lasciare, in latino si dice  laxare 

 Intrasatta, cioè improvviso si dice in   latino  intras acta 

 amnattuto cioè impazzito   deriva direttamente dal latino matus, ( ubriaco)

chianu chianu (un momento, piano piano) deriva dal latino piane , mentre guarda ’nu poco” o quella analoga “tiéne mènte”   corrispondono all’intercalare vide modo.

Chiachiello  invece deiva dal greco Blakikos ( indolente , codardo ) oppure secondo altri da Qualqhier ( tipo qualunque ) e rappresenta in napoletano un termine molto offensivo perchè definisce  una persona come poco consistente ,mancante  di serieta’  e dotata ‘ di scarsissima intelligenza. Suoi equivalenti sono la  parola  Fareniello e nacchennella .

La prima è solitamente riferito ad una  persona smanciosa e  intrigante , una sorte di  cascamorto , falsamente cortese   e convinto di essere  con il suo comportamento un tipo  spiritoso ( risultando essere poi estremamente antipatico ). Il termine deriva dalle rappresentazioni teatrali di un tempo dove in scena  il personaggio dell’amatore doveva essere, per esigenze di copione, sempre bello e di aspetto giovanile.  La parte di questo Don Giovanni , conquistatore di cuori andava bene per un attore finche’ era giovane ed aitante. Quando queste qualita’ venivano ad appiattirsi ed inesorabilmente eliminarsi con il trascorrere degli anni, il povero ex-giovane attore doveva in qualche modo evitare che il pubblico vedesse sul suo volto i segni del tempo. Allora si spargeva sul volto quantita’ enormi di farina (antesignano del collagene) . Cosi “infarinato” l’attore poteva mascherare l’eta’ e continuare ad interpretare l’amatore. Da qui’ l’origine di fareniello o farinello, cioe’ di persona che vuole apparire cio’ che non e’ affatto.

Il secondo termine è molto piu’ offensivo del precedente perchè il  nnacchennella e’ colui che, per la sua inconsistenza, irrita gli altri  ai limiti massimi risultando antipatico con i suoi modi di fare e  discutere . Stavolta il termine  però è di origini francesi  deriva da “n’a qu’ un oeil” che significa “vedere con un occhio solo”. In pratica significa che lo lo nnacchennella e’ quell’antipatica persona che vede le cose con un solo occhio : il suo.

Il cantero è invece un altro  termine che deriva dal latino ( Cantharus ) o secondo altri dal greco ( Kantharos ) ed indica in entrambi i casi una “curvatura” .,In napoletano esso rappresenta il classico pitale cioè il vaso da notte un tempo usato per evacuare . Immaginate rivolto ad una persona quanto questa sia considerata di poco valore e scarsa considerazione .Una grande offesa che solo il napoletano tramite  una sola parola è capace di sintetizzare

Ma fate attenzione perchè quella che vuole essere una grande offesa ingiuriosa, può, invece, essere anche un complimento.

Tu si nu figlio ‘e cantere, (  ‘e ntrocchia  ‘e zoccola )  se detti con tono di voce quasi normale, senza gridare e sorridendo, possono anche trasformarsi in  un complimento alle tue azioni ed  usato per indicare una persona molto scaltra o una persona che riesce a risolvere le questioni con una certa astuzia anche a discapito di altri. A Napoli esistono anche altre locuzioni equivalenti cioè “figl ‘e bucchine o  figl’e mappina o  ‘nu figlio ‘e z’occola…

In tutti questi casi si vuole sempre identificare una persona  , furba,  e certamente pronto di mente e d’azione ,  capace di  essere  in grado di cavarsela  in qualsiasi occasione ( l’offesa si fa quando si usa l’espressione ” a zoccola e mammeta” attraverso cui si sottolinea all’interlocutore la facilità di costumi  a cui è abituata sua madre:  Tua madre è una donna di facili costumi. ).

Anche chiavica deriva dal latino essendo  una storpiatura del latino clovaca (fogna) . Con questo  termine allora come oggi si intende il luogo lurido in cui convergono le acque piovane presenti nelle strade e  di conseguenza si possono ritrovare trascinati dall’acqua  ogni tipo di schifezza . Il luogo  generalmente putrido è solitamente  frequentato da ogni sorta di animale ed in particolare dalla ‘ A zoccola  (il topo da fogna). Date le caratteristica ed il significato del termine, si può’ anche usare per offendere la persona mirata dai nostri insulti: Si proprio na’ chiavica e’ un’offesa molto grave.

L’accennato termine ” zoccola ” invece oltre a rappresentare come già detto il tipico topo da fogna , viene spesso anche usato dal popolino  per indicare ed offendere  una donna di facili costumi (  una prostituta ) . Il vocabolo deriva dal latino ” sorex” il cui diminutivo “sorcula ” e’ stato trasformato poi in ” zoccola “. (  è interessante notare come la parola  “bòna”  ,che deriva dal   latino bona, quando , riferito a una donna, in dialetto napoletano non esprime come in italiano le qualità dell’animo, bensì quelle del corpo ed equivale a “formosa”).

CURIOSITA’ : La parola zoccola , a Napoli data alle donne dai cattivi costumi , sembrerebbe derivare dal topo , ( dalla Zoccola )  , ma invece stranamente essa non ha nulla a che  vedere con questo piccolo animale  sebbene il topo ha una sua  grande prolificità e questo potrebbe spiegarne in parte  l’associazione .L’alta prolificità potrebbe infatti lasciar immaginare ad una una sfrenata attività sessuale della femmina del topo magari fatta  con tutti i topi che le capitano a tiro.  Ma la ‘topa’ in quanto animale in questo caso non c’entra proprio nulla . La parola ‘Zoccola’ con cui si definiscono a Napoli le donne di cattivi costumi , deriva invece dagli alti zoccoletti che le nobildonne del settecento erano solito indossare lungo la via Toledo quando non volevano che i loro lunghi vestiti che indossavano si sporcassero della  fanghiglia della strada . Accadde quindi che le prostitute dei quartieri spagnoli che si agghindavano sempre in maniera molto appariscente per attirare i clienti , ad imitazione delle nobildonne del 700 incominciarono anche esse ad indossare questi altissimi zoccoletti sempre più alti al tal punto che furono soprannominato le “ zoccolelle “. Ecco perché poi avvenne il  facile passaggio semantico tra zoccole , zoccolelle zoccolette e donne di cattivi costumi da parte dei napoletani .La loro associazione  fu immediata e da allora le donne che si dedicavano al mestiere più antico del mondo vengono  dette dai napoletani  “ e Zoccole “.

La pesantezza e l’offensività di questo termine riferito ad una donna fa comunque rifermento al classico topo che come zoccola vive nelle fogne e si nutre di rifiuti . Si tratta quindi di un essere spregevole .

Ma al posto di ” zoccola ” talvolta per offendere o insultare una donna ( spesso una madre o sorella altrui ) viene usata anche la parola ” tofa ” che all’incirca esprima lo stesso concetto ed ha lo stesso significato . Tufaiola era infatti il modo con cui in passato veniva chiamata una donna di poco conto ed il termine proviene da un vicolo di Napoli dove probabilmente un tempo si esercitava il  più antico dei mestieri .

La parola  ha origini latine , e deriva da ” tuba ” un termine con cui si  indica una sorta di  Tromba un tempo utilizzate per richiamare l’attenzione nell’annunciare un ingresso  importante di cose o persone . Il termine ” tufa ” significa in latino nicchio o conca marina .  

La tofa in realtà infatti è una grande conchiglia di mare (le cui dimensioni possono arrivare anche fino a 30 cm), che una volta  bucata , soffiandoci dentro, viene a  procurarsi un  suono profondo e prolungato. Essa  veniva realizzata  praticando un foro sulla conchiglia, ( dritto o laterale ) utilizzato poi per soffiarvi dentro l’aria e veniva utilizzato  un pò come le sirene che oggi annunciano l’ingresso delle navi nel porto. Infatti la celebre Tofa del porto era quel caratteristico rumore che indicava  l’ingresso e l’entrata delle imbarcazioni dai vari stabilimenti.

Le “trombe conchiglia” sono state utilizzate per lungo tempo dai pescatori come segnale di richiamo per annunciare il loro  ritorno nel porto.

Nel tempo il suo uso  si diffuse come strumento folcloristico venendo utilizzato oltre che dai marinai (  e cacciatori )  anche nelle feste popolari sin dall’epoca romana, per poi essere sostituita dalla più famosa “trummetta“ che emetteva un suono ancora più stridulo e insopportabile.e  accompagnava la gioia ed il divertimento di tutti durante le feste di Piedigrotta.  Queste trombette allietavano la festa ed erano suonate incessantemente.

 

 

 

L’eredità storica greco-latina sul nostro dialetto la ritroviamo anche nei famosi scavi di Pompei dove In una iscrizione recentemente scoperta leggiamo la parola  pueta, invece di poeta, ( ancora oggi  in dialetto napoletano poeta si dice pueta ) e nella famosa  casa degli Amanti dove è stata trovata l’iscrizione move te, un’ esortazione ancora viva nel napoletano “mòvete”.

Ma anche numerosi continui nostri modi di dire  della nostra  vita quotidiana derivano dal latino :

“Che aje ’e bello?” (che hai di buono) per esempio è una frase antichissima : si quid belli abes…“;

“Dicite quaccòsa ’e bello!” (raccontate qualcosa di piacevole) corrisponde a dicite aliquid belli.

” Te sputo ‘n faccia ! ” :  faciam meam inspue! (ndr: “te sputo ‘nfaccia!”)

” Sputa nu poco  ”  una frase solitamente rivolta a chi non smette mai di parlare corrisponde a : umquam neo expuit

” frettella ” rivolto ad un tipo impaziente e  frettoloso  in latino si corrispondeva al  fritillus;

“petrusino” ( prezzemolo) in ogni minestra , riferito ad un personaggio sempre presente anche quando non gradito corrisponde a  Petroselinus,  cioè  un’ antica  maschera teatrale.

’0 vino l’è ghiute ‘o cerviello”corrisponde invece a  oinus in cerebrum abiite e  sta ad indicare una persona che non è più lucida nel ragionare in seguito ad un’abbondante bevuta di vino .

Perchipetola  è invece un termine con cui  si indica una  donna becera ( una donnaccia ). E’ composta dal latino perchia che vuol dire donnaccola pettegola, a da petula che vuol dire pettegolare, chiacchierare.

La  parola ” Lota ”  divenuta famosa in Italia calcisticamente per averla affibbiata dal popolo  napoletano ad un  ex calciatore che militava nella squadra azzurra  è incredibilmente anch’esso un termine che deriva dal latino (  lutum )  e cosa ancora più divertente e che a distanza di anni conserva ancora lo stesso significato. Infatti così come nei  tempi  antichi anche  oggi  ” la lota ” rappresenta  un essere immondo  che fa scelte amorali e meschine, anche se in in senso letterale con il termine lota in genere si indica la melma,o  il fango. Secondo alcuni corrisponde materialmente a quella sporcizia che si forma talvolta intorno alle condutture dell’acqua che proviene dal bidet spesso di colore verde a causa dell’umidità

Nell’uso corrente oggi però il termine lo si usa spesso per indicare una persona il cui comportamento e’ discutibile a tal punto da considerarlo una “lota”, cioe’ un qualcosa di schifoso, di melmoso come lo sono gli antipatici e gli insopportabili. ( Sei una lota ) .

Talvolta però il termine lo si usa anche per indicare quando non ci si sente per niente bene . Si dice infatti ” mi sento una lota “.

Il plurale di “lota” e’ la “lotamma” o “lutamma”, direttamente dal latino “luta” a sua volta plurale di “lutum”.

 

 

 

Dopo il greco ed il latino un’altra lingua che ha influito sul nostro dialetto è certamente stata quella francese . La presenza dei francesi a Napoli si è nel corso dei secoli alternata con quella di altri popoli dominatori per cui si è avuto un afflusso di taluni francesismi che si sono nel tempo amalgamati con quelli di altre lingue come quella spagnola , araba e quella stessa latina creando sovrapposizioni che rendono a volte veramente difficile l’individuazione sicura dell’origine del termine .

La lingua  napoletana  e quella   francese  derivano entrambe dal latino e quindi hanno un progenitore in comune e la nostra città tra le varie dominazioni ha subito per lungo tempo  anche quella francese. A Napoli, in totale la presenza dei francesi sommando il periodo angioino a quello napoleonico  corrisponde  a circa duecento anni durante i quali molti termini francesi hanno lasciato il segno in città. entrando  nel linguaggio popolare   a far parte del nostra dialetto  ed ancor oggi della nostra vita quotidiana .

Alcuni negozi ancora oggi  vediamo che spesso espongono delle insegne che ricordano i periodi francesi come ad esempio “boulangeria” per indicare il panificio o la salumeria mentre  nell’ambito della  gastronomia abbondano i termini legati aila nostra tavola : bombò, bignè, briosce, buatta, crocchè, dessert, filoscio, franfellicche (da fanfreluches), fricassè, gattò, genovese (Genova non c’entra per nulla: la derivazione è da genevoise= ginevrina essendo in uso a Ginevra la cottura della carne con le cipolle), grattè, mignon, monzù, ‘nnoglia (il più povero degli insaccati da andhouje), parfè, patè, pummarola (da pomme d’amour), ragù, roccocò (la cui remota forma non proprio rotonda richiamava la barocca rocaille, conchiglia), sartù, sciù, sotè, e  sufflè

Anche alcuni luoghi ricordano  la presenza dei francesi : Via Renovella (Rue nouvelle), Rua Francesca, Piazza Frances e  Ponte dei Francesi .Un cenno a parte merita la Cupa Lautrec (generalmente chiamata ‘O Trirece, Lo Trecco o ‘O Trivio) derivante da Odetto de Foix Visconte di Lautrec che cinse d’assedio Napoli nel 1528 morendovi avvelenato dall’acqua che lui stesso aveva ordinato di inquinare, meritandovi tuttavia onorata sepoltura nella Chiesa di Santa Maria La Nova.

Molta influenza hanno avuto i francesi nella nostra lingua . Un esempio per tuttui sono i i termini come buatta (barattolo) o sciantosa (cantante esibizionista)  che derivano dalla pronuncia dei termini francesi “boit” e “chanteuse”; Ma moltri altri ancora sono presenti.

Ecco solo alcuni termini abituali  della nostra lingua che derivano dal francese :

 bonora: fiinalmente e felicemente, da bonheur.

Accattare: comprare, acquistare, da acheter

Allummare: Accendere una luce, il fuoco, una candela dal francese antico allumer

Ammarrare :: Socchiudere, chiudere porte, finestre, occhi, da amarrer

Ammucciare: Tacere, essere costretto a fare silenzio, subire un’offesa senza protestare, dal francese se musser

Ammurza’: stringere con una morsa, trattenere, invischiare, da amorcer, prendere con l’esca

Ampressa : di fretta da empresser (pressare)

Appriesso  : dopo dal francese Apres

Argentière: Chi lavora o vende oggetti d’argento, ma anche credenza contenente cristalleria, posateria ed altro. Da argentier.

Argiamma: corruzione di argent, un sinonimo che sta per danaro.

Arrangiare : Accomodare, aggiustare alla meno peggio, che da noi diviene emblema dell’arte della sopravvivenza , da arranger ( organizzare )

Bello e bbuono: di punto in bianco, all’improvviso: è la versione nostrana del bel et bien.

Bisciù: gioiello piccolo o di scarso valore, ma anche vezzoso complimento a persona amata o ammirata, da bijou.

Bombò: Dolce di zucchero, caramella, da bon bon.

Brilocco: Ciondolo per ornamento sul petto o al collo, oppure oggetto di poco valore deriva da  breloque ( oggetto di poco valore )

Buatta: Scatola, da boîte

Buchè: Fascio di fiori, da bouquet

Bùccolo: Ciocca di capelli arricciati, boccolo, ricciolo, da boucle

Buffè: Credenza, mobile per riporvi bicchieri, tazze… Da buffet.

blusa : camicietta , dal francese blouse ( camicia )

brioscia : deriva da brioche (dolce da colazione )

butteglia : da bouteille ( bottiglia )

canzo : tempo,  da chance ( possibilità )

cazetta : calza , dal francese chaussette

bombò : dolcetto da bon bon ( dolcetto )

Cemmenèra: Camino  di un’abitazione, da cheminée.

chincaglieria : oggetti di poco valore che deriva dal francese quincaille (oggetti di ferro)crocchè : crochetta di patate dal francesecroquet (biscotto)

Ciaràvolo: Ciarlatano, imbroglione o anche incantatore di serpenti, dal francese antico charaut

Commò: Cassettone, da commode

Cricco: arnese che serve a sollevare pesi, da cric

Cuccà: coricare, mettersi a letto. Sicuramente espressione tarda latina: collocare in lecto (porre a letto), e poi dal collocare si è passato a col’care e infine a cuccà. Ma traduzione di “coricare” in francese è coucher… quindi stessa origine.

crocchè:  impasto di patate fritto deriva da croquet (biscotto)

cuttiglione : ballo a premi  deriva da cotillon ( danza )

damejeanne : termine dal quale deriva la parola damigiana ( in napoletano dammiggiana )   con cui generalmente chiamiamo un bottiglione di vetro verde di varia ampiezza , simile ad un grosso fiasco ma con un collo molto più lungo.. La parola fà  furbescamente riferimento alla forma tondeggiante della donna ed in particolare a tale donna Giovanna che secondo alcuni corrisponde alla figura della regina Giovanna I d’Angiò. Si racconta infatti che nel 300 , durante un viaggio ad Avignone , essa , fu sorpresa da un temporale e trovò riparo nel laboratorio di un vetraio . Il povero vetraio , stupito ed emozionato dalla presenza regale soffiò con forza particolare la bottiglia di vetro che stava lavorando ottenendo un bottiglione grosso e panciuto che venne appunto chiamato ” Dame Jeanne “in omaggio alla regina di passaggio.

fenestra : cioè finestra deriva da fenêtre (finestra)

filoscio : frittata sottile deriva da filoche (velo)

franfellicco : ciondolo o ninnolo oppure una  persona di poco conto deriva da fanfreluche (cosa da niente)

frusciarsi : illudersi deriva da froisser (rompere in pezzi)

fuì : fuggire deriva da fuir ( fuggire )

galletta : schiacciata biscotta deriva da galette ( ciottolino )

gattò : torta salata di patate deriva da gateau  ( dolce )

giacchetta : giacca deriva da jaquette (vestito corto e stretto)

gratté : gratinato deriva da gratin ( crosta )

garzone : apprendista di una bottega deriva da garcon ( ragazzo )

lacché : servo, o persona ruffiana deriva da alaquais (servo)

a lampa : lampada , lume acceso in cimitero o in casa dinnanzi ad immagini di santi o di defunti deriva da lampe ( lampada )

lummèra : miccia, luminarie deriva da lumière (luce)

madamusella : Signorina deriva da mademoiselle (signorina )

munzù : signore (appellativo per cuochi e turisti) deriva da monsieur

‘nciarmare : arrabattarsi, adoperarsi deiva da charmer ( ammaliare )

nippolo :  peloderiva da nippe ( fronzolo

Nnacchennèlla cioè colui che, per la sua inconsistenza e vacuità diventa irritante è un’altra storpiatura del francese “n’a qu’ un oeil” che significa “vedere con un occhio solo”, infatti “‘o nnacchennèlla” e’ quell’antipatica persona che vede le cose con un solo occhio : il suo.

