Diciamoci la verità!

Quanti di noi realmente sappiamo che cosa rappresenta   il Carnevale ?

Certo … tutti sappiamo che il Carnevale è un periodo dell’anno caratterizzato da colori e schiamazzi, coriandoli , maschere , scherzi e divertenti fantasiosi costumi .

Molti sanno  il termine carnevale fu introdotto solo alla fine del XIII secolo e certamente tutti sanno  che il Carnevale non ha una data fissa : ogni anno dipende da quando cade la Pasqua . 

Il tempo di Carnevale infatti inizia la prima domenica delle nove che precedono quella di Pasqua. Raggiunge il culmine il giovedì grasso e termina il martedì successivo, ovvero il martedi grasso, che precede il Mercoledì delle Ceneri inizio della Quaresima .

Per farla più breve , esso per tradizione, si colloca sempre tra l’Epifania e il giorno che precede il Mercoledì delle Ceneri, ossia martedì grasso.

Il Carnevale  è da sempre stata considerata la festa dell’allegria per eccellenza e ovviamente anche la nostra città  in questo periodo dell’anno  appare vestita a  festa e tutti , chi più e chi meno, vengono un po’ coinvolti da uno stato di strana allegria.

Ma onestamente oggi il carnevale napoletano non costituisce un elemento centrale nel panorama culturale cittadino in quanto, soprattutto negli ultimi due secoli si è assistiti a Napoli ad un oblio progressivo della  festa che da quando coinvolgeva l’intera citta oggi è divenuta patrimonio dei soli travestimenti dei bambini. Camminare per le vie della nostra città durante questa  settimana di Carnevale significa infatti oggi, sopratutto osservare i travestimenti dei bambini che a dir la verità , vista la grande fantasia dei napoletani., sono spesso sorprendenti e mai banali ,

Il Carnevale napoletano resta quindi ancora un bel momento  da vivere a Napoli, ma certo non ha nulla a che vedere con altri carnevali italiani che sono vere istituzioni culturali , basti pensare al carnevale di Venezia, di Viareggio oppure per rimanere in Campania quello di Maiori, di Saviano, di Capua, di Nola.

Eppure il Carnevale ha origini molto antiche nella nostra città …

Le prime testimonianze di un carnevale napoletano di una certa importanza si rinvengono infatti  nelle opere del marchese Giovan Battista del Tufo che testimonia che nel ‘500 si travestivano solo i nobili e l’alta aristocrazia napoletana della Corte Aragonese ( ipoveri invece in quel periodo tenevano altro a che pensare) . Poi nel ‘600 le feste mascherate coinvolsero anche la plebe, le corporazioni di pescatori, macellai, pescivendoli e contadini fecero così nascere  il Carnevale del popolo.

Le Corporazioni (cosiddette Arti Annonarie) cominciarono ad organizzare i carri della cuccagna, straboccanti di prodotti alimentari. Si scrivevano per l’occasione i cartelli di quadriglia, ovvero canti carnevaleschi che venivano distribuiti al popolo, insieme a coriandoli e confetti, per accompagnare le sfilate dei carri. Il popolo  per quattro settimane invadeva le strade e  ovunque si assisteva ad un trionfo di giochi, scherzi, cuccagne, chiacchiere, sanguinacci, migliacci e lasagna. Dappertutto si ballava la tarantella,  si suonava con scetavajasse, putipù, caccavelle e  tricchebballacche, anche se  il giorno  più importante di tutto questo restava  il marted’ grasso . In questo giorni infatti il popolo dava fondo a tutte le riserve alimentari senza pensare ad un domani. Questo giorno ( l’ultimo di Carnevale ) rappresentava un inno alla goduria e al cibo .

CURIOSITA’:  Nei secoli addietro le dispense in questo periodo dell’anno erano ormai vuote, In fondo la primavera era alle porte e non era più necessario conservare provviste per l’inverno. Il Martedì  grasso era  infatti  per tradizione il giorno dell’ultima lauta libagione. Dal girono dopo poi si doveva stare  a stecchetto, in quanto cominciava  la Quaresima, il percorso penitenziale fatto di astinenza e digiuno che portava tutti  alla Pasqua.

N.B. Una delle cose che si elimina in Quaresima è ovviamente la carne, e infatti la parola carnevale viene proprio da carnem levare, eliminare la carne.

Il carnevale napoletano incominciava  17 Gennaio, nel giorno di Sant’Antonio Abate con il rito purificatore dei fucarazzi. Nel “cippo” di Sant’Antonio si bruciavano tutte le cose vecchie e si cominciavano ad improvvisare le prime danze in maschera.

CURIOSITA’: Dietro  ai  celeberrimi ” cippi ” dove per usanza si è soliti dar fuoco ad  oggetti vecchi e cianfrusaglie,si nascondono motivazioni purificatrici miti legate proprio al carnevale . Con l’avvento di esso , con questa azione si mira infatti  ad allontanare gli elementi negativi e la sfortuna dalla propria famiglia e dalla propria casa rifacendosi a vecchie superstizioni pagane legate ai Saturnali ed i Baccanali. 

Il Carnevale a Napoli come vedete era molto diverso da quello odierno . L’ unica vera tradizione rimasta oggi indenne rispetto al passato e’  quella culinaria , con le castagnole al migliaccio , le famose chiacchiere , la deliziosa lasagna e il sanguinaccio .

