La notte dell’Epifania per tradizione da secoli  è un momento molto sentito nella nostra città.  . In questa notte magica si celebra l’arrivo  anche se in ritardo,  dei tre Magi presso la capanna dove è nato il bambin Gesù.

Essi sono descritti nel Vangelo di Matteo,   come astronomi e sacerdoti dell’impero persiano che sulla scia di un astro particolarmente luminoso (la stella cometa) da Oriente arrivano fino a Gerusalemme per onorare Gesù.   Il Vangelo non parla del loro numero, che la tradizione ha fissato a tre, in base solo ai loro doni, Mirra , incenso, e oro a  cui è stato poi assegnato un significato simbolico.:l’oro per omaggiare la regalità del bambino ,incenso per ricordare la sua divinità ,mirra per il sacrificio e futura morte dell’uomo Gesù.

La Mirra è un’erba medicinale da cui veniva prodotta una resina che mescolata con degli oli formava unguenti usati durante le cerimonie religiose ( da cui il detto “ unto dal signore ).Questo unguento profumato veniva usato anticamente per la mummificazione e la conservazione dei defunti . L’incenso invece è un attributo sacerdotale, dato che veniva utilizzato nei templi, e indica proprio la dimensione di officiante di Gesù. L’oro, invece, è il più semplice da decifrare, in quanto simboleggia con una certa ovvietà la natura di Re dei Re del figlio di Dio.

I sapienti magi  giunsero per tradizione alla capanna montando tre cavalli di colore diverso che secondo tradizione cattolica rappresentano il viaggio notturno della stella cometa che si congiunge con la nascita del nuovo “sole-bambino”.

Baldassarre il vecchio cavalcava  un cavallo nero come la notte, Gasparre il giovane, montava un cavallo bianco come il sole nascente, mentre  Melchiorre il moro, cavalcava  un sauro  fulvio rossiccio  come il sole al tramonto . Essi  rappresentano il viaggio notturno della stella cometa che si congiunge con la nascita del nuovo “sole-bambino”.

I tre magi, si mossero infatti da oriente, che è il punto di partenza del sole, come è chiaro anche dall’immagine del crepuscolo che si scorge tra le volte degli edifici arabi . Quando dopo la notte giungono al cospetto di Cristo, che rappresenta il sole che risorge, i tre Re rappresentano il mondo e il tempo che si ferma per la nascita del figlio di Dio. .

N.B.  In origine però erano rappresentati in groppa a tre diversi animali, il cavallo, il dromedario e l’elefante che rappresentano rispettivamente L’Europa , l’Africa e l’Asia .

Ma i re magi diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, sembra che ad un certo punto del loro lungo viaggio si siano persi e non riuscendo a trovare la strada per Betlemme , chiesero informazioni bassando alla porta di una anziana signora. affacendata in quel momento con i carboni accesi a preparare dei squsiti dolci.  Una  leggenda narra che i tre Re magi dopo aver ottenuto utili informazioni dall’anziana ed infreddolita signora che per questo morivo teneva uno scialle sul suo capo, ed i carboni accesi, invitarono la stessa  a seguirli per far visita a Gesù .Ma malgrado le loro insistenze, la donna non li accompagnò a far visita al piccolo . Lei in quel momento era troppo impegnata nel suo far i dolci, teneva troppo da daree non poteva lasciare la casa in quel momento.  

Poco dopo però la vecchietta si pentì di non aver seguito i Re Magi e  preparato un cesto di dolci uscì di casa per cercarli . Incominciò così a cercarli ovunque  invano e non riuscendo a trovarli decise alla fine che si sarebbe fermata a ogni casa lungo il suo cammino donando qualcosa ai bimbi sperando che uno di essi fosse Gesù. Da quel momento quindi bussò  a ogni casa che trovava lungo il suo cammino, donando dolciumi a tutti i bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù.

CURIOSITA’ :  Secondo una prima versione della storia la Befana girerebbe ancora oggi per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare; secondo una seconda, continuerebbe a portare doni a tutti i bambini con la speranza di incontrare, prima o poi, il Messia. 

Da quel momento l’Epifania è una ricorrenza in cui si celebra da una parte  la visita da parte dei Magi a Gesù Bambino, ma anche  la festa in cui la Befana porta dolciumi,  caramelle e carbone a tutti bambini che il  6 mattino di gennaio,  aspettano la famosa calza .

