La “congiura di Macchia”, ordita da alcuni aristocratici napoletani nel 1701 a sostegno degli Asburgo d’Austria,contro i vicerè spagnoli ebbe a suo tempo una grande rilevanza mediatica in città ed in Europa . Questo episodio che sconvolse la città di Napoli fu narrato, in lingua latina, da Giambattista Vico nel De coniuratione partenopea, che, pur essendo uno scritto minore del grande filosofo napoletano , rimane la più ampia narrazione di quegli avvenimenti fatta da un intellettuale contemporaneo chiamato, peraltro, a pronunciarsi prima contro con un’orazione di condanna ordinatagli dal viceré, poi, all’avvento degli austriaci, a stilare una difesa a favore dei congiurati.
Lo scopo della congiura era quello di approfittare della morte di Carlo II re di Spagna e dell’incertezza delle sorti che ne sarebbero derivate al regno spagnolo per rovesciare il governo vicereale a Napoli guidato da Luigi della Zerda, duca di Medinaceli, e far subentrare al suo posto l’arciduca Carlo d’Austria, figlio dell’imperatore Leopoldo .
In città , come un pò in tutta Europa si respirava in quel periodo un’aria molto pesante (vedi guerra di Successione spagnola.) . Nella capitale del Regno delle dua Sicilie e nelle vicine province cresceva di giorno in giorno il fermento contro il governo vicereale spagnolo ,considerato sopratutto tra i nobili , responsabile della cattiva amministrazione della giustizia ed i conseguenti ritardi nel disbrigo delle cause . ma soprattutto, cresceva tra i cittadini ed in particolare i nobili , il malcontento, contro la persona del viceré Luigi della Zerda, duca di Medinaceli, che proprio per questo, aveva dato ordine di reprimere sul nascere ogni tentativo di sollevazione. Egli per i suoi modi di fare ed imporsi aveva privato la nobilta partenopea di molti suoi diritti e contemporaneamente creato nel popolo già bersagliato da numerose tasse un diffuso senso di rancore per l’applicazioni di inique leggi a scapito spesso della classe pù disagiata e già di per se da lungo tempo scontenta .
Ma in questa sommossa , come vedremo , al contrario di quella fatta ai tempi di Masaniello , contro il vicereame spagnolo non fu tanto il popolo ad insorgere , ma un gruppo di nobili signori dell’aristocrazia, animati da un astio e da rancori personali contro il viceré.
In Europa , una volta morto Carlo II di Spagna, ultimo re di Spagna della casa d’Asburgo , l’assenza di discendenti e suoi eredi diretti comportò non pochi conflitti tra i vari governanti europei. . La questione di chi avrebbe dovuto succedergli preoccupava i governi di tutta Europa, e i tentativi di risolvere il problema con una spartizione dell’Impero spagnolo tra i vari candidati eleggibili proposti dalle varie casate fallirono tutte .
In verità , già prima della morte del sovrano, i candidati più diretti alla successione erano Luigi XIV di Francia e l’imperatore Leopoldo I, in seguito ai rispettivi matrimoni con le due sorelle di Carlo, Maria Teresa e Margherita Maria, .Entrambi manifestavano costantemente il loro desiderio di subentrare, quali eredi, nel possesso del vastissimo impero spagnolo.ma le speranze di ambedue i pretendenti furono tuttavia deluse dallo stesso Carlo, che nel nov. 1698 designò a proprio erede Giuseppe Ferdinando di Wittelsbach, elettore di Baviera.
L’improvvisa morte di questìultimo però riaccese la contesa tra le corti di Parigi e Vienna, e Luigi XIV, desideroso di regolare in anticipo, con accordi segreti, le sorti dell’eredità madrilena, concluse con Inghilterra e Province Unite un trattato di spartizione della monarchia spagnola (marzo 1700). Tanto maggiore fu l’imbarazzo del re francese, quando, morto Carlo II, venne a conoscenza delle sue ultime volontà, per cui Filippo d’Angiò, secondogenito del Delfino, era nominato erede universale della monarchia, con la clausola che la Corona di Spagna non venisse mai unita a quella di Francia. Dopo qualche esitazione, Luigi XIV accettò il testamento e il nuovo re fu riconosciuto senza contrasti a Madrid. L’Inghilterra dapprima accettò la successione di Filippo V, ma l’ingerenza della Francia negli affari politici e militari spagnoli, spinse ben presto le restanti potenze europee ( Inghilterra , Olanda e Austria ) ad unirsi in una comune battaglia contro la Francia . Formarono così la Grande Alleanza della Lega di Austria e sostennero le pretese di Leopoldo I d’Asburgo sull’intero insieme dei possedimenti spagnoli per conto di suo figlio secondogenito, l’arciduca Carlo l.