Le chiacchiere sono dei dolci molto famosi in tutta Italia, sebbene vengano chiamate con nomi differenti a seconda della zona. Le chiacchiere napoletane sono delle sottili strisce di pasta fritta ricoperte da zucchero a velo che  di solito sono servite con il sanguinaccio. Quest’ultimo è una crema di cioccolato fondente che, in antichità, veniva preparato aggiungendo anche sangue di maiale cotto .  Ma state tranquilli,le nuove norme sanitarie lo hanno vietato ed oggi questa tradizione è caduta in disuso, pertanto il sanguinaccio di oggi è composto al 100% di cioccolato!

N.B. Le chiacchiere sono un dolce buonissimo e antichissimo che ovviamente per tradizione  devono essere rigorosamente  fritte, come si fa con le zeppole e gli struffoli. ( quelle al  forno sono assolutamente insignificanti). Esse  vanno per tradizione  mangiante col sanguinaccio. In tutte le pasticcerie troviamo le vaschette di sanguinaccio anche se quella che viene venduta oggi è solo una meravigliosa crema al cioccolato; noi per tradizione continuiamo a chiamarla sanguinaccio perché illo tempore si preparava proprio col sangue di maiale

Dell’antica festa  di carnevale oggi a Napoli e’ quindi in realtà rimasto veramente ben poco… come in molte altre parti del mondo, anche nella nostra città , esso è sopratutto celebrata dai bambini mascherati  pronti a lanciare coriandoli e soffiare un rudimentale strumento fischiante, ma un tempo esso era  la festa che meglio fotografava il  modo di fare dei regnanti e delle famiglie  nobili della nostra città e di un popolo affamato che  in quei pochi giorni poteva finalmente mangiare di tutto , senza limiti ed a basso prezzo e con il solo motto  di eccedere  ( meglio murì sazio che diuno ).

Capirete quindi come nella nostra città , fino a neanche molto tempo fa, il Carnevale  era  un periodo sempre molto atteso dal popolino che attendeva con grande trepidazione quei giorni . Alla base di tutto questo vi era solitamente la fame che la gente comune quotidianamente soffriva  e la grande abilità con cui i vari regnanti ( sopratutto i vicere ed alcuni re borbone ) sfruttavano questa cosa . I regnanti erano infatti soliti concedere   in questi giorni una grande festa con un finale ricco di numerose prelibatezze .

N.B. I Borbone per  conservare  il favore e la simpatia popolare erano soliti concedere  un gran numero di momenti ludici e festivi  che pur avendo spesso un fondamento di natura religiosa , terminavano sempre con grandi abbuffate.

L’ingresso del Carnevale avveniva nella nostra città   il giorno di Sant’ Antuono ( 17 gennaio ). Questa data  segnava l’ ingresso del Carnevale e in questa occasione si dava fuoco a cataste di roba vecchia.
Nei tempi dei vicerè e dei Borboni,  la festa veniva annunciata al popolo al suono delle tofe ( grosse conchiglie al cui soffio corrispondeva un suono simile a quello delle sirene delle navi ). Da quel momento il popolo aveva licenza di fare baldoria e baccano . Un fiume di persone , armati di originali strumenti musicali ( o’ scetavaiasse – o’ putipu’- o’ triccaballacche ) , avanzava tra le strade lanciando coriandoli e uova ripiene di farina , sopratutto se il malcapitato avesse un cappello o fosse ben vestito . I gentiluomini infatti spesso non osavano avventurarsi per strada e partecipavano alla festa affacciati ai loro balconi ornati di festoni lanciando finti fiori , coriandoli e carta colorata. Per tutto il periodi Carnevale in tutte le strade della città erano comunque sempre presenti affollatissime bancarelle che vendevano fritti., soffritti, frutti di mare, sorbetti ,dolciumi e leccornie di ogni tipo.

La nobile società era solita divertirisi in questo priodo con l’organizzare tornei , giostre  e altri  giuochi cavallereschi.  Le nobildame napoletane, aspettavano con ansia quei giochi che portava  il Carnevale per farsi notare dai nobili galanti cavalieri . Esse  godevano e si divertivano ammirando l’eleganza e l’abilità dei cavalieri nelle giostre e nei tornei . Era questa un importanta occasione di conoscenza e rappresentanza .c he spesso si concludava in grandi feste mascherate che ti tenevano in grandi palazzi nobiliari dove si consumavano pranzi sfarzosi con ricca ostentazione delle più rinomate ricercatezze gastronomiche e dei più pregiati vini locale e francesi ; gli addobbi erano preparati dai migliori architetti ed arredatori e gli invitati indossavano maschere lussuosissime

N.B. Ai tempi dei borbone, il  teatro San Carlo veniva addirittura trasformato in una grande sala da ballo, mentre i palchi fungevano da sale da pranzo dove si consumavano le specialita’ carnevalesche.

Il popolo già ai tempi del viceregno spagnolo si esibiva nelle strade e nelle piazze con rappresentazioni mascherate e canti di carnevale dialogati . In   tale periodo nacquero i carri cuccagna che oltre a rappresentare scene allegoriche, erano anche addobbati con prodotti mangerecci che avevano al seguito anche i ” cartelli delle quadriglie “, cioe’ canzoni dialettali stampate su pezzi di carta che venivano lanciate al pubblico e alla fine consegnate al re . Esse celebravano in tono scherzoso i vari mestieri .

Inizialmente i  carri che sfilavano lungo la città,  si concentrarono fra Piazza Mercato  e Largo di Castello attuale Piazza Municipio, . E infine furono vincolate all’ora denominato  largo dI palazzo ( attuale Piazza del Plebiscito ). Sempre in  epoca vicereale venivano  organizzato dai nobili per i napoletani meno abbienti anche un  lussuoso banchetto offerto  che  rappresentava una vera attesa attrazione per coloro che lottavano per ottenere un pasto “altolocato” per un solo giorno.