Per antica radizione nella notte tra il 5 e il 6 gennaio tutti i bambini da secoli sanno che una dolce brutta vecchietta si alza in volo a bordo della sua magica scopa di saggina per far visita alle loro case  ( magari scendendo dai camini come babbo natale ) per portare loro alcuni doni e  riempire le calze che i bimbi hanno appositamente lasciato per lei in giro per casa, appese al camino, accanto a una finestra o ai piedi del letto, di vari dolciumi ; per creare un alone di mistero ma anche di futura raccomandazione, i bambini che durante l’anno si sono comportanti bene riceveranno dalla Befana caramelle, cioccolata e tante leccornie, invece per i bimbi cattivi il premio troverà aggiunto anche qualche piccolo pezzo di carbone ) zuccherato e anticamente anche dell’aglio).

Il motivo per cui i doni della Befana vengono messi dentro le calze va ricercato nel fatto che esse sono degli indumenti indispensabili contro il freddo, quindi molto utilizzate in questo periodo dell’anno. Ma anche perché sono contenitori perfetti, in quanto allargabili, e disponibili per chiunque, dai più poveri ai più ricchi.

N.B. Il carbone da antico simbolo rituale dei falò inizialmente veniva inserito nelle calze o nelle scarpe insieme ai dolci, in ricordo,in riti pagani, del rinnovamento stagionale  Solo con il tempo è poi è diventato un simbolo di punizione per i bambini che si erano comportati male durante l’anno.

Nella mitologia pagana romana  la festa della befana non aveva infatti alcun elemento religioso .Gli antichi romani infatti credevano che dodici giorni dopo  il solstizio d ’inverno , dodici donne volassero sui campi per favorire i raccolti.

I Romani, credevano che in queste dodici notti (il cui numero avrebbe rappresentato i dodici mesi dell’innovativo calendario romano )  per propiziare la fertilità dei futuri raccolti , volassero sui campi coltivati, benevoli  e mitologiche figure femminili ( da cui il mito della befana “volante). 

Tali figure femminile furono inizialmente identificata in Diana, la dea lunare non solo legata alla cacciagione, ma anche alla vegetazione, e solo in un secondo tempo con la “ Befana “, una vecchina affettuosa ,rappresentata su una scopa volante che aleggiava sopra i campi di notte per  propiziarne la fertilità che ancora oggi , passati tanti secoli viene da noi festeggiata nei 12 giorni che seguono il Natale ( epifania ). 

Essa , vista come la personificazione al femminile della natura invernale, veniva rappresentata come una vecchia gobba con naso adunco, capelli bianchi spettinati e piedi abnormi, vestita di stracci e scarpe rotte.

Per ripararsi adeguatamente la Befana indossa gonnoni lunghi, lisi e rattoppati in maniera allegra; spesso indossa il grembiule. Usa inoltre calzettoni pesanti antifreddo e scarpe comode, ma non stivali alla guascone molto più adatti alle streghe delle fiabe. Sulle spalle a volte ingobbite ha sempre uno scialle di lana pesante e colorata e non un mantello svolazzante come capita di trovare in alcune immagini nella rete.

Ma perché non rappresentarla come una donna giovane e bella ed invece rappresentarla come una vecchina rattrappita dagli acciacchi dell’età e dal freddo, con pochi denti, il volto grinzoso , un naso molto prominente per enfatizzarne la vecchiaia  ? 

Essa fu volutamente rappresentata vecchia perché doveva simbolicamente rappresentare l’anno vecchio ed indicare il finire di un ciclo: con il solstizio d’inverno si passa infatti dal vecchio al nuovo, dal freddo e dalle notti interminabili all’allungarsi del periodo di luce. Con la fine dell’anno ancora oggi si entra nel nuovo anno , lasciando il vecchio alle spalle per guardare il nuovo . 

A livello liturgico si conclude il Tempo Liturgico natalizio, e comincia quello Ordinario. Proprio per questo il giorno dell’Epifania, quando si festeggia anche la Befana, viene recitato “Epifania, tutte le feste porta via”.

CURIOSITÀ’ : Un’altra ipotesi collegherebbe la Befana con un’antica festa romana, che si svolgeva sempre in inverno, in onore di Giano e Strenia (da cui deriva anche il termine “strenna”) e durante la quale ci si scambiavano regali. 

Il culto della Befana era comunque già presente nel periodo neolitico dove vi era un culto legato a una divinità che incarnava lo spirito degli antenati. Questa si materializzava in inverno alle famiglie riunite intorno al fuoco, ed aveva sembianze femminili. La donna dal naso adunco era beneaugurante per il raccolto dell’anno seguente.

