La imponente porta che si erge maestosa tra le due grandi torri cilindriche è sita alle spalle del Castel Capuano, ed era anticamente la porta d’accesso ufficiale della città, dove confluivano importanti strade.
Porta Capuana giudicata una delle più’ belle porte del rinascimento , e’ così denominata perchè orientata nella direzione della città di Capua . Essa aveva questo nome gia’ nell’epoca greco-romana, quando era posta all’inizio del decumano maggiore .Fu spostata nell’attuale luogo nel 1484, a seguito dell’ampliamento della cinta muraria disposta da Ferdinando d’Aragona , epoca in cui nuove importanti aree (e lo stesso Castel Capuano) furono inglobate nel territorio cittadino, e in cui fu sistemata nell’attuale posizione la vicina Porta Nolana.
Costruita su disegno di Giuliano da Maiano , e’ costituita da un elegante arco di marmo bianco con decorazioni e altorilievi, racchiuso tra due poderose torri aragonesi denominate Onore e Virtù . La decorazione di marmo bianco per tutta l’arcata della faccia esterna e’ rilevante per la finezza dei particolari e l’eleganza dell’insieme. Peccato non poter ammirare , oggi, anche il gruppo marmoreo che sormontava la porta raffigurante l’incoronazione di Ferrante d’Aragona , che fu zelantemente tolto nel 1535 in occasione dell’ingresso di Carlo V, venuto a Napoli dopo l’impresa di Tunisi. Il re spagnolo Carlo V dopo la conquista della citta’( 1516) fece inserire il suo stemma al centro dell’arco .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel Seicento, sopra l’arco venne installata una nicchia che conteneva un’immagine di San Michele Arcangelo, sostituita nel 1837 da una rappresentazione dell’Immacolata realizzata dal pittore Gennaro Maldarelli.
Negli anni Trenta del Novecento, durante un’importante opera di risanamento urbano, Porta Capuana venne isolata dagli edifici circostanti per restituirle il suo aspetto originario e valorizzarne l’imponenza.

Anche sulla porta Capuana, cosi’ come per tutte le altre porte di Napoli il pittore Mattia Preti aveva eseguito un affresco che oggi non esiste più, e che, come si narra, raffigurava i santi Michele, Gennaro , Rocco e Aniello in atto di preghiera alla Vergine.
Mattia Preti, bravo con il pennello ma bravissimo con la spada, era fuggito a Napoli da Roma dopo aver ucciso un nobile romano in duello. Arrivato proprio a Porta Capuana, gli era stato vietato l’ingresso in quanto la città era isolata da un cordone sanitario a causa della peste; il Preti con alle calcagna la milizia pontificia, forzò il blocco ferendo o ammazzando un soldato di guardia e fu arrestato e condannato a morte.
Ritenuto tuttavia “ excellens in arte”, cioè bravo pittore, il tribunale della Vicaria, aveva mutato tale condanna in obbligo di affrescare con storie di carattere religioso e di fede cristiana, e gratuitamente, tutte le porte della città.

Negli anni Trenta del Novecento, durante un’importante opera di risanamento urbano, Porta Capuana venne isolata dagli edifici circostanti per restituirle il suo aspetto originario e valorizzarne l’imponenza.

Le uniche porte oggi esistenti della Napoli antica , sono: Porta Capuana , Porta Nolana ,( entrambe del periodo aragonese )  Port’Alba e Porta San Gennaro ( di oeriodo vicereame ).

porta capuanaDi fronte alla Porta esisteva ed esiste tutt’ora Castel Capuano  anche se la sua struttura e le sue caratteristiche  di come era in origine, non esistono più’.  Esso infatti  oggi non ha proprio più’ niente della antica fortezza normanno – Sveva e della reggia angioina-aragonese viste le  tante  sono state modifiche apportate  nel corso dei secoli all’ interno ed all’esterno dell’edificio.


porta

 

Nel 1540 , non essendo piu’ funzionale come fortezza , per lo spostamento in avanti delle mura urbane, il castello fu adibito per volere di don Pedro Di Toledo a sede dei Tribunali .
Il vicere’ , lo fece ristrutturare per riunirvi tutti i tribunali fino ad allora sparsi in diversi luoghi della citta . Da quel momento sara’ chiamato ‘ il palazzo della vicaria ‘, perche’ era il Vicario del Regno a presiedere al governo del potere giudiziario ed i suoi sotterranei furono adibiti a soffocanti prigioni .
Le esecuzioni capitali avevano luogo nello spazio antistante la facciata settentrionale e le gabbie di ferro con dentro le teste recise dei giustiziati , oppure le mani o i piedi, troncati , dei condannati , venivano appese all’angolo del castello prospiciente via Carbonara, sulla facciata che dà su Piazza Capuana.