Poi la vicenda cominciò ad assumere forme sempre più grottesche. In città per il mero divertimento della parte aristocratica che viveva in città . prese sempre più costume ed usanza di far sfilare per le strade dei carri ripieni di cibo che però  spesso venivano saccheggiati provocando gravi incidenti ,

Per cercare di evitare questo fenomeno il re Carlo di Borbone stabili’ nel 1746 che i carri cuccagna invece di attraversare le strade cittadine , dovevano essere allestiti nel largo di palazzo ( piazza plebiscito) e che fossero guardati a vista da truppe armate fino all’ inizio dei festeggiamenti.
I carri furono poi sostituiti dall’albero della cuccagna( o palo di sapone) che veniva reso scivoloso grazie al sapone , in modo da rendere piu’difficile l’arrampicata dei concorrenti per arrivarci sopra dove erano raccolte le cibarie.

La struttura era ricca di generi alimentari : caciocavallo , prosciutti, lardo , formaggi, polli, capretti , agnelli , interi quarti di bue e non di rado anche animali vivi di grossa mole come buoi e vitelli . Dalle fontane montate sulla struttura zampillava il vino piu’ pregiato .
Tutto questo diventava di chi riusciva a prenderlo e conservarlo ; questa struttura infatti era destinata ad essere demolita nell’ assalto alle ore 22 dopo i 2 colpi di cannone che dal castello indicavano il segnale: il popolo a questo punto dava assalto alla costruzione cercando di arraffare quanta più’ roba possibile ed ogni tipo di leccornia alimentare , cosa che la gente comune poteva fino al prossimo anno poi  solo sognare  .

Migliaia di persone si avventavano sull’albero senza esclusione di colpi creando spesso una rissa incredibile e pericolosissima a cui i reali si mostravano permissivi e tolleranti .
Le cuccagne in tutto erano solo quattro e si tenevano nelle ultime domeniche di carnevale. Venivano allestite in sei giorni , dal lunedì al sabato e si realizzavano nella piazza antistante il palazzo reale , l’ attuale piazza del plebiscito , allora denominata largo dI palazzo.

N.B. Da qui trae origine l’espressione ‘ cuccagna’ inteso come il paese delle meraviglie , delle delizie e del piacere. Il gioco era finalizzato all’ “abbuffata ” che a Napoli era l’ usanza da parte del popolo di saziarsi abbondantemente prima di iniziare il lungo digiuno quaresimale.

Partecipavano alla progettazione di questo famoso ” albero della cuccagna” architetti , artisti e un gran numero di artigiani ed il finanziamento per la costruzione dell’ opera era assicurata in buona parte dal re che in genere dava ordine di aprire i cancelli del palazzo reale nel pomeriggio da dove migliaia di popolani entrando nel cortile potevano ammirare , li sistemato , l’albero della cuccagna con appeso in cima ogni ben di Dio.

Tutto questo fu infine sostituito dalle famose costruzioni delle “cuccagne” .

N.B. Il termine “cuccagna” deriva dal latino medievale “cocania” ed è un termine che usavano scherzosamente gli autori francesi per indicare un posto immaginario in cui anche i cialtroni vivono come i re, circondati da cibo e ogni sorta di bontà.

Con  il diffondersi infatti  in tutte le corti italiane del “gioco della Cuccagna“, ovvero di percorsi ad ostacoli, più o meno difficili, in cui il popolo si sfidava per ottenere ricompense in termini di cibo o denaro al termine della sfida , si diede inizio ad una rapida escalation del fenomeno che giunse addiritura nel portare alla riproduzione  di  maxi-strutture   in cartapesta e legno di una collina artificiale , una villa, un castello, un galeone ed altro a seconda delle fantasie del costruttore ripiene di ogni sorta di cibarie, vestiti da uomo e da donna e ornamenti vari.

La  costruzione di queste magnifiche e gigantesche macchine e  la loro scenografie , sistemate al centro del grande slargo antistante il palazzo  reale ( attuale piazza del Plebiscito ),venivano ordinate  e finanziata  dai nobili facoltosi aristocratici .

N.B, Questa era  una tradizione in uso  anche in altre corti italiane, come ad esempio a Bologna, a Roma e in Toscana, ma a Napoli diventò una vera e propria arte del massacro in scenografie straordinarie.

All’interno di torri alte anche venti metri venivano piazzati beni di ogni genere, dai gioielli al bestiame ancora vivo, poi, all’esterno, venivano esposte anatre e maiali crocifissi, che mugolavano per ore in preda al dolore e colavano sangue dai loro corpi dilaniati. Tutto a disposizione di un popolo di straccioni che, alla vista di un simile spettacolo di denari e sangue, si esaltava con una ferocia diabolica, provando in ogni modo a parteciparvi, tanto che le strutture dovevano essere sorvegliate 24 ore su 24 da guardie armate prima dell’evento.

Il giorno dello spettacolo era annunciato addirittura con decreti del viceré: così, dopo aver dato il via ai festeggiamenti con un colpo di cannone, il Plebiscito diventava un colosseo dei tempi moderni: il viceré ed i nobili, affacciati ai loro balconi, sogghignavano nel vedere il popolo miserabile che si accoltellava, lottava, smembrava vivi gli animali che, impazziti, fuggivano e scalciavano nella speranza di sopravvivere a diecimila e più pezzenti affamati e violenti.
Spesso, poi, a causa del peso eccessivo che erano costretti a reggere, i mausolei della cuccagna crollavano su sé stessi, uccidendo decine di persone sotto le travi di legno marcio.