Ma è nel nord Europa e sopratutto nella tradizione celtica che si ritrova il vero aspetto della benevola vecchina vestita di laidi stracci. che ancora oggi raffigura la befana .  Queste divinità, nelle dodici notti del Solstizio d’inverno, si recavano a visitare ogni casa, entrando dalla cappa del camino, spargendo e dispensando fortuna.

 

 

 

 

 

 

 

Secondo la tradizione i celti, (un un popolo delle Alpi insediato sulle montagne e nella Pianura Padana), celebravano  strani riti officiati da maghi, ovvero dei sacerdoti chiamati Druidi; durante queste celebrazioni i Celti davano fuoco a dei grossi fantocci di vimini, per onorare divinità avvolte dal mistero e per sedare la loro crudeltà; inoltre in epoche antiche il vimini veniva utilizzato per annodare animali da offrire come vittime sacrificali o anche prigionieri di guerra.

Il culto della Befana  era  inoltre presente anticamente anche in Normandia, in Persia ma anche in Russia e in Africa; con questo culto molti di questi paesi vedevano  l’intervento della Dea genitrice primordiale, “Signora della vita e della morte”,  per la rigenerazione della Natura.

Ma le origini della Befana  hanno radici antichissime e si perdono nella notte dei tempi: questa figura sdiscende da fondamenti precristiani, mescolando tradizioni magiche prima di fondersi con elementi folkloristici e cristiani. Alcuni storici ritengono  che la Befana derivi addirittura da Estia,  la dea  custode del focolare domestico e simbolo della famiglia unita. Esssa è forse  la meno nota fra le divinità dell’Olimpo:, ma non la meno importante . La sua  presenza si avvertiva nella fiamma viva, posta al centro della casa, del tempio e della città. Nessuna  abitazione né tempio erano consacrati fino a che non vi aveva fatto ingresso Estia, che, con la sua presenza, rendeva sacro ogni edificio. Era una presenza avvertita a livello spirituale come fuoco sacro che forniva illuminazione, tepore e calore.

Molto amata e protetta da tutti gli Dei nell’Olimpo , Vesta rappresentava il focolare domestico intorno al quale si riuniva l’intera famiglia .

Quale simbolo migliore per la nostra città ?  Sarà questo il motivo per cui Napoli la festeggia con così tanto affetto ?

Dò attronde anticamente un suo Tempio nella nostra città si trovava nella regione Nilense , nel luogo dove oggi si trova il palazzo Casacalenda , e precisamente nel luogo dove  prima si trovava  la chiesa di Santa Maria alla rotonda . Il sontuoso edificio , come solitamente era solito fare per i templi dedicati a questa Dea , per rappresentare l’universo , aveva una forma rotonda ed era decorato con marmi molto preziosi e ricercati , preziose sculture ed eleganti colonne ricche di pregevoli iscrizioni . Negli scavi che si operarono successivamente in questo luogo per la costruzione del palazzo , furono rinvenuti a diverse profondità molti antiche reperti archeologici tra cui una bella statua della Dea Vesta con la benda , un gran fonte antico di marmo per l’acqua lustrale , un tripode ed altri oggetti di culto della Dea .

Oppure il motivo per cui questa festa nella nostra città è cosi sentita è solo perchè il suo culto è forse  legato a quella Dea Diana che aveva nella Napoli antica un suo Tempio nella nostra città,nella zona dei decumani,  nel luogo in cui ora sorge la  chiesa di Santa Maria Maggiore, accanto al campanile della Pietrasanta ?

Pare infatti che secondo un’antica leggenda, in quei famosi dodici giorni dopo il solstizio di dicembre ( 21 dicembre ) , fosse proprio la bellissima Dea Diana (la dea della cacciagione e della vegetazione)  colei  che volava sui campi per promettere fertilità, e gli antichi i romani era proprio in questa occasione che si scambiavano un dono di buon augurio per l’anno nuovo.

Il Tempio di Diana  che doveva essere una struttura molto bella ed elegante come testimoniano i numerosi resti di pregevole fattura architettonica rinvenuti nelle sue fondamenta, è stato per secoli un importante luogo di culto pagano presente nel nostro centro storico  e ovviamente come per tutti i tempi pagani anche il Tempio di Diana aveva i suoi sacerdoti o meglio le sue sacerdotesse (solo esclusivamente donne) che erano chiamate janare (il termine Janara sta per seguace di Jana, cioè di Diana, la dea della caccia e della luna ).