Questo evento , era l’occasione giusta , secondo alcuni nobili ,napoletani per liberarsi dell’ odiato viceré spagnolo e finalmente reclamare una propria indipendenza al Regno nonchè l’attuazione di una nuova politica che favorisse il libero e sicuro commercio .delle merci. Era l’occasione di avere finalmente un proprio esercito nazionale ed una propria flotta mercantile, ma era sopratutto l’occasione di varare un nuovo codice di leggi atto a snellire le procedure delle cause civili e penali e mettere in garanzia la messa a bando di ogni tipo di inquisizione . Insomma, un programma sicuramente moderno e all’avanguardia in quel particolare clima di rinnovamento e di riforme che si stava vivendo in tutta Europa all’alba del XVIII secolo.
Una buona parte della nobiltà del Regno, particolarmente colta e progressista, insieme ai migliori elementi dell’emergente ceto medio, volendosi affermare come la nuova classe dirigente dell’Italia meridionale, incominciò in quegli anni ad instaurare un vero e proprio braccio di ferro contro il governo vicereale che arrivò poi , nel settembre del 1701, a sfociare nella cosiddetta famosa congiura di Macchia , così chiamata perchè guidata dal marchese Gaetano Gambacorta, feudatario di Macchia Valfortore, un antichissimo centro Molisano. Ma quando s’iniziò e si organizzò la congiura denominata da lui, egli si trovava a Barcellona a comandare un reggimento di fanteria napoletana di stanza in Catalogna.
Il vero attore e protagonista della congiura fu infatti il principe di Chiusano, Tiberio Carafa.. Egli animato di buoni propositi e senza alcun interesse personale voleva solo che il regno ridivenisse indipendente, e che la nobiltà recuperasse i suoi diritti .
Egli seppe indurre i suoi compagni di congiura al disegno di costituire un forte partito che alla morte di Carlo II trasferisse alle piazze di Napoli il governo del regno e queste eleggessero un re prima di averlo imposto da prepotenza altrui. .
Fortemente convinto dei suoi ideali , egli credeva molto nel suo progetto e si diede a questo proposito molto da fare . Partito nel maggio 1700 q da Napoli, cece diverse soste a Roma e a Venezia, per avere un aiuto alla sua azione avvenire. L’imperatore Leopoldo ne impersonò il disegno, e all’avvenuta morte di Carlo II , promise a lui ed ai congiurati napoletani di mandare per re a Napoli il suo secondogenito ( fu invece poi acclamato Filippo V ).
A spingere gli altri baroni a ribellarsi non erano solo motivazioni di natura politica perché, oltre alle innovazioni governative, era stato stabilito un elenco delle concessioni politiche e delle grazie da chiedere all’imperatore, nonché delle ricompense territoriali, anche fuori del Regno, per ciascuno di loro. In particolare, il principe di Macchia aspirava al comando supremo di tutti i castelli del Regno, il marchese del Vasto era interessato allo Stato di Monferrato, Carlo di Sangro puntava sulla contea di Cosenza e Giuseppe Capece contava su quella di Nola. Da queste richieste si esclusero il principe della Riccia, che, come scrive Granito << fu voce di aver dichiarato bastargli la sola morte del viceré>> e Tiberio Carafa, «il cui animo generoso aborriva da ogni fine privato».
Morto Carlo II , incominciarono quindi subito a costituirsi una fitta corrispondenza di trame segrete tra fra Napoli, Roma e Vienna. Il punto di maggiore riferimento politico del “partito austriaco” napoletano politico e smistamento di informazioni venne a costituirsi a Roma , presso le dimore del cardinale Vincenzo Grimani, ( appartenente a una prestigiosa famiglia veneziana, di radicale fede imperiale,) e presso il conte Leopoldo Giuseppe Lamberg.
La nobiltà napoletane filoaustriaca residente a Roma ( Carlo di Sangro dei marchesi di San Lucido, Giuseppe Capece marchese di Rofrano, Angelo e Bartolomeo Ceva Grimaldi duca di Telese, Geronimo Acquaviva, Malizia Carafa ) si riunivano continuamente presso queste dimore per organizzare e avviare la congiura Le promesse che provenivano dalla corte imperiale erano seducenti: l’aspettativa del Regno autonomo che non sarebbe diventato una provincia, cariche assegnate solo ai nazionali, ed un Senato composto dai nobili di Piazza.