‘ntartieno : Intrattenimento, passatempo deriva da entretien

‘nzerrare : chiudere deriva da enserrer ( chiudere )

pareglia : pariglia, contraccambio deriva da pareille ( pariglia )

piluscia  :  pelo deriva da peluche ( pelo )

o pustine deriva da pustiere :  impiegato del lotto e deriva dal francese postier

apriezza : apprezzare deriva da apprècier ( valutare )allegria, gioia

raggia : rabbia : deriva da rage ( rabbia )

samenta : persona spregevole deriva da aisement ( facilmente )

sanfasò : senza criterio deriva da sans facon ( senza maniere )

sartù : sformato di riso imbottito deriva da surtout ( su tutto )

sarvietta : tovagliolo deriva da serviette ( tovagliolo )

scemanfù : vanità deriva da je m’en fous (me ne fotto)

sciantosa :cantante di varietà deriva da chanteuse

sciaraballo : calesse deriva da char à bancs (carrozza a 4 ruote )

sciassa : giubba o mersina deriva da chasse ( uniforme di caccia )

scicco :elegante  deriva da chic ( elegante )

sciffunera :cassettone deriva da chiffonière ( cassettone)

sciù :dolce ripieno con crema o panna deriva chouchou  che ripetuto due volte sciusciù  significa invece tesoro

sparatrappo :cerotto  deriva da esparadrap (cerotto

sparagno :risparmio deriva da éparagne

Gaiola : : gabbia: trappola per uccelli o prigione deriva  dall’antico  francese aiola

Mammà: Mamma. Da maman

Marchèse: Mestruazione, regole femminili. Dal francese marquis
marpione : furbacchione deriva da marpion (piattola)

‘Nciarmà: Incantare, ammaliare. Dal francese antico (en)charmer

‘Ntramèsa: Intermezzo, divisorio. Da entremise

‘Nzerrà: Serrare, chiudere. Dal francese antico enserrer

Parèglia: Pariglia, coppia o paio d’oggetti uguali; uguale trattamento. Da pareille

Pènza: Piega cucita, da pince

Sanfasò: Con superficialità, senza criterio. Da sans façon
Sargènte: Morsa, arnese per stringere pezzi di legno incollati. Da sergent

Sarvietta: Tovagliolo, salvietta. Da serviette

sceriare : strofinare deriva da cheiriar ( Lustrare oggetti )

Sciarabballo: Calesse, barroccio. Dal francese char a bancs.

Scignò: Ciocca di capelli finti inseriti tra quelli veri. Da chignon

Sciuè sciuè: Alla buona, superficialmente, con semplicità. Dal francese èchouè

Sgarràre: Sbagliare, commettere un errore. Dal francese antico esg(u)arer; francese moderno égarer/s’egarer

Spingula: Spilla. Da espingle

Spionàre: Far la spia, osservare indiscretamente, guardare. Da espioner
Tirabbusciò: Cavatappi. Da tire-bouchon
Tulètta: Mobile a specchio; insieme dei capi d’abbigliamento occorrente per vestirsi. Dal francese (table de) toilette

Tuppo: Ciuffo di capelli che le donne portano annodato e fermato dietro la testa. Da toup
Turnése: Tornese (antica moneta napoletana); denaro.

Zandraglia : nel nostro dialetto tale termine detto ad una donna risulta essere un’offesa molto grave  in quanto indica “na femmina”di bassa condizione sociale, una donnaccia  volgare, rumorosa e  sgradevole. Due sono le possibili origine etimologiche. Una la vuole originaria dallo spagnolo “andrajo” che vuol dire cencio, straccio. L’altra, molto piu’ complessa, e sicuramente di origini francesi  fa invece riferimento al tempo in cui al Maschio Angioino c’era il Re. Dai balconi del castello volavano spesso gli avanzi dei lussuosi pranzi reali. L’incaricato gettava i resti gridando “Les entrailles” (riferendosi alle interiora degli animali). Al grido, il popolo affamato accorreva tra urla , schiamazzi: e litigi . Molte donne urlando in dialetto e spesso litigando fino ad arrivare allo  “ strascino facevano un gran casino senza alcun ritegno , comportandosi  in tal modo da ” zandraglie “.

Lo strascino  era un atto violento fatto generalmente da una donna consistente nel trascinare un’altra  donna al suolo mantenendola per i capelli.  E’ un preciso atto di sfregio che veniva compiuto fino ai primi anni del ‘900 nei confronti esclusivamente della donna che si era macchiata di un qualcosa di grave nei confronti di altra donna e da quest’ultima punita.

Divertente anche il termine  “vrenzola”   con il quale si intende in genere una donna maleducata, dagli atteggiamenti bonariamente grezzi, kitsch al limite del volgare, trash per definizione.  Oggi viene riferito ad una ragazza che  vestita in modo sgargiante con scollature eccessive o con leggins su un corpo poco asciutto  mastica  divertita  a bocca aperta un chewingum, in compagnia di amici o sconosciuti. Qualsiasi stile sia di moda, la vrenzola non si fa problemi: a prescindere dal fatto che il suo corpo possa o no permettersi stile o taglia, lei lo indosserà. Sceglie con particolare cura gli orecchini, che saranno necessariamente grandi . Altri modi in cui viene il termine viene spesso utilizzato può essere anche :
Na vrenzola ‘e sole : sottile raggio di sole.
pozz di Na vrenzola ‘e parola : posso dire  poche parole.

Inizialmente il termine veniva utilizzato in napoletano per indicare un brandello di stoffa ridotto male  e veniva spesso utilizzato per indicare una persona ridotta in pessimo stato ai limiti della povertà e dall’essere uno straccione . Per questo motivo lungamente la parola è stata utilizzata principalmente come offesa, intendendo come vrenzola una persona meschina e avara. Certamente l’espressione ha un generico riferimento alla povertà, essendo utilizzato  come già detto in origine per indicare un oggetto di poco valore, un tessuto logoro appunto. Il vocabolo deriva dal termine italiano ‘brandello’ trasformatosi poi con l’adozione della mutazione di ‘br’ in ‘vr’, tipico del dialetto partenopeo.

La vrenzola può essere in effetti considerata l’erede della vaiassa, anch’ella donna e  particolarmente rozza, ma dal temperamento più sguaiato e volgare abituata al pettegolezzo e alla chiassata .Il termine deriva   dall’italica “bagascia” (sgualdrina) con la modifica del suffisso –asso tipico del napoletano. Interessante la spiegazione del detto “vajassa del re de Franza” alludendo alle prostitute “serve” della venerea malattia (morbo di Francia) cioè la sifilide  a cui erano spesso  esposte.

Dell’espressione e delle attitudini della vrenzola si sono innamorati molti, al punto che il termine sta valicando i confini di Napoli e la parola sta diventando riconoscibile anche in altre zone d’Italia divenendo un termine noto quasi quanto il celebre ‘cazzimma’.

 

Prima di addentrarci nella ” filosofica ” etimologia del termine cazzimma vorrei un momento soffermarmi sui tanti modi  di definire  in napoletano  una donna dai modi poco raffinati o di mal costume  ( alcuni molto originali ) :

 

La “puntunera” detta anche “pontonera” e’ per esempio la donna che si mette a “puntone d’o vico” (all’angolo) ad aspettare potenziali clienti, quindi una prostituta.

Lumerasi tende invece ad indicare una donna di basso lignaggio alla quale ci vuole un nonnulla , una piccola miccia   per accenderne la volgarità . Per molti il significato si fa risalire dalla miccia del lume ove basta una piccola fiammella per accenderla. Anche per accendere le volgarita’ ci vuole poco. Basta una miccia, un nonnulla. Noi invece siamo del parere che lumera è la donna puzzolente come una lampada a petrolio.

La Locena è un particolare taglio di carne che, ricavato dal quarto anteriore della bestia, risulta in assoluto essere  il meno pregiato e meno costoso ma anche quello di minore  qualità e  quasi di scarto. Da questo  potete capire come  il termine se  trasferito ad una donna possa etichettarla … di scarto sciatta, sguaiata, e volgare.

chiazzèra è la donna plebea, volgare adusa ad urlare, vociare sguaiatamente soprattutto in piazza(chiazza) in maniera spesso scomposta, volgare e triviale.

Janara è invece usato per indicare una donna plebea vociante e rissosa  o brutta e cattiva al punto da paragonarla ad una strega in maniera dispregiativa  ( le ianare erano sacerdotesse di Diana inizialmente temute e rispettate ma poi con il tempo poichè invise agli uomini bollate come streghe capaci di invocare il demonio ).

Pruasa :Questa parola  indica la latrina, il gabinetto oppure, in senso offensivo, una prostituta o donna volgare da cui il “si comme na pruasa”. Deriva dal francese “privaise” che a sua volta viene dal latino “privatia” ed indica la stessa cosa.

Quaquarchia: è una parola con cui  si indica una donna brutta e spregevole. L’origine deriva da “quaquiglia” con cui si indica una conchiglia (‘o scunciglio). Infatti spesso si dice anche “si brutta comme nu scunciglio”. La quaquiglia deriva, a sua volta, dal francese “coquille” che viene dal latino “conchylia”. Un’altra ipotesi vuole l’origine da “quaquina” o “gavina” con cui s’indica una donna bassa e deforme.

Vasciajola è una donna che come dice il nome abita normalmente nei bassi dove solitamente si distingue per la sua   vociante volgarità il suo carattere  attaccabrighe

“zompapereta” e’ una parolaccia che non ha un significato effettivo: e’ un grave insulto offensiva e basta.  Si potrebbe riferire la “pereta” per indicare la eccessiva facilita’ di costume (le donne di facili costumi vengono indicate cosi’) e il “zompa” potrebbe indicare un marcamento del “peretonaggio”. E’ da sottolineare comunque che il termine “pereta”  indica una donnaccia  che si concede solo a chi vuole lei  che è diverso dalla “zoccola”, ovvero la prostituta, che è una professionista e lo fa di mestiere ( con il  il termine “Pereta” che significa “scoreggia” i napoletani indicano una donna volgare o di facili costumi ). Iin questo caso  “ZompaPereta” può essere  interpretato come un ulteriore dispregiativo, o rafforzativo, di “Pereta”:    

Tenete conto che per il napoletano la mamma è sacrosanta e quando tra scugnizzi, come si dice a Napoli “‘a pazzìa va in fieto” (lo scherzo sta per degenerare), la prima regola che si istituisce in un nano secondo è la seguente:Nun mettimm’ ‘e mamme ‘miez (non coinvolgiamo le madri nei nostri insulti).

Le povere ed ignare mamme vengono infatti in seguito ad un alterco quasi sempre  tirate inutilmente sempre in ballo pur di offendere l’altra persona e l’esternazione tipica è proprio :Chella zompapereta e mammeta“,

In alcuni casi il significato può però anche assumere un tono un po piu morbido e  “Onna Pereta“, sta ad indicare una donna un po’ stupida ma che sa i fatti di tutto il quartiere perché possiede le tipiche caratteristiche di una “prutusina ogni menesta“,  cioe si trova sempre in mezzo ai fatti degli altri quando si tratta di “inciuciare“, ovvero spettegolare.

“Zeza” e’ il modo con cui si indica in modo dispregiativo una donna che fa continuamente smorfiette , vezzi o tentativi smanciosi  di conquistare un uomo .Si tratta certamente  di uno di quei vocaboli presi in prestito dal teatro . Infatti Zeza e’ il diminutivo di Lucrezia, che nel teatro napoletano e’ la moglie di Pulcinella. Questa riempiva continuamente infatti di moine e cianci il marito.

Capera  era invece un particolare tipo di donna che  andava per i bassi e per le case a pettinare le donne. Era una quindi che solitamente sapeva un po i fatti di ognuna\o nel rione e spesso protagonista di numerosi inciuci.  E’  divenuto nel tempo , rivolto ad una donna , un termine dispregiati per etichettare una donna particolarmente pettegola ed intrigante

…. .e  se non sei una donna particolarmente bella ti puoi sentir dire :

 

 

Corta e male ‘ncavata. (essere di bassa statura e mal fatta come gnocchi non ben riusciti)

Cuopp’ allesse : riferito ad una  donna sgraziata, paragonata all’involto che contiene le castagne lesse, fatto frettolosamente con carta di giornale che si ingrossa sui lati per l’umidità del contenuto

San Giuseppe ‘nce ha passato ‘a chianozza  ( pialla ) : un termine spesso riferito per indicare   una donna dal seno piatto, la cui origine va sicuramente  ricondotta alla leggendaria abilità di falegname di San Giuseppe

 

 

Torniamo al termine cazzimma.

Cazzimma  è veramente uno dei termini più difficili da tradurre per chi voglia fare il passaggio da lingua napoletana a lingua italiana. L sua etimologia sembrerebbe derivare dal l’organo genitale maschile  al quale si sarebbe incollato alla fine -imma, che in moltissime parole del napoletano forma dei nomi di carattere femminile (come a zuzzimmasodimma ecc.).

Questa origine del termine, non dice molto però sul significato  del termine, e quindi la sua etimologia si  potrebbe anche  ricollegare  con il significato di cazzuto in italiano, dove il soggetto che lo è si caratterizza in genere come grintoso, spesso oltre il ragionevole limite.

Secondo altri si potrebbe anche collegare al napoletano (ma diffuso in tutto il meridione) cazziare, ovvero rimproverare.

Tradurre  o spegare la cazzimma   credetemi è particolarmente difficile e non pare ci siano spiegazioni in grado, anche con lunghissime parafrasi, di spiegare il termine a chi non è napoletano o a chi comunque non ha  vissuto per diverso tempo a Napoli o nel circondario. E’ una parola unica nel suo genere

Per noi napoletani possiamo forse dire che   si tratta  in grandi linee di  una sorta di furbizia di tipo opportunistico, quella che in genere si utilizza per guadagnarci sempre qualcosa, da qualunque tipo di traffico, scontro e confronto. Non si ferma però qui, perché chi ha la cazzimma è anche:

il tipico dritto che sa cavarsela, anche nelle situazioni più complicate; quella persona che per arrivare al suo obiettivo è capace di calpestare tutto e tutti o anche qualcuno capace di cattiveria gratuita.

Il termine, essendo di uso popolare, non pare essersi però ancora ben assestato per bene e sembra che sia possibile registrare già qualche cambiamento di significato rispetto a quello originario.Per esempio  negli ultimi tempi si è  assistito ad uno slittamento di significato che ha trasformato la cazzimma  non in una cattiveria, ma  in una grinta positiva.  Il soggetto cazzimoso  diventa in tal modo uno considerato capace di far carriera .

La parola cazzimma è  insomma un  simpatico neologismo dialettale per descrivere in modo ironico  l’attitudine all’astuzia impiegata per tornaconti personali a dispetto di qualcuno e l’arte dell’arrangiarsi,( prerogativa tipica della maschera napoletana Pulcinella ) .

Il termine è oramai  divenuto famosissimo  e se le cose dovessero continuare ad andare così, probabilmente in qualche anno sarà diventata completo patrimonio della lingua italiana, un po’ come è successo a tanti altri termini napoletani, un tempo ritenuti dialettali e oggi patrimonio di tutti.

 

 

Come potete vedere  attraverso la lingua napoletana più di ogni altro linguaggio  con essa siamo  capaci di esprimere e sopratutto sintetizzare in una sola parola  alcuni concetti difficili da esporre se non attraverso lunghe frasi .

Quale altra parola in altra lingua può infatti sintetizzare come fa il napoletano un termine come ammappucciato ?

Questa parola  sta a significare un qualcosa di maltrattato, uno strofinaccio, un pezzo di stoffa con cui le casalinghe levano via la polvere dai mobili..Da esso deriva anche la parola Mappata che raffigura un cumulo di roba indistinta e disordinata e Mappatella  che invece è un termine con il quale si intende uno straccio in cui le nostre nonne un tempo avvolgevano i piatti con il pranzo da consumare sulla spiaggia , Questa cosa ha poi dato seguito al caratteristico nomignolo dato poi ad alcuni tratti di spiaggia dove ognuno portava quello che gli serviva per trascorrere una giornata al mare (  la frittata di maccheroni è un classico )). Il luogo accompagnato da un grande disordine e spesso scarsa pulizia  è soprannominato ” Lido Mappatella “o  ” Mappatella beach “.

Un divertente modo di usare questo termine è : … chi nasce mappina nun pò murì foulard … che è un modo saggio di dire che le persone non cambiano mai.

Similare a questo modo di dire abbiamo anche la frase  … hai voglia ‘e mettere rum , chi nasce strunz’ nun po’ addivintà babbà … e chi nasce tond nu pò muri’ quadrato …

Il termine mappina   lo si puo’ anche dirigere verso un uomo definendolo persona di poco conto (si proprio na mappina, si na mappina ‘e salumiere), quest’ultima rende molto bene l’idea, metaforicamente, che il su indicato vale quanto uno straccio di salumiere che si usa per pulire il banco dalle briciole di pane, di provoloni e varie minutaglie alimentari che la rendono di cattivo odore.