Queste sacerdotesse, riunite in confraternite, erano depositarie di un sapere astronomico e religioso senza tempo e si tramandavano in maniera ereditaria antichi culti e pratiche occulte di magia. Erano considerate per tale motivo delle donne esperte nella ‘magia del fare‘ e da tutti molto temute e rispettate .

Esse conoscevano il ciclo dei pianeti e miracolosi rimedi fito-terapici e pertanto secoli fa, quando non esistevano ospedali o ambulatori medici, era proprio a loro che si rivolgevano le genti locali per essere curate.

Le sacerdotesse di Diana erano anche esperte ostetriche, e praticavano gli aborti attraverso infusi di erbe, come il prezzemolo e il ritrovamento di oggetti simili a raschietti ha fatto supporre l’ipotesi che nell’antichità venisse praticato da queste esperte donne anche l’aborto con raschiamento dell’utero.

 

 

 

 

 

 

 

Il culto per la dea Diana era però  riservato alle sole donne (perché a queste prometteva parti non dolorosi ) che sopratutto in  corrispondenza con la luna nuova, si recavano in processione al tempio di Diana/Artemide per propiziare il parto o per ringraziare la dea per averle assistite ( in molti scavi sono emersi ex voto anatomici e statuette di madri con lattanti).

Gli uomini  furono ovviamente ingelositi  da tale culto che li escludeva del tutto anche da questioni familiari  e furono infastiditi da tali arti magiche  che incominciarono a temere. Gli uomini inoltre erano irritati dalla popolarità che il culto di Diana  riscuoteva in questa zona poiché molte promesse spose  pur di evitare matrimoni infelici, preferivano votarsi alla Dea Diana e offrire la loro castità. Le ragazze divenute poi sacerdotesse venivano appellate dagli stessi uomini amareggiati, in maniera dispregiativa col sostantivo di  ianare (da dianare o sacerdotesse di Diana) ed infine per vendicarsi bollate di stregoneria, capaci di invocare il demonio. La parte maschile del popolo, quindi che mal vedeva questo luogo frequentato da sole donne, temendo di perdere il loro potere in società, incominciarono a fare di tutto per screditarlo.

Incominciarono con lo screditare le sacerdotesse accusandole di eresia, adulterio apostasia, blasfemia, e bigamia e tante altre numerose ingiurie con il solo scopo di annullarne l’antico prestigio e trasformarle con il tempo  nel tado medioevo come donne  possedute dal diavolo che non mancavano di servire con riti magici.

Si cominciò quindi a considerarle delle streghe da combattere e da distruggere capaci di volare su diaboliche proprie scope di saggina seminando terrore ed infine  essere accusate come facili donne intente  spesso a  riunirsi  in orgiastici banchettii sotto un albero di noce in un riro magico detto Sabba , dove partecipavano  spiriti e demoni sotto forma di caproni o gatti.

Le povere sacerdotesse finirono quindi per essere  trasformate in streghe capaci solo di fare  dispetti, facendo trovare le criniere dei cavalli intrecciate,far parlare gli animali nelle stallle,rapire neonati dalle culle, causare  addirittura  aborti e deformità nei neonati.

Nelle campagne invece di considerate viste come colei  che volava sui campi per promettere fertilità, si incominciò a temerle ed in preda  al diffondersi della paura per le streghe e si cercò di trovare un rimedio utile per allontanarle.

Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la janara riusciva ad entrare, sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. L’alba sopraggiungeva a scacciarla, poiché non si accorgeva del passare del tempo, impegnata nell’insulsa operazione. Gli oggetti posti a tutela delle porte infatti avevano ed hanno insite virtù magiche: la scopa per il suo valore fallico, oppone il potere maschile e fertile a quello femminile e sterile della janara; i grani di sale sono portatori di vita, poichè un’antica etimologia connette sal (sale) con Salus (la dea della salute).

La persecuzione delle streghe iniziò con le prediche di San Bernardino da Siena, che nel XV sec. predicò pesantemente contro di esse, ed in particolare contro quelle di Benevento. Egli le indicava come causa di sciagure e sosteneva la tesi secondo la quale dovessero essere sterminate. Nel 1486 fu pubblicato il Malleus Maleficiarum, che spiegava come riconoscere le streghe, come processarle ed interrogarle con torture atroci. Proprio attraverso tali torture furono raccolte diverse confessioni, nelle quali si parlava di sabba a Benevento, di voli, e della loro pratica. Dopo avere estorto a queste povere donne la falsa verità di comodo che volevano sentire e la ancora più falsa confessione di pratiche stregonesche e magia nera esse erano poi puntualmente mandate al rogo o al patibolo.