N.B. E quello ra il periodo delle “feste, farina e forca”; siamo inaftti a metà del ‘700, il periodo più glorioso per il Carnevale; sfilate, mascherate, carri allegorici.

Ma non finiva qui: spesso, fra la folla che, nella ressa, cedeva ad ogni forma di bassezza morale, si nascondevano uomini armati, pronti a vendicare nel sangue questioni personali, più che a partecipare al gioco della Cuccagna.
Ecco così che il gioco, già perverso di sua natura, diventava il segreto teatro di regolamenti di conti e violenze private, una guerra di poveri per le risate dei ricchi.

E, dal balcone del Palazzo Reale   sadicamente i ricchi assistevano ad una infernale sinfonia di urla, sangue, coltelli e singhiozzi ( lo  racconta inorridito anche il Marchese De Sade nella cronaca del suo viaggio a Napoli ). 

CURIOSITA’ :Spesso erano presenti delegazioni di stati esteri che poi avrebbero riferito ai propri sovrani della maestosità della festa ma talvolta lo spettacolo era talmente cruento e barbaro che finiva per essere oggetto di critica , motivo per cui con il tempo i regnanti cercarono di diminuire gli eccessi di tale manifestazione. A tal proposito Karl August Mayer, un professore austriaco che scrisse “vita popolare napoletana” nel 1816 dichiarava : “Purtroppo è passato di moda un divertimento carnevalesco che era tanto adatto al popolo napoletano: intendo il monte di Cuccagna, detto Coccagna. Questo, come un altro Vesuvio, lanciava maccheroni, salsiccie, focacce e altri cibi che scivolavano giù per la sua pendice, incontro alle bocche aperte del popolo”

Fu questo  il momento più alto della storia del Carnevale napoletano. 

Questi truculenti spettacoli continuarono fino a quando re Francesco I di Borbone   non ne ordinò la fine, disgustato per tradizioni così violente e primitive. Già sotto Ferdinando IV le feste della Cuccagna cominciarono ad essere celebrate sempre più di rado, in quanto la regina, Maria Carolina, si disse disgustata nel vedere uno spettacolo tanto cruento, che invece storicamente allietava nobili e regnanti.

Il popolo non accolse bene la notizia della fine dei giochi: in tutta Napoli ci furono numerose manifestazioni di protesta da parte di pezzenti che desideravano continuare quel gioco orribile.

Carnevale quindi come vedete che ad eccezione dei ricchi parlava di miseria e sangue e non appariva certo felice e spensierato per molta gente del popolo.

N.B.Nell’800, tornarono i carri di carnevale, ‘o masto e festa; i personaggi tipici, ‘a vecchia do carnevale (Pulcinella a cavallo di una vecchia) e poi Zeza, la moglie di Pulcinella. Ma si assiste ad un processo di riduzione progressiva.

Io sono certo che di tutto questo molti di voi gia almeno in grossa  parte gia lo conoscete…

Ma dite la verità…. quanti di voi conoscono realmente la storia del Carnevale ?

Le sue origini sono molto antiche e affonda le proprie radici nei rituali idolatri di antiche superstizioni pagane fatti di balli e scenari volti a ripristinare la fertilità dei campi nei momenti più critici dell’anno agricolo, vale a dire indicativamente dall’inizio di novembre (festa dei morti) all’Epifania, ricorrenza in cui oggi nel folklore popolare si festeggia la Befana, che altro non è se non l’ennesima maschera attribuita alla dea degli antichi culti agrari europei.

Questi rituali derivavano  culturalmente da tradizioni antiche  a noi. piu vicine come quelle legate ai  Saturnali ed i Baccanali. 

I Saturnali si celebravano a Roma in onore di Saturno, divinità italica di origine Etrusca, collegandoli alla fatica e alle speranze della vita agricola. Alla semina dei campi seguivano dei riti propiziatori per ottenere il favore degli dei degl’inferi (sotterranei) e degli spiriti di familiari defunti, affinchè sprigionassero tutte le forze della fecondità. 

In questo disordine cosmico, si invocava e si creava un passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata dai vivi, e questi spiriti per non diventare pericolosi dovevano essere onorati , e omaggiati facendoli rivivere prestando loro  dei corpi provvisori. 

Tale stato di cose era possibile solo concedendo loro la propria persona ma indossando una “maschera”

NB Le maschere assurgono, quindi, in questo caso ad un significato “apotropaico”, facendo assumere, a chi le indossa, le caratteristiche dell’essere soprannaturale rappresentato.

Gli “dei sotterranei” giunti in superficie  esaltavano la rappresentazione del “mondo sottosopra”, cioè un sovvertimento di ogni regola sociale ed etica, il capovolgimento dei rapporti gerarchici. 

Durante questo periodo dietro travestimenti con tanto di maschera, era  lecito schernire i proprietari ed i governanti, era permesso al servo di fare il padrone e viceversa, al ciarlatore di ciarlare, al ricco fare il povero, cioè, nell’inversione dei ruoli, esternare e dimostrare le diversità individuali e sociali. 

Dietro la forte assonanza persona-maschera, ognuno perdeva la propria identificazione annullandosi per essere altro .

La maschera diventava occasione per dire cose non dovute in quando non era la persona che parlava ma il personaggio, il soprannaturale che prendeva  il sopravvento.