 

 

Atri incredibili termini e modi di dire sono:

Scippacentrella  che indica una serie di piccole malattie o serie di evenri avversi oppure una caduta involontaria e’ chiamata anche scippacentrella. E’ composta da scippa (tirar via, strappare) e centrella (i chiodi delle scarpe) e si usa proprio per indicare un’ipotetica rottura delle scarpe dovuta alla caduta rovinosa.

 Ricottaro  che di per se indica solo quelle persone che si dedicano come mestiere a fare la ricotta , cioè un latticino che si ottiene dal siero di latte. Ma che dai napoletani viene spesso usato in modo dispregiativo e  offensivo, per  insultare qualcuno , o meglio ancora lo si usa  usa  per riferirsi a una persona che non vuole fare sacrifici, che vuole ottenere benefici senza troppi sforzi. Poichè infatti la produzione della ricotta viene ottenuta sostanzialmente attraverso lo scarto della lavorazione del latte, senza sforzi o procedimenti particolarmente elaborati concettualmente il termine  ricottaro,  stato con il tempo associato per indicare  colui che   ottiene qualcosa senza alcun sacrificio o fatica. Questo ha portato nei secoli ad associare il termine a  chi sfrutta il lavoro della prostituta, senza fare alcuna fatica. Infatti,oggi con tale termine si è soliti in dialetto definire il cosidetto ” protettore , cioè  colui ottiene denaro sfruttando la prostituzione (il cosiddetto mantenuto ) . Il  termine ricottaro viene comunque usato correntemente dai napoletani  sopratutto per indicare una persona che sta senza fare nulla, che ozia per ore e ore o addirittura per tutto il giorno; di solito, di una persona che non vuole fare nulla, che non lavora, che non cerca o non trova lavoro e che vive ancora con i genitori, si dice “si nu ricuttar’” (sei un ricottaro), il classico fannullone. A Napoli oggi dire a qualcuno “si proprio’ nu ricuttar’”  significa offenderlo chiamandolo fannullone, un ricottaro, un fallito, uno che non fai mai nulla.

Ma non finisce qui . C’e infatti un’altra versione di questo termine . Secondo alcuni  storici del dialetto il termine deriverebbe   da “recòveta“, cioè la raccolta di denaro che si faceva in passato nei vicoli di Napoli per aiutare le famiglie di chi era finito in galera. Tali “raccolte”, collette, erano sollecitate da personaggi equivoci, che spesso ne approfittavano per sottrarre del denaro a chi non era in condizione di dire di no; dunque anche in questo caso , ritorna il concetto di ottenere benefici senza sforzi. Il ricottaro sarebbe, in sostanza, un guadagnatore di soldi, ottenuti senza alcuna fatica. Verso il finire del XIX secolo i lenoni che a Napoli venivano arrestati erano assistiti, per le spese legali del processo e in quelle del superfluo nella vita carceraria, dai “colleghi” che utilizzavano i proventi ricavati dalla prostituzione. Questa periodica colletta era chiamata, appunto, ‘a recòveta, la raccolta; fino a ricotta il passo fu assai breve e da ricotta a ricuttaro ancor di più.

Scapuzziare . Un incredibile modo di definire una sensazione in un’unica parola  che è una vera e propria   sfida a qualsiasi altra lingua .  Si tratta di quel momento in cui  si avverte quel leggero senso di torpore che ci induce ad abbandonare le membra per un meritato riposo ma non e’ ne il luogo ne il momento adatto, allora la testa declina su di un lato oppure cade in avanti non piu’ sostenuta dalla vigile volonta’. Questo “scapuzziare” e’ talmente dolce e sereno che verrebbe voglia di abbandonarsi in un comodo letto per proseguire il sonno.
L’origine si trova nel sostantivo latino ” capitium ” con cui si indicava, appunto, capo, estremita’, testa.

‘Nzuvarato  o meglio ‘NNzuarato : allappare, allegare i denti (riferito al Cachiss = il cachi) che non avendo raggiunto la dovuta maturità, risulti alla masticazione aspro e legnoso tale appunto da allappare, allegare i denti;  il termine si spiega con il fatto che un frutto non maturo poco si presta ad esser gustato e viene scartato, trascurato o  evitato di essere mangiato perchè  “allappa” la bocca rendendola attaccaticcia. Si usa in genere per definire persone di poco conto.

Cunziglio ‘e volpe, rammaggio ‘e gallina: Fantastico modo di definire una riunione in cui  i più furbi si uniscono, a scapito dei piu semplici che invececi rimettono le penne .

Friere ‘o pesce cu l’acqua e mar  :”Friggere il pesce con l’acqua di mare  e non con l’olio  è un modo di dire riferito a persone che vogliono ottenere un risultato senza investire adeguatamente in risorse utili al progeto perchè vogliono risparmiare .

Ogni scarrafone  è bello ‘a mamma soja:  Chiunque, per quanto poco attraente, appare  bello agli occhi della propria madre.

Aniello ‘ca nun se pava nun se stima: E’ un bel modo di sottolineare che ogni cosa regalata ( in questo caso un anello ) e quindi ottenuta senza alcun sforzo si finisce per non apprezzarla .

L’amico è comme’ ‘o ‘mbrello: quannno chiove nun o truove maje  : L’amico è come l’ombrello, non è mai a portata di mano quando piove. Un modo per sottolineare  che è difficile trovare un amico quando è necessario.

“S’arricorda ‘o cippo a Furcella”: un modo di dire, utilizzato per indicare qualcosa di vecchio. Esso si riferisce al gruppo di pietre (il cosiddetto “cippo”) delimitate dal cancello circolare che si erge in piazza Vincenzo Calenda, facenti parte delle cinta murarie dell’antica Neapolis

‘A meglio parola è chela ca nun se dice: La parola migliore è quella che non si dice. Un modo per sottolineare che  il silenzio a volte è  di gran lunga migliore di tanti discorsi avventati. Un proverbio che invita alla prudenza, ripetuto spesso dagli anziani ai giovani per frenare la loro impulsività.

‘A lira fa ‘o ricco, a crianza fa o signore: Un modo di dire e sottolineare che i soldi ( in questo caso la vecchia lira ) possono certamente portare la ricchezza  ma solo  la buona educazione  (la creanza ) porta signorilità . Non basta essere ricchi per essere signori, sono i modi gentili e la buona educazione a distinguere un signore.

Giacchino mettette ‘a legge e Giacchino fuje ‘mpiso: Gioacchino (Murat) istituì la legge e Gioacchino (stesso), fu impiccato. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Il proverbio si riferisce a Gioacchino Murat ucciso a Pizzocalabro in attuazione di una legge da lui stesso imposta.

Ntiempo’e tempesta, ogne pertuso è puorte’: In tempo di bufera ogni pertugio è porto. In tempi difficili anche il più piccolo appiglio è una salvezza.

Chi pecora se fa, ‘o lupo s’ ‘o magna: Chi si fa pecora, il lupo se la mangia. Un modo di dire che esorta in talune situazioni a non  assumere un atteggiamento  dimesso  perchè rischia in questo modo di essere sopraffatto dal più forte.

 

 

A’ vita è n’apertura e cosce e ‘ na chiusura e cascia : La vita è un’apertura di cosce e una chiusura di cassa. Questo modo di dire  si riferisce al ciclo della vita , che inizia con un rapporto sessuale e termina con la bara. C’è anche la versione “E’ megl’ n’apertura r’cosc’, ca n’apertur’ r’ casc’” (È meglio un’apertura di cosce che un’apertura di cassa) che ha un significato ben diverso: in questo caso la cassa è la dote della sposa. Il senso, quindi, è che è meglio avere risultati con facilità usando il sesso, piuttosto che lavorare per guadagnarseli.

Dicette o pappice vicino a’ noce, ramm’ o tiemp’ ca te spertose: Disse il verme alla noce: dammi tempo che ti perforo. È un modo per dire che con tempo e costanza si raggiungono anche risultati che sembrano inizialmente  impossibili o molto difficili. Allo stesso modo il verme impiega tempo a rompere il guscio della noce, ma poi  con il tempo ne gusta il frutto.

Dicette ‘o ciciniello vicino ‘o squal : “pur’io sò pesce”:  Disse il latterino allo squalo: “”pure io sono pesce”. Viene detto spesso ai bambini con troppe pretese. Il latterino è un pescetto minuscolo, ancora di più se paragonato allo squalo.

Chi nun sta ‘a sentì a mamma e pate va a murì addò nun sape: Chi non sta a sentire madre e padre va a morire dove non sa. Questo proverbio si riferisce all’importanza di ascoltare i consigli dei genitori per evitare finali poco lieti.

Chi chiagne fotte a chi ride: Chi piange frega a chi ride. Si riferisce al fatto che chi piange sempre suscita pietà negli altri e ne riceve aiuto, mentre una stessa persona che affronta i guai col sorriso non chiede nulla agli altri, anche se alle volte si trova in una posizione peggiore di chi non fa altro che lamentarsi.

Chi nasce afflitto more scunzulato: Chi nasce pessimista, muore sconsolato. È solo  modo di dire per invitare  intutti a prendere in maniera positiva la vita, perché in caso contrario, non possiamo aspettarci di essere felici.

Co ‘a vocca chiusa nun traseno mosche:  Con la bocca chiusa non entrano le mosche. È un modo per dire che a volte è meglio tacere che parlare a sproposito.

‘A Cunferenza è padrona d’ ‘a malacrianza : Troppa confidenza porta alla maleducazione. È un modo per ricordare a tutti  che, a volte, quando si ci sente troppo liberi con un’altra persona, si può finire con l’essere maleducati.

A’ lietto astritto, cuccate ammiezo:  A letto stretto addormentati in mezzo.Un invito alla solidarietà  che sottolinea quanto sia possibile aiutere il prossimo anche nelle piu misere  ristrettezze .

Meglio nu ciuccio vivo, ca nu duttore muorto : Meglio un asino vivo che un dottore morto. È un modo per dire che non importa quello che sai fare, l’importante è agire perché si diventa inutili solo quando non si fa niente. Il detto è anche un invito a fare nella vita il lavoro che più ti piace indipendentemente dal titolo perchè facendo quello che più ti piace riesci certamente a dare il meglio nel tuo lavoro .

Dicette Pulecenella: ‘Nu maccarone vale cchiù ‘e ciente vermecielle:  Disse Pulcinella: Un maccherone vale più di cento vermicelli. È un proverbio per dire che una persona capace vale più di cento incompetenti.

Dopp’ arrubbate, Pullecenella mettette ‘e cancielle ‘e fierro: Dopo essere stato derubato pulcinella mise i cancelli di ferro. A volte si pone rimedio a una situazione quando è troppo tardi e il guaio è già stato fatto.

E’ asciuto pazzo ‘o patrone!:Il padrone è diventato pazzo. E’ un’espressione che si usa in particolare quando una persona offre improvvisamente  a tutti i presenti.

‘E chiacchiere s’ ‘e pporta ‘o viento; ‘e maccarune jengheno ‘a panza:  Le chiacchiere se le porta il vento; i maccheroni riempiono la pancia. È una versione napoletana del latino “verba volant, scripta manent”, che sta a significare l’inconsistenza delle parole.

E deritte moreno pe’ mmane d’ ‘e fessi: Gli intelligenti muoiono per mano degli stupidi. Questo proverbio mette in guardia dall’accompagnarsi con gli stupidi, perché possono danneggiare anche persone intelligenti.

E solde fanno venì ‘a vista ‘e cecate: I soldi fanno tornare la vista ai ciechi. È un modo per dire che per soldi molti sono disposti a tutto, miracoli compresi.

Dicette ‘o parrucchiano: “Fa chello ca te dico io  e no chello ca faccio  io “Disse il prete: “Fa quel che dico, ma non ciò che faccio”. Proverbio che esprime bene il classico predica bene e razzola male, perché spesso siamo bravi a fare discorsi e a dare consigli, ma meno bravi quando si tratta di metterli in pratica…

‘E bizzoche prejano a Ddio e sfessano ‘o prossemo: Le bigotte pregano Dio e sparlano del prossimo. Detto popolare che ci ricorda che non si deve mai parlare male o giudicare la condotta degli altri, anche se lo si fa in nome del proprio credo religioso.

Quann’ ‘o mare è calmo, ogni strunz è marenaro: Quando il mare è calmo, ognuno si arroga il diritto di essere  marinaio. Il significato di questo proverbio è molto esplicito: quando le cose sono facili, siamo tutti bravi, ma le reali capacità si vedono nei momenti difficili.

Chiacchiere e tabacchere ‘e lignamme ‘o banco ‘e napule nun ne ‘mpegna: Chiacchiere e tabacchiere di legno il Banco di Napoli non ne impegna. Un modo per dire molto sottile che non si devono fare promesse impossibili o raccontare bugie perché, come oggetti di poco valore, non vengono considerate attendibili.

Storta va, deritta vene: Storta va, diritta viene. Un el modo edere le cose in maniera  ottimistica i: a volte una qualsiasi cosa che sembra iniziata male o sbagliata, invece si rivela esserenel tempo  il modo migliore o giusto, o ha solo bisogno di un piccolo cambiamento per diventarlo.

A mangià jamm bell e a durmì nisciun ce surpassa:  un bel modo di sottolineare che a mangiare e dormire siamo tutti molto bravi.

Frije ‘e pisce e guarda ‘a gatta:  Friggi il pesce e guarda la gatta. Detto popolare che ci ricorda di goderci ciò che abbiamo, ma non di abbassare la guardia verso chi potrebbe togliercelo.

Dicette ‘o puorco all’aseno: tenimmece pulite!: Disse il porco all’asino: teniamoci puliti! È un po’ come dire che il bue chiama cornuto l’asino. Il maiale che si rotola nel fango dice all’asino, un animale solitamente pulito, di pulirsi.

Attacca ‘o ciuccio addò vo’ ‘o padrone: Lega l’asino dove vuole il padrone. Bellissimo modo  napoletano che ci ricorda la necessità di adeguarci alla volontà altrui, specie se si tratta di un nostro superiore, sul lavoro ma anche in famiglia coi genitori.

Quann’ ‘o perucchio saglie ‘ngloria, perde ‘a scienza e ‘a memoria:  Questo modo di dire è bellissimo ! Quando il pidocchio sale in gloria, perde la ragione e la memoria. E’ un Detto popolare per dire che quando una persona viene a facili ricchezze, dimentica com’era la povertà e prende a ostentare il proprio benessere in comportamenti frivoli.

Nun sputà n’ciel ca n’facc te torna: Non sputare in cielo perchè in faccia ti torna. Questo  modo di dire oltre alla sua logica meccanica e fisica nasconde allude al fatto nella vita non si deve “sputare” in maniera figurata sulle cose buone perché se ne avrebbe danno.

‘A femmena bona si è tentata e resta onesta… nun è stata bona tentata!: La donna bella se è messa in tentazione e resta onesta… non è stata tentata bene!  Questo modo di dire di dire certamente poco femminista  risente  certamente della cultura dell’ epoca verso le donne, ma che vuole sopratutto ricordare che anche il più onesto, se messo in tentazione, sia spirituale che carnale, può cedere se ben lusingato.

 

Ma tu vide ‘nu poco quant’è bbello Parigge! : Ma tu guarda un po’ quanto è bella Parigi! Si tratta di una frase che viene normalmente usata  per intendere una cosa  fastidiosa   “ma tu guarda cosa mi doveva capitare!” . La parola Parigi sembra strana in questa frase , ma pare  che l’origine di tutta l’espressione sia da ricercare nella lue (dal lat. lue (m) ‘imputridimento, decomposizione’), o  sifilide. Una malattia  fastidiosa e dura da debellare, trasmessa per via sessuale. ( da non confondere con  con la blenorragia, altra affezione scomoda che a Napoli definiamo più semplicemente con il termine scòlo, che, seppur meno grave della precedente, viene anch’essa associata al ceppo delle malattie “francesi” o “galliche”). La sifilide  secondo l’accusa volta dai napoletani, pare sia stata portate dai soldati delle truppe di Carlo VIII giunte a Napoli alla fine del 1500 e propagate attraverso i rapporti che questi avevano con le prostitute locali (da qui la derivazione del termine “malattie francesi”Al contrario , i francesi definirono la lue “mal napolitain”, accusando così le prostitute napoletane di averle diffuse tra i soldati.

‘O pesce fete d’ ‘a capa :  Il pesce puzza dalla testa. Un detto popolare per dire che quando qualcosa non va, in uno stato, in un’zienda ma anche in famiglia, la colpa è sempre di coloro che stando prendono cattive decisioni.

‘O scarparo porta ‘e scarp rott e pier :  Il calzolaio porta le scarpe rotte ai piedi  Qui il calzolaio non è colui che aggiusta le scarpe, ma l’artigiano di una volta che le faceva a mano ( la famosa rapida ) Egli spesso non aveva il tempo e i soldi di curare le proprie calzature, così le uniche calzature trascurate erano proprio le sue.  Un modo di dire che ogni esperto del suo settore spesso trascura se stesso nell’ambito delle cose che esercita giornalmente.

‘O sparagno nun è maje guadagno : Il risparmio non è mai guadagno. Nel comprare delle cose spesso si ricorre a quella che costa di meno per poi accorgerci della sua bassa qualità in quanto dura pochissimo . Per questo motivo siamo poi costretti a ricomprarla .Tutto questo  ci vuole solo ricordare  che a volte è meglio non risparmiare per guadagnare.

‘A gallina fa ll’uovo e a ‘o gallo ll’abbruscia ‘o mazzo . La gallina fa l’uovo e al gallo brucia il sedere. Un proverbio per dire che spesso uno lavora e un altro si lamenta della fatica.

Acqua cà nun cammin fa pantano e feta:  Acqua che non cammina, fa pantano e puzza. La saggezza popolare ci dice di non fidarci delle persone che stanno zitte e non dicono apertamente la loro, ma poi tramano nell’ombra per danneggiarci facendo uscire il loro marcio interiore.