La chiesa cattolica, che in quel triste periodo condannava tutti i riti e le credenze pagane ( tra i quali anche quello legato alla  Dea Diana) , definendole un frutto di influenze sataniche, cercò quindi come avete avuto modo di capire di contrastare in ogni modo possibile il culto di Diana , ma poiche esso era molto radicato sopratutto nel mondo contadino, questa figura nonostante i numerosi tentativi di censura , resisteva al culto ed appariva sempre più difficile da eliminare del tutto .

Non restava quindi altro da fare se non quello di inglobarla nel mondo cattolico .Bisognava che essa entrasse a far parte del Cristianesimo, con un nuovo aspetto, magari quello di una vecchietta, goffa ma gentile, che rappresentava il dualismo tra il bene e il male.

Per fare  questo , nel  Medioevo, nel tentativo di  “cristianizzare” quella figura femminile identificata con la Dea Diana, che volava sui campi coltivati, distribuendo semi e gemme, per propiziare la fertilità dei futuri raccolti, fu ovviamente necessario una nuova diversa versione religiosa dei fatti .

Incorporata nel tempo nella tradizione cristiana,la festa romana di Diana fu, quindi, “riciclata” con la  favoletta prima raccontata  della vecchietta alla cui porta bussarono i i  tre Magi, diretti a Betlemme . In questo modo la famosa Dea Diana, ripulito da credenze pagane   fu trasformata  dal Cattolicesimo  in una figura benevole e non negativa che con il passar del tempo anch’essa volava sui campi alla data della dodicesima notte dopo il Natale, ma solo per portare doni ai bambini buoni, intrufolandosi  nelle case, attraverso le  cappe dei camini, considerate punto di congiunzione tra la terra e il cielo.

N.B. Il termine “Befana” risente della corruzione lessicale di Epifania, dal greco e vuol dire “colui che si manifesta”, riferito quindi alla nascita di Gesù;

Nel mondo contadino, questa nuova fugura denominata “ Befana “non solo era una figura benevole che scivolando sui tetti e scendendo nei camini riempivad i doni e dolciumi le calze che i bimbi hanno lasciato per lei , continuava anche a simboleggiava a cavallo della sua magica scopa, con la sua presenza quell’augurio speciale per un buon raccolto.

CURIOSITA’ : A quei tempi assieme alla cioccolata spesso si trovava nelle calze anche frutta secca, come noci, castagne, mandorle e il carbone non era di zucchero, bensì vero e proprio carbone nero, che serviva ad arrostire le caldarroste da mangiare con i bambini e in compagnia di tutta la famiglia nel giorno dell’Epifania.

Ora mi pare giusto comunque ricordarvi che la Befana altro non è che una storpiatura di Epifania. Una festa che coincide con l’arrivo a Betlemme dei re Magi Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Una festa che celebrava il giorno in cui alcuni uomini saggi portarono dei doni a Gesù bambino.

Sono quindi i  re magi con i loro doni che hanno dato inizio a  questa  festa che si tiene il 6 gennaio : la festa dell’Epifania .

Ma sapete che i   primi cristiani  non festeggiavano  il Natale  il 25 dicembre ma proprio il 6 gennaio?

Fu solo ein seguito , pur di  sovrapporsi al rito del Sol Invictus della tradizione pagana, che si decise  di festeggiare il Natale il 25 dicembre .Ed una volta stabilito nei vangeli , il giorno della nascita di Cristo venne dunque anche fissata nella religione cristiana , l’epifania al dodicesimo giorno successivo.

N.B. La chiesa cattolica , dopo che il Cristianesimo  prevalse sulle religioni pagane, installò molte delle proprie feste sulle loro precedenti liturgie, in modo da scalzarle definitivamente. Delle molte epifanie, così, ne rimase solo una ,  cioè quella di Cristo.

La festa si assestò definitivamente durante il IV secolo: questa celebrazione, che ricorre il 6 gennaio, viene chiamata ‘Epifania’ perché ricorda la prima manifestazione pubblica di Cristo, con l’omaggio che gli fu reso dai Re Magi.

CURIOSITA’ : Questa notte tra il 5 ed il 6 gennaio è anche la notte dove finalmente potrete mettere il re magi accanto alla grotta del vostro presepe,  mentre come certamente ben sapete essi devono precedentamente essere presenti sempre in lontananza ,in quanto essi giungono a Betlemme per dare i loro doni al redentore solo in questo giorno.