CURIOSITA’:Studiosi rinomatissimi come il Toschi e il Meuli condividono il parere che ancora oggi le maschere di Carnevale incarnino le anime degli antenati, i demoni e le entità sotterranee che sono solite mostrarsi nei dodici giorni compresi tra Natale e l’Epifania 

Lo spirito della festa era dunque quello di livellare l’ordine delle cose , ribaltare la realtà’ con la fantasia e travestirsi per qualche giorno in ciò che non si era .

Nel Medioevo, ad esempio i popolani potevano per poche ore divertirsi senza pensieri e sentirsi al pari dei potenti: 

Da un punto di vista storico e religioso il carnevale rappresentò, dunque, un periodo di festa ma soprattutto di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l’ordine costituito, che però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva nuovo o rinnovato e garantito per un ciclo valido fino all’inizio del carnevale seguente.

I Baccanali si celebravano invece sopratutto nel mondo greco. Durante tali feste erano consueti gli sbevazzamenti, soprattutto in onore di Dioniso, dio del vino e protettore delle vigne. Sotto l’effetto dell’alcool si cercava di dimenticare i pesi dell’esistenza; era in questo periodo considerato lecito trasgredire ogni norma, trascendere in pratiche orgiastiche e giochi immorali, dando libero sfogo alle passioni umane. 

Durante queste festività si realizzava quindi un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza.  Era lecito lasciarsi andareliberarsi da obblighi e impegni, per dedicarsi allo scherzo e al gioco . Inoltre mascherarsi rendeva irriconoscibili il ricco e il povero, e scomparivano così le differenze sociali. 

N.B ancora oggi fra le principali attrazioni del carnevale vi è il dileggio di personalità politiche e autorità civili. 

Da un punto di vista storico e religioso il carnevale rappresentò, dunque, un periodo di festa ma soprattutto di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l’ordine costituito, che però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva nuovo o rinnovato e garantito per un ciclo valido fino all’inizio del carnevale seguente.

Una volta terminate le feste, il rigore e l’ordine tornavano a dettare legge nella società.

Il proverbio associato al carnevale, derivato dall’antico detto latino «semel in anno licet insanire»  – “una volta l’anno è lecito impazzire” – la dice lunga!

MA DI TUTTO  QUESTO COSA NE PENSA LA CHIESA CATTOLICA ? 

Il carnevale per la chiesa cattolica è una festa di origine cristiana, che veniva festeggiata il giorno prima dell’inizio della Quaresima, durante la quale, secondo la tradizione, non si poteva consumare carne. La parola carnevale, infatti, deriva dal latino carnem levare, ossia “eliminare la carne”.

Nella Chiesa Romana si era infatti affermata l’imposizione di un periodo purificatorio, in preparazione della Pasqua, della durata di quaranta giorni (Quaresima). Tra le penitenze vi era il divieto di mangiare la carne, iniziando dal giorno precedente la Quaresima; tale proibizione era definita “Carnem Levare” (togliere la carne). 

Quei rituali Saturnali della Roma antica e sopratutto quelle pagane  dionisiache non erano certe ben graditi e andavano combattuti . Essi erano l’espressione di una allegrezza abbinata alla volgarità, in contrasto con la gioia cristiana e certamente sconveniente alla moralità dei credenti . Essi rappresentavano l’esaltazione sfrenata del godimento fine a sé stesso e le  festa che essi producevano costituivano più che un’innocente divertimento, uno dei tanti “diversivi” satanici che, con la scusa di fugare noia, tristezza e desideri repressi, sviava  le coscienze dalle sane preoccupazioni per la condizione dell’anima dinanzi a Dio . 

Riconoscere quei rituali significava accettare quella ambiguità che, mescolando bene e male ci si poteva camuffare da angelo o da diavolo, confondendo realtà e apparenza, verità e finzione, mira ad offuscare quella lucidità e giusta inibizione che servono invece ad onorare Dio . 

Ma per non contrastare le usanze che molti pagani portavano con loro pur essendosi convertiti al cristianesimo , certi festeggiamenti derivanti dai Saturnali e dai Baccanali furono ammessi  seppur con qualche ritocco .

Essi potevano essere praticati ma solo nel periodo precedente la Quaresima .

Il divieto “Carnem Levare” venne dunque preceduto dalla concessione “Carnem Valere”, un tempo nel quale era lecito mangiare la carne. Il periodo del Carnevale venne caratterizzato da banchetti lussureggianti, danze, travestimenti, giochi e scherzi d’ogni genere. Il “carnevale cristiano” iniziava dopo l’Epifania e si concludeva con un rito purificatorio, officiato il primo giorno della quaresima, il così detto “funerale del carnevale”, in cui si imprimeva sulla fronte dei fedeli un po’ di cenere.

Praticamente si fece carico di un moralismo sterile e bigotto, concedendo dapprima il libero sfogo delle concupiscenze, per poi permettere a tutti di pulire la coscienza sporca  con una condotta  “ripulita” da questa o quella festa…

La chiesa praticamente insegnava il falso riscatto spirituale promuoveva il peccato volontario in prospettiva di un “pentimento programmato secondo la mortale illusione che si debba abbondare nel peccato, affinché la misericordia e la purificazione sovrabbondino .

Praticamente ( una programmata coscienza pulita”, assicurata dopo un  peccato .

La Chiesa, che condannava i giochi del popolo, chiamava invece “Cuccagna” i banchetti per i meno abbienti preparati in occasione delle feste.

CURIOSITA’: Il Carnevale è una festa che come avete capito vede come suo simbolo pricipale la maschera che è sempre stata, fin dalla notte dei tempi, uno degli elementi caratteristici e indispensabili nel costume degli attori. Originariamente era costituita da una faccia cava dalle sembianze mostruose o grottesche, indossata per nascondere le umane fattezze e, nel corso di cerimonie religiose, per allontanare gli spiriti maligni.