Nel largo davanti alla porta principale del Castello , a destra , sopra una base quadrata di pietra , esisteva una antica colonna romana di marmo bianco che veniva indicata come la << colonna infame della vicaria >> , oggi conservata al Museo di San Martino (nell’androne delle Carrozze della Certosa di San Martino ).
Secondo vecchie leggi, quando un fallito dichiarava di non possedere più niente ,e quindi , di non poter pagare i suoi debiti, doveva salire sulla base di pietra della colonna, calare le brache, mostrare il deretano nudo ai suoi creditori e pronunciare le parole:< cedo bonis >
Le due parole latine volevano dire < sono morto per i beni di fortuna> ed il gesto significare< cosi’ sono ridotto>. Il debitore condannato doveva essere legato abbracciato, con i pantaloni completamente calati e cosi, tra gli squilli di tromba del banditore, doveva proclamare per una o più ore la frase.

Come potete osservare in questo famoso dipinto attribuito ad Ascanio Luciani dove viene rappresentato il largo antistante il Castello , in quegli anni , l’intera area intorno a Castel Capuano era la zona più frequentata e caotica della città . Notate le molte carrozze e la gran folla di persone , mercanti e avventori vari che tgiravano tra improvvisate bancarelle. Ma notate sopratutto la colonna infame e la presenza di uomini in toga che si aggirava per la piazza

Alcuni divertenti personaggi  del luogo mi hanno raccontato che , per sentito dire da anziane persone ,   i personaggi in questione venivano addirittura prima immersi con la loro parte bassa nell’acqua . I deretani nudi esposti erano pertanto completamente bagnati e questo secondo antichi racconti tramandati sarebbe all’origine del famoso detto napoletano ‘ stare ‘cu ‘e pacche dinto’a ll’acqua‘ , riferito a persone cadute in  difficoltà o cadute in disgrazia .

In passato l’espressione stava ad indicare la stanchezza conseguente ad un eccessivo carico di lavoro ed era legato al mondo dei pescatori  che con una grossa rete , chiamata “sciaveca “, erano solito pescare .  Questo modo di pescare richiedeva  un grande sforzo fisico ma sopratutto anche l’azione di calarsi in mare immersi  fin sopra le ginocchia. Il loro lavoro era tutt’altro che riposante ed è per questo che  stare ‘cu ‘e pacche dinto’a l’acqua‘  aveva all’inizio assunto il significato di una stanchezza dovuta all’eccessivo carico di fatica.  All’epoca però i pescatori erano considerati persone molto povere ( il pesce non costava tanto come adesso ) e a  svolgere questo mestiere erano coloro che non avevano proprio più nulla da perdere poiché ridotti sul lastrico. Quindi fare il pescatore e sopratutto  farlo usando ‘  la sciaveca ‘ era in quel tempo in città una cosa tutt’altro che auspicabile per chiunque .

Ascoltare persone anziane a cui i propri nonni hanno tramandato vecchi racconti è una delle cose piu affascinanti che ti può capitare nell’antico centro della nostra città ed io avendo avuto la fortuna di conoscere alcuni di essi , sono rimasto  rimasto per intere ore ad ascoltare incantato i loro racconti . Ho cosi potuto scoprire che lo scopo di denudare il debitore veniva messo in atto solo per dimostrare che lo stesso avrebbe fatto qualsiasi cosa per soddisfare i suoi creditori  ed il pubblico atto di costrizione del debitore insolvente veniva solitamente accompagnato da  fischi e urla di rumorosi e chiassosi  scugnizzi .Il denudamento e l’esposizione dei glutei avevano il compito di rendere chiaro che il povero debitore sarebbe stato disposto a cedere tutto , ma proprio tutto  (  avete capito ? ) quello che gli era rimasto per risarcire i creditori .

Il debitore  non doveva solamente abbassarsi i pantaloni ma anche sbattere il sedere tre volte sulla colonna tra gli squilli di tromba del banditore pronunciando la frase ‘ vedo bonis ‘ cioè ” chi ha da avere si venga a pagare ”

Ho così scoperto anche il significato dell ‘ espressione napoletana  ‘”Managua a colonna nfame “che pare nasca  proprio da questa umiliante pratica . Essa viene infatti usata solitamente come imprecazione nei confronti di un episodio avverso .

L’umilazione  pubblica subita dal debitore davanti alla colonna sarebbe  anche all’origine  , secondo questi antichi racconti ,  dell’espressione e ” na  man annanz e cu n’ata man arreta  “( con una mano davanti e l’altra dietro ) comunemente adoperata per indicare una persona che se ne torna a casa umiliato e a mani vuote.

Nel 1546 Don Pietro de Toledo aboli’ l’umiliante pena della colonna , sostituendola con un’altra più’ decorosa.
Il debitore che ricorreva al disonorevole beneficio doveva, dopo che il suo nome e la formula d’uso erano stati gridati dall’esecutore , restare ritto accanto alla colonna , a capo scoperto , per un’ora, davanti ai suoi creditori.
Tale usanza duro’ fino al 1736 , cioè fino a quando Carlo di Borbone l’aboli, facendo abbattere la colonna infame , oggi conservata nella Certosa di San Martino , nell’ atrio delle carrozze del Museo di San Martino.