N.B. Simboli di un antico esoterismo  i tre magi sul presepe napoletano devono essere sempre presenti  a piedi , a cavallo o sui cammelli ,in numero di tre e possibilmente di diverse dimensioni, piccoli, medi e grandi , in maniera tale   mostrare nel corso delle feste natalizie il loro avvicinarsi , guidati dalla stella cometa il loro percordo  verso la grotta 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I  re magi sul presepe non sono altro che la prima attestazione di uomini religiosi di un’altra cultura che adorano Gesù e  come vi dicevo devono necessariamente essere posti  lontano dalla grotta perché’ simbolicamente devono  giungervi  solo all’Epifania  .

L’Epifania a Napoli , come vi dicevo è una festa da sempre  molto sentita  e  molto importante. Basti pensare che il 6 gennaio a Piazza Mercato, il centro della vita napoletana da oltre 800 anni, si svolge puntualmente ogni anno, in una meravigliosa atmosfera di festa, un tradizionale mercatino della Befana.

Dolciumi, musica, giocatoli e luci colorano la piazza. che si trasforma per l’occasione in un vero e proprio villaggio dedicato alla vecchietta più amata dai bambini .In questo luogo, in un  clima allegro e gioioso che ricorda quasi una festa di paese ,  bambini, famiglie e turisti per ben tre giorni a partire dal 3 gennaio , in un bellissimo amorevole clima natalizio possono acquistare fno a tarda notte, dolci, giocattoli, calze e vari regali.

I tanti nuovi turisti che hanno invaso la nostar città negli ultimi anni ,  amano molto  frequentare questi posti fino a tarda notte per vivere il folklore e le usanze locali molto radicate di questa città

La notte del 5 gennaio è spesso caratterizzata anche dalle tante feste organizzate nelle piazze e nei luoghi più famosi e caratteristici di Napoli. In particolare, Piazza Plebiscito, Spaccanapoli e Via Caracciolo, ogni anno si prestano alla rappresentazione di spettacoli e ad attività ludiche per i bambini.

Questa notte per i napoletano è una di quelle notti magiche che come quella di San Giovanni, hanno per i napoletani un significato  particolare. L’Epifania è una ricorrenza in cui si celebra la visita da parte dei Magi a Gesù Bambino, ma  è anche la festa in cui la Befana porta dolciumi e caramelle a tutti bambini.

E’ la festa dei nostri bambini !

E’ la festa di tutti i bambini !

E’ la festa avvolta da un alone di magia in cui se poi Babbo Natale si è forse dimenticato di qualche giocattolo, la Befana, sua scrupolosa aiutante, potrà rimediare portando ai bimbi delle super calze.

Per tradizione questa  notte tra il 5 e il 6 gennaio una  vecchietta dalle scarpe tutte rotte, a cavallo della sua scopa,,vola sulla città per portare dolci ai bambini buoni e carbone a quelli che sono stati più monelli.

Dite la verita, chi di voi quando era piccolo almeno una volta non ha recitato la  classica filastrocca  –La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte col vestito alla romana: Viva viva la Befana! 

Quale  bambinio nella nostra città, durante le festività natalizie non ha mai recitato  a memoria, magari in piedi su una sedia mentre tutta la famiglia al completo ascolta, circondando la tavola imbandita, in attesa di dare il via al banchetto, questa classica filastrocca ? 

Ma sopratutto quale bambino tra le notti del 5 e 6 gennaio, ancora oggi,nella nostra città, non si aspetta di ritovare allindomani mattina la sua calza appositamente lasciato in giro per casa, appese al camino, accanto a una finestra o ai piedi del letto, piena di  caramelle, cioccolata e tante leccornie, e solo forse invece un po di  carbone per qualche piccola marachella che solo lui ricorda ?

La Befana moderna, come la conosciamo oggi, è famosa per la sua gobba e per il suo naso adunco, il mento aguzzo e il classico porro che le sporge da qualche lato della faccia; è vestita di stracci e sporca di fuliggine, perché entra nelle case, scivolando sui tetti, tramite le canne fumarie dei camini , ma abche lei , preda dei tempi moderni si sta putroppo trasformando e negli ultimi tempi alcuni scrittori di favole per bambini,le  hanno dato un’aria più tecnologica  facendola viaggiare direttamente su un’aspirapolvere e facendola rimpicciolire, sino a passare dal buco della serratura.