Il termine maschera (dall’arabo “mascharà”, scherno, satira) ed in teatro come legge fondamentale tra gli artisti esiste la strana scaramanzia di non strofinare , malltrattare o  toccare mai la maschera sopratutto mai mettere  le dita negli occhi della maschera perche questa cosa porta male,

Pensate quindi a quanto sia sbagliata quella usanza che vige in cittò di far strofinare come portafotuna il naso di quel Pulcinella dell’artista Lello Esposito che di trova in via Fico al Purgatorio nel centro storico lungo via Tribunali.

Ovviamente  la capitale del Carnevale della maschera per  eccellenza., eleganza, e fatturae resta Venezia, una meravigliosa città che sorge dall’acqua, che durante il XV e il XVI secolo non solo era una delle città più ricche del Mediterraneo , dotata di una fiorente attività commerciale, ma anche un centro di passaggio per commercianti, pellegrini, persone in movimento, e stranieri di ogni sorta. Essa era una città cosmopolita e contava in quel periodo una popolazione che ammontava a circa  170,00 mila abitanti dove il fenomeno cortigiano( quello della  prostituzione )trovò terreno fertile

Venezia in quel periodo era  una città scollacciata, libertina, trasgressiva, capitale europea del sesso e della gioia di vivere. Le cortigiane  su una popolazione di 17 0.000 mila residenti  eranocirca 11 mila   questo antico mestiere era un’istituzione riconosciuta, importante e ben tassata dal governo.

N.B. In città amcora oggi ci sono diverse tracce del passato a luci rosse di Venezia: il ponte delle Tette (dove la merce veniva esposta); la zona delle Carampane, derivata dalla Casa Rampani che ospitava le prostitute un po’ sfatte a fine carriera e il ponte della donna onesta (dove donna onesta sta per cortigiana di alto bordo così classificata nei registri della Repubblica delle quali la più famosa fu la poetessa Veronica Franco che fece “incocar” il futuro Re di Francia.

il Ponte delle Tette, veniva così chiamato perchè  vicino al ponte c’erano diversi bordelli e le prostitute venivano spesso alle loro finestre “esponendo la merce”. Ai tempi della Repubblica di Venezia questo era un quartiere a luci rosse, regolato dal governo in modo molto preciso. Sembra che il governo della Repubblica abbia imposto alle prostitute di mostrare il loro seno per attirare i passanti

CURIOSITA’: In citta esistevano  2 diverse classi di cortigiane: Le Cortigiane Lume, (la cortigiana della luce)  ela cortigiana di classe inferiore.

CORTIGIANE DI LUME . Chiamato così perché per essere riconosciuti e attirare i clienti accendevano una candela alla finestra. Vivevano in baracche malsane e erano frequentati dalla popolazione. 

CORTIGIANE ONESTE . Così chiamate  non per la loro rettitudine, ma perché onorate e rispettate. Sono nati spesso in famiglie patrizie o mercantili, molto ben educati e coltivati, potevano frequentare biblioteche pubbliche e parlavano lingue diverse.
Erano donne molto affascinanti, eleganti e alla moda. Inossavno  costumi dai colori vivaci con  un  decolleté che lasciava i  seni quasi nudi, Avevano  maniche riccamente ricamate, un bavero, un collo realizzato in un bellissimo pizzo fatto a mano. Indossavano eleganti “zimarra”, cappotti di velluto con bottoni dorati, con pelliccia di scoiattolo “vaio” e soprabiti foderati di “giarrettiere”, gonne lunghe di raso o ormesino. le più famosi percorrevano la salizzade e le calli seguite da pagine e servi e indossavano gioielli preziosi. Di solito si arricciavano i capelli e li tingevano di biondo, raccogliendoli con un corsetto di nastro di seta in una rete dorata. Seguirono il consiglio di una famosa alchimista, la nobildonna Isabella Cortese, che nel 1500 pubblicò il libro “Secreta”, dedicato ai cosmetici femminili. Famose per il loro aspetto, le cortigiane furono usate dagli artisti come modelli nei dipinti, specialmente dove apparve la nudità femminile, forse in contesti mitologici o biblici. Numerosi erano anche i dipinti che li raffiguravano singolarmente, come quelli di Veronica Franco, famosa per le sue poesie.con le quali  catturò l’attenzione di gran parte del mondo maschile colto e alto, che a  provvide diffondere un’immagine quasi mitologica di queste donne.
Erano donne , ma anche uomini (l’omosessualità era diffusa tra i veneziani e il governo  provò vari modi per contrastarla )molto indipendenti e molti di loro erano artisti, poeti, cantanti e intellettuali con abilità sociali e di conversazione, intelligenza e compagnia. Erano molto belli, con buone maniere pronte a partecipare a una varietà di argomenti che vanno dall’arte alla musica alla politica. Alcune cortigiane hanno avuto molto successo e hanno potuto godere di una vita molto lussuosa perché sono stati supportati e mantenuti dai loro clienti. Inoltre, le cortigiane uscivano spesso nella società in compagnia dei loro protettori, accompagnandoli nelle funzioni sociali e talvolta sostituendo persino i loro legittimi coniugi.

Come la maggior parte delle attività, quella della “cortigiana ”  era non solo controllato dal governo della città, ma era anche utilizzato come strumento per mantenere l’ordine pubblico. e con  il Carnevale la maschera divenne  simbolo della necessità di abbandonarsi al gioco, allo scherzo e all’illusione di indossare i panni di qualcun altro, esprimendo quindi diversi significati: la festa e la trasgressione, la libertà e l’immoralità.