Ogni capa è ‘nu tribunale: Ogni testa è un tribunale. È un modo per dire che siamo sempre tutti pronti a emettere sentenze e giudicare gli altri.

‘A gatta, pe gghì ‘e pressa, facette ‘e figlie cecate: La gatta per andare di fretta fece i figli cechi. Questo espressione  ci ricorda che la fretta non è mai una buona consigliera. Meglio metterci il giusto e fare le cose bene.

‘ E recchie ìe pulicano : Tiene le precchie di un pellicano .  Il pulicano  in questa frase è il  volatile pellicano  capace come tutti sanno di sentire anche a lunga distanza il richiamo dei suoi piccoli perche dotato di un  fantastico udito .  “Tene’ ‘e rrecche ‘e pulicano” equivale, dunque, ad “avere ottimo udito”.

Fà e sette chiese : visitare le sette chiese . Anticamente queste sette chiese erano quelle che si era solito visitare durante lo ” struscio ” andando dalla odierna piazza Dante (anticamente Largo del Mercatello) a piazza del Plebiscito (l’antico Largo di Palazzo) percorrendo la centralissima strada di Toledo. Questa rituale passeggiata   si compie ancora oggi ogni  giovedì santo , e rappresenta il momento durante il  quale  si “visitano” i c.d. “sepolcri” ovvero le solenni esposizioni dell’Eucarestia che si tengono in ogni chiesa di culto cattolico. A Napoli è un modo di dire per intendere anche uno che per tanti motivi è stato costretto a doversi recare in più posti nella stessa giornata o etichettare qualcuno che senza uno specifico motivo  ma solo per il gusto di intrattenersi negli altrui domicili, gira nella speranza – magari  – di scroccare un pranzo, o quanto meno un caffé che a Napoli  non si rifiuta mai di dare. E’ anche un detto che viene affibbiato a colui che prima di decidersi a fare un acquisto visita innumerevoli negozi per informarsi dei prezzi dell’articolo cercato, per confrontarli e metterli a paragone.

Fà quatte ciappette  : Fare quattro ‘ciappette’, vuol dire  compiere un lavoro in maniera rabberciata e disimpegnata con riferimento a chi avesse imparato a fare appena pochi tratti di penna (scippi) e si vantasse, chiaramente a torto, di essere molto istruito.

Levate ‘a nante o cato ( fance vennere ‘o pesce ! ) : Spòstati, lascia il tuo posto dinnanzi al secchio (lasciaci vendere il pesce!) . L’espressione viene usata con risentito fastidio quando si voglia invitare qualcuno ad allontanarsi, a liberarci della sia inopportuna presenza, evitando cosí di infastidire chi sia impegnato in un’operazione che richieda libertà di azione e/o movimento quale è l’attività d’un pescivendolo che davanti al proprio banco non può permettere che degli sfaccendati non intenzionati all’acquisto, stazionino innanzi ai tini ed ai cati brulicanti di crostacei, molluschi o pesci, impedendo forse ad eventuali acquirenti di rendersi conto della bontà della merce in vendita.
Mannà a accatta ‘o tozzabancone oppure mannà accatta  o pepe :  mandare a comprare l’urtabancone oppure mandare a comprare il pepe. Anticamente nei quartieri popolari di Napoli, quando le famiglie erano numerose, in ogni casa si aggirava un gran numero di bambini, la cui presenza impediva spesso alle donne di casa di avere un improvviso incontro ravvicinato col proprio uomo. Allora, previo accordo, qualche bottegaio (salumiere, droghiere) del rione si assumeva il compito di intrattenere, con favolette  o distribuzione di piccole leccornie i bambini che le mamme gli inviavano con la frase stabilita di accattà ‘o tozzabancone oppure di accattà ‘o ppepe, pepe che in quanto merce veramente esistente al contrario dell’inesistente tozzabancone, veniva spesso fornito realmente dal bottegaio.

 

Esiste anche una parte della lingua popolare estremamente volgare e oltraggiosa i cui termini possono come pochi diventare nella loro crudeltà estremamente cattivi e dispregiativi e arrecare grave offesa alla persona che li riceve

Alcun termini appaiono   estremamente efficaci e diretti  ma indubbiamente volgari e certamente sono da evitare per uno che aspira a divenire un piccolo lord …..

La peggiore a mio parere offesa rivolta ad una persona è ” samenta di merda ” . Questo termine oscilla nel suo significato tra un sistema fognario , una cloaca o un gabinetto e  poco importa  se questo insulto sia rivolto  ad una donna o a un uomo perche stranamente la desinenza non cambia, sempre “samenta” resta.

Il significato di questo modo di dire tutto partenopeo pare risalire all’isola di Samo , un luogo abitato da abilissimi artigiani di terracotta che era all’epoca il materiale con cui venivano costruiti i sistemi fognari

Non male come offesa anche il già citato ” sei un Rinale ” che tradotto in parole povere significa “sei un urinale “cioè una persona di poco valore .        Come già detto il rinale è il classico vaso da notte oggi ancora usato dai bambini per fare i loro bisogni ma un tempo usato da tutti per urinare o defecare  . Immaginate rivolto ad una persona quanto questa sia considerata di poco valore e scarsa considerazione .

Tremendo poi il termine “Sì ‘na Latrina! ” che tradotto significa “sei una persona poco affidabile  ” in quanto  ovviamente per latrina si intende il gabinetto  destinato a funzioni poco onorevoli

Se invece si è fortemente  arrabbiati ,e  la persona ti è veramente in odio , una frase più di ogni altra è la peggiore : una vera maledizione !

Puozza sculà  : Si tratta  tratta di una delle peggiori imprecazioni  che un napoletano possa ricevere . 

Puozze sculà”, cioè che tu possa morire.è un’espressione tutta napoletana che ricorda il rito della scolatura  che si tenne in città   per un breve periodo di tempo .  In questo periodo  la sepoltura  delle spoglie di nobili ed ecclesiastici avveniva appunto tramite il macabro rito della  scolatura.  Questo prevedeva che i cadaveri venivano posti all’interno di alcune nicchie, le cosidette cantarelle  (dei seditoi con un foro al centro) sotto il quale veniva posto un vaso per raccogliere i liquidi dei cadaveri messi lì a ” scolare “e seccare. Per agevolare questa operazione sui  morti venivano praticati dei fori  ( venivano punzecchiati ). Il difficile compito spettava ad un becchino che proprio in virtù di questo ingrato compito veniva appunto chiamato “schiattamuorto“.

Quale altra frase in italiano può secondo voi ” augurare” morte peggiore ?

Schiattamuorto è anche il soprannome con cui viene chiamato solitamente un personaggio che porta jella , sfortuna e la cui  funesta compagnia è  vivamente consigliabile evitare. La composizione di questo vocabolo, formato dalle parole “schiatta” e “muorto”, dice da sola a quale sgradevole compito e’ chiamato ad assolvere il nostro “amico”. Per quanto riguarda l’origine di questo vocabolo l’ipotesi piu’ accreditata vuole la provenienza dal francese CROQUEMORT di cui “croque” si traduce “divorare” e “mort” che non mi sembra il caso di tradurre. L’allusione e’ da riportare a quel particolare volatile che si nutre di sole carogne, cio’ spiegherebbe anche l’origine degli italici “beccamorto” e “pizzicamorto”.

 

Di fronte ad un personaggio come questo è meglio fare i dovuti scongiuri grattandosi le parti basse  con la mano sinistra e procedere con la mano destra al rituale segno delle corna pronunciando la frase ” corna facenno “.

 

 

Parlando di morti non possiamo dimenticare un altro originale termine che è  “il Tauto “la cui origine è  sia araba (tabu’t) che spagnola (ataut). Entrambe hanno lo stesso significato di “scrigno” o “contenitore”. Altri autori, pero’, avanzano anche l’ipotesi di una provenienza greca. Infatti “thapto”, che significa “seppellire”, sembra meglio adattarsi al partenopeo “tauto” o “tavuto” .

Ma  il massimo dell’indecenza  lo si raggiunge se incominciamo a riferirci all’apparato genitale maschile e femminile .

Se ci riferiamo ad una donna la a vagina assume il termine con con cui in passatosi indicava una varieta’ di insalata chiamata : a’ pucchiacchella (mol che si prepara in genere insieme alla rughetta (altra insalata) per formare ‘A rugole e pucchiacchella. L’origine etimologica e’ chiaramente latina. Infatti con il termine “Portulaca” si indicavano, appunto, le erbe. L’associazione con l’organo sessuale femminile, e’ dovuto alla fusione del termina con “Pucchia” con cui si indicava una fonte, un luogo dove sgorga l’acqua. Credo non sia il caso di approfondire il perche’ dell’associazione. Ricordo inoltre, che la pucchiacca (l’insalata) cresce poco alta, quasi rasa al suolo (anche in questo caso non mi sembra opportuno specificare l’analogia).

Se invece ci riferiamo ai genitali maschili ……..

I testicoli , ma solo se affetti da ernia , si chiamano  “Guallara” (questo e’ il termine esatto, ma si dice anche uallera) L’origine  del termine e’ arabo e deriva dalla trasformazione del termine arabo ‘adara in wallara (che tradotto significa appunto ernia) quindi la traformazione tutta napoletana in uallera.
Fra i termini sono collegati, vi troviamo anche guallaruso  ( un uomo lento .. ernioso )  e frasi come Si’ ‘na guallera!  (persona di poco conto ) o
Che guallera che sei !  ( sei proprio una persona noiosa).

Oppure ‘me fatto a uallera a ‘rraù ‘, che derivante dalla lunga e paziente fase del peppiare con cui si prepara la salsa del ragù , sta ad indicare un parlare lungo e ripetitivo che porta ad annoiare chi ascolta.

Stesso significato ” m’e fatto ‘a uallera a filoscio ” che deriva dalla lenta fase di cottura con  cui il filoscio fatto con mozzarella deve divenantare filante.

Il contenuto dei testicoli e cioè lo sperma è invece una delle più brutte parolacce  che si possano trovare nella lingua napoletana . Sfaccimma è infatti un termine che viene in genere usato per disprezzare ( un uomo di sfaccimma è un uomo di niente ) , ma può anche essere usato per indicare una persona furba ed in questo caso si usa dire : figlio e sfaccimma ( in questo caso non è offensivo ). Si può anche dire ” ma che sfaccimma ! ” ed in questo caso indica una esortazione del tipo ” ma che diamine “. L’origine del termine deriva da “sfacciato “che vuol dire intraprendente e sfrontato.

Viene abitualmente usato anche per diversi significati :

.E che sfaccimma! Per la miseria!
Si ‘nu sfaccimma! Complimenti! Sei veramente simpatico; un vero e proprio burlone!
Sfaccimmiello! Ragazzino peperino.

L’organo genitale maschile invece ha un contenuto ed una storia un pò particolare .Incominciamo con il dire che l’attuale corno , considerato a Napoli un oggetto portafortuna non è altro che la stilizzazione del … fallo del dio greco-romano Priapo, custode dei campi, protettore dal malocchio e dio della prosperità della casa e della pesca.

Per quanto concerne l’etimologia della parola Priapo, essa deriva probabilmente da pri(h)àpos (“colui che ha sul davanti un hàpos”, cioè un pene).
Già molto diffuse in Grecia e poi a Roma, le feste in onore di Priapo, definite falloforie, avevano un grande rilievo nel calendario sacro.
Nell’arte romana, veniva spesso raffigurato in affreschi e mosaici, generalmente posti anche all’ingresso di ville ed abitazioni patrizie. Il suo enorme membro era infatti considerato un amuleto contro invidia e malocchio. Inoltre, il culto del membro virile eretto, nella Roma antica era molto diffuso tra le matrone di estrazione patrizia a propiziare la loro fecondità e capacità di generare la continuità della gens. Per questo, il fallo veniva usato anche come monile da portare al collo o al braccio. Sempre a Roma, le vergini patrizie, prima di contrarre matrimonio, facevano una particolare preghiera a Priapo, affinché rendesse piacevole la loro prima notte di nozze.

 

 

 

Priapo risulto’ ‘ anche essere uno degli dei più venerati nella Campania Felix e il suo culto ebbe molta diffusione a Napoli ed in provincia risultando essere tra i più antichi riti misterici napoletani : nei riti “segreti” della fecondità le vergini, designate da una sacerdotessa, venivano accompagnate in grotte sotterranee e denudate nel corso di una cerimonia ritenuta di fondamentale importanza. Il nudo iniziatico sarà lentissimo a morire nei riti esoterici napoletani e si trasmetterà nei secoli fino alla Tarantelle Cumplicate che si tenevano nella grotta di Piedigrotta. Distesa su una “pelle marina” ottenuta con unione di diverse pelli di pesci del golfo, la vergine veniva posseduta da un giovane vestito a sua volta da pesce.
Da questi riti pagani nacquero una serie di commistioni che si trasformeranno poi in ritualità cristiane come il culto del pesce di San Raffaele (‘o pesce ‘e San Rafèle), di San Pasquale Baylon e della Madonna di Piedigrotta.

Una origine così antica non poteva che essere presente in maniera forte nel nostro dialetto :

‘O C’zzo! Non se ne parla.
Che czzo! Per quale ragione capitano tutte a me?
‘A faccia do’ c’zzo! Meraviglia!  Può intendere anche una cosa particolarmente interessante : In caso contrario invece : “Manco po’ c’zzo..

A faccia do’ c’zzo! Certamente!

‘Sta faccia ‘e c’zzo! Che uomo antipatico.
Che faccia ‘e c’zzo! Che buffo che sei.

Frat ro cazz Fratello del cazzo [letteralmente], stupido

Cap ‘e cazz Testa di cazzo  viene invece affibbiato a chi non è equilibrato nelle sue cose facendo  guai a ripetizione

E ANCORA ….

Vafammoc : In napoletano “fammoc” o “afamocc” vuol dire letteralmente “vai a fare in bocca” che tradotto normalmente sarebbe mandare a quel paese………praticamente un equivalente di ‘vaffankùlo’

C’esso! Che schifezza di uomo che sei.

Fareniello Persona piena di sé

Fetosa Puzzolente

Nacchennella Stupido

Nciucessa Pettegola

‘nguacchiato Sudicio

‘nzallanuto Stordito

‘nzevato Viscido

Omm e merd Uomo di merda [letteralmente], uomo di poco valore

Sicchio e lota Secchio di merda

Strunz  :  Stronzo, uomo da poco

Tieni chiù corna tu che nu panaro e maruzze Hai più corna in testa tu, che un cesto pieno di lumache!

 

 

Una delle caratteristiche della lingua napoletana e’ l’assoluta mancanza, come avete potuto notare  del superlativo assoluto . Infatti se in italiano si aggiunge il suffisso -issimo, nel napoletano si preferisce usare altri espe dienti linguistici come un avverbio insieme al comparativo o il superlativo relativo.

Alcuni esempi per chiarire:
Bruttissimo – assaje brutto
Bellissimo – assaje bello
Arrabbiatissimo – assaje ‘ncazzate

Altra particolarità è il ripetere la forma normale da cui proviene il superlativo e replicarlo.

Alcuni esempi:
Grassissimo – chiatto, chiatto
Magrissimo – sicco, sicco
Altissimo – aveto, aveto
Bassissimo – curto, curto

Alcune parole vanno in alcuni casi  ripetute due volte per acquisire un  degno significato, come anche luongo luongo. o  aumm aumm .

 Aumm aumm significa fare qualcosa ma  svolgerla in maniera discreta e veloce, riprendendo l’onomatopeica chiusura della bocca contenente cibo

 

Anche la  lingua araba  ha avuto grosse indubbie influenze  sulla lingua  napoletana, per via dei numerosi scambi commerciali che il Regno delle Due Sicilie intratteneva con l’area afro-mediterranea). Le due parole più famose sono certamente Purtuallo cioè  arancia che deriva dall’arabo  Burtughali arabo e Tauto cioè bara  che deriva da Al-tawt .

Ma molte altre anche se più silenziosamente sono entrate lentamente nel nostro comune dialetto .Ecco  elencate di seguito alcune di esse :

“BARDASCIA”: è  il modo di definire in senso dispregiativo una donna . questo termine deriva dalla parola  bardag, che indicava  la giovane schiava straniera, fatta preda di guerra o di razzia…

“BAZZARIOTA”:  viene solitamente usato per definire una persona scansafatiche , poco affidabile , con discutibile onestà  e scarso  impegno in quello che fà. Il termine trova origine dai bazar ed era il modo con cui generalmente veniva denominato  un venditore ambulante di merci al minuto,

“CANTARO” (attenti all’accento!): unità di peso pari a cento rotoli (circa kg. 90), sostituita dal nostro più ponderoso quintale. Ricorre nella colorita espressione “Fa’ tre fiche nove ròtole e quatto cauze nu cantaro”, riferita a chi “la fa troppo pesante”.

“CARRAFA, CARRAFELLA e GIARRA”: denominazioni proprie della piccola brocca in vetro dal contenuto inferiore al litro, detta garaf, rigorosamente marchiata. Dalla relativa estrema fragilità nacque il detto “Tene ‘a salute d’ ‘a carrafa ‘e Zecca”, mentre a proposito di lacrime troppo facilmente o indebitamente sgorgate si commentava: “Mò scorrono ‘e carrafelle”.

“DRAGUMANNO”: fonema ormai declinante, riferito al discusso procacciatore di affari, servizi, utilità ed altro. Gli ultimi dragumanni svolsero la loro attività nell’ultimo immediato dopoguerra a favore dei militari alleati, dirottandoli verso luoghi di piacere o di… spoliazione. Da targuman, intermediario, mediatore e anche interprete.

“FARFARIELLO”: appellativo riservato da Dante al diavolo, ma ampiamente diffuso nel nostro dialetto con analogo significato: da esso nella settecentesca “Canzona ‘ncopp’a latarantella” – meglio nota come Lo Guarracino – viene metaforicamente “pigliato” lo sprovveduto Alletterato per il tradimento della fedifraga Sardella. Da farfar. demonio, spirito maligno.

“FELUSSE”: era uno (oggi obsoleto) degli ottantatré sinonimi nostrani del danaro, giuntoci da fulus, monete, immortalato dal Basile ne Le Muse napoletane (1635) con l’efficace aforisma “Nun se pò avere bontate e felusse”.