Ma nonostante tutto l’Epifania nella nostra città ogni anno una festa particolareper tutti noi Che siano stati buoni o monelli, tutti i nostri bambini, il 6 gennaio, si aspettano la calza della Befana e per tradizione nonostante i secoli e  l’aspetto della Befana cambi nel tempo, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio una dolce vecchietta si alza in volo a bordo della sua scopa per dolcetti ai bimbi più buoni e carbone (zuccherato!) a quelli più indisciplinati.

E’ la festa per cui tanti genitori ancora oggi, nonostante Amazon, vagano indaffarati  per alcune zone della città in cerca dei giocattoli da regalare ai loro figli  mentre i bimbi a casa, sotto le coperte, aspettano i doni e le leccornie della Befana.

E’ anche quella notte , dove i genitori per affrontare la fredda serata di dicembre e riprendere le energie utili per la ricerca dei giocattoli mantengono l’antica usanza di bere in strada ‘O broro ‘e purpo, che  rappresenta uno dei piatti da strada più antichi di Napoli. Esso caldo e col sapore del mare, accompagna la camminata per le strade che circonda Piazza Mercato e la vicina Porta Capuano, lasciando in bocca il gusto semplice della Napoli che fu e di quella che è, tuttora ancorata nella semplicità dei propri odori autenticamente popolari.

Probabilmente originario della cultura greca, nelle strade partenopee, ‘O broro ‘e purpo,risale circa al XIV secolo, con la sua immortale ricetta, per anni adoperata per strada e nelle case, fino ad oggi.

In antichità,  esso ,assieme a quello fatto con la cotica, sostituiva il brodo di carne, pietanza destinata a pochi. Si trattava di piatti più umili ma allo stesso tempo sostanziosi e saporiti . Esso veniva consumato per strada, ed in maniera particolare  nella zona centrale di Napoli, a Porta Capuana. Lì c’erano tantissime bancarelle che vendevano la vivanda in tazze o bicchieri bollenti. E avevano un grosso successo. Ciò perché col brodo ci si poteva scaldare e riempire lo stomaco con davvero pochi soldi.

Nella nostra città all’epoca , contro la fame e il freddo c’era e c’è ‘o’ bror e purp’. Lo si beveva  in tazza, in piedi con l’aggiunta di qualche goccia di limone. Esso veniva servito in chioschi con un bancone pieno di limoni. Il pesce era cotto in una pentola fumante, a cui erano state aggiunte manciate di pepe nero e sale. La tradizione voleva che “O purp s’adda cocere cu’ l’acqua soya” (“Il polpo deve essere cotto nella sua acqua”).

Il purpaiolo porzionava il brodo insieme a dei pezzi di tentacoli tagliati al momento con le forbici. Talvolta veniva servito aggiungendo alcuni pezzi di freselle, un tradizionale biscotto napoletano.

L’enorme quantità di polpo disponibile nel nostro mare e la facilità con cui poteva essere pescato, lo  ha reso , come  nel caso di altri pesci, un prodotto molto economico a Napoli per il popolo. Grazie infatti  alla sua abbondanza per secoli è stato il prodotto che ci donava il nostro mare la cena dei poveri, a sfamare e nutrire  le bocche dei più umili.

Assai economico, veniva spesso consigliato anche come rimedio naturale per superare diversi malesseri e spesso  usato sia per affrontare il freddo che per curare il raffreddore, tanto che fu coniato il noto proverbio: “Mala tosse e catarro, brore ‘e purpe c”o carro”. Il piatto era povero, ma prevedeva delle differenze: i meno miseri avevano uno o più ranfe (tentacolo di polpo, chiamato anche ranfetell).

La sua ricetta sembra essere antichissima . Prepararlo è molto semplice, poichè basta calare in acqua bollente un polpo o una sua parte e farlo cuocere per circa 40 – 50 minuti, in base a quanto diventi “calloso”. Dopo di che, l’acqua in cui è stato immerso bisogna condirla con pepe e con alcuni dei tentacoli che avrete tagliato dal polpo stesso. I tentacoli rappresentano la “ranfetella” che, di tanto in tanto, fuoriesce dal brodo che state bevendo.

Ad occuparsi della preparazione del brodo di polpo,  all’epoca , in passato, erano soprattutto le donne come scrive anche Matilde Serao nel “Ventre di Napoli”: “Con due soldi si compera un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un focolaretto e una piccola pignatta”. 