A quel punto i congiurati, incoraggiati da mendaci promesse di aiuto fatte dai ministri imperiali , intensificarono la loro attività, e patteggiando con l’imperatore, pensarono di darsi un capo militare nella persona del principe di Macchia, che, accettato il compito, fece immediato ritorno a Napoli.
Alcuni nobili , sopratutto il principe di Chiusano, Tiberio Carafa. erano profondamente convinti che sostenendo gli Asburgo d’Austria , non solo si liberavano del fastidioso vicerè ma una volta per tutte si liberava anche dell’enorme limite che la politica spagnola esercitava continuamante nei confronti dei diritti nobiliari . Era inoltre l’occasione per mettere a fuoco insiema a poche altri malcontenti nobili oltre che nuovi principi politici, sopratutto nuove proposte istituzionali, e nuove visioni economiche secondo nuovi e più appropriati modelli culturali .
Il Marchese Gambacorta principe di Macchia ,dotato di temperamento collerico, venendo spesso a Napoli , era stato coinvolto in una rissa durante la quale erano morti due soldati spagnoli. Questa uccisione finì per procurargli una fama di antispagnolo, amplificata anche dal fatto che un suo zio ed un suo fratello erano al tempo inquisiti di cospirazione .Ritenuto da allora un prode soldato anch’egli, capace di qualsiasi ardita impresa, il Gambacorta acquistò una certa popolarità e riunì intorno a sé un folto gruppo di congiurati, che si incontravano in una casa napoletana, ubicata nel palazzo Marigliano, in via S. Biagio dei Librai. Tra loro spiccano i nomi di tanti nobili dell’epoca, fieri oppositori del viceré spagnolo: Tiberio Carafa dei principi di Chiusano, Francesco Spinelli, duca di Castelluccia, Carlo di Sangro, fratello del marchese di San Lucido, Francesco Ceva Grimaldi, duca di Telese, Giuseppe Capece, fratello del marchese di Rofrano, Francesco Gaetani, principe di Caserta, e Cesare d’Avalos, marchese del Vasto..
Il piano dei congiurati di Macchia, andava quindi lentamente sempre più prendendo consistenza anche grazie una estesa capillare opera di adesione nelle province . I soli motivi di maggiore preoccupazione presso la corte imperiale erano soprattutto legati dal timore che “qualcuno dei cospiratori si lasciasse sfuggire qualche parola di troppo, compromettendo il buon esito di tutta l’impresa che si era riusciti a mantenere segreta
Oltre allo sbarco delle truppe austriache sul Gargano, dove il marchese del Vasto aveva messo a disposizione il castello di Manfredonia e diverse migliaia di masnadieri, bisognava nella capitale, la vigilia delle festività in onore di San Gennaro, il 18 settembre, occupare Castelnuovo, sede dell’armeria e dell’arsenale, dove il duca di Castelluccia, per esservi stato carcerato, era riuscito ad assoldare, con la promessa di diecimila ducati di ricompensa, il soldato Gioacchino del Rio.
Il piano della congiura venne studiato nei minimi particolari: uccisione del viceré Medinaceli, occupazione di Castelnuovo, del porto e delle galere, corteo per la città e acclamazione dell’arciduca Carlo come re . Per quanto riguarda viceré Medinaceli, il piano prevedeva la sua cattura presso la casa di una cortigiana, con cui soleva trattenersi dopo la passeggiata serale, grazie alla complicità di un suo ex cocchiere, Nicola Anastasio.
Ma gli eventi precipitarono all’improvviso: in seguito alla denuncia di un avvocato saltò l’occupazione del castello e, contemporaneamente, scattò l’allarme da parte dell’apparato governativo e poliziesco del governo. A quel punto i congiurati, nascosti nel frattempo nelle catacombe, entrarono in conflitto tra di loro . Nelle file della nobiltà spuntarono i primi “pentiti” ed alcuni che in un primo momento avevano aderito alla congiura . Molti del popolo incominciarono a ripensarci e a rinfacciare ai baroni il loro comportamento durante la rivolta di Masaniello. I congiurati si spaccarono quindi tra coloro che volevano ritirarsi e tra quelli, tra cui il principe di Macchia, Tiberio Carafa e Giuseppe Capece, che invece volevano portare comunque a termine l’impresa . Questi ultimi alla fine ebbero la meglio –
Nonostante quindi la congiura fosse stata scoperta, i capi della rivolta, intorno ai quali si erano nel frattempo radunate una folla di combattenti armati, non si fermarono. Nella notte del 22 e la giornata del 23 settembre, al grido di “Viva l’Imperatore ” incominciarono la sommossa .