“Buongiorno Siora Maschera”, lungo le calli, per i canali e nei listoni era questo il saluto. L’identità personale, il sesso, la classe sociale non esistevano più e si entrava a far parte della Grande Illusione del Carnevale in un posto, unico al mondo, dove tutto può accadere, dove ogni scorcio non cessa di incantare.

N.B. Nella cultura veneziana con il termine “maschera” si indica l’attività di “mettersi barba e baffi finti” e “maschera” era anche il soprannome dato alle donne che si travestivano da uomini e agli uomini che si travestivano da donne. Ben presto la maschera divenne simbolo della libertà e della trasgressione a tutte le regole sociali imposte dalla Repubblica Serenissima a Venezia…

La storia della maschera veneziana inizia già nel 1268, anno a cui risale la più antica legge che limita l’uso improprio della maschera: in questo documento veniva proibito agli uomini in maschera, i cosiddetti mattaccini, il gioco delle “ova” che consisteva nel lanciare uova riempite di acqua di rose contro le dame che passeggiavano nelle calli.

Gli artigiani che fabbricavano maschere erano chiamati maschereri fin dal tempo del Doge Foscari e possedevano un loro statuto datato aprile 1436. Appartenevano alla frangia dei pittori ed erano aiutati nella loro professione dai targheri che imprimevano sopra lo stucco volti dipinti, a volte di ridicola fisionomia, con dovizia di particolari. La produzione di maschere si era così intensificata che nel 1773 esistevano ufficialmente 12 botteghe di maschere a Venezia: poche se si considera l’uso che se ne faceva in quegli anni.
La richiesta di maschere ed il loro utilizzo era tale per cui si cominciarono a fabbricare molte maschere “in nero”, dando lavoro a tante persone e riuscendo così a intensificare la produzione e la diffusione a livello europeo.

Le maschere erano (e lo sono ancora oggi) fatte di cartapesta e ne venivano prodotti diversi modelli in diversi colori e decorati con gemme, tessuti e nastri.carnev

La maschera non era utilizzata solo durante il periodo di Carnevale ma in molte occasioni durante l’anno: era permessa il giorno di Santo Stefano (che sanciva la data di inizio del Carnevale veneziano) e fino alla mezzanotte del Martedì Grasso (che concludeva i festeggiamenti per il Carnevale); era permessa durante i quindici giorni dell’Ascensione e alcuni, con particolari deroghe, la utilizzavano fino a metà giugno. Inoltre, durante tutte le manifestazioni più importanti come banchetti ufficiali o feste della Repubblica era consentito l’uso di Bauta e Tabarro.

La Bauta era utilizzata sia dagli uomini sia dalle donne in svariate occasioni: addirittura era un obbligo per le donne sposate che si recavano a teatro mentre era proibita alle ragazze in età da matrimonio. La Bauta è formata da un velo nero o Tabarro, un tricorno nero e una maschera bianca. La maschera bianca era detta “larva”, probabilmente dalla stessa voce latina il cui significato è appunto maschera o fantasma, e permetteva di bere e mangiare senza mai togliersela, mantenendo così l’anonimato. Oltre a tutto ciò si soleva anche indossare il Tabarro, un lungo mantello nero che copriva fino a metà la persona. Il Tabarro era composto da una mantellina che raddoppiava sopra le spalle, poteva essere di panno o di seta secondo le stagioni, bianco o turchino, scarlatto per un’occasione di gala, a volte decorato con fronzoli, frange e fiocco “alla militare”. Era molto usato anche dalle donne, scuro d’inverno e bianco d’estate.

La Moretta era invece una maschera ovale di velluto nero che veniva usata dalle donne. La sua invenzione ebbe origine in Francia, dove le dame erano solite usarla per andare in visita alle monache, ma si diffuse rapidamente nella Serenissima, poiché abbelliva particolarmente i lineamenti femminili. La maschera era completata da veli velette e cappellini a larghe falde. Dato che inizialmente si indossava tenendola in bocca grazie ad un piccolo perno, era una maschera muta e quindi particolarmente gradita agli uomini.

Durante il Carnevale i Veneziani si concedevano trasgressioni di ogni tipo e la Bauta o la Moretta erano utilizzate per mantenere l’anonimato e consentire qualsiasi gioco proibito, sia da parte di uomini che da parte di donne. Anche i preti e le monache approfittavano delle maschere per celarsi e trasgredire compiendo fughe amorose o “multas inhonestas”.

Allo scopo di limitare l’inarrestabile decadimento morale dei Veneziani, la Serenissima in varie riprese ha legiferato in materia di Carnevale e ha disciplinato l’uso delle maschere e dei travestimenti.
Sin dai primi del ‘300 cominciarono ad essere sempre più numerose le leggi che promulgavano decreti per fermare il libertinaggio degli abitanti di Venezia del tempo e per limitare l’uso esagerato delle maschere.

Era proibito indossare la maschera nei periodi che non fossero quelli di carnevale e nei luoghi di culto, così com’erano proibite le armi e gli schiamazzi di gruppo. L’uso della maschera veniva proibito alle prostitute e agli uomini che frequentavano i casini. Questo perché spesso la maschera era usata per celare la propria identità e per risolvere affari poco puliti o portare avanti relazioni curiose.