Secondo alcuni scrittti,  pare che lo stesso Boccaccio fu rapito da questo piatto di strada, raccontando nel 1339, in una lettera divenuta poi popolare  all’amico Francesco Bardi come, per la nascita di un bambino, i parenti comprarono un polpo e lo inviarono alla “puerpera”, la quale si occupò di cuocerlo e preparare il brodo.

Molto tempo fa nella nostra  città, erano tanti i posti dove era possibile prendere un’tazz e bror e purp. Lo si poteva prendere in  Piazza Carità, in Piazza Bagnoli, a Porta Capuano, in Sanità, a Forcella, a Montesanto, in Via Foria, nel mercato della Pignasecca e in tanti altri posti, ma ovviamente  era la zona di Santa Lucia, il quartiere dei pescatori per eccellenza, quello maggiormente  conosciuto lalmeno negli anni 40 come il luogo della città dove si poteva assaggiare il migliorr brodo  del brodo di polpo . Esso costava solo 10 lire, tutti potevano quindi  permetterselo. Centinaia di bancarelle erano posizionate strategicamente per catturare l’attenzione dei passanti: all’uscita dei cinema, ai cancelli di una scuola, nei mercati, dovunque fosse possibile essere attratti dalle colonne di vapore emesse dai calderoni bollenti, dove era cotto il polpo. Il grido dei venditori in quel tratto della nostra città era “O broooor ‘e puuurp… scàrf ‘a panza e dègn ‘o stomaco!” (“Polpo caaaldooo! Riscalda la pancia e fa bene allo stomaco!”). 

Tutto questo ovviamente avveniva nei mesi freddi, mentre in estate nei mesi caldi , il brodo di polpo veniva sostituito dalla più fresca limonata, Qui , le belle luciane , spigliate ,sorridenti ,e procaci  , che spesso gestivano i tanti chioschetti sul lungomare di Santa Lucia con fare malizioso gridavano a squarciagola per richiamare clienti nelle afose giornate napoletane < chi vò vevere ,che è freddo >  e cantando al  suono di canzoni dal dubbio significato giocavano spesso sul doppio senso on cui il prorompente seno veniva accostato alle mummare . Esse sopratutto durante l’estate , grazie alla neve ghiacciata che teneva fresche le loro bevande permetteva di rispondere in modo malizioso alla domanda <“Acquajuò! L’acqua è fresca?”: “Manche ‘a neva”.

L’acqua suffregna , una volta tolta dalle mummarelle veniva versata in piccole brocchette di terracotta ( chiamate giarretelle ) dove veniva aggiunto del succo di limone ed un cucchiaio di  bicorbonato . Il risultato era una straordinaria dissedante bibita con un potente effetto digestivo , caratterizzata da una scenografica eruzione di schiuma ( prodotta dallo stesso bicarbonato ). La  bevanda era da tutti considerata anche  un’autentica panacea per molti dolori fisici .

Unico problema aveva un forte sapore di uovo non del tutto gradevole per alcuni  .

N.B. Se i vasi in terracotta erano di dimensioni più piccoli , venivano ovviamente soprannominati “mummarelle ” ( termine spesso ancora oggi utilizzato per indicare in una donna delle mammelle piccole ma graziate ) .

Il brodo di polpo come avete capito è una  ricetta che custodisce lo spirito di Napoli . Purtroppo oggi è rarissimo trovare i chioschi o le bancarelle di purpuiaoli. Come per “o zeppaiolo” o il “tarallaro“, è un mestiere quasi sparito. 

Oggi è consuetudine assaporarlo per tradizione solo alla festa dell’Epifania, dove gli ambulanti ve lo serviranno in due bicchieri monouso sovrapposti, anche se… la ranfetella, forse, sarà sempre una sola.

Napoli è una delle patrie dello street food e forse uno dei primi cibi venduti per strada in città è proprio il  brodo di polpo.

L’Epifania come vedete nella nostra città è una festa particolare. Essa è accolta da sempre nei secoli con grande gioia ma anche da un pò di tristezza poiché sancisce la fine delle vacanze natalizie. L’Epifania, tutte le feste si porta via. Eh sì, le feste stanno terminando ma a consolarci ci penseranno i dolciumi della nostra calza. Questa notte, la Befana, a cavallo della sua magica scopa, scivolerà sui tetti, scenderà nei camini e riempirà di doni e dolciumi le calze che i bimbi hanno lasciato per lei. Chi si è comportato bene riceverà caramelle e cioccolata, chi è stato cattivo sappiate che avrà  invece solo carbone.

 

 

 

 

 

 

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