Gli antichi romani erano soliti festeggiare nel mese di agosto , non solo le Feriae Augusti (riposo di Augusto) , festività istituita dall’imperatore Augusto nel 18 a.C. e che oggi noi continuiamo a celebrare ( ferragosto ), ma anche e sopratutto il giorno in cui si propiziava la vendemmia.
Il 19 agosto quindi per il calendario romano era il giorno dei Vinalia rustica, la festività dedicata alla vendemmia che finiva sempre per far ubriacare chiunque vi partecipava.
Erano dei momenti sacri che si svolgevano per due volte all’anno in segno di buon auspicio, l cui massimo momento consisteva nel gustare il vino ottenuto dalla vendemmia dell’anno precedente e nel buttarlo a terra per offrirlo a Giove come segno di buon auspicio per la successiva raccolta del’uva.
Sembra però che il signore di tutti gli dei, Giove, non fosse la sola divinità a essere venerata nel corso dei Vinalia, ma s’ipotizza che insieme a lui venisse festeggiata anche Venere che gli antichi romani veneravono almeno quanto Bacco.
Gli antichi romani infatti amavano mangiare pasteggiando vino o farsi un goccio ogni tanto per rallegrarsi sopratutto se quel vino si chiamava FALERNO , che all’epoca era un vino carissimo che non tutti potevano permettersi . Pensate solo che un suo bicchiere costava additittura quattro assi, cioè il doppio di un qualunque buon vino.
Di questo celebre vino hanno lasciato traccia nei loro antichi scritti personaggi latini come Catullo, Cicerone, Varrone, Orazio, Vitruvio, Ovidio, Dionigi d’Alicarnasso, Plinio il vecchio e tanti altri.
Esso era considerato il re dei vini ed aveva il suo maggior territorio di produzione in provicia di Caserta (Mondragone, Carinola, Falciano del massico e vulcano di Roccamorfina) ed a Pozzuoli ( Falerno del monte Gauro ).
Era ricavato da uve Aglianico e Piedirosso già coltivate dai greci, nel Il secolo a.C., e veniva prodotto dai romani in maniera massiccia interessando almeno 150 grandi ville rustiche tra le cui rovine di frequente è stao ritrovato il torcular, il torchio per l’uva, e sono stati recuperati pollini della vite allora coltivata e persino una vite fossile.
Ma non era l’unico vino campano famoso nell’Impero romano : quelli più rinomati (Lacrima Christi ) erano quelli che provenivano dalle zone delle le pendici del Vesuvio, Somma e Torre del Greco , nota nell’antichità come Turris Octava per essere l’ottava torre sulla spiaggia di Napoli .
N.B. In questa zona si produceva anche il più moderato Gragnano, oggi ritornato di gran moda .
In atri dintorni napoletani come quelli del Sannio e dei campi flegrei, si produceva la falanghina che veniva considerato anch’esso un ottimo vino, mentre nel solo beneventano, considerato uno dei primi e più importanti centri antichi di insediamento di coltivazione della vite si producevano buoni vini come l’Aglianico, il Faustiniano, il Caleno ed il Solopaca.
Nell’Irpinia si producevano invece i due famosi vini denominati Fiano di Avellino e Greco di Tufo ,ed il prestigioso Taurasi, mentre in provincia di Caserta l’Asprino ed il famoso Falerno del Massico.
Quello invece conosciuto ovunque e che si trovava in diverse località della Campania era il famoso Aglianico
Nelle isole del golfo si produceva il bianco Capri, l’Epomeo, il Biancolella, il Forastera o il Calitto.
Oggi la tradizione vinicola delle nostre terre , nonostante siano passati molti secoli resta immutata .
Basti solo dire che in Campania si producono almeno tre vini conosciuti in tutto il mondo: il Fiano, il Taurasi ed il Greco di Tufo .
Essi sono tra i vini più conosciuti della nostra terra anche se a questi personalmente aggiungerei la Falangina ( del sannio e dei campi flegrei) , l’Aglianico, il Pallagrello bianco, il Capri bianco, l’ Aversa Asprinio, i Campi Flegrei, DOC (” Piedirosso “o Per ‘e Palummo), il Casavecchia di Pontelatone Doc, il Lacrima Christi, , il Costa d’Amalfi doc Furore bianco, il Falerno del Massico doc Primitivo, l’Irpinia doc Aglianico, il Beneventano igt Rosso” Essentia”,
Il Guardiolo, il Galluccio,il Taburno , il Sannio Rosso, il Solopaca Bianco, , il Biancolella di Ischia, il vino falanghina del sannio la falanghina dei campi flegrei ed ultimamente anche il meno ambizioso Gragnano senza però mai dimenticare il famoso vino uvio, dal grappolo rado, dgli acini rotondeggianti e la buccia dorata, spessa e croccante, denominato” Catalanesca”
perchè fu portata a Napoli dalla Catalogna da
Alfonso I di Aragona nel XV secolo ed impiantata alle pendici del Monte Somma, tra Somma Vesuviana e Terzigno, dove attecchi perfettamente.
Certo oggi festeggiare la giornate del vino è facile . Basta recarsi in una buona enoteca ed in base alle proprie tasche scegliere un buon vino .
Ma in epoca vicereale la cosa non era così semplice .. per bere del buon vino bisognava infatti stare molto attenti ad una “ frasca “‘apposta fuori dall’osteria
.
Essa era il chiaro segno ( sopratutto nelle bettola di campagna ) che avvisava gli avventori che era arrivato il vino nuovo.
Quando la sera ormai il vino era finito, l’oste diceva al ragazzo di bottega levammo a frasca a mieze, col significato di chiudiamola qui, terminiamo l’attività della giornata. E questo anche per evitare inopportune discussioni sull’operatività dell’esercizio.
Allora, in senso estensivo, quando sta per nascere una discussione, per evitare qualunque motivo di contesa ancora oggi si afferma levammo ‘a frasca a mieze, (togliamo la frasca di mezzo): cosi come il ritiro della frasca eliminava la ragione dell’eventuale sosta del viandante.