“FUNNECO”: vicolo cieco, sporco, sovraffollato, costellato da squallide abitazioni. Il “Risanamento” ne attuò le radicali bonifiche. Ad esso Salvatore di Giacomo dedicò due icastici sonetti nel 1886. Deriva dafunduq. precario alloggiamento per mercanti.

“GUALLARA”: questa primaria (e pregnante) denominazione dell’ernia – di cui il nostro “abbunnante e smatafòreco” dialetto (così definito dal settecentesco commediografo Pietro Trincherà) annovera ben altri quindici appellativi – discende da hadara, rigonfiamento.

“MAMMONE”: lemma terrificante, inopportunamente evocato per spaventare bambini esuberanti (specie se seguito da parasacco, contenitore recato dall’orco per inserirveli), simboleggiante un mostro o un demonio. Non ha nulla in comune con l’aramaico mamona, presente nei Vangeli di Matteo (6,24) e di Luca (16,13) nell’accezione di smodata ricchezza capace di rendere schiavo l’uomo, derivante da maymum, scimmione.

“PAPOSCIA”: nella lingua napoletana indica una semplice pantofola vecchia e deformata ma è anche sinonimo di debordante ernia scrotale),deriva   da babusc, la classica calzatura orientale con la punta rivolta all’insù.

“REBBAZZA’ “: equivale a sbarrare, rinserrare, “mettere le sbarre per impedire l’ingresso” (come indicato dal Greco nel suo Nuovo Vocabolario Domestico del 1856), da ribat, corda istituzionalmente demandata a tenere saldamente chiuso e legato alcunché.

“RUOTOLO”: unità di peso pari alla centesima parte del citato cantaro (e quindi a circa, gr. 900) dall’analogo rate. Ricorre amenamente nelle nostrane rotola scarze (situazioni incerte e precarie) e nella locuzione pe ‘ ghionta ‘e ruotale (aggiunta di derrata o arrotondamento di peso liberalmente (!) concessi, ma anche nel senso di danno che si addiziona alla beffa).

“SCIARAPPA”: bevanda sciropposa e zuccherina, riferita anche a vino dolce e gustoso o cosa allettante e concupita (Te piace lo sciarappiello?), da sharab, da cui anche gli italiani sciroppo, gialappa e giulebbe.

“SCIAVECA”: rete da pesca a strascico, da “tirare” con faticoso impegno, donde il canzonatorio He tirata ‘a sciaveca?, eccepito a chi lamenta eccessiva stanchezza a seguito di modesta fatica. Da shabaka, dello stesso significato.

“TARÌ”moneta aurea introdotta dai Normanni, particolarmente coniata ad Amalfi, resa anche come tareno. L’etimo più convincente è da dirahim, soldone argenteo, ma non può escludersi una derivazione da tariy, fresco di conio.

“ZARRO”: ciottolo contro cui può inciamparsi e per estensione equivoco, abbaglio, cantonata (Piglia nuziarro), da zahr, sasso. Ridotto in forma cubica e con numeri incisi sulle quattro facce configurò il dado da gioco e dalla aleatorietà della relativa vincita sono derivati il francese hasard (caso) e l’italiano azzardo.

“ZIRACCHIO”: niente a che vedere col serracchio, piccola sega dalla lama larga e dalla corta impugnatura, trattandosi di una unità di misura (circa cm. quindici) pari alla distanza intercorrente tra il pollice e l’indice della mano distesa. Come tale perviene da zeraic, spazio corrispondente a un palmo.

“ZIRO”: recipiente in terracotta di ampia dimensione, orcio specificamente demandato alla conservazione dell’olio, dall’equivalente zir. Dall’alto della costiera amalfitana fa imponente  mostra di sé la c.d. Torre dello ziro, al cui interno venivano conservate ingenti quantità di olio.

 

Qualche parola deriva addirittura dall’inglese (anche con l’Inghilterra il Regno intratteneva rapporti commerciali) alcune delle quali introdotte durante l’occupazione americana della II guerra mondiale e qualcuna venuta in uso anche con la forte emigrazione verso l’ America  che ha caratterizzato gli anni tra il 1880 e il 1915  (approdano negli Stati Uniti quattro milioni di italiani ) comportando diverse  commistioni linguistiche..

Blecco asfalto per isolamenti black inglese

Nippulo capezzolo Nipple inglese

Gengomma o Cingomma Gomma da masticare Chewing-gum inglese

majore sindaco mayor inglese

ginzo adattamento di jeans jeans [ʤinz] inglese americanizzato

 

 

 

Nei secoli  successivi   alla conquista romana si sono avute  poi nel basso medioevo   mistioni  lessicali esterne  provenienti dapprima dall’influsso dei mercanti bizantini nell’epoca del Ducato di Napoli , dei duchi e principi longobardi di Benevento , e successivamente dal dominio dei Normanni , Svevi , Angioini , e Aragonesi , che  influenzarono certamente  l’iniziale dialetto ma solo modificandolo in alcune parole senza stravolgere  alcuna struttura grammaticale di natura fonetica, morfologica o sintattica.    Un’ulteriore evoluzione si è poi avuta nel corso dei secoli, prendendo a prestito lemmi  (solo  parole nude e semplici ) provenienti sopratutto dalla  lingua spagnola , araba  e  francese  grazie al grosso influsso di mercanti derivato dai diversi scambi commerciali con i paesi del nord Africa.  Si trattava  di popoli che comunque avevano  nelle loro lingua  una comune origine  dal latino  e questo  spiega anche  le indubbie relazioni della lingua napoletana con quella   spagnola , francese ed araba .

 

 

 

Il latino parlato popolare era quindi non quello classico studiato nelle scuole del passato ed in quelle odierne, ma certamente più popolare e volgare che parlato da tutte le classi sociali somigliava ad un dialetto che possiamo affermare essere stato il primo della penisola italiana : il napoletano/volgare pugliese . Esso sostituì ufficialmente il latino nel 1442 nei corso dell’unificazione del Regno delle due sicilie  , per decreto di Alfonso d’ Aragona , nei documenti ufficiali e nelle assemblee di corte a Napoli.  Nell’antico Regno delle due sicilie quindi e  per lungo tempo nel territorio che costituiva il reame al di qua del faro di Messina la lingua nazionale che si parlava era il napolitano detto anche volgare pugliese  , mentre  al di là del faro  cioè in Sicilia si parlava la lingua  siciliana .

Ricordiamo a questo punto  che Il volgare pugliese (dove per pugliese si intende tutto ciò che è relativo al Mezzogiorno) è l’altro nome con cui sono storicamente sono conosciuti il napoletano ed i dialetti ausoni (cioè dell’Ausonia, antico termine per indicare una parte della Campania, Basilicata, Calabria e, per estensione, tutta l’Italia meridionale).

 

Si parlava quindi la lingua napoletana in un vasto territorio della penisola italiana ma nonostante questo essa non è mai riuscita  ad imporsi come lingua ufficiale e nazionale a differenza di un altro dialetto locale come quello fiorentino  tra l’altro parlato in un’area molto più piccola e circoscritta che invece si impose per ragioni storico- politiche  e grazie alla destrezza di letterati, studiosi, ma sopratutto mercanti e banchieri toscani che brigarono per imporre il loro dialetto . Nella seconda metà del XV secolo infatti  su invito di Lorenzo de’ Medici che proponeva alla corte partenopea il fiorentino come modello di volgare illustre con pari  pari dignità con il latino ,  gli interessi umanistici presero un carattere molto più politico, ed  i nuovi sovrani locali incentivarono l’adozione definitiva del toscano come lingua letteraria anche a Napoli  trascinando la lingua napoletana in un lungo periodo di crisi fino a quando poi dopo la fine del  dominio aragonese incominciò a riaccendersi   un rinnovato interesse culturale per il volgare cittadino.

Il poeta Giulio Cortese ( 1565 ) ripose nel 600 le basi per ridare la dignità letteraria ed artistica al napoletano con una famosa opera eroicomica intitolata la Valasseide , svolta in cinque canti ,dove il metro lirico  e la tematica eroica sono abbassati a quello che è il livello effettivo delle protagoniste: un gruppo di vaiasse ( donne popolari napoletane ) che  si esprimono in lingua napoletana  . .

Nello prima metà del seicento  la prosa in volgare napoletano divenne celebre grazie al grande  Giambattista Basile , autore di un’opera famosa come Lo Cunto de li Cunti, ovvero lo trattenimiento de le piccerille, tradotta in italiano da Benedetto Croce   che ha regalato al mondo la realtà popolare e fantasiosa delle fiabe, inaugurando una tradizione poi  ripresa da Perrault e dai fratelli Grimm.

Negli ultimi tre secoli poi  grazie ad una fiorente letteratura in napoletano di autorevoli autori come   Salvatore Di Giacomo , Raffaele Viviani, Ferdinando Russo, Eduardo Scarpetta, Eduardo de Filippo , Antonio De Curtis ( in arte Totò ) che hanno scritto ed esportato nel mondo bellissime opere  in cui viene celebrata la lingua napoletana  il dialetto napoletano ha ripreso forte vigore finendo per essere appunto  riconosciuta  come patrimonio ufficiale dall’UNESCO .

 

A tutto questo va aggiunto nella diffusione della lingua , la grande popolarità  acquisita a cavallo del XVII e XVIII secolo, dalla scuola musicale napoletana che ha utilizzato il dialetto per la produzione di interi libretti di opere liriche, come Lo frate ‘nnammurato del Pergolesi   che  hanno avuto una diffusione ben al di fuori dei confini partenopei.

Anche molte famose canzoni napoletane  caratterizzate da grande lirismo e melodicità , hanno contribuito certamente alla diffusione della lingua napoletana in tutto il mondo ..Brani  come, ad esempio ,O’ Sole mio” del tenore Beniamino Gigli , oggi considerata una delle canzoni più famose di tutti i tempi è  stata cantata nel tempo cantata da migliaia di persone diffondendo il napoletano nel mondo . Questa canzone è oggi considerata  un  vero e proprio patrimonio della musica mondiale ed è stata negli ultimi decenni  interpretata dai migliori tenori  del mondo come  Enrico Caruso , Plácido Domingo, José Carreras,  Luciano Pavarotti,  Andrea Bocelli  e addirittura il mitico Elvis Presley .

 

 

Tra i cantanti  protagonisti di bellissimi brani capaci di esportare la lingua napoletana nel mondo   spiccano artisti come Sergio Bruni, Mario Abbate ,Sergio Bruni, Giuseppe Di Stefano , Angela Luce, Aurelio Fierro, Nunzio Gallo, Mario Trevi, Tony Astarita,  Giacomo Rondinella , Maria Paris,  Mirna Doris , Domenico Modugno, Claudio Villa, Peppino Di Capri , Gigi d’Alessio , Mario e  Sal Da Vinci , Nino D’Angelo , Eduardo De Crescenzo  e lo stesso Renzo Arbore . 

 

 

 

Ma ambasciatori nel mondo del nostro dialetto possiamo certamente considerare anche personaggi come Totò , Sophia Loren , Mario Merola , Pino Daniele , Renato Carosone , Enrico Caruso , Roberto Murolo, Eduardo De Filippo ,Massimo Ranieri , Gina Lollobrigida, Massimo Troisi,  Luca, Peppino e Titina De Filippo , Vittorio De Sica ,Nino Taranto , I fratelli Giuffrè, Peppe Barra , tanti , tanti altri artisti che mi scuso fin da ora di non citare .

 

Sofia Loren e Marcello Mastroianni in una scena tratta dal film Matrimonio all’italiana girata a Palazzo Pandola. Sullo sfondo si vede Piazza del Gesù Nuovo

 

Ma ritornando alle origini della  lingua napoletana  che come abbiamo detto trae la sua origine  innanzitutto dal greco antico e dalla  lingua  latina  , essa  nel corso dei secoli ,  a causa delle numerose dominazioni ha comunque inglobato vari lemmi provenienti sopratutto dalla lingua spagnola , francese, e addirittura araba .

Mi pare però opportuno soffermarsi un po’ specificamente sugli effetti del lungo contatto con la dominazione spagnola (con gli Aragonesi-catalani e poi con i Castigliani rispettivamente dal 1442 al 1503 e dal 1503 al 1707). Tre secoli e mezzo di spagnoli a Napoli non potevano non influenzare e indirizzare tutti i settori della società cittadina, lingua parlata e scritta compresa. In seguito a questa lunga presenza nel territorio campano era inevitabile che  molti termini spagnoli entrassero  con il tempo a far parte del  nostro dialetto napoletano  ancora oggi  considerato uno di quelli i maggiormente ricco di ispanismo.

Vediamo in sintesi come alcune parole si sono introdotte nel nostro linguaggio molte delle quali ancora oggi persistono.

Abbuffà (gonfiare) da Bofar (soffiare, gonfiare).

Abbuscà guadagnare arrangiandosi, prendere botte Buscar

Abbasso o giù  dallo spagnolo Abajo

Alliffà/Alliffato (pulito, vestito con eleganza) da Alifar (pulire).

Ammuinà/Ammuìna (fare confusione/Fastidi) da Amohinar (infastidire, irritare).

Ammulà/Ammolaforbece (Arrotare, Affilare/Arrotino) da Amolar (idem).

Amprèssa ( in fretta) da Apriesa ( prontamente).
Arravuglià/Arrevugliato ( Avvolgere/Avvolto ) da – Arrebujar-Arrebucarse ( Avvolgere-Avvolgersi ).
Arrugnà/Arrugnato ( Contrarre/Contratto-Raggrinzito ) da Arrugar ( contrarre-corrugare).
Buffettone ( ceffone ) da Bofeton (idem).
Butteglia ( bottiglia ) da botella (idem ma anche dal francese buteille).

Cacciuttiello Cucciolo di cane o cagnolino  dallo spagnolo Cachorro

Cagliosa ( colpo molto forte ) da Callao ( ciottolo, pietra ).
Cammisa ( Camicia ) da Camisa (idem).
Camorra ( Associazione di delinquenti ) dallo apagnolo Camorra ( alterco, lite ).
Canzo ( opportunità) da Alcanzar ( conseguire, raggiungere ).
Càpere/Capé ( entrare, contenere ) da Caber ( idem).
Caponata ( insalata di pane, cipolle, peperoni, acciughe ecc) da Capolar (tagliare a fette ).
Capuzziello ( arrogante, prepotente ) da Cabezudo ( caparbio, testardo ).

Còsere ( cucire ) da Coser ( idem).
Crepato ( lesionato ) da Quebrado ( rotto )

Criaturo Bambino dallo spagnolo  Crecero

Culata ( bucato ) da Colada ( idem).
Cu mmico/Cu ttico ( con me-con te ) da Conmigo – Contigo (idem).

Currèa cinghia, cintura  da Correa

Cucchiara cucchiaio  da Cuchara

Cunto ( racconto, favola ) da Cuento (idem).
– Faraglioni ( scogli di Capri ) da Farallòn (scoglio emergente alto dal mare ).
– Guappo ( camorrista,  bullo prepotente) da Guapo ( coraggioso, intrepido )
– Lazzaro/Lazzarone ( persona scostumata e malvestita ) da Làzaro ( cencioso, lebbroso ).

damajuana , ovvero signora Giovanna , un termine con cui probabilmente si etichettava una donna grassa ( chiattona ) , con il collo secco e lungo ed il bacino largo con le coscie corte a bancarella . Insomma  un termine  che stava ad indicare sicuramente una donna poco piacente …..” una damigiana “. Ricordate che a Napoli allora , come ora , la dammiggiana è il bottiglione di vetro verde di varia capienza , simile ad un grosso fiasco ma con il collo più secco e lungo.

Léngua lingua dallo spagnolo  Lengua

Mola dente  dallo spagnolo Muela

Micciariello fiammifero  dallo spagnolo mechero

mmuina chiasso, che infastidisce  dallo spagnolo Mohinar

‘Mpanata ( cibo ricoperto di farina o pangrattato e poi fritto ) da Empanada ( pasticcio di carni e piselli )..
Muccaturo ( fazzoletto da naso ) da Mocador (idem).
Muorzo (boccone ) da Almuerzo ( spuntino, colazione ).
N’garrà ( centrare, indovinare, azzeccare ) da Engarràr ( acciuffare, afferrare ).
Nenna/Ninno ( bambino, bambina) da Nino (idem).

Nennella, Nennè bambina  dallo spagnolo Niña

Nennillo, nennì bambino  da Niño

‘Nfizzà/’Mpizzà ( ficcare, introdurre, infilare) da Fijar ( introdurre, fissare )
-‘Nfuscarse ( irritarsi, stizzirsi, accigliarsi, stordirsi ) da Enfoscarse (idem).

‘Ngrifarse ( impennarsi, alterarsi, rizzarsi ) da Engrifarse (idem).
Nirufummo (nerofumo, uomo di carnagione scura) da negro de humo ( scuro come il fumo)
‘Nzartà o ‘Nzertà ( innestare, intrecciare) da Ensartar (idem).

mertà o Umertà ( solidarietà, a volte la camorra stessa ) da Hombredad (virilità), da Hombre = uomo
Palià (bastonare, percuotere) da Apaleàr (idem).
Palicco (stuzzicadenti) da Palillo (piccolo palo).
Palomma ( colomba ) da Paloma (colomba).
Papiello (il papiro universitario o lungo documento burocratico da Papèl (carta, documento).

‘paraustiello’ è una scusa per convincere l’interlocutore di qualcosa di  veramente improbabile magari con una arringa particolarmente argomentata . Sulla derivazione del termine ci sono due scuole di pensiero: la prima farebbe derivare la parola dallo spagnolo para usted (trad. per voi), frase ‘cerimoniale’ che la gente del popolo pronunciava durante la dominazione spagnola quando ci si inchinava e si lasciava strada ad un signorotto o un nobile appena incontrato; la seconda dal termine grecoparastasis [Παραστάσεις ], che vuol dire dimostrazione, esposizione.

 

 

Passià – Passiata (camminare, camminata) da Pasear ( passeggiare ).
Pella (cute, tegumento, contatto sessuale) anche – Pellecchia ( buccia ) da Pelleja (pelle, gonna, sottana, sgualdrina).