Per prima cosa fu preso d’assalto il Castel Capuano, con la liberazione dei detenuti dalle carceri, la devastazione dei pubblici archivi e degli uffici giudiziari dei tre tribunali supremi, il Sacro Consiglio, la Regia Camera e la Gran Corte della Vicaria. In seguito , scorrendo festeggianti per le stade misero sottosopra le strade del centro storico ,lasciando che la plebaglia si scatenasse al saccheggio e all’assalto di palazzi alla ricerca di armi e munizioni per poi ritirarsi tutti nel Campanile di S.Lorenzo, nell’atrio di S. Paolo, Maggiore ed in quello del Campanile di S.Chiara .
Mentre la guerra civile prendeva consistenza le donne per mettersi in salvo , scapparono tutte nei monasteri o nel Castello, dove nel frattempo la Signora Viceregina si era rifugiata.
I capi dei ribelli minacciarono fiamme e fuoco a chiunque non li avesse seguiti nelle loro impresa e tale costrizione venne rivolta sopratutto ai restanti nobili , i quali per paura , all’indomani si rivolsero al Vescovato per aiutarli a proteggersi i e rifugiarsi sotto il patrocinio di S. Gennaro.
Tra tanto tremore, e spavento incominciava comunque lad organizzarsi la controffensiva vicereale che una volta assicuratasi del fatto che al mercato non si era mosso nessuno e tutto stava in quiete ( Masaniello docet ) radunò sotto il comando del Principe di Montesarchio , uno squadrone composto da più di mille persone, due pezzi di Colobrine tirati da cavalli e due carri di munizione, che divisi in due compagnie s’incaminarno per la strada di Toledo , mettendo in fuga dapprima alcuni ribelli che si erano fortificati presso Port’alba e qualcun’alro messo a guardia delle fosse del grano. Giunti poi al largo del Gesù, piantarono l’arteglieria, e incominciarono a sparare cannonate verso il Campanile di S.Chiara . Al battere del cannone, vi fu poca resistenza e gli assaliti si diedero tutti precipitosamente alla fuga per farsi più forti in S.Lorenzo.
Le guardie vicereali presero così d’assalto il Campanile di S.Lorenzo, e i ribell , dopo alcune cannonate, persi d’animo e di speranze si diedero tutti alla fuga . Una volta nel monastero le truppe spagnole cercarono dappertutto il loro di Capo Don Carlo de Sangro, che una volta trovato nel voler fuggire, cadde rimanendo gravemente ferito..
Fatto prigioniero , lui e molti altri suoi seguaci, , furno tutti portati nel Maschio Angioino , dove sotto tortura confessarono la loro congiura e tradimento . Per i capi della congiura a quel punto , incominciava, ormai, a mettersi male. Furono dichiarati dal vicerè ribelli e colpevoli di ‘fellonia’ che, nel diritto feudale, era il delitto di tradimento della fede giurata, comportante la rottura del contratto feudale e la conseguente perdita del feudo.
Oltre un centinaio si diedero alla fuga, tra cui Gaetano Gambacorta, Tiberio Carafa ed altri nobili congiurati che riuscirono a raggiungere Vienna ed a rifugiarsi da esuli, altri furono uccisi nelle terre di provincia e le loro teste mozzate tornarono a Napoli in gabbie di ferro, altri ancora furono fatti prigionieri. Gli unici ad essere catturati dalle guardie del duca Medinaceli furono il marchese Carlo di Sangro, che nel fuggire cadendo riportò comunque molti danni ( si ruppe li reni ) , Gioacchino del Rio, il soldato che, corrotto dal duca di Castelluccia avrebbe dovuto consentire l’accesso all’arsenale del Castelnuovo, Nicola Anastasio, l’ex cocchiere del viceré, che ne avrebbe dovuto organizzare la cattura, e due rappresentanti del popolo, Giovanni Bosco e Nicola Rispolo. Molti interrogatori avvennero tutti presso il tribunale di S. Lorenzo in Piazza San Gaetano al cui termine furono tutti condannati .
La decapitazione fu riservata solo al marchese Carlo di Sangro, unico nobile che, ferito, non era riuscito a scappare. Gli altri tre prigionieri furono dapprima <<strascinati>> e poi impiccati.
Il marchese di Sangro, prigioniero in Castelnuovo, depositò il suo testamento ai Bianchi della Giustizia. Impossibilitato a camminare, giunse al patibolo su una sedia di paglia, affrontando il suo destino come riportato nei libri dei Bianchi della giustizia << in giamberga da laccheo e sentimenti di vero cavaliere cattolico>>.