E’ un’antica arte divenuta anni fa famosa in tutto il mondo, tenuta dai ” Posteggiatori”.

La parola posteggia deriva, naturalmente, da “puosto” che è il luogo occupato da chi svolge un’attività che è rivolta al pubblico. I venditori ambulanti, ad esempio, occupano un posto fisso sulla pubblica via per cui è facile parlare di “ ‘o puosto d’ ‘o verdummaro” o di altri venditori. In questo caso invece era il luogo dove si fermava a suonare un complesso musicale ambulante, appunto ” i posteggiatori”.

Il loro ruolo nel panorama della musica classica partenopea e’ stato importantissimo in quanto senza i posteggiatori musicali la canzone napoletana non avrebbe avuto un adeguato sviluppo e non sarebbe arrivata fino a noi .
Come ci ricorda Tonino Apicella (padre di Mariano, celebre per i duetti con Silvio Berlusconi), “e’ un’arte che si basa sulla delicatezza verso il cliente, una vasta conoscenza del repertorio napoletano e buone capacità di psicologo“.

I posteggiatori sono stati indubbiamente il primo esempio di musicisti liberi, in quanto non essendo al servizio di alcuno vivevano della sola ricompensa data loro da chi aveva amato ascoltare la propria musica e ne avevano fruito in benessere. Caratteristico è, infatti, che al termine dell’esibizione, i posteggiatori vadano “per la chetta” (dal francese quete, il compenso che si da ai posteggiatori) girando fra gli avventori con un “piattino” .
L’offerta non deve essere intesa come elemosina, ma come un riconoscimento, più o meno grande, alla loro arte.

Il concetto era ….. Meglio la libertà che essere sottoposti allo stipendiuccio di un padrone e dare anche in questo modo, la possibilità a tutti, non solo ai patrizi, di usufruire delle loro prestazioni.

Le loro prime tracce si trovano in un’ordinanza di Federico II di Svevia.

Già a partire infatti dal ‘200, i menestrelli, formati da complessini ambulanti, iniziavano a cantare giorno e notte per le vie di Napoli, disturbando la quiete pubblica, tant’è che Federico di Svevia emanò un editto contro di essi per moderarli; venivano all’epoca considerati eredi diretti dei menestrelli provenzali che nel Medioevo, accompagnandosi con vari strumenti, cantavano vivaci stornelli agli oziosi sovrani e dolci melodie alle damigelle innamorate .
Con il tempo, queste figure presero il nome di “gavottisti” e “posteggiatori” (nome derivante da: “puosto” – in italiano “posto” – ossia il luogo pubblico in cui ci si fermava a suonare) e la loro principale caratteristica, si basava sul canto accompagnato da un mandolino, una chitarra, un violino o una fisarmonica.

Nel corso dei secoli, i posteggiatori iniziarono a suonare nelle tante osterie, ricche e povere della città, divulgando così le antiche canzoni napoletane che divennero, successivamente, musiche di repertorio di illustri cantanti che segnarono la storia della musica partenopea; tra di essi, nel tardo 800, vi fu il celebre tenore Enrico Caruso, che debuttò dapprima come “posteggiatore”, amando esibirsi presso il caffè dei Mannesi situato tra San Biagio dei Librai e via Duomo.

Molti posteggiatori nel tempo hanno goduto di grossa celebrità .

Tra i tanti nomi storici dei “posteggiatori” ricordiamo in particolare :

Giuseppe Di Francesco, meglio conosciuto con il soprannome di “ ‘o zingariello”.
Nel 1879, durante un suo soggiorno a Napoli, Richard Wagner ascoltando rimase molto colpito dalla sua voce e dal suo modo di cantare al punto addirittura di proporgli di seguirlo in Germania a Bayreut.
Wagner lo porto’ con se e lo fece suonare nel suo salotto musicale .
Nel salotto musicale del grande Maestro rimase per quattro anni e fu applauditissimo per via della sua incantevole voce.
A lui Salvatore Di Giacomo dedicò una canzone “L’ortenzie” mentre Libero Bovio scrisse per lui “Zingariello”.

Antonio Silvio, detto Don Antonio ‘o cecato, benvoluto da Giuseppe Garibaldi, che gli fece da padrino di cresima. Quando morì, il suo violino fu acquistato da Giovanni Capurro, l’autore di “‘O sole mio”, come cimelio prezioso.

Pasquale Jovino detto “Pascale ‘o piattaro”, detto così perché in gioventù era stato decoratore di piatti; aveva studiato con Enrico Caruso dal Maestro Vergine e divenne celebre nei ristoranti di Posillipo con “A risa” di Cantalamessa, che esportò ovunque fin alla corte dello Zar di Russia Nicola II .
Fu anche molto apprezzato da Gustavo di Svezia che gli chiese un bis, ed Umberto I.
Al Quirinale la Regina Margherita, per il troppo ridere nell’ascoltare “ ‘A risa”, rischiò di cadere dalla poltrona.

Giorgio Schottler, che ha inciso diversi dischi ed ebbe il piacere di cantare davanti alla Regina Elena e a Vittorio Emanuele

Gennaro Olandese, detto “Gennarino ‘o ‘nfermiere”, I Liberti ( padre e figlio ), Vincenzo Righelli, detto “Coppola rossa”, rinomato per l’interpretazione di “Mariuccia”.
Pietro Mazzone , detto “ ‘o romano” ( primo posteggiatore ad entrare in sala di incisione ) .
Il cantante-chitarrista Marmorino, il mandolinista Mimì Pedullà, detto “manella d’oro”, e il violinista Salvatore Di Maria, detto “ ‘Nchiastillo”
Francesco Coviello, detto “Ciccio ‘o conte” . I fratelli Vezza, detti “ ‘e gemelle”. Vincenzo Improta, detto “ ‘a radio”.
Eugenio Pragliola, detto “Eugenio cu’ ‘e llente”, che si esibiva portando occhiali senza vetri e una bombetta e si accompagnava con la fisarmonica.

Finiti i tempi d’oro, negli ultimi anni si è assistito ad un profondo cambiamento dell’approccio classico del posteggiatore che sopravvive solo in veterani che si possono ascoltare in alcuni locali caratteristici di Napoli .

Per fortuna oggi l’antica tradizione viene mantenuta in vita grazie a tantissimi “posteggiatori” contemporanei, di ogni età, che sono ritenuti l’orgoglio di una cultura tutta napoletana destinata speriamo a non scomparire mai.

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