Per esempio il Tabarro era, spesso, utilizzato per nascondere armi e proprio per questo furono emanati molti decreti per impedire alle maschere di utilizzare il mantello per scopi non proprio ortodossi e soprattutto pericolosi. Coloro che erano colti in flagranza di reato andavano incontro a pene molto pesanti: per gli uomini la pena era di due anni di carcere, il servizio per 18 mesi nelle galere della Repubblica Serenissima, il pagamento di 500 lire alla Cassa del Consiglio dei Dieci.
Le donne, spesso prostitute, che venivano trovate in maschera erano frustate da Piazza San Marco a Rialto (un bel tratto di strada!), poste in berlina tra le due colonne di Piazza San Marco e erano bandite per quattro anni dal territorio della Repubblica Veneta e anch’esse erano costrette al pagamento di 500 lire alla Cassa del Consiglio dei Dieci.

L’elenco dei decreti procede di pari passo a quello dello svolgersi, annuale, del Carnevale. Di volta in volta viene aggiunta una proibizione: vietato recarsi in maschera all’interno dei luoghi sacri, vietato mascherarsi in abiti religiosi, vietato ballare in pubblico al di fuori dei giorni stabiliti per la festa del carnevale. Vista l’usanza di molti nobili Veneziani che andavano a giocare d’azzardo mascherati per non essere riconosciuti dai creditori, nel 1703 sono proibite per tutto l’anno le maschere nei Ridotti, cioè le case da gioco veneziane.

Ma esisteva anche il rovescio della medaglia: nel 1776, una nuova legge, questa volta atta a proteggere l’ormai dimenticato “onore di famiglia”, proibiva alle donne di recarsi a teatro senza una maschera.

Dopo la caduta della Repubblica, il Governo Austriaco non concedette più l’uso delle maschere, se non per feste private o per quelle riservate. Con l’inizio della dominazione austriaca il Carnevale di Venezia attraversò una fase di decadenza. Solo durante il secondo governo austriaco fu permesso di nuovo di utilizzare le maschere durante il Carnevale.

Il governo italico si dimostra più aperto, ma questa volta sono i Veneziani ad essere diffidenti: ormai Venezia non era più la città del Carnevale ma solo una piccola provincia dell’Impero, quindi senza più libertà…

A  distanza di tanti anni , come quindi possiamo non definire Venezia come  la capitale del  Carnevale in Italia  dove per l’occasione  regnano sfarzo e costumi bellissimi, lasciti di una tradizione secolare … forse qualcun’altro è pronto a ribattere e sostenere che invece è Viareggio il luogo dove si celebra con i suoi carri allegorici uno dei Carnevali piu famosi del mondo ( dopo quello di Rio de Janeiro) , mentre altri potrebbero parlarvi di quello ad Acireale, in Sicilia, oppure  Ivrea poi si festeggia con  la celeberrima Battaglia delle Arance, ed infine per restare in Italia quello di  Sciacca dove vengono realizzate splendide opere in cartapesta, ma per noi la città  lagunare resta quella dove il  Carnevale  affonda le proprie radici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CURIOSITA’ : Ai giorni nostri la goliardia e il colore e l’allegria del Carnevale lo ritrovate nel mondo anche a Nizza,in Francia, a Panaji in  India, a Notting Hill Carnival di Londra, nel Regno Unito, a Mardi Gras di New Orleans, ( USA),a Port of Spain, Trinidad e Tobago, a Quebec Winter Carnival, Canada, a  Colonia in Germania, a Santa Cruz de Tenerife in Spagna, a Binche in Belgio,e ad Oruro in Bolivia .

 

 

 

 

 

 

Nella nostra città a ricordare il Carnevale resta oggi l’attuale Piazza del Plebiscito che  era chiamato all’epoca Largo di Palazzo dove come vi ho raccontato , in epoca Borbonica  i carri diventarono veri e propri alberi della cuccagna  strapieni di montagne di cibo  che creavano spesso gravissimi incidenti.; alle 12 del martedì grasso un colpo di cannone dava il via all’assalto e dell’albero rimaneva solo la struttura dopo pochi minuti.

Quando si guarda quindi la magnifica piazza del Plebiscito nella nostra città , non bisogna  restare solo abbagliati dalla sua magnificenza: essa come ogni grande monumento, infatti, nasconde lacrime, disperazione e sangue di un popolo che, in brutali  rituali antichissimi, paradossalmente festeggiava.

E ricordatevi che nella settimana di Carnevale bisogna stare molto attenti anche agli scherzi degli “scugnizzi” napoletani. La regola è che  “a Carnevale ogni scherzo vale” ed i bambini si divertono a fare scherzi divertenti ed originali agli adulti.

In questo periodo lo scherzo “vale”e pertanto vi diamo un piccolo consiglio. Non indossate i vostri abiti migliori, potreste sporcarvi!

Ma al massimo potreste sporcavi di cioccolato … un tempo invece il nostro carnevale era macchiato di sangue e violenza .

In questo periodo  il commercio che vi è connesso raggiunge il suo apice; uomini e donne di ogni ceto sociale si recano spesso a balli in maschera e sfilate variopinte, cercando di liberare la fantasia e di catturare un po’ di felicità. Vengono quindi  acquistati vestiti da indossare solo per qualche giorno, poi, come ogni anno, rimangono soltanto piazze e strade da ripulire.

Da un punto di vista gastronomico la tradizione invece mantiene. Visto che da domani è Carnem Levare, fino a stasera si possono fare bagordi gastronomici. Oggi la sacramentale lasagna, quella vera, la borbonica, non deve mancare. E poi ovviamente una fetta di migliaccio e due chiacchiere col sanguinaccio.
Tanto domani ci mettiamo in dieta.

 

 

 

 

 

 

 

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