 

Ben più’ a lungo duro’ l’altro uso che della base della colonna si faceva ; l’esposizione , cioe’ dei corpi senza vita delle persone morte tragicamente , onde permetterne il riconoscimento: una sala mortuaria all’aperto.Tale macabra esposizione ebbe , finalmente , fine nel 1857.
Ancora oggi il castello conserva la sua antica funzione di Tribunale . Una funzione che ha mantenuto sino ai nostri giorni , ospitando i protagonisti di quella che e’ passata alla storia come la scuola Giuridica napoletana ( un’eccellenza internazionale ).

 

capuana 54486619_porta_capuanaNel largo antistante la porta , in epoca vicereale era solito vedere attraversare l’area che conduceva a Castel Capuano , poco distante , intere schiere di condannati in catene destinati alle prigioni del Castello o addirittura le teste recise dei condannati a morte esposti nelle gabbie di ferro messe in bella mostra all’angolo del Castello in direzione di Via Carbonara .

La stessa Via Carbonara , proprio nel tratto prossimale all’odierna Porta Capuana , era  il luogo dove si tenevano cruenti combattimenti tra uomini che si sfidavano  ad armi bianche fino all’ultimo sangue . I combattimenti  si svolgevano secondo il modello  degli antichi giuochi dei gladiatori , ed al cospetto spesso , si dice , della giovanissima regina Giovanna e di suo marito Andrea d’Ungheria.

Erano questi spettacoli sanguinosi e mortali che spesso finivano in modo macabro . I lottatori combattevano infatti con le loro armi bianche fino a quando uno dei due non moriva e non era raro vedere uno di loro soccombere perchè sgozzato da un pugnale o morire sanguinante con le budelle totalmente esposte .

Il Petrarca nel suo viaggio a Napoli dopo aver assistito ad alcuni di questi combattimenti ne restò completamente sconvolto e a tal proposito scrisse : “…io fui condotto un giorno a certo luogo vicino della città chiamato Carbonaria: nome veramente acconcio alla cosa: imperocchè quella scelerata officina deturpa e denigra gli spietati fabbri che ivi si affaticano sull’ incudine della morte. Era presente la Regina, presente Andrea re fanciullo, che di sè promette riuscir magnanimo, se pur riesca a porsi in capo la contrastata corona: v’eran le milizie di Napoli, delle quali invan cercheresti le più attillale e più eleganti: popolo v’era venuto in folla da tutte parti. A tanto concorso di gente, e a tanta attenzione d’illustri personaggi sospeso, fiso io guardava aspettando di vedere qualche gran cosa, quand’ecco come per lietissimo evento un indicibile universale applauso s’alza alle stelle. Mi guardo intorno e veggo un bellissimo garzone trapassato da freddo pugnale cadermi ai piedi. Rimasi attonito, inorridito; e dato di sproni al cavallo, rampognando l’inganno de’miei compagni, la crudeltà degli spettatori, la stoltezza de’combattenti, all’infernale spettacolo ebbi volte le spalle”.

I giochi dei gladiatori che si tenevano al cospetto degli angioini  non fu comunque l’unica cosa violenta a sconvolgere il poeta in quegli anni cupi che affligevano la città . Egli nella sua Epistola inviata  al Cardinale Giovanni Colonna denunciò infatti  la pericolosità e la violenza di Napoli  scrivendo …….“ il girare di notte tempo qui non si fa con minor paura e pericolo che in mezzo ai folti boschi: conciossiachè le strade sien piene di nobili giovani armati tutti, le immoderatezze de’quali né la paterna educazione, né l’autorità de’ magistrati, né la maestà e l’impero dei re valsero mai a raffrenare”. e a sottolineare i pericolosi giochi aggiunge …… “come meravigliare che fra le ombre della notte e senza alcun testimonio taluno ardisca commetter delitti, se a pieno giorno, alla vista del popolo, al cospetto dei re, in questa città d’Italia con ferocia da disgradarne i barbari si esercita l’infame giuoco de’ gladiatori…”

Per interrompere i feroci combattimenti dovette addirittura intervenire   con una bolla  Papa Giovanni XXII. Egli nel tentativo di fermare quell’orrendo spettacolo ,  aveva vietato con una bolla quei terribili  giochi, pena la scomunica per lottatori e spettatori, ma nonostante tutto i giochi erano continuati e così, per non far brutta figura ,  su proposta dell’Arcivescovo di Napoli, il successore  Papa Benedetto XII levò le scomuniche già nominate e sospese la proibizione dei giochi .Questi furono poi banditi con successo solo mezzo secolo più tardi col re Carlo di Durazzo.

 

 

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