Pippià (fumare la pipa – il bollire del ragù) da Pipiar (pigolare).

Relogge orologio Reloj spagnolo

Recchione (pederasta) da Orejones (nome dato dagli spagnoli (da oreja -orecchio) ai nobili peruviani viziosi e corrotti che si facevano forare ed         allungare le orecchie

Ricchion omosessuale  da Orejones†

Riffa (lotteria) da Rifa = idem – Rifar (sorteggiare)
Riggiòla ( mattonella, piastrella) da Rejela (piccola inferriata) o anche Rejol (pila di mattoni)
Rollo ( rotolo, involto rotondo) da Rollo (idem).
Sbarià ( vaneggiare, delirare, divagarsi) da Desvariar (farneticare).
Scamuso (di qualità modesta, malandato ) da Escamochar ( guastare, sciupare) o Escamocho (avanzi, resti)
Scarfà ( riscaldare ) da Escalfar (idem).
Scartapelle o Sciartapelle (mobilia vecchia, oggetto inutile) da Cartapel ( carta o scritto inutile ).

Semmana settimana  dallo spagnolo Semana

Sguarrà divaricare, squarciare Desgarrar

Sciammeria (giacca elegante ) da Chamberga o Chambergo (casacca, cappello a cencio).
Scuppetta ( fucile ) da Escopeta (idem).

Sparadrappo cerotto da  Esparadrapo

Stare ( nel senso di essere ) da Estar ( stare, essere). In lingua napoletana spesso stare sostituisce essere come in spagnolo.

Suonno sonno  dallo spagnolo sueño

Tamarro ( villano, cafone ) da Tamara ( piantagione di datteri ) da cui il contadino che la cura.
Tavuto (bara, cassa da morto ) da Ataud (idem).
Tenere ( nel senso di avere, possedere ) da Tenér ( avere ).
Trezzià ( scoprire le carte da gioco a poco a poco ) da Terciar (dividere in piccole parti).
Valanza ( bilancia ) da Balanza (idem).

 

Nonostante la grande presenza di regine tedesche andate in sposa a molti re borboni ( Maria Amalia, Maria Carolina, Maria Sofia )non vi sono molte parole napoletane che derivano dal tedesco , forse perchè le due lingue , come il carattere dei due popoli non sono un granchè compatibili .

Una della parole che deriva dal tedesco è SPASS che significa divertimento , proprio come in napoletano .

Un’altra è SPARAGNO che deriva da SPAR che in tedesco significa risparmio ( sparkasse è in Germania la cassa di risparmio ).

Il dialetto napoletano viene continuamente accompagnata   da espressioni e detti napoletani che  con toni e sfumature di derisione, e simpatia  non possono dare mai lo stesso senso logico se tradotti in lingua italiana. Mentre infatti In tutto il mondo viene recepita come offesa, in terra napoletana per esempio il detto Figlio ‘e ‘Ntrocchia  assume quasi le tinte di un complimento.

Figlio ‘e ‘Ntrocchia è infatti in napoletano una parola  che indica  si una “prostituta”, ma nel senso positivo del termine. Un figlio di prostituta è colui che ha dovuto imparare a vivere per strada e cavarsela senza poter contare su aiuti altrui. Inoltre, la prostituzione è il mestiere più antico del mondo e già praticato nell’antica Roma, dove le prostitute, scendendo la notte in strada, utilizzavano per riscaldarsi piccole torce chiamate “antorcule”. Di qui la frase napoletana sopra indicata che si traduce con “figlio di lucciola”.

Furbizia, scaltrezza e “sape’ fa’” sono qualita’ tipiche del figlio ‘e ‘ntocchia. Il riferimento piu’ ovvio e’ quello latino intra oculos (negli occhi) divenuto ‘ntrocchia. Quindi questo personaggio e’ capace di fare qualsiasi furbizia senza farne accorgere al malcapitato, anzi gliela fa int’a ll’uocchie.

A proposito di occhi ,una delle più celebri frasi in napoletano è L’uocchie sicche so’ peggio d’’e scuppettate.  Una frase usata  per indicare il malocchio (uocchie sicche) come arma ben peggiore dei colpi di fucile! La locuzione sintetizza la diffusa credenza meridionale, in particolare campana, nella superstizione, ritenendo quasi impossibile difendersi dagli influssi negativi della iettatura, ossia dall’attenzione eccessiva delle persone invidiose. 

E’ fenuta a zizzinella è un’altra espressione significativa come poche . Con questa  espressione  si indica la fine di un periodo di benessere e serenità. Il termine “zizzenella”, è un diminutivo di “zizza”, termine che indica una piccola mammella. Il detto trae origine dall’atto della mungitura delle mucche, che poi giungeva al termine con l’esaurimento del latte. Quale espressione più appropriata dunque per indicare la fine di una vacanza e il ritorno al lavoro ?

Altro termine alquanto originale che nella lingua napoletana viene spesso utilizzato per la maggior parte , per rivolgersi a qualcuno in maniera scherzosa e amichevole è quello di  “Stuppola”  che  se declinato al maschile significa ufficialmente groviglio , tappo, e quindi una chiusura,  Esso sta ad indicare nel dialetto napoletano uno stoppino fatto di di stoffa che se usato come fermo certo non è di grande livello, qualità ed utilità e di norma se ne fa uso per prendere in giro bonariamente qualcuno col quale c’è un legame affettivo. Il fine è ovviamente quello di dargli dell’intralcio, dell’ingombro, dell’ostruzione bella e buona . Capita, però, anche che venga usata, con lo stesso significato, volto però ad ottenere un effetto offensivo e denigratorio verso qualcuno che va poco a genio all’utilizzatore visto che con tale termine  di stuppolo , si è anche soliti definire delle feci che possono ostruire parzialmente la regolare defecazione .

La tradizione linguistica napoletana non manca di attingere le sue espressioni più radicate persino dall’arte. È il caso di Avimmo perduto a Filippo e ‘o panaro, che indica situazioni di incertezza in cui il lungo indugio comporta la perdita di entrambe le opzioni di scelta, il danno e la beffa. È questa una delle frasi napoletane che affonda le sue radici in un’antica farsa pulcinellesca di  Antonio Petito, in cui un nobile Pancrazio affida al suo servo Filippo una cesta colma di leccornie destinata a terzi. Ma il servo, che intimorito dalla reazione del padrone per aver rubato la cesta fugge via, lascerà Pancrazio senza servo e senza cesta colma di cibo. E’ una frase spesso utilizzata di fronte a   situazioni irrimediabilmente fallite. Filippo  incaricato di consegnare il canestro al destinatario, se lo appropriò, dileguandosi

Guardate ora quante bellissime espressioni in napoletano esprimono in maniera figurata certamente più della lingua italiana alcuni concetti:

O pata pata ‘e ll’acqua  per esempio è  un ‘espressione che indica  l’inizio imminente di pioggia abbondante.  Quasi impossibile trovare nel semplice italiano detti con tale espressione ed efficacia!

‘a neve ‘int”a sacca è assolutamente impossibile tradurlo in italiano senza ottenere poi lo stesso significato .ILa sue etimologia risale ai tempi  in cui non esistevano i frigoriferi e  prima addirittura che il ghiaccio e i metodi di conservazione venissero prodotti artificialmente. così in quell’epoca per conservare  i generi alimentari  questi venivano conservati nella neve che veniva trasportata dalle montagne vicine (Molise, Irpinia e Monte Faito). Il trasporto da queste zone avveniva tramite carretti portati in tutta fretta per non permettere alla neve di sciogliersi . Si fa quindi riferimento a questi episodi per definire una persona che ha molta fretta e sembra che abbia ‘a neve ‘int”a sacca.

‘A galletta ‘e Castiellammare è invece un modo originale di descrivere le  persone avare . La sua origine si dve ai biscotti duri , insipidi, ( gallette ) che i marinai portavano a bordo delle loro navi . Questi poi per  poterle mangiare dovevano necessariamente immergerle nell’acqua di mare per ammorbidirle dove oltremodo di insaporivano grazie al suo contenuto salino .Il termine può applicarsi anche alle persone dure nel contrattare o comprendere visto che il tempo di permanenza del biscotto in ammollo era solitamente abbastanza elevato prima che si spugnasse.

S’è aunita ‘a funicella corta e’o strummolo tiriteppeto  (si sono uniti  la cordicella corta e la trottola scentrata e ballonzolante ) : ovvero: si sono uniti, in un fallimentare connubio, una cordicella troppo corta per poter imprimere  una forza la necessaria  per dare la spinta al movimento rotatorio dello strummolo [trottolina di legno] . Questo a sua volta è  scentrato o con la punta  inclinata per cui al primo movimento incomincia ad inclinarsi  e si muove bsolo allonzolando e producendo un suono del tipo tirití-tirité  ( da quì il napoletano tiriteppeto ).

‘A sporta d’o tararallaro : un termine per definire una persona o cosa  costretta a continui spostamenti, come lo è il canestro del venditore ambulante di taralli.

A ogne casa nce ave ‘a sta ‘na croce – Ogni casa ha i suoi guai.

Meglio pane e cepolle a’  casa soja, ca galline e cunfiette a’ casa ‘e ll’ate – Meglio pane e cipolla a casa propria che galline e confetti in casa altrui.

‘A femmena è comme ‘a gatta: scippa e fuje – La donna è come il gatto: graffia e fugge.

‘A femmena nun se sposa ‘o ciuccio pecchè le straccia ‘e lenzole – La donna non sposa un asino solo perchè le straccia le lenzuola.

‘A vipera ca muzzecaje a muglierema, murette ‘e tuosseco – La vipera che morse mia moglie, morì avvelenata.

Auciello ‘ngajola, canta p’arraggia e nun canta p’ammore. – L’uccello in gabbia canta per rabbia non per amore.

Facimmo ambressa, ca ‘o gallo canta matina – Facciamo presto che presto canta il gallo la mattina.

Fa’ ‘o gallo ‘ncoppa ‘a munnezza – Fa’ il gallo sulla spazzatura (vantarsi senza motivo).

Già è bello ‘o pretusino: va ‘a gatta e ‘nce piscia ‘a coppa – Il prezzemolo è già brutto e il gatto ci fa anche la pipì sopra (qualcosa che si è guastato ancora di più).

L’aucielle s’accocchiano ‘ncielo e ‘e chiaveche ‘nterra – Gli uccelli si uniscono in cielo e la gentaglia in terra.

L’avaro è comm”o puorco: è buono sulo dopo muorto – L’avaro è come il porco: è buono solo dopo morto.

‘O purpo se coce cu ll’acqua soja – Il polpo si cucina con la sua acqua (quando ci si fa male con le proprie mani).

Me pare l’aseno ‘mmiezo ‘e suone! – Sembri un asino tra le note! (Sembri fuso!)

So’ ddoje maruzze: una fete e n’ata puzza. – Sono due chiocciole: una puzza e l’altra pure.

Me pare ‘o ciuccio ‘e Fechella: nuvantanove chiaje e ‘a coda fraceta – Sembra l’asino di Fechella: novantanove piaghe e la coda marcia.

Mo ca è muorto ‘o ciuccio, nun simmo cchiù cumpare – Ora che è morto l’asino non siamo più soci.

‘O cane mozzeca ‘o stracciato – Il cane morde il pezzente.

‘O voje chiamma curnuto a l’aseno – Il bue dice che l’asino è cornuto.

 ‘A femmena pe’ l’ommo addeventa pazza; l’ommo p’ ‘a femmena addeventa fesso.

 

L’acqua ‘e San Pietro martere è invece uno strano detto che  fa riferimento ad un pozzo di acqua pura ed incorruttibile che era presente nel convento dei padri Domenicani di S.Pietro martire all’Universita’ in via Luigi Palmieri. Si dice che questa acqua non l’ha mai bevuta una persona corrotta.

Fessarie ‘e cafe’ è un modo di dire quando seduti ad un tavolino di un bar intenti a prendere un caffè si fanno spesso discorsi inutili e futili  Questo termine però lo si introduce  in seguito a  quelle discussioni che da inutili possono diventare serie tanto da compromettere amicizie o affari. Per rimediare e/o sospendere la cosa si dice “so’ fessarie ‘e cafe'”.

‘A sporta d”o tarallaro e’ quel cestino che il venditore ambulante di taralli (figura oramai scomparsa dallo scenario partenopeo), porta sulle spalle o in testa. Il cestino, suo malgrado, e’ costretto a girovagare insieme al suo proprietario nella speranza di svuotarsi al piu’ presto. Lo si puo’ riferire, quindi, ad una persona o cosa che e’ costretta a continui spostamenti nella speranza che prima o poi si fermi.

Povero Maronna e povero Cristo sono due modi di dire diversi che ancora oggi generano molta confusione . Il povero Maronna ricordiamo che è uno in cui il prossimo gli si è accanito contro mentre il povero Cristo è solo uno avversato dalla sorte.

Mantenere ‘o carro p’a sces è invece un bel termine per evidenziare la fatica che a volte bisogna sostenere nel sopportare talune cose . Esso deriva dall’enorme fatica che all’epoca bisognava fare per mantenere un carro su una discesa per evitare che scivolasse via . Se vogliamo è un bel modo per esprimere in maniera efficace il concetto di diplomazia .

Pe vintinove ‘e trenta si indica invece una situazione che si è risolta positivamente all’ultimo momento grazie alla giusta scelta fatta su due o più possibilità di cui solo una è la migliore . E’ evidente il significato cabalistico fallico del termine 29 .

‘A scigna ‘ngopp ‘o rucchiello è un termine che invece indica una persona che cerca di tenersi con difficolta  in equilibrio come spesso vediamo fare alle scimmie al circo quando provano a camminare su cilindri rotanti .

‘A messa scaveza è un termine con il quale si etichetta una persona che al fine di ottenere i risultati prefissi  insiste caparbiamene  oltre  ogni limite con chiunque gli capiti a tiro . Il termine deriva dalle fanciulle che in tempi antichi andavano scalze per la città nel tentativo di raccogliere fondi da destinare alla celebrazione di una messa votiva.

‘A fine d’e gguardie regge è un altro bellissimo modo di dire che mette in evidenza la fine di qualcosa che invece sembrava sotto controllo . Il termine deriva dal periodo   napoleonico in cui le guardie francesi prepotenti e autoritarie dovettero poi improvvisamente subire l’onta del ritorno borbonico e dei lazzari. Si è anche  solitamente   sentire ” Hanno fatto la fine delle guardie regine , gli hanno tolto il cappello e li sputarono in faccia “.

‘O puzzo ‘e Santa Patrizia è invece un modo di dire  rivolto a chi è sempre insoddisfatto e a chi si caccia in situazioni che non si risolvono. Il termine  pare ‘o puzzo ‘e Santa Patrizia, cioè un pozzo senza fondo è riferito al  pozzo di Santa Patrizia, che era in uno dei due chiostri di San Gregorio Armeno e secondo tradizione popolare era  il passaggio segreto di Belisario, prima e Alfonso d’Aragona poi , i quali, non riuscendo a raggiungere Napoli a causa della forte opposizione del popolo, vi entrarono  attraverso il pozzo, collegato con l’acquedotto.

‘A cca’ ‘a pezza e ‘a cca ‘o sapone è una frase da ricercare nel baratto che facevano i rigattieri quando  in cambio di pezze e stracci davano sapone in cambio ( per questo erano anche detti ” sapunari “). E’ un modo efficace  di sottolineare il fatto che non si fa credito.

‘E recchie ‘e pulicano è un modo di dire che la persona indicata ha un ottimo udito . Deriva dal fatto che il pellicano è famoso per il suo fantastico udito.

Addo va !  E’ un frase che in genere si usa durante un brindisi per rispondere al classico ” A salute “. Questa frase è un augurio che la bevanda vada tutta a favore dello stomaco  e quindi apporti  conseguenti benefici.

Parla quanne piscia ‘a gallina ! Lo si dice normalmente ad una persona di cui si vuole il silenzio il più a lungo possibile .Questo perchè  si pensava nei tempi andati che la gallina avendo un unico orifizio , non fosse abilitata alla funzione urinaria .

Cuopp’alless è un modo di dire riferito ad una donna dalla forma  tanto sgraziata da paragonarla al cuoppo che si fa con un foglio di giornale con il quale si incartano le castagne allesse ( bollite ). Le castagne , rilasciando umidità , bagnano il foglio facendolo afflosciare e quindi deformare . Da qui il paragone.

S’arricorda’o cippo a Furcella per indicare un avvenimento avvenuto in epoca talmente lontana nel tempo da divenire un vago ricordo. Il cippo era un monumento che si trovava vicino al quartiere  Forcella che fu usata per esporre le teste tagliate durante le famose  giornate di Masaniello.

L’urdemo lampione ‘e forerotta è un modo di riferirsi a persone che non hanno  molta voce in capitolo o grossa considerazione in gruppo. Queste persone sono così indicate in riferimento all’ultimo lampione che si trovava nel quartiere Fuorigrotta . Questo era numerato 6666,  un numero che nella smorfia indica una persona 4 volte scema .

Lietto astritto cuccate mmiezo è un bel modo di invitare le persone ad adattarsi senza troppe pretese a qualsiasi situazione in caso di necessità . L furbata resta comunque nel consiglio di scegliere il posto più comodo  e sicuro che è quello centrale.

L’esercito ‘e Francischiello è un termine che deriva da un fatto storico . L’esercito borbonico di Francesco II dopo la sconfitta di Gaeta andò  infatti completamente allo sbando.. Con tale termine vengono quindi indicate un gruppo di persone che mancano di organizzazione e potere decisionale andando di conseguenza completamente allo sbando.

Piglirse ‘e penzieri d’o russo : Preoccuparsi con pensieri inutili di situazioni che non dovrebbero riguardarci. Giovan Battista Basile narra nelle “Muse napolitane” di un celebre ladro (soprannominato ‘O Russo, per il colore dei capelli) il quale si lamentava del fondo stradale sconnesso che scuoteva il carro che lo trasportava al patibolo.

Zi nnacc’ o Pennino è uno strano termine riferito in genere ad una donna  dalle forme inferiori non molto aggraziate. Il riferimento e’ ad una certa “Zia Nacca” che abitava nel quartiere Pendino che  era appunto  famosa per il suo bacino smisuratamente irregolare.

Na  bona pella p”o lietto è un termine invece chiaramente di tipo  sessuale e rivolto ad una donna “facile“. Molti sono i dubbi sul riferimento di “pelle“. L’unico che abbia ampia credibilita’ e’ quello latino. Infatti con ” scortum ” si indica sia “pelle” che “meretrice“.

Chi nun tene curaggio nun se cocca che e femmene belle” è invece uno strano  modo che coinvolgendo le donne vuole solo  dire che nelle vita chi non ha coraggio e non osa , non va lontano.

Si ‘o carro nun ‘s zogne , nun cammina è.invece  un detto  detto popolare  nato per definire  la corruzione. Infatti basta ungere per ottenere a volte servizi che sarebbe nostro diritto avere.

a O caccavo ‘e Santa Maria ‘a Nova . E’ il  convento dove  anticamente i frati preparavano i pasti per i poveri in un enorme pentolone (‘o Caccavo). Ed e’ in questo modo che si indica l’insaziabilita’ di alcune persone: non basterebbe il contenuto di un caccavo per sfamarli.

Vino a una recchia  è un detto che normalmente viene usato per valutare se Il vino sia di buona qualità o meno. Se il vino è buono  si sa, quando rivela il suo effetto fa si che la testa del bevitore si chini da un lato o dall’altro. Questo movimento maschera una delle orecchie. Nel caso contrario, cioe’ quando il vino non e’ buono, la testa si china in avanti ed il vino viene definito a “ddoje recchie”.

 

 

 

Vorrei concludere  riportando una serie di termini rielaborati da diversi documenti originali raccolti da internet e libri vari fatti di espressioni moderne e antiche .

 

Accuppatura : Con questo  termine si  vuole indicare  il riempito di un contenitore. Si usa anche in forma dispreggiativo per indicare la parte peggiore di una compagnia. Deriva dal “‘NCOPPA” che indica “sopra” (riempire fino ‘e ‘ncoppa) che deriva dall’italiano COPPA inteso come recipiente che contiene bevande.

Alluccare :  Alzare la voce, urlare, strillare, gridare.  Vale anche, nella forma transitiva, come rimproverare. Quindi un bambino irrequieto viene alluccato se combina pasticci.
L’origine e’ sicuramente latino medievale. Infatti si indicava con alucus (quindi alucari e poi alluccare) l’allocco, quell’uccello caratteristico per i suoi strilli ed allucchi.

Ammartenato : è  una persona che si atteggia a guappo con gli altri. Deriva dal “Martino” che nel gergo malavitoso indica il coltello. Il perche’ si chiami cosi’ il coltello, molto probabilmente lo si deve alla presenza della spada che di S.Martino ha con se. Si puo’ anche indicare, al femminile, una donna, in genere del popolo, che vuole prevalere sulle altre vuoi per bellezza vuoi per possibilita’ economiche.

Ammuccare:  credere in false verità  (  ammuccarsi  una bugia prendendola per vera.) Quindi ammuccarse e’ il credere in falsita’. La derivazione etimologica non puo’ essere che mmoccca (in bocca), cioe’ qualsiasi cosa ci dicano con la bocca, gli crediamo ingenuamente.

Annecchia :  e’ la giovenca la cui eta’ non va oltre un anno. Dal latino Niculus che indica, appunto, un anno nel senso anagrafico. Data la bonta’ del taglio di carne, si usa anche per indicare qualcosa di buono.

Annuzzare : Il termine  sta a significare il semi-soffocamento dovuto a cibi troppo secchi  ( ‘s annozza ) o andati di traverso (succede anche quando si parla mentre si mangia). Deriva da “nuozzolo” con cui si indica il “nocciolo” della frutta che, se ingerito incautamente, s’annozza ‘ncanna!

Appicceca’ : significa attaccare, incollare . Se però cambiamo la posizione dell’accento  la parola assume un significato diverso. Infatti con appicceca’ si intende anche, e soprattutto, appicceca il cui sigificato e’ litigare

Arravuglia’: indica,  avvolgere, incartare ma può  anche indicare imbrogliare, raggirare, confondere o trovarsi in una difficile situazione (  “arravugliato” dai troppi debiti ). Deriva dal latino “adrevoliare” variazione di “volvere” che significa “avvolgere”.

Arrunzà : compiere un lavoro in maniera approssimativa e con scarsa professionalita’ ma indica anche una situazione in cui hai investito  una persona. L’etimologia viene dal dialetto spagnolo di Maiorca arrosar che si traduce in rifinire

Caccavella: contenitore, in genere costruito in creta,in italiano  italicamente dchiamato  pentola, diretto discendente del caccavo (in rame) in cui il ragu’  pippea .Si possono indicare con questo termine anche orologi, automobili e quant’altro si voglia ironizzare per la loro forma, a volte sproporzionata per l’effettivo impiego a cui devono essere sottoposte. Si indicavano anche, purtroppo, certe donne basse e corpulente che indossavano enormi cappelli ridicoli. L’origine e’ senz’altro greca. Infatti con caccabos e caccabe si indica, appunto, pentola o tegame. Non bisogna, pero’, dimenticare, che con il termine caccavella, si indica anche quello strumento musicale composto da un contenitore a forma di pentola ricoperta di pelle d’asino in cui e’ infilata un’asticella che, strofinata con le dita della mano, produce il caratteristico suono del PUTIPU’.

Cacciuttiello: Il piccolo cane, di piccola taglia o di piccola eta’, in napoletano viene sempre indicato con cacciuttiello. Il termine viene fuori dalla fusione dei due sostantivi italiani caccia e cucciolo.

Caiòla: La caiòla e’ la gabbietta in cui svolazzano gli uccellini ma l’antico termine indicava soprattutto il posto della vedetta sull’albero maestro delle navi. Altra indicazione viene dal settore edile: si chiama caiòla anche il ponte di legno che i muratori appoggiano ai due lati per poter lavorare su pareti alte. Deriva dal latino Caveola (Cavea) che ha lo stesso significato.

Cagliosa: Questo termine indica una percossa, oppure un colpo  sferrato in maniera talmente forte che il ricevente resta sorpreso e ammutolito , ma può anche significare una richiesta di danaro “avanzato”. Recentemente e’ stato adottato nell’ambito calcistico per indicare un tiro calciato in rete in maniera tanto potente e veloce che il portiere lo vede passare senza poter fare nulla.‘ L’origine si riferisce al napoletano CAGLIA’ ( tacere, sopportare) il quale proviene dallo spagnolo CALLAR (tacere) il quale, a sua volta, deriva dal latino volgare CALLARE (lasciar andare).

Damme ‘o canzo.: Dare il canzo e’ dare il tempo, l’opportunita’ e l’occasione di fare qualcosa. Dal greco Kàmpto’ .

 

Cafone o Zamparo è un altro termine molto particolare : esso  deriva quasi sicuramente deriva dall’osco   Kafar che significa  zappare .Altre Ipotesi meno fantasiose dicono invece che derivi  dal latino “cavus”: vuoto, oppure dal greco “kofòs”, sciocco. Con riferimento alla scarsa cultura del contadino.
Qualcun altro sostiene invece che derivi da “Cafo”, un rozzo centurione inviato dai romani a Capua nel 42 a.C., poco dopo l’uccisione  di Giulio Cesare.

La teoria che oggi riscuote maggior credito è che “cafone” provenga dal greco “kakofonòs”: individuo dalla parlata cacofonica, sgradevole all’orecchio di chi vive in città, perché dialettale, e quindi rozza. La sgradevolezza linguistica del cafone, all’inizio riferita solo all’accento, si  è poi estesa a quello che dice, e a quello che fa.

Il termine cafone secondo molti trarrebbe origine dall’espressione utilizzata per indicare gli abitanti delle campagne che, in occasione degli affollati mercati cittadini, arrivavano tenendosi legatil un l’altro “c’a fune” per non perdersi nella confusione cittadina  ( “con la fune” = “ca’ fun” = cafone) .Essi  per non smarrirsi, camminavano al seguito di un capofila napoletano, legandosi, per collegarsi a lui, come una cordata di scalatori in montagna.

Secondo altri invece si riferisce al solo fatto li stranieri che gli stranieri che venivano a Napoli, dal 1600 in poi, tenessero ben legata con uno spago (fune) la scarsella contenente le monete per i loro acquisti  ( evidentemente gli ‘scippatori’ erano già attivi 4 secoli fa) . 

Nell’entroterra della provincia di Terra di Lavoro ovverosia nel basso Lazio, intorno al 1400,  alle fiere che si tenevano di paesi  del frusinate o della Pianura campana  i contadini  spesso arrivavano  con delle funi arrotolate intorno alla spalla o alla vita ,  con cui poi si portavano a casa gli animali (vacche, pecore, ecc.)  che compravano . Motivo per cui  questi venivano identificati dagli abitanti locali come quelli co’ ’a fune..

Secondo un’altra tradizione, quando le nobili famiglie napoletane avevano la necessità di traslocare, chiamavano “chill co’ ’a fune” ovvero la ditta di trasloco che con funi e carrucole passava il mobilio dai piani al terreno, poi sempre “ca’ fune” (con la corda) assicuravano il tutto ai carri. Data la bassa scolarità del personale “chill ca’ fune” si trasforma in “chill cafune” e in italiano corrente “quei cafoni”.

Associato al termine  Cafone  e ad esso spesso accumunati  per indicare persone provenienti da ” fuori città ” , ( ‘e  for (dal latino foras),  cioè forastieri venivano usati spesso altri due termini . Il primo , che corrisponde al termine PACCHIANO ,veniva usato per  indicare  i contadini,  gli zoticoni ed i rozzi provinciali fisicamente ben pasciuti che provenivano  dai paesi  della campagna partenopea .  Con il corrispettivo pacchiana  si soleva invece indicare quella  contadinotta di generose forme,  detta affettuosamente ‘a pacchianella ‘e ll’ova, che ogni giorno era solita rifornire le case dei cittadini  di generi alimentari freschi (uova, formaggi,insaccati, latte, burro nonché verdure ed altri prodotti dell’orto). L’etimologia del termine pare derivi da  chiappa (forgiato su di una radice indoeuropea klapp) nel significato però non di sasso sporgente, ma di natica, elemento sporgente del corpo umano, tenendo presente la morfologia fisica del pacchiano o più spesso della pacchiana, dotati quasi sempre di sostanziose natiche sporgenti.

A nostro parere invece il termine deriva molto più verosilmente dal fatto che queste persone , cariche di verdure da vendere nella nostra città,   giungevano dalla pianura , cioè quella zona persente ad est di Napoli totalmente piana. Essi venivano chiamati Pacchiani poichè giungevano in città … pà chiana (cioè per la pianura in italiano).

N.B. Nella nostra città si può arrivare da ovest, valicando la collina di Posillipo, oppure usufruendo della galleria che la collega con la regione flegrea, da nord, valicando o i Camaldoli oppure da nord-est, valicando da Secondigliano – S.Pietro a Patierno, da sud, via mare e da est via Portici, S.Giorgio a Cremano, S.Giovanni a Teduccio. Da est, invecei, non c’è la necessità di valicare, essendo zona totalmente piana, anche attraversando le valli fino al salernitano.

Con il  termine  Pacchia  invece,  si è da sempre identifiacato una grande mangiata e metaforicamente un’occasione di svago, di allegria, di benessere.Esso pare secondo alcuni che  derivi (come il termine pacchano ) dal latino: patulum >pat’lum>pac’lum>pacchio e pacchia = cibo, pasto e possa collegarsi al sostantivo italiano pacchia =gran mangiata e per estensione: vita beata e tranquilla, gioiosa ed allegra passata  satollandosi di cibo e/o altro, senza quasi fatica .

Il secondo termine , era invece quello di TRAPPANO . Anche esso ovviamente era usato per indicare  persone straniere che giungevano in città da  for Napul . Il termine offre due possibilita di derivazione etimologia: la prima dal latino trapetum, a sua volta dal greco trapèo, come trappeto, indicanti attività agricole, e la seconda di derivazione  francese  “trappe ” che sifgnifica  gonfio, sgraziato, deforme, come spesso accade in vecchiaia a chi ha lavorato al lungo la terra.

 

Carusiello : è il classico  contenitore di varie forme in cui si mettono le monetine per conservarle  che  termina con la parte superiore liscia su cui è praticata una feritoia. Questa superficie liscia dava un tempo  l’idea di un caruso, cioe’ di una testa rapata, da quì il termine carusiello.

Centrella: Molto interessante ed antico il vocabolo “centrella” e’ una specie di chiodino che serve ai calzolai per riparare le scarpe. Il napoletano fa riferimento alla centrella per indicare una preoccupazione, un pensiero assillante. La derivazione etimologica la si trova nel greco KENTRON che vuol dire CHIODO. Quindi la centrella e’, in pratica, un CHIODO fisso, na’ fissazione.

Chiantella: La chiantella e’ lo strato esterno della suola delle scarpe, la soletta interna della scarpa o il battitoio per rassodare i pavimenti nel momento della posa in opera. Deriva dal latino Planta che indica la pianta del piede o qualsiasi cosa di forma appiattita.

Currea o Correja: la classica cintura in genere di cuoio, che sostiene i pantaloni deriva dal  latino Corrigia con cui si indicava la stessa cosa. Addirittura nello spagnolo e’ quasi identica: correa.

CUNTRORA   deriva dal latino ‘contra hora’ (ora contraria, avversa nel senso di inadatta al lavoro,e quindi da  destinarsi al riposo) Indica quel lasso di tempo dopo pranzo destinato alla siesta .Deriva da antiche tradizioni  e veniva annunziato in passato da 9 tocchi di campana. Anticamente agli operai alle dipendenze d’un’ masto’   il momento  di riposo  giornaliero era concesso solo dalle sei del mattino sino alla mezzanotte, nei giorni tra la festa di san Giuseppe ed il primo lunedí di ottobre , mentre negli altri mesi veniva svolto sino a due ore dopo la mezzanotte, Successivamente la controra, divenne  quel periodo di tempo riservata ad un breve riposo e si svolgeva  tra le ore 14 e le 16 o tra le 17 ed un’ora dopo il tramonto. Successivamente fu poi attribuito al generico riposo postprandiale.

 Farfariello: e’ il piccolo demonio, il folletto, il diavoletto. Deriva dall’arabo Farfar che indica, appunto, il folletto.

Franfellicche: è un termine con cui abitualmente si  indicano i ninnoli, i zuccherini ed i particolari  i  dolcetti di zucchero. Deriva dal francese fanfreluche con cui si indica la stessa cosa. 

Guaglione : deriva dal’appellativo con cui i ragazzi di strada venivano chiamati a Marsiglia cioè vuaiò. Il corrispondente femminile  è figliola e non guagliona come si usa dire oggi.

Guarracino: Il napoletano guarracino e’ quel pesce marino (il coracino) di colore nero che bazzica intorno alla costa o sotto le pareti scogliose. Dal latino Coracinus e dal greco Korakinos che viene da Korax che e’ il corvo di colore nero, appunto.

Jacuvèlla: Da sempre il nome Giacomo,  impropriamente, e’ anche indicativo di persona sempliciotta e leggermente sciocca. Quindi trasformato in jacuvella (che potrebbe essere giamcomella) diventa un ternine indicativo di intrighi, e moine chiassose.

Loffa : con questo termine si indica  principalmente un  peto non rumoroso ma non per questo non fastidioso per l’olfatto altrui. Si puo’ altresì indicare una donna volgare in termine dispregiativo e offensivo. Questo termine ha un’origine tedesca in quanto deriva da l tedesco LUFT che significa ARIA ( a compagnia Lufthansa significa letteralmente compagnia dell’aria ).

Luciana: Si indicavano così le belle donne che abitavano nel quartiere di pescatori di S.Lucia  e con l’andar del tempo si finì con questo termine per  indicare  delle donne a cui era associata una bellezza femminile unica. Quindi per indicare una bella donna si diceva: “me pare na bella Luciana“.

Mantesino: e’ quel tipico grembiule che le massaie indossano per evitare di sporcarsi i vestiti da eventuali schizzi mentre cucinano. Ed e’ proprio questa la derivazione etimologica. Infatti nel latino troviamo ante sinum (davanti al seno). Anticamente si indicava anche la parti della carrazzeria delle automobili che riparavano dagli schizzi di fango (l’odierno parafango).

Mariuolo :  o mariuolo) è il truffatore, il ladro .oppure in termini piu scherzosi il ragazzo furbo. L’etimologia di questa parola è incerta, anche se in molti la collegano al nome di Maria:  essa secondo alcuni potrebbe derivare da espressioni come “far le Marie”, cioè fingere devozione e semplicità, e di non sapere qualcosa , mentre secondo altri i (fra cui Dario Fo), invece, il mariolo era il ragazzo che, nelle rappresentazioni sacre, interpretava la Vergine, e che per estensione a carnevale si vestiva da donna – coi connotati quindi dell’inganno giocoso portato avanti dal giovanotto furbo.

Muccaturo: E’ il termine con cui si indica il fazzoletto. L’origine e’ sicuramente latina. Infatti tra i verbi latini  compare il “muccare” che indica, appunto, soffiarsi il naso. Questo vocabolo e’ molto usato in altre lingue e dialetti. Infatti nelle zone settentrionali d’Italia si dice “moccare”, in Francia c’e’ il “mouchoir”, in Spagna ci sono il “mocador” ed il “mocar”…..

Mùmmara : e’ quell’anfora in terracotta in cui veniva mantenuta l’acqua in ambienti freschi.  In particolar modo sono famose a Napoli le Mùmmare cioè  le bancarelle, addobbate con limoni che  vendevano l’ acqua ferrata delle sorgenti del Monte Echia (ll’acqua e’ mummare).  L’origine e’ greca prima che latina. Infatti la bòmbylos greca e la bombyla latina si traducono in vaso. In senso traslato, e scherzosamente, il popolo napoletano indica anche gli avvenenti seni di una donna. Qundi la frase “guarda che pare ‘e mummare” di sicuro non si riferisce ad eventuali vasi in creta traspostati sulla testa, come si faceva un tempo, da procaci signorine. Lo sguardo va spostato leggermente piu’ in basso.

‘Ngoppa: con il termine “‘ngoppa” si indica “su” o “sopra” ed è  proprio con il termine  “coppa” che nell’italiano antico si indicava “sopra” (1300 circa). 

‘Ndrangheta: Tutti sappiamo cosa intende ma è interessante la sua origine . Esso  deriva dalla voce  “pecche’ ‘ndringhete ‘drà” che indica il tacere qualcosa che si evita di dire apertamente. La relazione con le associazioni malavitose e’ dovuta, appunto, all’indicare qualcosa di cui non si puo’ parlare.

‘Nnaccaro: si indica con questa parola la nacchera spagnola oppure uno schiaffo.  Deriva dal caratteristico suono delle nacchere spagnole. E’ un termine normalmente attribuito ad   una persona che compie un’azione dispettosa e poco seria. 

‘Ntalliato : Deriva da una forma antichissima di italiano. Da aliare che vuol dire aleggiare, muovere le ali.  Indica uno stato di smarrimento momentaneo, un imbambolarsi tipico della persona distratta che, nonostante gli si rivolga la parola, sembra essere su di un’altro pianeta. Vuole altresì indicare l’indugiare il trattenersi oltre misura. 

‘Nzallanuto: deriva dal greco seleniao che si attribuisce a persona lunatica, che deriva da sele’ne’ (luna). Con questo termine si indica in genere Euna persona che sembra confusa, intontita, stordita. Il termine e’ associato per lo piu’ a persona anziana (viecchio ‘nzallanuto).

Pizza  :L’origine di questo nome deriverebbe secondo alcuni, da pinsa, “tpinsa” che deriva dal verbo latino pinsere oppure del verbo “pansere”, cioè pestare, schiacciare, pigiare . Questo sembra che derivi a sua volta dal greco  peptòs ossia “infornato”; perchè riferito alla pita , un alimento che  appartiene alla stessa categoria di pane o focacce . Studi più recenti oltre all’orine greca , la parola potrebbe anche derivare dal germanico longobardo o gotico) “bizzo” o “pizzo”  (da cui anche in tedesco moderno Bissen: “boccone”, “pezzo di pane”, “tozzo di focaccia”)  che  significa  “commestibile” . Essa pare sia   stata importata in Italia nella metà del VI secolo durante l’invasione dei Longobardi e questa ipotesi sarebbe  confermata dal fatto che  la diffusione della parola  pizza nel meridione  coinciderebbe con il regno e i ducati longobardi di Benevento e Spoleto ,   Il primo utilizzo della parola “pizza”infatti  risale al 997 ed è testimoniato in un testo latino proveniente dalla città di Gaeta dove risulta  trascritto  che un inquilino di un determinato bene era in dovere di dare al vescovo di Gaeta ‘duodecim pizze’, “dodici pizze”, ogni giorno di Natale, e altre dodici ogni Domenica di Pasqua.

Pàppece. : e’ quel fastidioso insetto che pian piano rode e fora i cereali e che si trovava spesso anche in casa. Deriva dal latino pappàre che si traduce in divorare

Paranza.: Con questo termine si indica  la grossa barca a vela dei pescatori che per navigare necessita di un gruppo unito di persone.  Questo proviene dall’aggettivo par che si traduce in coppia, paio. Un  esempio, inteso come gruppo di persone unite da uno sforzo comune, e’ rappresentato dalle paranze che sostengono gli enormi manufatti in legno nella Festa dei Gigli di Nola.

Pazzariello: Deriva da Pazzia’ che significa  giocare, scherzare  che a sua volta  deriva dal greco paizo’ traducibile in giocare ma anche pazzo o impazzire.Con questo termine viene in genere indicata una persona gioviale , briosa ma esso è divenuto famoso grazie al tipico famoso banditore che, un tempo  accompagnato dalla musica, girava per le strade di Napoli facendo propaganda a negozi di recente apertura o di nuovi prodotti.

 

 

Pertuso:  e’ il piccolo buco, il pertugio. Tutto cio’ che e’ stretto e piccolo a Napoli si indica con pertuso: vicolo, luogo stretto, piccolo foro… Deriva dall’italico pertugio che viene dal latino pertusus che indica la stessa cosa.

‘A Pignata:  e’ la classica  pentola in cui si cuociono i cibi. Deriva dal latino pignata da cui deriva anche il pignatiello che e’ la piccola pentola. Caratteristico il modo di dire Fa’ ‘o pignatiello che e’ una sorta di stregoneria. Infatti lo usavano anche le fattucchiere per i loro sortilegi.

Pireto: . L’origine e’ tutta latina: Peditum che indica la stessa cosa. Inutile dire quale. 

Purtualle: iquesto nome deriva dal luogo di origine delle arance ( Portogallo ) . Al frutto e’ associato un modo di dire molto usuale, e divertente, che dice: “Simme tutte purtualle”. Si riferisce ad un episodio che vide degli stronzi di merda che galleggiavano insieme ad un carico di arance caduto in mare. Questa vicinanza con il frutto fece illudere gli stronzi che credettero di confondersi con loro. In questo modo si indicano persone che credono di essere quello che non sono.

“pezzottato”:  è qualcosa che somiglia all’ originale ma è fatto con maggiore economia e  minor perfezione .

Rammaggio .  indica il danno patito ed arrecato sia in senso materiale che morale. Deriva dal  del latino   “damnajjum” a sua volta derivante da “damnum”. 

Zeccola: Con questo termine  si identificano i nottolini o paletti che servono a tenere ferme le porte o le finestre.
Deriva, stranamente  dal tedesco zecken che vuol dire dare un colpo (alla porta che si ‘nzerra).

‘Nzevato: Con questo termine  si indica qualcosa di unto, di scivoloso. Deriva dall’italiano sego o sevo che rappresenta la parte grassosa dei bovini e montoni, che viene usata per la produzione di candele e saponi e i prodotti che richiedono questo materiale grasso.

‘Nzino: significa “in seno” oppure “nel grembo” Quando si dice “purta’ ‘nzino” significa “portare in seno” e si puo’ anche usare per indicare “portare in braccio”Quindi si puo’ dire: “Purta’ nu criature ‘nzino = prendere un bambino in braccio”. Deriva dal latino “in sinus” che vuol dire, appunto, in seno.

‘Nziria: la ‘nziria e’ il capriccio, il piagniucolio, la bizza fatta dal bambino. Il vocabolo molto sicuramente deriva dall’unione di “in” ed “ira“. Quindi e’ “andare in ira” = ‘nziria’

‘Nzisto: Il  termine indica una persona spavalda, prepotente. Anche i bambini particolarmente vivaci si dicono che sono ‘Nzisti. Deriva dal latino insistere, ed in particolare dal suo presente insistens.

‘Nzoccàre : indica , sbattere , cozzare, urtare.

‘Nzuvarato : Con il termine ‘nzuvarato si indica, come molti confondono, qualcosa di allappante, di gustoso da morsicare. Deriva secondo molti dal suvaro, il sughero che, teoricamente, addentandolo produce una sensazione piacevole e secondo altri dal frutto immaturo del sorbo . L sorba ( ‘a sovera ) , quando è ancora acerba è messa a maturare su un letto di paglia . Se la sorba si mangia prima della maturazione è assolutamente allappante e quindi immangiabile . La parola ‘nzuararato’ viene solitamente aggiunta alla parola ‘ cachisso ‘ per etichettare in modo dispregiativo una persona lenta ed inadatta a svolgere un compito assegnatogli .  Il  cachisso ,è  il frutto dell’albero do cachi o kaki come si dice in giapponese ( kakis al plurale ) che generalmente ha una consistenza  molliccia . Ora dovete sapere che a Napoli , il cachisso non è solo il frutto arancione di quest’albero , ma è anche l’appellativo che si dà ad una persona molle , lenta ed un pò stupida , che viene per questo  paragonata a quei cachissi mollicci che si vendono talvolta in vaschetta perchè delicatissimi. Se la persona in questione è “moscia “, molle e inadatta a compiere qualsiasi azione , allora a Napoli viene definita ” nu cachisso nzuarato “.E se un solo cachisso moscio non basta a rendere l’ idea della persona ,allora i napoletani usano la locuzione ” zuppa ‘e cachisse ” che dà proprio l’idea di una brodaglia immobile e molto densa ( potete definirlo anche “nu catu’e colla”, cioè un sechhio di colla ). Ma ricordatevi che viene anche usato  per etichettare un piatto immangiabile :he fatto ‘na zuppa ‘e cachisse .

Pacchiano : significa Villano, rozzo, “cafone”: il termine deriva probabilmente dal latino ’paganus’ contadino, abitante nel ‘pagus’ o villaggio . Con questo  termine  in genere si indica una persona che ha cattivo gusto nel comportarsi o nel vestirsi.

Rattuso: Con tale termine si indica una persona lasciva , sensuale ogni oltre decenza , libidinoso e capace in luogo chiuso o affollato di mettere le mani addosso a malcapitate donne nel tentativo di palparle e tastarle .  Deriva dall’italiano Ratto, e mai termine e’ stato piu’ appropriato. Infatti si paragonano le azioni leste e veloci del ratto alle “manovre” altrettanto leste e veloci del rattuso.

Ricchione: Nel periodo del viceregno, capitava spesso che nel porto sbarcassero gli equipaggi dalle navi spagnole. I marinai avevano l’abitudine di indossare grandi orecchini (cosa tipicamente ed esclusivamente maschile a quei tempi). In molti casi erano talmente pesanti da allungare il lobo dell’orecchio. A cio’ aggiungete i lunghi periodi di navigazione senza donne che favorivano rapporti omosessuali ed avrete il significato di ricchione.

Riscenzièlli : Il riscenzièllo e’ lo svenimento, la convulsione cui spesso sono soggetti sia adulti che bambini. Dal latino descensus (caduta, discesa) ne rileviamo l’origine. Infatti lo svenimento, la convulsione come fenomeno prevedono la caduta in terra del soggetto in questione.

Sarchiapone:  Il “Sarchiapone” e’ uno dei tanti personaggi che popolano l’opera de “La cantata dei pastori” del Perrucci. E’ quel personaggio goffo ed un po ridicolo che caratterizzera’ tutto il teatro del ‘600. Avido nel mangiare, goffo, stupido, fifone e dal corpo deturpato dalla natura. Vale anche come ipocrita, furbo o almeno che si crede tale. 

Sajttèra: o saittella  e’ quell’apertura che si trova ai bordi dei marciapiedi in cui affluisce l’acqua piovana sgombrata dalle strade e che porta alla condotta fognaria. E’ anche il rifugio preferito dai ratti o zòccole. Con lo stesso termine si indicavano le feritoie dei castelli attraverso le quali si lanciavano le frecce contro gli invasori. E proprio da cio’ ne deriva il termine. Infatti in italiano il saiettere era la finestra da cui gli arcieri lanciavano le frecce o saette.

Sbariare .  e’ una forma di vaneggiamento, di instancabile attivita’, di delirio. Deriva dall’italiano svariare che indica, appunto, non stare mai fermi su di un proposito variando sempre ed in continuazione.

Scarda :  e’ la tipica scheggia, scaglia o  squama. In genere si usa in senso dispregiativo (scarda ‘e cesso) associandola all’utilissimo oggetto che piu’ volte al giorno usiamo per i nostri bisogni fisici. Deriva dal tedesco Skarda traducibile come “spaccatura”. 

Scetarse : Lo svegliare, il destarsi oppure in forma riflessiva riprendere l’attivita’, riprendere vigore, diventare astuto. Deriva dal latino Excitare che ha lo stesso significato.

Seccia : Il significato primitivo di seccia era quello di indicare un uomo spaccone, che sapeva, cioe’, nascondersi dietro una cortina nera proprio come fa la seppia da cui deriva il termine. Deriva  dal  latino “sapio”  che diventa a Napoli  “saccio”.. Oggi pero’ con il termine seccia,  si indica in città colui che porta sfortuna. I nefasti eventi possono accadere o per la sua quantomai inopportuna presenza (Me puorte seccia), oppure per le sue tragiche previsioni (Nun fa’ ‘a seccia). Il legame con la seppia e’ intuitivo: spruzzare il nero del malaugurio.

Scarola: il termine indica una bella ragazza con i capelli ricci (come la qualita’ di scarola riccia).L’origine e’ senz’altro riconducibile al tardo latino “escariola” (scarola). Sembra che  le ragazze ischitane  molti ma molti anni fa, erano chiamate “iscarole”.

Sciammeria . Con questo termine  si indica una lunga giacca con coda, una gentiluomo, oppure l’atto sessuale. Deriva dallo spagnolo “chamberga” poiche’ durante il Risorgimento a Benevento il partito della “giamberga” era quello degli aristocratici mentre quelli della “giacchetta” erano i rivoluzionari. Quindi da allora per indicare coloro che si atteggiano da signori si dice che indossano una “sciammeria”. La connessine con l’atto sessuale la si puo’ trovare, appunto, nella baldanza e nel vanto di una “sciammeria” che alcuni uomini si “fanno”.

Sciarabballo : Il calesse, il carro ma anche la donna grossa fino alla deformita’ sono tutti termini associabili allo sciarabballo. Deriva dal francese char ‘a bancs, cioe’ il carro a banchi con i sedili in legno che si usava allora.

Sciasciòna . Con questo simpatico termine  indica una donna grassa e simpatica. Deriva  da sciascia’ che vuol dire tranquillita’ e serenita’.

Sciasciarse e’ godersi una situazione particolarmente gradevole. Deriva dall’italiano ciccia con cui si indica, appunto, l’adipe.

Scugnizzo: il termine di questo famoso ragazzo di strada deriva dall’antico gioco dello strummolo. (dal greco strombos che si traduce in trottola) in cui  i vari scugnizzi dei vicoli di Napoli erano particolarmente bravi.
Scopo principale del gioco era quello di scugnare (da Scugna’ che deriva dal latino ex-cuneare traducibile in rompere con forza) lo strummolo dell’avversario.  Ed e’ proprio dal verbo Scugna’ che facilmente si intuisce la derivazione di scugnizzo

Scumma’: Si indicano con scumma’ due azioni: schiumare e colpire al naso tanto forte da far sanguinare copiosamente. Per l’origine dobbiamo riferici allo Scumma che deriva dallo Scanta’ che indica schiantare. Comunque sia, non e’ piacevole essere scummate ‘e sanghe.

Scurnuso: deriva , dal verbo scuorno  che vuol dire avere vergogna o scorno (umiliazione pubblica o privata).

Sinale : I e’ il grembiule che, allacciato dal collo in giu’, protegge la massaia da eventuali imbrattature dovute al lavoro in cucina. L’origine e’ sicuramente latina. Infatti dal “sinus”, in italiano “seno”, si arriva al nostro “sinale” per indicare che la protezione di questo indumento va dal seno in giu’.

Solachianiello :  era il modo con cui anticamante veniva chiamato il ciabattino o il calzolaio  , un mestiere che oggi possiamo considerare antico  , ma che un tempo era   uno dei mestieri piu’ conosciuti  in città. Si occupava del risuolamento e,  della riparazione delle scarpe rotte che invece di andare buttate come si usa fare adesso venivano invece rigenerate .  E’ una parola composta da sula’ e chianiello. Con sula’ si indica il risuolamento della scarpa e deriva dal sostantivo suola. Chianiello, invece, e’ la Chianella che e’ la pantofola e deriva dal latino Planus che significa piano (nel senso di pianeggiante).

Spìngula . si tratta  del tipico  tipico spillo. Deriva dal latino Spincùla. Anche nel francese troviamo qualcosa di simile Epingle, ed hanno lo stesso significato.

Strangulaprievete

Questo vocabolo, con cui indichiamo gli gnocchi, vuol dire proprio cio’ che pensate. In origine gli gnocchi erano di pasta dura tale che, si diceva, arrivassero addirittura a strozzare i preti!!! Infatti si chiamano anche “strangulamuonece”.Deriva dal greco struggolos e pristos che indica “pasta tagliata a pezzi”.

Stuppolo :  e’ il tappo, o stoppaccio fatto, appunto, di stoppa. Puo’ anche avere altre indicazioni ed essere indicato ad una persona a noi non gradita per le sue intemperanze.

Trappano . con questo termine si indica un uomo cafone e piu’ generalmente uno zoticone, villano . Deriva dal  francese trappe che indica la trappola, quindi colui che si lascia facilmente intrappolare; sempre dal francese trapu e trape che indicano un personaggio tozzo, corto; dallo spagnolo trapajoso che indica la persona cenciosa.

Trunar :  e’ il fabbricante di fuochi artificiali. Viene dal sostantivo Truono dall’italiano tuono che e’ il caratteristico rumore dei temporali .

Vattere: significa battere, percuotere.

Zelluso: Deriva dal latino psilla e dal greco psilos ed indica in entrabi i casi una persona calva  che ha perso tutti i capelli. Rivolgersi ad una persona con questo termine può essere inteso sia come termine offensivo che come scherzoso.

 Zoza :  e’ la feccia, il fango, i rimasugli, il materiale di scarto. Deriva dall’italiano zozza che indica una particolare bibita ottenuta mescolando vari tipi di liquori.

 

Ho avuto modo scrivendo questo articolo di imbattermi in autentici mostri sacri della lingua napoletana . Maestri come Raffaele Bracale, Salvatore Vacca , Renato De Falco  Sergio Zazzera  capaci da soli , ognuno di loro di rappresentare fonti  inesauribili di cultura partenopea .Rispetto alla loro vasta cultura  ed ai loro scritti  questo articolo non ha nessuna pretesa di di essere esaustivo ne tantomeno di essere puro ed originale .

Visto il gran numero di parole e termini citati non è stato possibile citare le fonti dei vari autori con i quali ci scusiamo fin da questo momento tenendo loro conto che lo scopo di questo articolo come quello dell’intera pagina non è quello di insegnare e tantomeno lucrare ma solo quello di sostenere l’orgoglio napoletano proponendo di far conoscere Napoli ai napoletani ( vero motto dell’intero sito ).

CU ‘NA BBONA SALUTE …  PE CCIENTO ANNI

ARTICOLO DI ANTONIO CIVETTA 

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